Lettera a coloro che hanno aderito in vista del 2013
pubblicata da Soggetto Politico Nuovo il giorno Giovedì 20 settembre 2012 alle ore 10.52
Care e cari,
è arrivato anche per noi il momento di prepararci a “saltare” (Hic Rhodus, hic salta…). Di prepararci cioè a decidere sul “che fare” in vista delle elezioni politiche, con una discussione all’altezza dei propositi del nostro Manifesto, che non ne tradisca né il merito né il metodo. Da Parma in poi abbiamo detto che non stiamo con il PD che sostiene Monti, né nelle sue primarie prive di un orizzonte decente di contenuti; che vogliamo costruire un’alternativa a questo governo, al neoliberismo e alle politiche di austerità europee. Di che cosa fare di fronte a queste elezioni si parla nei nostri nodi e tra chi ci segue con simpatia, ma ora dobbiamo accelerare e stringere, perché il tempo non è molto (dobbiamo arrivare a una posizione entro massimo novembre) e molte le cose da fare.
Diciamo subito che questa discussione non parte da zero. Che alcuni punti fermi – alcuni “paletti” – già ci sono, ben chiari, nel definirne i termini. Almeno tre, inscritti nel nostro atto di nascita e parte del nostro DNA. Fin da quando a marzo abbiamo lanciato il Manifesto per un soggetto politico nuovo, e dall’Assemblea di Firenze, almeno tre messaggi sono stati chiarissimi:
1. La questione dell’urgenza. Abbiamo detto che ci muovevamo perché avvertivamo che non c’era più tempo. Che la crisi dei partiti tradizionali aveva raggiunto un punto tale (di non ritorno) da minacciare di contagiare le istituzioni e la stessa democrazia.
2. Il rifuto di un nuovo partitino. Un “soggetto politico nuovo”, non un “nuovo partito politico” per dire che si voleva avviare un processo di cambiamento radicale e totale nel modo di costruire e concepire la rappresentanza, non dare vita a una nuova micro-formazione tra le altre, come le altre, contro le altre.
3. Il metodo è il contenuto. Abbiamo ripetuto fino alla noia che la nostra identità consisteva nella volontà di uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altre forme, altri metodi, altre pratiche non solo da proclamare a parole ma da mettere concretamente in atto nel modo di discutere, di decidere, di agire quotidianamente.
Ora, questi tre punti costituiscono le sponde entro cui condurre la nostra discussione sulla scadenza elettorale. Non ne prefigurano l’esito, ma sono le coordinate entro cui muoverci. Se non ci dicono con precisione che cosa fare, ci dicono che cosa non possiamo fare.
1. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo “saltare un giro”. E’ la conseguenza diretta del primo punto. Non possiamo dire che per il 2013 “non siamo pronti”, che è meglio aspettare le amministrative – un terreno su cui certamente ci muoveremmo con maggiore facilità e disinvoltura -. Che dobbiamo ancora lavorare al nostro programma e alla nostra identità, prima di “fare il salto” (appunto). La crisi della politica è talmente profonda che apre uno spazio immenso: c’è oggi una massa di elettrici ed elettori “liquida”, in uscita massiccia dai contenitori tradizionali, lungo tutto l’arco dello schieramento politico. Un fiume in piena di “senza rappresentanza”, disgustati dai partiti che hanno retto in questi mesi la maggioranza del governo Monti e alla ricerca di un veicolo che permetta loro di farsi sentire. Questa “liquidità” politica è insieme una risorsa e una minaccia. Se intercettati, quegli elettori possono dare davvero una svolta al nostro sistema politico. Se lasciati orfani, possono produrre destabilizzazione e logoramento delle istituzioni. O coagularsi a formare “nuovi mostri”.
Saltare l’agenda elettorale dei prossimi mesi comporta il rischio di sparire del tutto e di non esistere nel momento forse più importante e pericoloso della nostra storia repubblicana. Tanto più che il quadro delle proposte elettorali che si stanno profilando rende il tutto ancor più urgente, non solo la crisi radicale di democrazia e rappresentanza, ma il paese reale e le sue ferite: record di disoccupazione, deindustrializzazione, disperazione operaia, precarietà assoluta giovanile. Si recita in questo teatro la vera antipolitica.
2. Non possiamo coltivare il “peccato” dell’autosufficienza. Non possiamo cioè pensare a una “lista Alba”, che in solitudine chiami a contarsi gli/le “albigesi”, né possiamo veicolarci nei e con i partiti esistenti. La situazione non offre spazi a una soluzione identitaria e non siamo nati per questo. Non possiamo che esser parte di un processo politico ampio – che guardi a una prospettiva “maggioritaria”, in grado cioè di parlare a una platea vastissima di donne e di uomini, non ai puri e duri già convinti – proseguendo nella costruzione di un soggetto politico nuovo e di uno spazio pubblico allargato, di quella Italia che stanno relegando in un angolo. Per questo, con questa parte di Italia, vogliamo costruire una proposta di grande ambizione, per le prossime politiche.
3. Non vogliamo un’altra “sinistra arcobaleno”. Un assemblaggio di sigle e partitini messi insieme con riunioni di vertice, accordi di segreteria, elaborazione del programma con bilancini e manuale Cencelli. Un puzzle pronto a rompersi subito dopo il voto. E soprattutto un metodo che contraddice la nostra costituzione originaria, il nostro Manifesto.
4. Non vogliamo affrontare la questione elettorale partendo dal tema delle alleanze e delle variabili delle leggi elettorali, ma partendo dai contenuti, dal progetto e dalle forme radicalmente nuove di pratica politica, da un’ambizione alta. Essere “realistici”, assumere una posizione di mediazione con questi partiti o dedicarci a calcoli elettorali, ci farebbe perdere senso. Il senso dell’emergenza in cui viviamo.
5. Non possiamo utilizzare i vecchi schemi. tra coloro che elaborano un’altra idea di come uscire dalla crisi economica, contenuti alternativi al pensiero neoliberista dominante. Abbiamo anche chiaro che la crisi non è solo di “economia” ma di cultura e di democrazia, in questa fase costituente del neoliberismo, che mira a liberarsi insieme della mediazione con il lavoro e della democrazia. E non si tratta solo di altri contenuti: nell’Italia che abbiamo visto nella primavera scorsa, nella campagna per i referendum nelle elezioni amministrative e nelle piazze, nel mondo di singole/i, associazioni e movimenti, che hanno circondato la Fiom in questi ultimi anni c’è vitalità politica e desiderio di partecipazione, ma anche fortissimo il bisogno di spazi nuovi per l’agire collettivo, altre forme del fare politica, di accogliere l’intera dimensione personale di donne e uomini, la loro vita, le loro relazioni, la difesa dei propri territori, di una dimensione comunitaria. Forme che non stanno più da un pezzo dentro la pratica dei partiti.
Dentro queste coordinate ogni soluzione è aperta, affidata alla discussione che condurremo collettivamente, a partire dai nodi della nostra rete, per coinvolgere la maggior parte di chi ha sottoscritto il nostro Manifesto.
Scelte organizzative, forme della partecipazione, scelta degli interlocutori, geografia delle alleanze, modalità di selezione delle candidature, delle donne e degli uomini che vorremmo vedere fare parte della nostra rappresentanza, tutto è affidato alla nostra capacità di dar vita a una discussione e ad un’elaborazione davvero collettiva e dal basso, nelle prossime settimane. Tenendo ben presente anche lo spirito con cui ci siamo imbarcati nell’avventura di ALBA: in primo luogo la nostra opzione “esistenziale”, chiamiamola così, per dare vita a un’altra politica nelle forme e nelle passioni.
LA PROPOSTA su cui intendiamo confrontarci e lavorare è la presentazione alle elezioni di una lista di democrazia radicale, una lista “arancione”, per un’altra Europa, antiliberista, per il lavoro e per i beni comuni, per la giustizia ambientale e sociale. Una lista che dia voce a quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, che tra il 2010 e il 2011 ha mosso il paese e prodotto la rottura culturale vera con il berlusconismo.
Non pensiamo a una lista della sola “ALBA”, sappiamo che tante e tanti altri stanno elaborando idee, praticando relazioni politiche e conflitti sociali. Pensiamo alle battaglie della Fiom e dei No-Tav, a quelle del Teatro Valle o del Macao per l’autogestione degli spazi comuni, alla proposta di De Magistris, alle riflessioni di Micromega, agli appelli che stanno uscendo da più realtà. Ce ne sentiamo parte, perché è il tentativo comune di dare voce, spazio di partecipazione e autorappresentanza, a quella società che già esiste, non solo civile ma politica, che in tante città ha vissuto la spinta e percepito la speranza del movimento “arancione” del 2011.
Proponiamo di ripartire dal lavoro, dalla difesa dei suoi diritti e della sua dignità. Dal lavoro inteso come relazione politica complessiva, appartenenza a una comunità: cioè non solo economicistica, ma capace di riconsiderare i tempi della produzione e della riproduzione, la cura del lavoro e il lavoro di cura, i ruoli e le relazioni fra i generi e prima ancora con i corpi, le emozioni, la sofferenza e l’amore, il paesaggio. Un principio di ragionamento, un’altra cultura della società.
Questa non è tanto o solo un’alternativa “di sinistra”, è qualche cosa che può parlare a un mondo molto più vasto che non sa nemmeno o non sa più che cos’è, nella perdita di senso della sinistra di questi anni. Un’alternativa di democrazia e tessuto collettivo, cura del territorio e partecipazione.
Potrebbe voler dire mettere insieme una parte molto significativa di chi ha votato centro-sinistra, tutto il mondo che ha combattuto per la Costituzione, il sindacalismo che ha difeso diritti e democrazia del lavoro, l’altra economia, il volontariato, le donne che hanno riempito le piazze del febbraio-marzo 2011. L’opposto del minoritarismo, costruzione di nuova egemonia. Dobbiamo proprio puntare altissimo, non esiste una via di mezzo.
Per questa proposta è di fondamentale importanza, occasione di reciproca valorizzazione, la campagna referendaria che sta aprendosi. Quegli stessi soggetti possono infatti tornare sulla scena in un’azione diffusa di presa di coscienza popolare per la riconquista dei diritti del lavoro e dei beni comuni, riempiendo della realtà della democrazia proprio i mesi che precedono la campagna elettorale.
Alla fine di questo percorso dovremo valutare insieme il coinvolgimento, le risposte che avremo, il grado di coinvolgimento realizzato.
Chi condivide questa proposta, chi è disposto a spendersi, come si realizza, ottiene la risposta larga e plurale che è necessaria?
Possiamo e dobbiamo verificare l’esito di questo percorso con gli strumenti democratici che sono già elementi fondanti della nostra bozza di statuto, ovvero con una consultazione vincolante referendaria. Per questo dobbiamo lanciare, al più presto, una discussione larga in tutti i nodi di ALBA, (entro settembre, già molti incontri sono fissati, altri ne fisseremo).
Per poi procedere alla verifica “ sul campo” , aprendo una discussione pubblica e partecipata in tutto il paese, con i soggetti sociali dell’altra Italia del biennio 2010-2011, con le realtà protagoniste del conflitto ambientale e sociale, avviando in ogni sede incontri e confronti. E occorre avere un riscontro completo di questa attività interna e esterna di confronto, una verifica vera, da cui potrebbe anche risultare che la nostra proposta non è praticabile.
Dobbiamo arrivare ad una comune valutazione in un tempo compatibile e, come già indicato nella bozza di nostro statuto, attuare entro fine novembre una consultazione generale referendaria di tutti gli/le aderenti ad ALBA, aperta a tutte e tutti coloro che si sentono parte di questo percorso. Soltanto dopo questo indispensabile percorso aperto di verifica affronteremo la questione delle alleanze, anche in base alla legge elettorale che ci sarà.
Un’ultima considerazione: è vero che una lista non è un soggetto politico. Questo richiede alla base la costruzione di un tessuto orizzontale, relazioni sociali, politiche e personali. Essa può costituire tuttavia un passo avanti nel processo di costruzione della nuova soggettività politica. Proprio per questo si richiedono regole nuove e radicalmente democratiche per selezionare candidature, incarichi, funzioni. Deve subito essere chiara una forte discontinuità con i modelli politici esistenti, con un forte senso di rinnovata responsabilità, collettiva (movimenti, associazioni, ecc.) ed individuale. Mettiamoci in cammino.
ALBA – Comitato esecutivo nazionale
10 settembre 2012
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