Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
PER LA PRECISIONE IL VECCHIO DETTO E' DI ABRAMO LINCOLN, QUINDI VECCHIO DI OLTRE 150 ANNI.
Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo.
(Abraham Lincoln) (Hodgenville, 12 febbraio 1809 – Washington, 15 aprile 1865),
CALZA A PENNELLO PER PINOCCHIO MUSSOLONI, CHE IN FATTO DI INGANNI NEL TEMPO HA BATTUTO TUTTI I RECORD
Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo.
(Abraham Lincoln) (Hodgenville, 12 febbraio 1809 – Washington, 15 aprile 1865),
CALZA A PENNELLO PER PINOCCHIO MUSSOLONI, CHE IN FATTO DI INGANNI NEL TEMPO HA BATTUTO TUTTI I RECORD
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Re: Dove va l'America?
USA 2016
Donald Trump è il nuovo presidente degli Usa: con lui ha vinto l'America della rabbia
Partito da outsider, ha avuto contro tutti i grandi centri di potere. Ma a favore ciò che più conta: il voto popolare del Paese che ha inventato la globalizzazione per poi ritrarsi spaventato dentro i suoi confini quando ne ha misurato gli effetti. E con lui, l’altro grande vincitore delle elezioni americane. Abita a Mosca e si chiama Vladimir Putin
DI GIGI RIVA
09 novembre 2016
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Donald Trump è il nuovo presidente degli Usa: con lui ha vinto l'America della rabbia
Scambiandolo per uno di loro, gli americani arrabbiati, insicuri e delusi dalle élite hanno scelto come presidente un miliardario di lingua svelta e di dubbia moralità pubblica, refrattario nel pagare le tasse, bugiardo, xenofobo e razzista. Donald Trump, 70 anni, terrà in mano la valigetta con i codici nucleari, i destini degli Stati Uniti e di una larga fetta di pianeta. Partito da outsider, ha avuto contro tutti i grandi centri di potere, la finanza, le lobby, i mass media. Ma a favore ciò che più conta: il voto popolare del Paese che ha inventato la globalizzazione per poi ritrarsi spaventato dentro i suoi confini quando ne ha misurato gli effetti.
Lo ha scelto l’America che sogna un’impossibile Arcadia di se stessa, un ritorno al futuro verso confini sicuri e blindati, un isolamento dal mondo tempestoso e infido, la retorica della casetta col giardino e il barbecue.
E sono tutti legittimi i paragoni con la Brexit, con l’utopia retrograda che anche gli inglesi hanno inseguito poco più di quattro mesi fa.
Trump è riuscito a risultare “nuovo” con la sua discesa in campo contro un establishment dai riti paludati, sempre più astrattamente rinchiuso in un proprio guscio, lontano dalle viscere di una nazione ribollente di risentimento, angosce, paure.
Comunque più nuovo di quella Hillary Clinton che era, invece, l’esatta espressione dell’invisa classe dirigente, con una troppo lunga e chiacchierata frequentazione del potere. Sarebbe troppo semplice concludere che gli Stati Uniti sono stati pronti per un presidente nero e non lo sono ancora per una presidente donna. La verità è che Barack Obama, otto anni fa, era il candidato di rottura, perfetto per superare l’infausta èra Bush culminata con le sciagurate guerre mediorientali e l’inizio della forte recessione. Mentre Hillary era, semplicemente, la candidata sbagliata, espressione di una successione dinastica e di una logica tutta interna alle dinamiche familistiche prima ancora che partitiche.
Persino la sua indubbia preparazione “professionale” è stato un boomerang nel momento in cui l’emotività degli elettori chiedeva di sottrarre le chiavi del potere a chi era troppo abituato a infilarle nella toppa. I democratici, proponendola, non hanno capito che la scelta dell’ex first lady, ex segretario di Stato, era una scelta appunto ex, non aveva in sé la forza di alcuna novità e incarnava l’immutabilità della classe dirigente.
Eppure i segnali li avevano avuti, con l’inaspettata resistenza che le aveva opposto, nelle primarie, un radicale come Bernie Sanders. Perché questi sono tempi di radicalità, messaggi netti, posizioni chiare. Trump ha colto fino in fondo lo spirito dell’epoca, piegandolo su un programma sconcertante fino alla provocazione, quasi ai margini di quella che chiamiamo civiltà.
Cosa ci sarebbe voluto per batterlo? Un avversario capace di rappresentare una soluzione di continuità, una speranza per le giovani generazioni, che facesse sognare senza uscire dal perimetro di quei diritti acquisiti che sono il progresso.
Ora tocca al miliardario Trump, l’uomo delle divisioni, cercare di ricucire il tessuto connettivo di una nazione slabbrata e fiaccata da una campagna elettorale velenosa. Difficile che ci possa riuscire senza mutare la pelle mostrata sinora. E se questo è un problema solo interno, il resto ci riguarda invece assai più da vicino.
Mantenesse fede a quanto dichiarato nei comizi, porterebbe l’America verso uno splendido isolamento securitario che la allontanerebbe dal suo ruolo guida nelle aree di crisi del pianeta. A partire da quel Medioriente a noi tanto vicino che come Europa ci toccherebbe gestire quando sinora abbiamo dimostrato di non esserne capaci. Ci sarebbe un vuoto da coprire con un candidato che s’avanza per riempirlo. E’ l’altro grande vincitore delle elezioni americane. Abita a Mosca e si chiama Vladimir Putin.
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USA 2016 PRESIDENZIALI USA 2016 DONALD TRUMP HILLARY CLINTON
© Riproduzione riservata 09 novembre 2016
Donald Trump è il nuovo presidente degli Usa: con lui ha vinto l'America della rabbia
Partito da outsider, ha avuto contro tutti i grandi centri di potere. Ma a favore ciò che più conta: il voto popolare del Paese che ha inventato la globalizzazione per poi ritrarsi spaventato dentro i suoi confini quando ne ha misurato gli effetti. E con lui, l’altro grande vincitore delle elezioni americane. Abita a Mosca e si chiama Vladimir Putin
DI GIGI RIVA
09 novembre 2016
Donald Trump è il nuovo presidente degli Usa: con lui ha vinto l'America della rabbia
Scambiandolo per uno di loro, gli americani arrabbiati, insicuri e delusi dalle élite hanno scelto come presidente un miliardario di lingua svelta e di dubbia moralità pubblica, refrattario nel pagare le tasse, bugiardo, xenofobo e razzista. Donald Trump, 70 anni, terrà in mano la valigetta con i codici nucleari, i destini degli Stati Uniti e di una larga fetta di pianeta. Partito da outsider, ha avuto contro tutti i grandi centri di potere, la finanza, le lobby, i mass media. Ma a favore ciò che più conta: il voto popolare del Paese che ha inventato la globalizzazione per poi ritrarsi spaventato dentro i suoi confini quando ne ha misurato gli effetti.
Lo ha scelto l’America che sogna un’impossibile Arcadia di se stessa, un ritorno al futuro verso confini sicuri e blindati, un isolamento dal mondo tempestoso e infido, la retorica della casetta col giardino e il barbecue.
E sono tutti legittimi i paragoni con la Brexit, con l’utopia retrograda che anche gli inglesi hanno inseguito poco più di quattro mesi fa.
Trump è riuscito a risultare “nuovo” con la sua discesa in campo contro un establishment dai riti paludati, sempre più astrattamente rinchiuso in un proprio guscio, lontano dalle viscere di una nazione ribollente di risentimento, angosce, paure.
Comunque più nuovo di quella Hillary Clinton che era, invece, l’esatta espressione dell’invisa classe dirigente, con una troppo lunga e chiacchierata frequentazione del potere. Sarebbe troppo semplice concludere che gli Stati Uniti sono stati pronti per un presidente nero e non lo sono ancora per una presidente donna. La verità è che Barack Obama, otto anni fa, era il candidato di rottura, perfetto per superare l’infausta èra Bush culminata con le sciagurate guerre mediorientali e l’inizio della forte recessione. Mentre Hillary era, semplicemente, la candidata sbagliata, espressione di una successione dinastica e di una logica tutta interna alle dinamiche familistiche prima ancora che partitiche.
Persino la sua indubbia preparazione “professionale” è stato un boomerang nel momento in cui l’emotività degli elettori chiedeva di sottrarre le chiavi del potere a chi era troppo abituato a infilarle nella toppa. I democratici, proponendola, non hanno capito che la scelta dell’ex first lady, ex segretario di Stato, era una scelta appunto ex, non aveva in sé la forza di alcuna novità e incarnava l’immutabilità della classe dirigente.
Eppure i segnali li avevano avuti, con l’inaspettata resistenza che le aveva opposto, nelle primarie, un radicale come Bernie Sanders. Perché questi sono tempi di radicalità, messaggi netti, posizioni chiare. Trump ha colto fino in fondo lo spirito dell’epoca, piegandolo su un programma sconcertante fino alla provocazione, quasi ai margini di quella che chiamiamo civiltà.
Cosa ci sarebbe voluto per batterlo? Un avversario capace di rappresentare una soluzione di continuità, una speranza per le giovani generazioni, che facesse sognare senza uscire dal perimetro di quei diritti acquisiti che sono il progresso.
Ora tocca al miliardario Trump, l’uomo delle divisioni, cercare di ricucire il tessuto connettivo di una nazione slabbrata e fiaccata da una campagna elettorale velenosa. Difficile che ci possa riuscire senza mutare la pelle mostrata sinora. E se questo è un problema solo interno, il resto ci riguarda invece assai più da vicino.
Mantenesse fede a quanto dichiarato nei comizi, porterebbe l’America verso uno splendido isolamento securitario che la allontanerebbe dal suo ruolo guida nelle aree di crisi del pianeta. A partire da quel Medioriente a noi tanto vicino che come Europa ci toccherebbe gestire quando sinora abbiamo dimostrato di non esserne capaci. Ci sarebbe un vuoto da coprire con un candidato che s’avanza per riempirlo. E’ l’altro grande vincitore delle elezioni americane. Abita a Mosca e si chiama Vladimir Putin.
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Re: Dove va l'America?
IL GUFO CHE DAVA DEL GUFO AGLI ALTRI E CHE ALLA FIN FINE PORTA PURE SFIGA......
La cocente sconfitta del "tifoso" Renzi
Il premier italiano si è sempre detto sicuro che avrebbe vinto Hillary Clinton
Domenico Ferrara - Mer, 09/11/2016 - 19:50
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Si è addormentato con Hillary Clinton in vantaggio e si è svegliato con la vittoria di Donald Trump.
Non sarà stata di sicuro una piacevole mattina quella del tifoso Matteo Renzi.
Lui, che già nel settembre 2015 aveva azzardato la sua previsione: “È molto interessante ragionare di Donald Trump. Non credo che abbia le chance che pure oggi i sondaggi gli attribuiscono, per fortuna. Ma vedremo, si è sempre in tempo a sbagliare".
E infatti il premier italiano ha sbagliato.
Ma a posteriori è facile dirlo.
Il punto è che il tifo gli ha obnubilato la mente impedendogli di valutare, anche per un secondo, la vittoria di The Donald.
Infatti, il 6 novembre, due giorni prima dell'apertura dei seggi, Renzi era ancora più sicuro: “Vince la Clinton.
Nell'ultimo mese i sondaggi erano su Trump, poi su Hilary. Queste elezioni comunque vadano saranno interessanti da studiare dopo". Il premier ora farebbe bene a mettersi sui libri allora. Perché lo spauracchio che ha agitato per mesi adesso alberga nella Casa Bianca.
“Fuori da qui c'è Trump e una destra che negli Usa per la prima volta si contamina con forze di demagogia e populismo che sono decisamente oltre i Tea Party e rischia, contro l'establishment, di andare a vincere la nomination", diceva Renzi ad aprile.
E continuava poi l'affondo su Trump: “Lo considero un uomo che investe molto nella politica della paura, sostengo con forza Hillary Clinton perché penso sia capace di dare sicurezza e un messaggio di cooperazione per continuare le buone cose che ha fatto Obama".
E ancora: “Trump nega l'american dream e gioca tutto sulla paura, fa leva sul clima che una parte del mondo sta vivendo ed è l'esatto opposto di ciò che gli Usa ci ha insegnato negli ultimi otto anni".
Adesso, a Renzi non è rimasto altro che la presa di coscienza e le dichiarazioni di circostanza come questa: "Mi congratulo con il nuovo presidente degli Stati Uniti. Gli auguro buon lavoro. L'amicizia Italo-americana è solida. Questo è il punto di partenza per tutta la comunita internazionale, anche al netto delle differenze e diffidenze che la campagna elettorale ha suscitato oltreoceano e qua".
È la democrazia, bellezza. Soprattutto quando a vincere è la squadra avversaria.
La cocente sconfitta del "tifoso" Renzi
Il premier italiano si è sempre detto sicuro che avrebbe vinto Hillary Clinton
Domenico Ferrara - Mer, 09/11/2016 - 19:50
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Si è addormentato con Hillary Clinton in vantaggio e si è svegliato con la vittoria di Donald Trump.
Non sarà stata di sicuro una piacevole mattina quella del tifoso Matteo Renzi.
Lui, che già nel settembre 2015 aveva azzardato la sua previsione: “È molto interessante ragionare di Donald Trump. Non credo che abbia le chance che pure oggi i sondaggi gli attribuiscono, per fortuna. Ma vedremo, si è sempre in tempo a sbagliare".
E infatti il premier italiano ha sbagliato.
Ma a posteriori è facile dirlo.
Il punto è che il tifo gli ha obnubilato la mente impedendogli di valutare, anche per un secondo, la vittoria di The Donald.
Infatti, il 6 novembre, due giorni prima dell'apertura dei seggi, Renzi era ancora più sicuro: “Vince la Clinton.
Nell'ultimo mese i sondaggi erano su Trump, poi su Hilary. Queste elezioni comunque vadano saranno interessanti da studiare dopo". Il premier ora farebbe bene a mettersi sui libri allora. Perché lo spauracchio che ha agitato per mesi adesso alberga nella Casa Bianca.
“Fuori da qui c'è Trump e una destra che negli Usa per la prima volta si contamina con forze di demagogia e populismo che sono decisamente oltre i Tea Party e rischia, contro l'establishment, di andare a vincere la nomination", diceva Renzi ad aprile.
E continuava poi l'affondo su Trump: “Lo considero un uomo che investe molto nella politica della paura, sostengo con forza Hillary Clinton perché penso sia capace di dare sicurezza e un messaggio di cooperazione per continuare le buone cose che ha fatto Obama".
E ancora: “Trump nega l'american dream e gioca tutto sulla paura, fa leva sul clima che una parte del mondo sta vivendo ed è l'esatto opposto di ciò che gli Usa ci ha insegnato negli ultimi otto anni".
Adesso, a Renzi non è rimasto altro che la presa di coscienza e le dichiarazioni di circostanza come questa: "Mi congratulo con il nuovo presidente degli Stati Uniti. Gli auguro buon lavoro. L'amicizia Italo-americana è solida. Questo è il punto di partenza per tutta la comunita internazionale, anche al netto delle differenze e diffidenze che la campagna elettorale ha suscitato oltreoceano e qua".
È la democrazia, bellezza. Soprattutto quando a vincere è la squadra avversaria.
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Re: Dove va l'America?
Clinton: ‘Difendiamo sogno Usa’.
(IL BUNGA-BUNGA??????-ndt)
DONALD TRUMP CONQUISTA LA CASA BIANCA
Autocritica NyTimes: “Perso contatto con realtà”
Hillary perde Stati chiave, vince nel voto popolare. Il quotidiano: “Media hanno fallito loro missione”
Clinton: ‘Difendiamo sogno Usa’. Letta al Fatto.it: “Errore ignorare rabbia. Monito a Italia” (di G. Rosini)
Elezioni USA 2016
Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Il magnate ha conquistato gli Stati più importanti per la corsa alla Casa Bianca (cronaca ora per ora). Il suo primo discorso: “Ora democratici e repubblicani superino le divisioni” (video). Il repubblicano ottiene risultati eccezionali nelle aree rurali ma tiene anche nelle zone urbane con un elettorato medio-borghese. Maggioranza schiacciante per i repubblicani al Congresso, con la possibilità di cancellare o ridimensionare le riforme di Obama
(analisi di Roberto Festa)
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DONALD TRUMP CONQUISTA LA CASA BIANCA
Autocritica NyTimes: “Perso contatto con realtà”
Hillary perde Stati chiave, vince nel voto popolare. Il quotidiano: “Media hanno fallito loro missione”
Clinton: ‘Difendiamo sogno Usa’. Letta al Fatto.it: “Errore ignorare rabbia. Monito a Italia” (di G. Rosini)
Elezioni USA 2016
Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Il magnate ha conquistato gli Stati più importanti per la corsa alla Casa Bianca (cronaca ora per ora). Il suo primo discorso: “Ora democratici e repubblicani superino le divisioni” (video). Il repubblicano ottiene risultati eccezionali nelle aree rurali ma tiene anche nelle zone urbane con un elettorato medio-borghese. Maggioranza schiacciante per i repubblicani al Congresso, con la possibilità di cancellare o ridimensionare le riforme di Obama
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Re: Dove va l'America?
Si scopron le tombe, si levano i morti...............
A destra si ricomincia con il Bunga-Bunga
piccolenote
cronologia|presentazione|contatti
postille
9 novembre 2016
Trump, il tribuno della plebe
Usa: vince la plebe
Hanno perso. Nella lotta tra patrizi e plebei in cui è precipitato l’Impero ha vinto Donald Trump, il tribuno della plebe che ha sfidato la rappresentate del Potere costituito.
Hillary Clinton ha perso perché si era consegnata alla causa dei nuovi patrizi, in questa nuova guerra civile alla quale hanno partecipato anche le colonie imperiali, i cui governatori e araldi (leggi politici e giornalisti) erano tutti per lei e oggi schiumano rabbia.
Lei e i suoi hanno perso perché vittime dal loro stesso Potere. Perché esso vive e prospera nel virtuale.
Tale il potere della grande Finanza, che pure domina incontrastato, e della globalizzazione che ne è pendant attuale e attuativo. Un potere che produce narrazioni virtuali (vedi anche sondaggi farlocchi) che acceca.
Vivendo e dominando nel virtuale tale Potere è stato incapace di vedere il reale, ovvero le esigenze di quella massa di plebei – cittadini ai quali sono negati tutti i diritti riguardo la res publica -, i quali hanno votato in massa per il proprio tribuno.
Un tribuno che potrà non essere simpatico, ma che ha suscitato speranze: non solo tra i plebei americani, ma anche nel mondo.
In particolare perché più volte ha detto di voler trattare con Putin per contrastare il Terrore e per trovare una soluzione ai conflitti globali.
Un approccio auspicabile alle tragedie internazionali, opposto a quello della sua avversaria che invece prometteva fuoco e fiamme, letteralmente, contro colui che il Potere globale virtuale vede come nemico esistenziale.
Certo, una cosa è la campagna elettorale, altra è l’incombenza presidenziale. Ma la speranza resta.
Sul punto non si può essere irenici: incombe la possibilità di una nuova amministrazione Bush, che aveva vinto con un programma votato al conservatorismo compassionevole e fu poi sequestrata dai neocon nel colpo di Stato post 11 settembre.
Ma c’è anche un precedente di tutt’altro segno: quel Ronald Reagan andato alla Casa Bianca con la fama di duro, il quale ebbe invece con l’Unione sovietica un approccio virtuoso (peraltro, come il tycoon, veniva dal mondo dello spettacolo – il cinema -, cosa che non gli impedì di impersonare in maniera adeguata il ruolo presidenziale).
Due possibilità, insomma. Se però i simboli contano qualcosa, e qualcosa nel mondo del potere, dominato dalla superstizione esoterica, contano, val la pena soffermarsi sulla data di questa elezione a sorpresa: 9-11, opposta cioè all’11-9 di infausta memoria.
Certo, esistono altre incognite, come quella di un possibile assassinio del nuovo presidente, basti ricordare che per ben tre volte i suoi comizi sono stati interrotti per minacce alle sua persona (mentre l’avversaria ha goduto di grande serenità).
E val la pena ricordare anche l’atterraggio fuori pista dell’aereo usato per la sua propaganda, con a bordo il vice-presidente designato Mike Pence. Altro incidente di percorso e insieme infausto presagio («Giungo a questo momento con profonda umiltà, grato a Dio per la sua stupefacente grazia», ha detto Pence dopo la vittoria).
Ma le incognite riguardano il domani. Per oggi l’opzione apocalisse, incarnata da Hillary Clinton e dalla sua prospettive di una guerra globale con la Russia, è stata scongiurata (sul punto vedi nota precedente).
Le sono stati fatali quattro minuti. Questo il tempo occorrente per lanciare un attacco nucleare. Segreto militare da lei ha rivelato in maniera più che inquietante nel corso di uno dei tre dibattiti televisivi col suo avversario.
L’Impero globale viene designato a livello globale: evidentemente non tutto il potere di questo mondo condivideva tale funesta prospettiva.
E certo tale potere, preoccupato per tale opzione, ha vigilato affinché le elezioni americane non subissero influenze indebite, come invece è avvenuto nelle recenti presidenziali austriache viziate dal voto postale.
Quel vizio che aveva accompagnato la selezione democratica, quando il partito, in obbedienza ai dettami di Wall Street e dei neocon, ha fatto fuori Bernie Sanders. Un suicidio perfetto, quello dei democratici, ché Bernie avrebbe vinto a mani basse contro Trump.
Non sappiamo se fosse un’opzione migliore, di certo sarebbe stato più facile un compromesso con il potere che domina l’Impero, quel che Trump deve comunque perseguire.
Come d’altronde ha accennato anche nelle sue prime dichiarazioni post vittoria, quando ha detto di voler governare con il concorso di tutti (ma difficilmente della Clinton, ormai fuori dai giochi: dopo tanti tentativi andati a vuoto non è più papabile; resterà emerita).
È questa l’unica strada percorribile. Il mondo è lacerato. Serve una ricomposizione alta, che passa attraverso un compromesso più largo possibile. Da ricercare sia verso l’esterno (Russia e Cina in particolare) che all’interno del mondo occidentale, squassato da spinte centripete confliggenti.
Altrimenti la vittoria di oggi rischia di diventare la sconfitta di domani. Non solo di Trump, ma del mondo.
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piccolenote
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9 novembre 2016
Trump, il tribuno della plebe
Usa: vince la plebe
Hanno perso. Nella lotta tra patrizi e plebei in cui è precipitato l’Impero ha vinto Donald Trump, il tribuno della plebe che ha sfidato la rappresentate del Potere costituito.
Hillary Clinton ha perso perché si era consegnata alla causa dei nuovi patrizi, in questa nuova guerra civile alla quale hanno partecipato anche le colonie imperiali, i cui governatori e araldi (leggi politici e giornalisti) erano tutti per lei e oggi schiumano rabbia.
Lei e i suoi hanno perso perché vittime dal loro stesso Potere. Perché esso vive e prospera nel virtuale.
Tale il potere della grande Finanza, che pure domina incontrastato, e della globalizzazione che ne è pendant attuale e attuativo. Un potere che produce narrazioni virtuali (vedi anche sondaggi farlocchi) che acceca.
Vivendo e dominando nel virtuale tale Potere è stato incapace di vedere il reale, ovvero le esigenze di quella massa di plebei – cittadini ai quali sono negati tutti i diritti riguardo la res publica -, i quali hanno votato in massa per il proprio tribuno.
Un tribuno che potrà non essere simpatico, ma che ha suscitato speranze: non solo tra i plebei americani, ma anche nel mondo.
In particolare perché più volte ha detto di voler trattare con Putin per contrastare il Terrore e per trovare una soluzione ai conflitti globali.
Un approccio auspicabile alle tragedie internazionali, opposto a quello della sua avversaria che invece prometteva fuoco e fiamme, letteralmente, contro colui che il Potere globale virtuale vede come nemico esistenziale.
Certo, una cosa è la campagna elettorale, altra è l’incombenza presidenziale. Ma la speranza resta.
Sul punto non si può essere irenici: incombe la possibilità di una nuova amministrazione Bush, che aveva vinto con un programma votato al conservatorismo compassionevole e fu poi sequestrata dai neocon nel colpo di Stato post 11 settembre.
Ma c’è anche un precedente di tutt’altro segno: quel Ronald Reagan andato alla Casa Bianca con la fama di duro, il quale ebbe invece con l’Unione sovietica un approccio virtuoso (peraltro, come il tycoon, veniva dal mondo dello spettacolo – il cinema -, cosa che non gli impedì di impersonare in maniera adeguata il ruolo presidenziale).
Due possibilità, insomma. Se però i simboli contano qualcosa, e qualcosa nel mondo del potere, dominato dalla superstizione esoterica, contano, val la pena soffermarsi sulla data di questa elezione a sorpresa: 9-11, opposta cioè all’11-9 di infausta memoria.
Certo, esistono altre incognite, come quella di un possibile assassinio del nuovo presidente, basti ricordare che per ben tre volte i suoi comizi sono stati interrotti per minacce alle sua persona (mentre l’avversaria ha goduto di grande serenità).
E val la pena ricordare anche l’atterraggio fuori pista dell’aereo usato per la sua propaganda, con a bordo il vice-presidente designato Mike Pence. Altro incidente di percorso e insieme infausto presagio («Giungo a questo momento con profonda umiltà, grato a Dio per la sua stupefacente grazia», ha detto Pence dopo la vittoria).
Ma le incognite riguardano il domani. Per oggi l’opzione apocalisse, incarnata da Hillary Clinton e dalla sua prospettive di una guerra globale con la Russia, è stata scongiurata (sul punto vedi nota precedente).
Le sono stati fatali quattro minuti. Questo il tempo occorrente per lanciare un attacco nucleare. Segreto militare da lei ha rivelato in maniera più che inquietante nel corso di uno dei tre dibattiti televisivi col suo avversario.
L’Impero globale viene designato a livello globale: evidentemente non tutto il potere di questo mondo condivideva tale funesta prospettiva.
E certo tale potere, preoccupato per tale opzione, ha vigilato affinché le elezioni americane non subissero influenze indebite, come invece è avvenuto nelle recenti presidenziali austriache viziate dal voto postale.
Quel vizio che aveva accompagnato la selezione democratica, quando il partito, in obbedienza ai dettami di Wall Street e dei neocon, ha fatto fuori Bernie Sanders. Un suicidio perfetto, quello dei democratici, ché Bernie avrebbe vinto a mani basse contro Trump.
Non sappiamo se fosse un’opzione migliore, di certo sarebbe stato più facile un compromesso con il potere che domina l’Impero, quel che Trump deve comunque perseguire.
Come d’altronde ha accennato anche nelle sue prime dichiarazioni post vittoria, quando ha detto di voler governare con il concorso di tutti (ma difficilmente della Clinton, ormai fuori dai giochi: dopo tanti tentativi andati a vuoto non è più papabile; resterà emerita).
È questa l’unica strada percorribile. Il mondo è lacerato. Serve una ricomposizione alta, che passa attraverso un compromesso più largo possibile. Da ricercare sia verso l’esterno (Russia e Cina in particolare) che all’interno del mondo occidentale, squassato da spinte centripete confliggenti.
Altrimenti la vittoria di oggi rischia di diventare la sconfitta di domani. Non solo di Trump, ma del mondo.
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Re: Dove va l'America?
IL RITORNO DI JOE VASELINA
9 ore fa 1058
Auguri del Cav a Trump
"Da lui autorevolezza"
Chiara Sarra
Gli auguri di Berlusconi: "Da Trump autorevolezza"
Il leader di Forza Italia: "Sono convinto che Trump potrà garantire con autorevolezza ed equilibrio il difficile ruolo degli Stati Uniti come paese-guida del mondo libero"
Chiara Sarra - Mer, 09/11/2016 - 18:31
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"Al presidente Trump vanno i miei auguri". Arrivano anche le congratulazioni di Silvio Berlusconi al neo eletto presidente Usa Donald Trump.
"Sono sempre stato e sarò sempre il più leale alleato degli Stati Uniti in Europa, riconoscente al Paese che ha garantito la nostra libertà per tutto il ventesimo secolo", ha detto il leader di Forza Italia, ""Di fronte alle sfide del 21simo secolo, ai pericoli per la pace e la sicurezza, all'aggressione del terrorismo e dell'integralismo, ai rischi e alle opportunità per l'economia mondiale la grande democrazia americana costituisce un punto di riferimento fondamentale per tutti gli uomini e i paesi liberi. Sono convinto che il presidente scelto dal popolo americano potrà garantire con autorevolezza ed equilibrio il difficile ruolo degli Stati Uniti come paese-guida del mondo libero, nell'ambito dei complessi e delicati equilibri mondiali".
9 ore fa 1058
Auguri del Cav a Trump
"Da lui autorevolezza"
Chiara Sarra
Gli auguri di Berlusconi: "Da Trump autorevolezza"
Il leader di Forza Italia: "Sono convinto che Trump potrà garantire con autorevolezza ed equilibrio il difficile ruolo degli Stati Uniti come paese-guida del mondo libero"
Chiara Sarra - Mer, 09/11/2016 - 18:31
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"Al presidente Trump vanno i miei auguri". Arrivano anche le congratulazioni di Silvio Berlusconi al neo eletto presidente Usa Donald Trump.
"Sono sempre stato e sarò sempre il più leale alleato degli Stati Uniti in Europa, riconoscente al Paese che ha garantito la nostra libertà per tutto il ventesimo secolo", ha detto il leader di Forza Italia, ""Di fronte alle sfide del 21simo secolo, ai pericoli per la pace e la sicurezza, all'aggressione del terrorismo e dell'integralismo, ai rischi e alle opportunità per l'economia mondiale la grande democrazia americana costituisce un punto di riferimento fondamentale per tutti gli uomini e i paesi liberi. Sono convinto che il presidente scelto dal popolo americano potrà garantire con autorevolezza ed equilibrio il difficile ruolo degli Stati Uniti come paese-guida del mondo libero, nell'ambito dei complessi e delicati equilibri mondiali".
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Re: Dove va l'America?
7 ore fa 1262
L'affondo dell'Ingegnere:
"Trump è imbroglione"
Luca Romano
L'affondo di De Benedetti: "Trump è un imbroglione"
De Benedetti: "Uno che confonde i debiti col patrimonio ha un problema"
Luca Romano - Mer, 09/11/2016 - 21:12
commenta
"Donald Trump è un imbroglione, dice di valere due miliardi di dollari ma ne vale 200 milioni.
Uno che confonde i debiti col patrimonio ha un problema". Così l'imprenditore Carlo De Benedetti parlando a "Otto e Mezzo", il programma di Lilli Gruber su La7. Interpellato poi sulla possibile somiglianza tra Trump e Silvio Berlusconi, De Benedetti ha tagliato corto: "Hanno poco in comune eccetto il fatto che hanno entrambi iniziato nell'edilizia e un po' imbroglioncelli sono. Ma Berlusconi per arrivare a fare il primo ministro si è fatto un partito mentre i repubblicani non sostenevano Trump. Ha conquistato la presidenza degli Stati Uniti senza avere un partito".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/laf ... 29801.html
L'affondo dell'Ingegnere:
"Trump è imbroglione"
Luca Romano
L'affondo di De Benedetti: "Trump è un imbroglione"
De Benedetti: "Uno che confonde i debiti col patrimonio ha un problema"
Luca Romano - Mer, 09/11/2016 - 21:12
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"Donald Trump è un imbroglione, dice di valere due miliardi di dollari ma ne vale 200 milioni.
Uno che confonde i debiti col patrimonio ha un problema". Così l'imprenditore Carlo De Benedetti parlando a "Otto e Mezzo", il programma di Lilli Gruber su La7. Interpellato poi sulla possibile somiglianza tra Trump e Silvio Berlusconi, De Benedetti ha tagliato corto: "Hanno poco in comune eccetto il fatto che hanno entrambi iniziato nell'edilizia e un po' imbroglioncelli sono. Ma Berlusconi per arrivare a fare il primo ministro si è fatto un partito mentre i repubblicani non sostenevano Trump. Ha conquistato la presidenza degli Stati Uniti senza avere un partito".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/laf ... 29801.html
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Re: Dove va l'America?
LIBRE news
Foa: solo i media si stupiscono della rivolta contro l’élite
Scritto il 10/11/16 • nella Categoria: idee Condividi
«E’ troppo presto per dire che Trump sarà un pessimo presidente, così come era stato troppo presto affermare, otto anni fa, che Obama sarebbe stato un grande presidente. Lasciamoci sorprendere». Parola di Marcello Foa, uno dei pochissimi grandi osservatori italiani a potersi dichiarare nient’affatto stupito dalla clamorosa vittoria di Donald Trump. Un uomo, dice, da cui teoricamente l’Europa potrebbe aspettarsi solo vantaggi. Uno su tutti: la fine delle tensioni con la Russia, pericolose e per noi costosissime. L’establishment è nel panico? Anche qui, nessuna sorpresa: «I media sono i grandi sconfitti di queste elezioni, perché ancora una volta non avevano previsto nulla», dichiara Foa sulla sua pagina Facebook poco dopo l’ufficializzazione della vittoria di Trump. «Bastava andava a vedere l’andamento della campagna elettorale sui siti Internet e sui social media, osservando quanta gente andava ai comizi di Trump e quanta poca gente andava ai comizi di Hillary: appariva chiaro che in America c’era un malessere profondo, che aspettava solo l’occasione giusta per esplodere e per manifestarsi». Attenzione: «E’ lo stesso malessere che aveva indotto la maggior parte degli americani, otto anni fa, a dare fiducia a Barack Obama, quando prometteva speranza e cambiamento».Come sappiamo, «Obama non è stato all’altezza dell’aspettativa e ha prolungato le campagne politiche di Clinton e Bush. E questo ha deluso profondamente gli americani, impoverendo la classe media, la quale oggi ha dato fiducia all’unica persona che ha saputo capire le sue paure: Donald Trump». E’ un personaggio ideale? «La risposta ovviamente è no, perché – in un mondo normale – un personaggio come Trump», magari anche «simpatico» però «eccentrico, totalmente fuori dagli schemi, quasi clownesco» non avrebbe mai avuto la possibilità di diventare presidente. «Però, se lo è diventato, la colpa è fondamentalmente delle élite che hanno governato gli Stati Uniti, che sono diventate troppo autoreferenziali: non capiscono i problemi della popolazione normale, della gente, delle piccole e medie industrie». Le oligarchie di potere, continua Foa, «hanno rovinato il tessuto sociale degli Stati Uniti». Quello dato a Trump «è un voto contro la globalizzazione, contro l’anteporre interessi troppo ristretti rispetto a quelli della maggioranza – e questo è il segnale che è uscito anche dalla Brexit. Di certo, gli americani si sono riappropriati della loro democrazia».Il corollario è consueto: paura, allarme. «Il dollaro crolla, le Borse crolleranno, è uno scenario già visto altre volte – l’abbiamo visto con la Brexit». Dobbiamo dedurne che Trump sarà un cattivo presidente? Niente affatto, sostiene Foa: «La storia insegna che le oscillazioni dei mercati finanziari vanno prese per quello che sono, movimenti a corto termine. Quel che per noi è importante capire, invece, è quale sarà il programma di Donald Trump e quale sarà la sua squadra». In politica estera, «paradossalmente Trump è più rassicurante, meno pericoloso di quanto sarebbe stata Hillary Clinton, se fosse stata eletta alla Casa Bianca, perché Trump propone una distensione con la Russia e vede un ruolo dell’America meno aggressivo e meno destabilizzante di quanto sia stato fino ad oggi». E questo, aggiunge Foa, «per noi europei è perlomeno un’aspettativa senz’altro positiva: abbiamo bisogno di stabilità e distensione col nostro più grande vicino, che è la Russia».L’incognita principale è proprio la squadra del neopresidente: «Oggi non sappiamo chi siano gli uomini dietro a Trump, non sappiamo neanche se si sia costruito una squadra con sé». Questo sarà il grande tema dei prossimi due mesi, ovvero il tempo che ci separa dal momento in cui Trump verrà insediato ufficialmente alla Casa Bianca. Dobbiamo essere preoccupati? «Be’, in una certa misura sì: quando non si sa qual è la squadra, ovviamente c’è da farsi qualche domanda. Però, tradizionalmente, quando personaggi eccentrici e imprevedibili come Donald Trump arrivano al potere, di solito l’effetto è opposto a quello che la maggior parte dei media si aspetta». Ovvero: «Quando sei nella stanza dei bottoni, appena ti rendi conto di quanto potere hai, e che governare un grande paese democratico come gli Stati Uniti significa rispettare i “check and balances” e il rapporto col Congresso, di solito l’effetto è calmante, moderatore». Magari «tenterà alcune riforme», ma per diversi mesi, profetizza Foa, il neopresidente «risulterà più moderato e rassicurante di quanto non sia stato in campagna elettorale, dove come sappiamo si tende a esagerare». Aspettiamo e vediamo, conclude Foa. E soprattutto: non affrettiamo giudizi sbagliati, come fu per Obama.
Foa: solo i media si stupiscono della rivolta contro l’élite
Scritto il 10/11/16 • nella Categoria: idee Condividi
«E’ troppo presto per dire che Trump sarà un pessimo presidente, così come era stato troppo presto affermare, otto anni fa, che Obama sarebbe stato un grande presidente. Lasciamoci sorprendere». Parola di Marcello Foa, uno dei pochissimi grandi osservatori italiani a potersi dichiarare nient’affatto stupito dalla clamorosa vittoria di Donald Trump. Un uomo, dice, da cui teoricamente l’Europa potrebbe aspettarsi solo vantaggi. Uno su tutti: la fine delle tensioni con la Russia, pericolose e per noi costosissime. L’establishment è nel panico? Anche qui, nessuna sorpresa: «I media sono i grandi sconfitti di queste elezioni, perché ancora una volta non avevano previsto nulla», dichiara Foa sulla sua pagina Facebook poco dopo l’ufficializzazione della vittoria di Trump. «Bastava andava a vedere l’andamento della campagna elettorale sui siti Internet e sui social media, osservando quanta gente andava ai comizi di Trump e quanta poca gente andava ai comizi di Hillary: appariva chiaro che in America c’era un malessere profondo, che aspettava solo l’occasione giusta per esplodere e per manifestarsi». Attenzione: «E’ lo stesso malessere che aveva indotto la maggior parte degli americani, otto anni fa, a dare fiducia a Barack Obama, quando prometteva speranza e cambiamento».Come sappiamo, «Obama non è stato all’altezza dell’aspettativa e ha prolungato le campagne politiche di Clinton e Bush. E questo ha deluso profondamente gli americani, impoverendo la classe media, la quale oggi ha dato fiducia all’unica persona che ha saputo capire le sue paure: Donald Trump». E’ un personaggio ideale? «La risposta ovviamente è no, perché – in un mondo normale – un personaggio come Trump», magari anche «simpatico» però «eccentrico, totalmente fuori dagli schemi, quasi clownesco» non avrebbe mai avuto la possibilità di diventare presidente. «Però, se lo è diventato, la colpa è fondamentalmente delle élite che hanno governato gli Stati Uniti, che sono diventate troppo autoreferenziali: non capiscono i problemi della popolazione normale, della gente, delle piccole e medie industrie». Le oligarchie di potere, continua Foa, «hanno rovinato il tessuto sociale degli Stati Uniti». Quello dato a Trump «è un voto contro la globalizzazione, contro l’anteporre interessi troppo ristretti rispetto a quelli della maggioranza – e questo è il segnale che è uscito anche dalla Brexit. Di certo, gli americani si sono riappropriati della loro democrazia».Il corollario è consueto: paura, allarme. «Il dollaro crolla, le Borse crolleranno, è uno scenario già visto altre volte – l’abbiamo visto con la Brexit». Dobbiamo dedurne che Trump sarà un cattivo presidente? Niente affatto, sostiene Foa: «La storia insegna che le oscillazioni dei mercati finanziari vanno prese per quello che sono, movimenti a corto termine. Quel che per noi è importante capire, invece, è quale sarà il programma di Donald Trump e quale sarà la sua squadra». In politica estera, «paradossalmente Trump è più rassicurante, meno pericoloso di quanto sarebbe stata Hillary Clinton, se fosse stata eletta alla Casa Bianca, perché Trump propone una distensione con la Russia e vede un ruolo dell’America meno aggressivo e meno destabilizzante di quanto sia stato fino ad oggi». E questo, aggiunge Foa, «per noi europei è perlomeno un’aspettativa senz’altro positiva: abbiamo bisogno di stabilità e distensione col nostro più grande vicino, che è la Russia».L’incognita principale è proprio la squadra del neopresidente: «Oggi non sappiamo chi siano gli uomini dietro a Trump, non sappiamo neanche se si sia costruito una squadra con sé». Questo sarà il grande tema dei prossimi due mesi, ovvero il tempo che ci separa dal momento in cui Trump verrà insediato ufficialmente alla Casa Bianca. Dobbiamo essere preoccupati? «Be’, in una certa misura sì: quando non si sa qual è la squadra, ovviamente c’è da farsi qualche domanda. Però, tradizionalmente, quando personaggi eccentrici e imprevedibili come Donald Trump arrivano al potere, di solito l’effetto è opposto a quello che la maggior parte dei media si aspetta». Ovvero: «Quando sei nella stanza dei bottoni, appena ti rendi conto di quanto potere hai, e che governare un grande paese democratico come gli Stati Uniti significa rispettare i “check and balances” e il rapporto col Congresso, di solito l’effetto è calmante, moderatore». Magari «tenterà alcune riforme», ma per diversi mesi, profetizza Foa, il neopresidente «risulterà più moderato e rassicurante di quanto non sia stato in campagna elettorale, dove come sappiamo si tende a esagerare». Aspettiamo e vediamo, conclude Foa. E soprattutto: non affrettiamo giudizi sbagliati, come fu per Obama.
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Re: Dove va l'America?
Finalmente è finita una dinastia dei Buch e i Clinton.
Spero che questo pensi al popolo americano, e non a guerre.
Ciao
Paolo11
Spero che questo pensi al popolo americano, e non a guerre.
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Paolo11
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