La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
Una vecchia conoscenza di Gargonza. Piero Graglia su facebook:
Okkei, ha vinto Tsipras.
Tutti, me compreso, abbiamo cominciato a parteggiare o a criticare la vittoria con quel piglio tipico da bar dello sport, quando sembra che dalle tue parole, e dalla tua opinione, possa dipendere un pezzo significativo della storia prossima ventura del mondo. La Grecia è piccola, certo, ma ogni movimento di uno stato che fa parte dell'area euro diventa significativo per il tutto. Che farà Tsipras? Si allea con la destra come ha fatto Renzi? Allora Renzi ha ragione. Vuole l'uscita dall'euro della Grecia? Allora Salvini ha ragione. Vuole la fine della folle politica dell'austerity? Allora hanno ragione tutti tranne quei pochi tecnocrati che la difendono a spada tratta (evidentemente perché pagati dal soldo teutonico).
Il problema, secondo me, è che tutto questo affollarsi di dita che indicano la luna oscurano la luna stessa, e provocano strabismo. L'Unione, oggi, è incompleta. L'unione monetaria implica, richiede una unicità di potere politico per definire le direttive della politica economica in un contesto e con un metodo democratico, non ristretto alle cancellerie. Questo potere unico non può essere rappresentato dal bullismo tedesco che vuole imporre a tutti addirittura modifiche costituzionali in campo tecnico-economico (dogma del pareggio del bilancio); deve essere rappresentato da un ripensamento stesso dei fondamenti che hanno creato l'Unione attuale.
Un nuovo progetto politico che vada oltre la moneta unica - semplice strumento contabile - per affrontare le ragioni stesse del nostro stare insieme. Ci vuole un progetto politico che in parte già esiste (la federazione europea con cessione all'unione della sovranità in materia di politica estera, politica economica e monetaria e difesa) ma anche una riflessione critica sui meccanismi economici e sui modi di produzione che hanno partorito l'Unione attuale.
Un tempo si parlava di Europa dei mercanti nel bacino del mediterraneo e nell'Europa anseatica. Da quell'Europa dei mercanti siamo arrivati, senza soluzione di continuità, all'Europa dei banchieri e della finanza rapace. L'Europa politica non è questo, l'idea dell'integrazione europea non nasce per asservirsi agli interessi di pochi gruppi di potere; essa sorge sulla base di una semplice constatazione: vi sono problemi che oggi lo stato nazionale classico, ottocentesco, non può più affrontare. Tra questi problemi vi è anche la diseguale ripartizione della ricchezza all'interno degli strati della popolazione europea, vi è l'ingiustizia sociale, vi sono le problematiche legate a criminalità internazionale, flussi migratori che premono, necessità di ripensare tutto il modello sociale e le relazioni tra capitale e lavoro.
E' un lavoro enorme, che la sinistra italiana non è attrezzata a fare, se non in parte, persa com'è tra i due poli opposti di una sinistra di governo che non è sinistra e che usa la parola "diritti" solo per perpetuare e approfondire il divario sociale, e una sinistra di rappresentanza, da salotto e da corteo, ma prigioniera di schemi vetusti, che ancora guarda ai programmi interni, nazionali, come a una forma di lotta efficace.
Tsipras in Grecia e Podemos in Spagna sono la ripartenza che ci vuole per pensare a un progetto di Europa sociale, fondata sul superamento dei dogmi finanziari tedeschi, che possa fare ciò che quel comunista di Obama ha fatto negli USA: espandere la domanda interna, aumentare la base monetaria circolante, riattivare il credito per le piccole e medie imprese, restituire fiducia. Obama lo ha fatto in un sistema socialmente emarginante, con poche tutele; cosa osta a farlo anche in Italia, in Grecia, in Spagna? Forse solo la coscienza che mai come oggi l'Unione europea, quel grande progetto di pace e coesistenza concorde si salva solo se si va oltre l'idea che solo il capitalismo selvaggio - con la sua lungimiranza autoregolatrice - ci salverà. Quello ci abbatterà, uno dopo l'altro, come birilli insignificanti. I ricchi se la cavano sempre, la ricchezza è l'unica cosa che ha saputo internazionalizzarsi con efficacia e decisione. Invece il socialismo, il riformismo, giustizia e libertà sono chissà perché sempre ostinatamente rimaste alla dimensione nazionale: sono le uniche nazionalizzazioni pienamente riuscite. Il lieve venticello che si sta levando questo insegna: a pensare europeo anche quando si parla di superamento del capitalismo e del suo modo di produrre, lavorare e consumare; a Salvini e ai fascisti vecchi e nuovi lasciamo il mito della nazione, dei sacri confini, della lotta allo straniero, del monoculturalismo. La sinistra, quella vera, riscopra la dimensione continentale, l'unica nella quale può progettare, pensare, vincere.
Okkei, ha vinto Tsipras.
Tutti, me compreso, abbiamo cominciato a parteggiare o a criticare la vittoria con quel piglio tipico da bar dello sport, quando sembra che dalle tue parole, e dalla tua opinione, possa dipendere un pezzo significativo della storia prossima ventura del mondo. La Grecia è piccola, certo, ma ogni movimento di uno stato che fa parte dell'area euro diventa significativo per il tutto. Che farà Tsipras? Si allea con la destra come ha fatto Renzi? Allora Renzi ha ragione. Vuole l'uscita dall'euro della Grecia? Allora Salvini ha ragione. Vuole la fine della folle politica dell'austerity? Allora hanno ragione tutti tranne quei pochi tecnocrati che la difendono a spada tratta (evidentemente perché pagati dal soldo teutonico).
Il problema, secondo me, è che tutto questo affollarsi di dita che indicano la luna oscurano la luna stessa, e provocano strabismo. L'Unione, oggi, è incompleta. L'unione monetaria implica, richiede una unicità di potere politico per definire le direttive della politica economica in un contesto e con un metodo democratico, non ristretto alle cancellerie. Questo potere unico non può essere rappresentato dal bullismo tedesco che vuole imporre a tutti addirittura modifiche costituzionali in campo tecnico-economico (dogma del pareggio del bilancio); deve essere rappresentato da un ripensamento stesso dei fondamenti che hanno creato l'Unione attuale.
Un nuovo progetto politico che vada oltre la moneta unica - semplice strumento contabile - per affrontare le ragioni stesse del nostro stare insieme. Ci vuole un progetto politico che in parte già esiste (la federazione europea con cessione all'unione della sovranità in materia di politica estera, politica economica e monetaria e difesa) ma anche una riflessione critica sui meccanismi economici e sui modi di produzione che hanno partorito l'Unione attuale.
Un tempo si parlava di Europa dei mercanti nel bacino del mediterraneo e nell'Europa anseatica. Da quell'Europa dei mercanti siamo arrivati, senza soluzione di continuità, all'Europa dei banchieri e della finanza rapace. L'Europa politica non è questo, l'idea dell'integrazione europea non nasce per asservirsi agli interessi di pochi gruppi di potere; essa sorge sulla base di una semplice constatazione: vi sono problemi che oggi lo stato nazionale classico, ottocentesco, non può più affrontare. Tra questi problemi vi è anche la diseguale ripartizione della ricchezza all'interno degli strati della popolazione europea, vi è l'ingiustizia sociale, vi sono le problematiche legate a criminalità internazionale, flussi migratori che premono, necessità di ripensare tutto il modello sociale e le relazioni tra capitale e lavoro.
E' un lavoro enorme, che la sinistra italiana non è attrezzata a fare, se non in parte, persa com'è tra i due poli opposti di una sinistra di governo che non è sinistra e che usa la parola "diritti" solo per perpetuare e approfondire il divario sociale, e una sinistra di rappresentanza, da salotto e da corteo, ma prigioniera di schemi vetusti, che ancora guarda ai programmi interni, nazionali, come a una forma di lotta efficace.
Tsipras in Grecia e Podemos in Spagna sono la ripartenza che ci vuole per pensare a un progetto di Europa sociale, fondata sul superamento dei dogmi finanziari tedeschi, che possa fare ciò che quel comunista di Obama ha fatto negli USA: espandere la domanda interna, aumentare la base monetaria circolante, riattivare il credito per le piccole e medie imprese, restituire fiducia. Obama lo ha fatto in un sistema socialmente emarginante, con poche tutele; cosa osta a farlo anche in Italia, in Grecia, in Spagna? Forse solo la coscienza che mai come oggi l'Unione europea, quel grande progetto di pace e coesistenza concorde si salva solo se si va oltre l'idea che solo il capitalismo selvaggio - con la sua lungimiranza autoregolatrice - ci salverà. Quello ci abbatterà, uno dopo l'altro, come birilli insignificanti. I ricchi se la cavano sempre, la ricchezza è l'unica cosa che ha saputo internazionalizzarsi con efficacia e decisione. Invece il socialismo, il riformismo, giustizia e libertà sono chissà perché sempre ostinatamente rimaste alla dimensione nazionale: sono le uniche nazionalizzazioni pienamente riuscite. Il lieve venticello che si sta levando questo insegna: a pensare europeo anche quando si parla di superamento del capitalismo e del suo modo di produrre, lavorare e consumare; a Salvini e ai fascisti vecchi e nuovi lasciamo il mito della nazione, dei sacri confini, della lotta allo straniero, del monoculturalismo. La sinistra, quella vera, riscopra la dimensione continentale, l'unica nella quale può progettare, pensare, vincere.
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: La crisi dell'Europa
IDEE A CONFRONTO
Der Ring, il Tempio occulto da cui fare a pezzi l’Europa
Scritto il 23/2/15 • nella Categoria: idee
L’Europa è a un bivio, incastrata all’interno di una cornice istituzionale che non può più reggere a lungo. Il processo di dolosa spoliazione del benessere dei popoli che abitano il vecchio continente, specie di quelli mediterranei, è in fase avanzata. Grecia, Portogallo e Spagna sono al collasso, mentre Italia e Francia boccheggiano.
I perversi architetti che reggono le fila di tale disumana operazione, ovvero Draghi, Merkel e Schäuble su tutti, conoscono perfettamente le conseguenze politiche che una prolungata crisi economica giocoforza produce.
Alla lunga, l’aumento esponenziale della povertà e della disoccupazione favorisce l’ascesa al potere di nuovi potenziali dittatori, pronti a cavalcare la crescente sfiducia nei confronti della democrazia e del parlamentarismo.
Basti ripensare alla nascita del fenomeno nazista per rendersene conto.
Ora, alla luce di tale macroscopica evidenza verrebbe da domandarsi: perché Draghi e Schäuble, protagonisti all’interno di una superloggia tenebrosa come la “Der Ring”, fanno di tutto per esasperare il quadro politico delle nazioni periferiche dell’Unione Europea?
Forse perché entrambi, europeisti a parole, lavorano invece concretamente per favorire il ritorno in auge di un nazionalismo violento e autoritario?
Il dubbio pare fondato, specie approfondendo il curriculum massonico dei sopramenzionati personaggi.
Mario Draghi, per esempio, è affiliato anche presso la Ur-Lodge “Three Eyes”, officina latomistica esperta nell’organizzazione di colpi di Stato a matrice militare.
Per non parlare di Wolfang Schäuble, “maestro venerabile” di una superloggia, la “Der Ring” per l’appunto, strettamente collegata ad altre Ur-Lodges sanguinarie e pericolosissime come la “Geburah” e la “Hathor Pentalpha”.
Per inciso, furono proprio alcuni torvi emissari dell’officina guidata dall’attuale ministro delle finanze tedesco a riportare fin da subito il presidente Hollande a più miti consigli.
Come ricorderete, il capo dei socialisti francesi vinse le elezioni del 2012 promettendo il varo degli eurobond e la fine delle politiche di austerità.
Promesse divenute ben presto lettera morta. Un sapiente mix di blandizie e minacce, infatti, “normalizzò” rapidamente l’operato di Hollande, pronto per quieto vivere a calarsi con nonchalance nei panni del burattino etero-diretto da Angela Merkel.
Si è mai visto un musicista che odia la musica? No.
Bene, allo stesso modo non può esistere un europeista ferocemente contrario all’introduzione degli eurobond.
Draghi e Schäuble sono infatti a tutti gli effetti degli anti-europeisti, ora finalmente smascherati dall’intraprendenza di Tsipras, premier greco bravo nell’evidenziare e mettere a nudo tutte le insostenibili incongruenze che accompagnano le scelte dei massimi dirigenti continentali.
Pur di non dare fiato alla piccola Grecia, il cui Pil è pressoché irrilevante se valutato in un’ottica di insieme, Draghi e Schäuble sembrerebbero perfino disposti a negare liquidità al circuito bancario dell’Ellade.
Si tratta di una ipotesi ricattatoria, scellerata e meschina, ventilata con il chiaro intento di costringe il governo greco a tornare forzatamente all’uso della dracma.
Figuri come Draghi e Schäuble lavorano oramai a viso aperto al fine di estirpare il concetto stesso di europeismo dal cuore dei cittadini.
Come ha ben sottolineato giorni fa lo scrittore Slavoj Zizek, le libertà economiche non sono più fedeli compagne delle libertà civili e politiche.
In Oriente si sono progressivamente affermati sistemi che coniugano senza imbarazzo libertà sul piano economico e repressione su quello politico.
A questo paradigma, già con successo sperimentato in una parte importante del mondo, si ispirano i contro-iniziati Schäuble e Draghi.
Il redde rationem però si avvicina.
Da una parte i fautori del “modello cinese” proveranno o a cristallizzare la situazione attuale o, in caso di oggettiva impossibilità, ad imporre nei paesi periferici dell’Unione dei governi filonazisti controllati dal centro.
Dall’altra tutti i sinceri democratici e progressisti, fedeli ai valori di libertà ed uguaglianza, cercheranno di sconfiggere con coraggio e orgoglio le forze della reazione, dotando finalmente l’Europa di un governo democratico legittimato dalla fiducia espressa dal Parlamento Europeo in rappresentanza della volontà e della sovranità popolare.
In questo senso, il timido sostegno garantito da Barack Obama al suo omologo greco è di buon auspicio per il prossimo futuro. Il destino dell’Europa dei prossimi decenni passa da questa delicata strettoia.
(Francesco Maria Toscano, “Draghi e Schäuble sono i veri anti-europeisti”, dal blog “Il Moralista” del 9 febbraio 2015).
http://www.libreidee.org/2015/02/der-ri ... i-leuropa/
Der Ring, il Tempio occulto da cui fare a pezzi l’Europa
Scritto il 23/2/15 • nella Categoria: idee
L’Europa è a un bivio, incastrata all’interno di una cornice istituzionale che non può più reggere a lungo. Il processo di dolosa spoliazione del benessere dei popoli che abitano il vecchio continente, specie di quelli mediterranei, è in fase avanzata. Grecia, Portogallo e Spagna sono al collasso, mentre Italia e Francia boccheggiano.
I perversi architetti che reggono le fila di tale disumana operazione, ovvero Draghi, Merkel e Schäuble su tutti, conoscono perfettamente le conseguenze politiche che una prolungata crisi economica giocoforza produce.
Alla lunga, l’aumento esponenziale della povertà e della disoccupazione favorisce l’ascesa al potere di nuovi potenziali dittatori, pronti a cavalcare la crescente sfiducia nei confronti della democrazia e del parlamentarismo.
Basti ripensare alla nascita del fenomeno nazista per rendersene conto.
Ora, alla luce di tale macroscopica evidenza verrebbe da domandarsi: perché Draghi e Schäuble, protagonisti all’interno di una superloggia tenebrosa come la “Der Ring”, fanno di tutto per esasperare il quadro politico delle nazioni periferiche dell’Unione Europea?
Forse perché entrambi, europeisti a parole, lavorano invece concretamente per favorire il ritorno in auge di un nazionalismo violento e autoritario?
Il dubbio pare fondato, specie approfondendo il curriculum massonico dei sopramenzionati personaggi.
Mario Draghi, per esempio, è affiliato anche presso la Ur-Lodge “Three Eyes”, officina latomistica esperta nell’organizzazione di colpi di Stato a matrice militare.
Per non parlare di Wolfang Schäuble, “maestro venerabile” di una superloggia, la “Der Ring” per l’appunto, strettamente collegata ad altre Ur-Lodges sanguinarie e pericolosissime come la “Geburah” e la “Hathor Pentalpha”.
Per inciso, furono proprio alcuni torvi emissari dell’officina guidata dall’attuale ministro delle finanze tedesco a riportare fin da subito il presidente Hollande a più miti consigli.
Come ricorderete, il capo dei socialisti francesi vinse le elezioni del 2012 promettendo il varo degli eurobond e la fine delle politiche di austerità.
Promesse divenute ben presto lettera morta. Un sapiente mix di blandizie e minacce, infatti, “normalizzò” rapidamente l’operato di Hollande, pronto per quieto vivere a calarsi con nonchalance nei panni del burattino etero-diretto da Angela Merkel.
Si è mai visto un musicista che odia la musica? No.
Bene, allo stesso modo non può esistere un europeista ferocemente contrario all’introduzione degli eurobond.
Draghi e Schäuble sono infatti a tutti gli effetti degli anti-europeisti, ora finalmente smascherati dall’intraprendenza di Tsipras, premier greco bravo nell’evidenziare e mettere a nudo tutte le insostenibili incongruenze che accompagnano le scelte dei massimi dirigenti continentali.
Pur di non dare fiato alla piccola Grecia, il cui Pil è pressoché irrilevante se valutato in un’ottica di insieme, Draghi e Schäuble sembrerebbero perfino disposti a negare liquidità al circuito bancario dell’Ellade.
Si tratta di una ipotesi ricattatoria, scellerata e meschina, ventilata con il chiaro intento di costringe il governo greco a tornare forzatamente all’uso della dracma.
Figuri come Draghi e Schäuble lavorano oramai a viso aperto al fine di estirpare il concetto stesso di europeismo dal cuore dei cittadini.
Come ha ben sottolineato giorni fa lo scrittore Slavoj Zizek, le libertà economiche non sono più fedeli compagne delle libertà civili e politiche.
In Oriente si sono progressivamente affermati sistemi che coniugano senza imbarazzo libertà sul piano economico e repressione su quello politico.
A questo paradigma, già con successo sperimentato in una parte importante del mondo, si ispirano i contro-iniziati Schäuble e Draghi.
Il redde rationem però si avvicina.
Da una parte i fautori del “modello cinese” proveranno o a cristallizzare la situazione attuale o, in caso di oggettiva impossibilità, ad imporre nei paesi periferici dell’Unione dei governi filonazisti controllati dal centro.
Dall’altra tutti i sinceri democratici e progressisti, fedeli ai valori di libertà ed uguaglianza, cercheranno di sconfiggere con coraggio e orgoglio le forze della reazione, dotando finalmente l’Europa di un governo democratico legittimato dalla fiducia espressa dal Parlamento Europeo in rappresentanza della volontà e della sovranità popolare.
In questo senso, il timido sostegno garantito da Barack Obama al suo omologo greco è di buon auspicio per il prossimo futuro. Il destino dell’Europa dei prossimi decenni passa da questa delicata strettoia.
(Francesco Maria Toscano, “Draghi e Schäuble sono i veri anti-europeisti”, dal blog “Il Moralista” del 9 febbraio 2015).
http://www.libreidee.org/2015/02/der-ri ... i-leuropa/
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Re: La crisi dell'Europa
Crisi economica, altro che Grecia. Ora è l’Ucraina che è sull’orlo del fallimento
Economia
Inflazione al 35%, deficit al 10,3%, moneta svalutata del 70% in un anno e classe dirigente corrotta e incapace. L'unica chance: accettare la tutela di Russia e Unione europea
di F. Q. | 10 aprile 2015 COMMENTI
Mentre si parla della crisi greca, poca attenzione viene dedicata all’economia ucraina che per molti aspetti è in una situazione molto più grave.
Il 17 marzo, il ministro delle Finanze ucraino Natalie Yalesko, in una conferenza negli Stati Uniti, ha dichiarato che, nonostante il nuovo prestito di 17,5 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale, la situazione del Paese rimane gravissima.
Il governo e la presidenza devono “stabilizzare l’economia, riformare il Paese, combattere la corruzione, migliorare la trasparenza dell’attività pubblica, l’applicazione delle leggi, creare le condizioni per ritornare alla crescita economica e alla prosperità”. Le cifre fornite dall’ufficio centrale di statistica ucraino sottolineano quanto grave sia la situazione: l’anno scorso il reddito nazionale è caduto del 6,8% e un ulteriore calo del 12% è previsto per il 2015. L’inflazione è al 35% su base annua, il deficit di bilancio al 10,3%, le riserve ammontano ad appena 5 miliardi di dollari e la moneta ucraina si è svalutata del 70% in un anno. Il tasso di sconto è stato innalzato al 30%, ma il deflusso dei capitali continua nonostante le misure prese dalla banca centrale. L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito ucraino al penultimo livello del merito di credito, praticamente affermando che l’Ucraina è in uno stato di default.
L’Ucraina occupa il 142° posto su 175 nella classifica stilata da Transparency International e quindi risulta come una delle economie più corrotte del mondo. Il primo ministro Yatseniuk ha affermato che la corruzione costa allo Stato ucraino 10 miliardi di dollari all’anno. Il sistema bancario ucraino praticamente non funziona; a parte il livello dei saggi di interesse, esperti del settore stimano che i prestiti rischiosi e non-performing siano fra un terzo e una metà degli attivi del sistema. Dall’inizio della guerra sono fallite 40 banche, mentre l’altra settimana è fallita la Delta Bank, la quarta banca del Paese. L’Ucraina viene ormai percepita come uno Stato in fallimento, che non riesce più a svolgere i suoi compiti istituzionali. Non riesce a proteggere i suoi confini, le decisioni economiche e politiche che vengono prese con molte difficoltà dal governo centrale e trasmesse alla periferia che spesso non le osserva, essendo governata da oligarchi. Il caso più eclatante è quello della regione di Dniepropetrosk dominata da Kolomoyski che fino a pochi giorni fa ne era il governatore. Kolomoisky controlla non solo Dniepropetrosk ma anche Odessa attraverso un suo affiliato. Lo scontro fra Poroshenko e Kolomoiski, estromesso dal presidente dal governatorato di Dniepropetrosk e privato del controllo di una grande impresa energetica, ha causato come reazione l’occupazione della sede dell’impresa da parte di truppe del battaglione Dnipro, finanziato proprio da Kolomoisky. Un altro oligarca, Akmetov, controlla parte del Donbass. Kiev legifera in un contesto quasi semifeudale in cui esistono milizie armate private, un debole esercito centrale, una magistratura poco indipendente.
In marzo il Fondo Monetario ha approvato un extended fund facility per 17,5 miliardi di dollari che potrà raggiungere i 40 miliardi di dollari in quattro anni. È il decimo programma che il Fmi ha lanciato per l’Ucraina dal 1994, nessuno è mai stato portato a termine. Prevede misure molto dure sul piano fiscale che peggioreranno il tenore di vita dei cittadini ucraini con un aumento dei prezzi dell’energia e una netta diminuzione delle pensioni. L’aiuto è condizionato al fatto che l’Ucraina raggiunga un accordo con i debitori e tagli il debito da 18 a 3 miliardi di dollari, con una più che sostanziale perdita per gli investitori. Questo implica un accordo con la Russia che ha prestato 3 miliardi di dollari allo Stato ucraino.
La situazione è talmente drammatica che viene da chiedersi se l’Ucraina possa continuare a esistere come Stato sovrano unitario. A Kiev non esiste una classe dirigente capace di portare il Paese fuori dalla tragica situazione in cui si trova. Al di là dei presidenti e dei governi che si sono succeduti dal 1991 a oggi, la classe dirigente ha evidentemente fallito nel costruire un’economia e uno Stato funzionante. Non è un caso che tre ministri dell’attuale governo siano stranieri e che a essi sia stata data dal presidente Poroshenko in una mattina, con procedura eccezionale, la cittadinanza ucraina. Requisito indispensabile per una possibile, ancorché difficile soluzione è che l’attuale classe dirigente accetti la tutela di chi contribuirà al risanamento del Paese: Europa e Russia. Questo può avvenire soltanto senza l’adesione dell’Ucraina al blocco occidentale e alla Nato, con una sorta di finladizzazione del Paese, e con un esplicito accordo fra Mosca e Bruxelles che comporti notevoli aiuti finanziari. Se non sarà possibile, è molto difficile che l’Ucraina conservi la sua integrità territoriale. Con conseguenze imprevedibili per tutta l’Europa.
di Gianpaolo Caselli, professore di Politica economica all’Università di Modena e Reggio Emilia
da Il Fatto Quotidiano dell’8 aprile
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04 ... o/1573193/
Economia
Inflazione al 35%, deficit al 10,3%, moneta svalutata del 70% in un anno e classe dirigente corrotta e incapace. L'unica chance: accettare la tutela di Russia e Unione europea
di F. Q. | 10 aprile 2015 COMMENTI
Mentre si parla della crisi greca, poca attenzione viene dedicata all’economia ucraina che per molti aspetti è in una situazione molto più grave.
Il 17 marzo, il ministro delle Finanze ucraino Natalie Yalesko, in una conferenza negli Stati Uniti, ha dichiarato che, nonostante il nuovo prestito di 17,5 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale, la situazione del Paese rimane gravissima.
Il governo e la presidenza devono “stabilizzare l’economia, riformare il Paese, combattere la corruzione, migliorare la trasparenza dell’attività pubblica, l’applicazione delle leggi, creare le condizioni per ritornare alla crescita economica e alla prosperità”. Le cifre fornite dall’ufficio centrale di statistica ucraino sottolineano quanto grave sia la situazione: l’anno scorso il reddito nazionale è caduto del 6,8% e un ulteriore calo del 12% è previsto per il 2015. L’inflazione è al 35% su base annua, il deficit di bilancio al 10,3%, le riserve ammontano ad appena 5 miliardi di dollari e la moneta ucraina si è svalutata del 70% in un anno. Il tasso di sconto è stato innalzato al 30%, ma il deflusso dei capitali continua nonostante le misure prese dalla banca centrale. L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito ucraino al penultimo livello del merito di credito, praticamente affermando che l’Ucraina è in uno stato di default.
L’Ucraina occupa il 142° posto su 175 nella classifica stilata da Transparency International e quindi risulta come una delle economie più corrotte del mondo. Il primo ministro Yatseniuk ha affermato che la corruzione costa allo Stato ucraino 10 miliardi di dollari all’anno. Il sistema bancario ucraino praticamente non funziona; a parte il livello dei saggi di interesse, esperti del settore stimano che i prestiti rischiosi e non-performing siano fra un terzo e una metà degli attivi del sistema. Dall’inizio della guerra sono fallite 40 banche, mentre l’altra settimana è fallita la Delta Bank, la quarta banca del Paese. L’Ucraina viene ormai percepita come uno Stato in fallimento, che non riesce più a svolgere i suoi compiti istituzionali. Non riesce a proteggere i suoi confini, le decisioni economiche e politiche che vengono prese con molte difficoltà dal governo centrale e trasmesse alla periferia che spesso non le osserva, essendo governata da oligarchi. Il caso più eclatante è quello della regione di Dniepropetrosk dominata da Kolomoyski che fino a pochi giorni fa ne era il governatore. Kolomoisky controlla non solo Dniepropetrosk ma anche Odessa attraverso un suo affiliato. Lo scontro fra Poroshenko e Kolomoiski, estromesso dal presidente dal governatorato di Dniepropetrosk e privato del controllo di una grande impresa energetica, ha causato come reazione l’occupazione della sede dell’impresa da parte di truppe del battaglione Dnipro, finanziato proprio da Kolomoisky. Un altro oligarca, Akmetov, controlla parte del Donbass. Kiev legifera in un contesto quasi semifeudale in cui esistono milizie armate private, un debole esercito centrale, una magistratura poco indipendente.
In marzo il Fondo Monetario ha approvato un extended fund facility per 17,5 miliardi di dollari che potrà raggiungere i 40 miliardi di dollari in quattro anni. È il decimo programma che il Fmi ha lanciato per l’Ucraina dal 1994, nessuno è mai stato portato a termine. Prevede misure molto dure sul piano fiscale che peggioreranno il tenore di vita dei cittadini ucraini con un aumento dei prezzi dell’energia e una netta diminuzione delle pensioni. L’aiuto è condizionato al fatto che l’Ucraina raggiunga un accordo con i debitori e tagli il debito da 18 a 3 miliardi di dollari, con una più che sostanziale perdita per gli investitori. Questo implica un accordo con la Russia che ha prestato 3 miliardi di dollari allo Stato ucraino.
La situazione è talmente drammatica che viene da chiedersi se l’Ucraina possa continuare a esistere come Stato sovrano unitario. A Kiev non esiste una classe dirigente capace di portare il Paese fuori dalla tragica situazione in cui si trova. Al di là dei presidenti e dei governi che si sono succeduti dal 1991 a oggi, la classe dirigente ha evidentemente fallito nel costruire un’economia e uno Stato funzionante. Non è un caso che tre ministri dell’attuale governo siano stranieri e che a essi sia stata data dal presidente Poroshenko in una mattina, con procedura eccezionale, la cittadinanza ucraina. Requisito indispensabile per una possibile, ancorché difficile soluzione è che l’attuale classe dirigente accetti la tutela di chi contribuirà al risanamento del Paese: Europa e Russia. Questo può avvenire soltanto senza l’adesione dell’Ucraina al blocco occidentale e alla Nato, con una sorta di finladizzazione del Paese, e con un esplicito accordo fra Mosca e Bruxelles che comporti notevoli aiuti finanziari. Se non sarà possibile, è molto difficile che l’Ucraina conservi la sua integrità territoriale. Con conseguenze imprevedibili per tutta l’Europa.
di Gianpaolo Caselli, professore di Politica economica all’Università di Modena e Reggio Emilia
da Il Fatto Quotidiano dell’8 aprile
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Re: La crisi dell'Europa
Non si può aiutare tutto il mondo. L'Europa si è ingrandita troppo e ci sono molti problemi anche qui. A meno che non si renda più progressivo il sistema ma prima c'è il debito pubblico italiano.
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Re: La crisi dell'Europa
“Merkel all’Onu, Schäuble cancelliere”: i sogni segreti della fronda anti-Angela
Alcuni deputati della Cdu vogliono l’avvicendamento
24/10/2015
tonia mastrobuoni
inviata a berlino
Se il clima attorno ad Angela Merkel si sta illividendo, non è certo per l’arrivo dell’inverno. I malumori nel suo partito sono ormai talmente acuti che i parlamentari girano per il Bundestag formulando a voce alta scenari che sino a pochi mesi fa sarebbero sembrati fantascientifici. Il combinato disposto dell’ostinazione della cancelliera a difendere la «politica delle porte aperte» sui profughi e un importante incarico internazionale che si libererà l’anno prossimo, quello del Segretario generale delle Nazioni Unite, stanno alimentando fantasie piuttosto spinte, nei ribelli Cdu/Csu. Che vorrebbero sostituire Merkel con l’unico leader cristiano-democratico con analoga presa sul partito e altrettanta popolarità nel Paese, ma con una visione più conservatrice della politica sui rifugiati: Wolfgang Schäuble. La cancelliera, sempre nelle fantasie degli anti-merkeliani, verrebbe comunque issata su una poltrona che manterrebbe intatto il suo prestigio internazionale: quella attualmente occupata da Ban Ki-moon.
Sondaggi in calo
Facendo un calcolo a spanne, sessanta deputati del partito di Angela Merkel sono riusciti a entrare in Parlamento perché i liberali e gli anti euro ne sono rimasti fuori, alle ultime elezioni politiche. Nel 2013 «l’effetto Mutti» ha consentito ai conservatori di sfiorare la maggioranza assoluta e a pescare candidati dal fondo delle liste grazie al mancato superamento della soglia di sbarramento di Fdp e Afd. Ma ora tra i cristianodemocratici e cristianosociali tedeschi è sempre più diffusa l’idea che tra due anni il risultato potrebbe essere ben diverso. Il partito sta scendendo vistosamente nei sondaggi - è al 38%, quattro punti sotto settembre del 2013 - e gli anti euro Afd, con la loro deriva populista e la retorica anti immigrati, continuano a lievitare. Potrebbero riuscire a superare la soglia del 5 per cento, alle politiche del 2017. E quei sessanta deputati Cdu/Csu in più delle ultime elezioni potrebbero essere già archiviati come miracolo.
Il «Grande centro» merkeliano, quell’«effetto Mutti» capace in dieci anni di rosicchiare incessantemente spazi a destra e sinistra, è sembrato subire in queste settimane una pericolosa battuta d’arresto. I tedeschi non sembrano più seguirla, sui profughi, da alcuni sondaggi recentissimi emerge una «grande preoccupazione» della maggior parte di essi sui diecimila arrivi al giorno. Ed è sempre la stragrande maggioranza dei tedeschi che pensa che l’ondata di profughi cambierà profondamente la Germania.
Le alternative a Merkel di cui si ragiona da sempre - Ursula von der Leyen o Thomas De Maizière - sono troppo deboli, anche per vicende recenti: il dottorato copiato nel caso della ministra della Difesa, il depotenziamento causa cattiva gestione della crisi dei rifugiati nel caso del responsabile dell’Interno. L’unico che potrebbe riportare in acque meno agitate la Cdu è Schäuble, ragionano gli alti papaveri del partito a microfoni spenti. Perché è sempre rimasto popolarissimo tra i tedeschi e perché ha sempre avuto una base forte nella Cdu. Ma il vecchio delfino di Helmut Kohl può farlo solo puntando la prua contro la cancelliera. Sarebbe una nemesi, per l’uomo disarcionato quindici anni fa dalla successione naturale al cancelliere della Riunificazione proprio da Angela Merkel.
http://www.lastampa.it/2015/10/24/ester ... agina.html
Alcuni deputati della Cdu vogliono l’avvicendamento
24/10/2015
tonia mastrobuoni
inviata a berlino
Se il clima attorno ad Angela Merkel si sta illividendo, non è certo per l’arrivo dell’inverno. I malumori nel suo partito sono ormai talmente acuti che i parlamentari girano per il Bundestag formulando a voce alta scenari che sino a pochi mesi fa sarebbero sembrati fantascientifici. Il combinato disposto dell’ostinazione della cancelliera a difendere la «politica delle porte aperte» sui profughi e un importante incarico internazionale che si libererà l’anno prossimo, quello del Segretario generale delle Nazioni Unite, stanno alimentando fantasie piuttosto spinte, nei ribelli Cdu/Csu. Che vorrebbero sostituire Merkel con l’unico leader cristiano-democratico con analoga presa sul partito e altrettanta popolarità nel Paese, ma con una visione più conservatrice della politica sui rifugiati: Wolfgang Schäuble. La cancelliera, sempre nelle fantasie degli anti-merkeliani, verrebbe comunque issata su una poltrona che manterrebbe intatto il suo prestigio internazionale: quella attualmente occupata da Ban Ki-moon.
Sondaggi in calo
Facendo un calcolo a spanne, sessanta deputati del partito di Angela Merkel sono riusciti a entrare in Parlamento perché i liberali e gli anti euro ne sono rimasti fuori, alle ultime elezioni politiche. Nel 2013 «l’effetto Mutti» ha consentito ai conservatori di sfiorare la maggioranza assoluta e a pescare candidati dal fondo delle liste grazie al mancato superamento della soglia di sbarramento di Fdp e Afd. Ma ora tra i cristianodemocratici e cristianosociali tedeschi è sempre più diffusa l’idea che tra due anni il risultato potrebbe essere ben diverso. Il partito sta scendendo vistosamente nei sondaggi - è al 38%, quattro punti sotto settembre del 2013 - e gli anti euro Afd, con la loro deriva populista e la retorica anti immigrati, continuano a lievitare. Potrebbero riuscire a superare la soglia del 5 per cento, alle politiche del 2017. E quei sessanta deputati Cdu/Csu in più delle ultime elezioni potrebbero essere già archiviati come miracolo.
Il «Grande centro» merkeliano, quell’«effetto Mutti» capace in dieci anni di rosicchiare incessantemente spazi a destra e sinistra, è sembrato subire in queste settimane una pericolosa battuta d’arresto. I tedeschi non sembrano più seguirla, sui profughi, da alcuni sondaggi recentissimi emerge una «grande preoccupazione» della maggior parte di essi sui diecimila arrivi al giorno. Ed è sempre la stragrande maggioranza dei tedeschi che pensa che l’ondata di profughi cambierà profondamente la Germania.
Le alternative a Merkel di cui si ragiona da sempre - Ursula von der Leyen o Thomas De Maizière - sono troppo deboli, anche per vicende recenti: il dottorato copiato nel caso della ministra della Difesa, il depotenziamento causa cattiva gestione della crisi dei rifugiati nel caso del responsabile dell’Interno. L’unico che potrebbe riportare in acque meno agitate la Cdu è Schäuble, ragionano gli alti papaveri del partito a microfoni spenti. Perché è sempre rimasto popolarissimo tra i tedeschi e perché ha sempre avuto una base forte nella Cdu. Ma il vecchio delfino di Helmut Kohl può farlo solo puntando la prua contro la cancelliera. Sarebbe una nemesi, per l’uomo disarcionato quindici anni fa dalla successione naturale al cancelliere della Riunificazione proprio da Angela Merkel.
http://www.lastampa.it/2015/10/24/ester ... agina.html
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Re: La crisi dell'Europa
Al peggio non c'è fine proprio.
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Re: La crisi dell'Europa
Titolo del solito Il Giornale. Potrebbe aver vinto per motivi interni.
La Polonia avverte Bruxelles: vincono i nazionalisti anti Ue
Col 39,1% dei consensi vincono i conservatori di Diritto e Giustizia. Kopacz ammette sconfitta. Beata Szydlo sarà premier
Sergio Rame - Dom, 25/10/2015 - 22:50
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 86780.html
La Polonia avverte Bruxelles: vincono i nazionalisti anti Ue
Col 39,1% dei consensi vincono i conservatori di Diritto e Giustizia. Kopacz ammette sconfitta. Beata Szydlo sarà premier
Sergio Rame - Dom, 25/10/2015 - 22:50
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 86780.html
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Re: La crisi dell'Europa
Avverte di che? Ora il rapporto deficit/PIL polacco peggiorerà dal 3,3% attuale a causa degli aumenti alle spese soprattutto per la difesa che Kaczinski farà fare alla sua marionetta. Bruxelles probabilmente inizierà a tagliare i fondi europei che hanno finanziato la costruzione delle poche infrastrutture moderne in Polonia riducendo il lavoro e deprezzando la valuta polacca invogliando così le imprese straniere a spostare in altri luoghi con minor rischio valuta le loro produzioni. Kaczinski ha anche detto che non rispetterà gli accordi per l'emissione di CO2 per non danneggiare l'industria estrattiva del carbone polacco. La russofobia aumenterà in Polonia innescando ulteriori tensioni fra NATO e Russia e non penso che gli europei vogliano per la seconda volta in meno di 80 anni morire per Danzica...
Comunque nessuno dei vari contestatori della UE poi vinte le elezioni è coerente con se stesso al punto da uscire dall'Unione...
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Re: La crisi dell'Europa
Corriere 28.10.15
Il fallimento del piano europeo
di Fiorenza Sarzanini
ROMA Il piano era chiaro: 40 mila migranti da trasferire in due anni. Eritrei e siriani via dall’Italia per essere ospitati negli Stati dell’Unione Europea che avevano accettato l’agenda messa a punto dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker. Un mese dopo la sigla dell’accordo siglato per «alleggerire» la situazione anche in Grecia e Ungheria dopo le migliaia di arrivi dei mesi scorsi, il progetto si rivela quello che in molti temevano: un flop. Per raggiungere il risultato bisognava infatti far partire 80 stranieri al giorno. E invece in un mese soltanto 90 hanno lasciato il nostro Paese: 40 sono andati in Svezia, 50 in Finlandia.
I «nulla osta» sono solo 525
Gli altri rimangono in attesa e a scorrere la lista delle disponibilità rischiano di dover aspettare per mesi, forse per sempre. Perché sono appena 525 le richieste accolte, ma nessuna con effetto immediato. Si materializzano dunque i timori del ministro dell’Interno Angelino Alfano che aveva più volte ribadito la linea del governo: «Apriremo i cinque “hotspot” imposti dalla Ue per effettuare l’identificazione e il fotosegnalamento dei migranti soltanto quando andrà a regime la redistribuzione». E infatti al momento funziona in via sperimentale soltanto Lampedusa, sul resto la partita è aperta. E certamente — soprattutto dopo il chiarimento proveniente proprio da Juncker — il governo farà pesare il proprio impegno nell’accoglienza per ottenere da Bruxelles la maggiore flessibilità possibile nella tenuta dei conti pubblici. Anche tenendo conto che solo per quest’anno i costi hanno superato il miliardo di euro.
Dieci in Germania venti in Francia
Il sistema «Dublinet» è una sorta di cervellone dove vengono inserite le schede di tutti gli stranieri «registrati» e le indicazioni sulle possibili destinazioni. Tutti gli Stati membri sono collegati e gli uffici competenti accedono in tempo reale. In Italia è gestito dal Dipartimento Immigrazione del Viminale diretto dal prefetto Mario Morcone. I richiedenti asilo non possono esprimere preferenza sul Paese dove andare, ma durante il vertice a Bruxelles si era stabilito di tenere conto di eventuali motivi per privilegiare una meta piuttosto che un’altra: presenza di familiari, conoscenza della lingua. Evidentemente anche questo non è stato però sufficiente per convincere i vari governi a concedere il via libera.
La Germania — nonostante la cancelliera Angela Merkel avesse addirittura dichiarato pubblicamente di voler accogliere tutti — ha dato disponibilità per dieci posti. Va un po’ meglio con la Spagna: 50 persone. Appena 20 per la Francia. La Svezia ne può prendere 100, la Finlandia ne accetterà 200. Sul resto, buio totale. Tra i Paesi che avevano mostrato apertura, sia pur timida, c’erano Olanda e Portogallo. E invece nulla, al momento hanno comunicato che non possono prendere nessuno.
Tutto fermo sugli «hotspot»
A questo punto bisogna attrezzarsi. Secondo i dati aggiornati al 25 ottobre sono giunti nel nostro Paese 139.770 persone, tra loro 37.495 eritrei e 7.194 siriani. In tutto sono dunque 44.689 gli stranieri tra i quali si sarebbe dovuto scegliere chi far andare altrove. Rispetto allo scorso anno c’è stata una sensibile diminuzione degli sbarchi, pari al 9 per cento, visto che nel 2014 furono 170.100. Molti di loro sono tuttora presenti e distribuiti nelle strutture governative e in quelle temporanee reperite dalle prefetture nelle Regioni utilizzando anche alberghi, residence, campeggi.
L’Italia finora ha speso un miliardo e 100 milioni di euro, dall’Europa è previsto che arrivino appena 310 milioni di euro. Una cifra irrisoria, soprattutto tenendo conto che altri soldi dovranno essere stanziati per l’apertura degli altri «hotspot» a Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani. Per ora si è deciso però di fermare tutto. Visti i primi risultati, il governo ha deciso di bloccare l’apertura dei centri di smistamento. Del resto tutti i tentativi, anche recenti, di varare un piano comunque con gli altri Stati sono falliti miseramente e i numeri contenuti nel cervellone «Dublinet» ne sono la prova più evidente. «Forse perderemo consenso e voti, ma salvando quelle vite salviamo l’idea di Italia», dichiara Matteo Renzi. Il governo dunque conterà sulle proprie forze, ma con la pretesa di ottenere da Bruxelles un margine più ampio sui conti.
Il fallimento del piano europeo
di Fiorenza Sarzanini
ROMA Il piano era chiaro: 40 mila migranti da trasferire in due anni. Eritrei e siriani via dall’Italia per essere ospitati negli Stati dell’Unione Europea che avevano accettato l’agenda messa a punto dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker. Un mese dopo la sigla dell’accordo siglato per «alleggerire» la situazione anche in Grecia e Ungheria dopo le migliaia di arrivi dei mesi scorsi, il progetto si rivela quello che in molti temevano: un flop. Per raggiungere il risultato bisognava infatti far partire 80 stranieri al giorno. E invece in un mese soltanto 90 hanno lasciato il nostro Paese: 40 sono andati in Svezia, 50 in Finlandia.
I «nulla osta» sono solo 525
Gli altri rimangono in attesa e a scorrere la lista delle disponibilità rischiano di dover aspettare per mesi, forse per sempre. Perché sono appena 525 le richieste accolte, ma nessuna con effetto immediato. Si materializzano dunque i timori del ministro dell’Interno Angelino Alfano che aveva più volte ribadito la linea del governo: «Apriremo i cinque “hotspot” imposti dalla Ue per effettuare l’identificazione e il fotosegnalamento dei migranti soltanto quando andrà a regime la redistribuzione». E infatti al momento funziona in via sperimentale soltanto Lampedusa, sul resto la partita è aperta. E certamente — soprattutto dopo il chiarimento proveniente proprio da Juncker — il governo farà pesare il proprio impegno nell’accoglienza per ottenere da Bruxelles la maggiore flessibilità possibile nella tenuta dei conti pubblici. Anche tenendo conto che solo per quest’anno i costi hanno superato il miliardo di euro.
Dieci in Germania venti in Francia
Il sistema «Dublinet» è una sorta di cervellone dove vengono inserite le schede di tutti gli stranieri «registrati» e le indicazioni sulle possibili destinazioni. Tutti gli Stati membri sono collegati e gli uffici competenti accedono in tempo reale. In Italia è gestito dal Dipartimento Immigrazione del Viminale diretto dal prefetto Mario Morcone. I richiedenti asilo non possono esprimere preferenza sul Paese dove andare, ma durante il vertice a Bruxelles si era stabilito di tenere conto di eventuali motivi per privilegiare una meta piuttosto che un’altra: presenza di familiari, conoscenza della lingua. Evidentemente anche questo non è stato però sufficiente per convincere i vari governi a concedere il via libera.
La Germania — nonostante la cancelliera Angela Merkel avesse addirittura dichiarato pubblicamente di voler accogliere tutti — ha dato disponibilità per dieci posti. Va un po’ meglio con la Spagna: 50 persone. Appena 20 per la Francia. La Svezia ne può prendere 100, la Finlandia ne accetterà 200. Sul resto, buio totale. Tra i Paesi che avevano mostrato apertura, sia pur timida, c’erano Olanda e Portogallo. E invece nulla, al momento hanno comunicato che non possono prendere nessuno.
Tutto fermo sugli «hotspot»
A questo punto bisogna attrezzarsi. Secondo i dati aggiornati al 25 ottobre sono giunti nel nostro Paese 139.770 persone, tra loro 37.495 eritrei e 7.194 siriani. In tutto sono dunque 44.689 gli stranieri tra i quali si sarebbe dovuto scegliere chi far andare altrove. Rispetto allo scorso anno c’è stata una sensibile diminuzione degli sbarchi, pari al 9 per cento, visto che nel 2014 furono 170.100. Molti di loro sono tuttora presenti e distribuiti nelle strutture governative e in quelle temporanee reperite dalle prefetture nelle Regioni utilizzando anche alberghi, residence, campeggi.
L’Italia finora ha speso un miliardo e 100 milioni di euro, dall’Europa è previsto che arrivino appena 310 milioni di euro. Una cifra irrisoria, soprattutto tenendo conto che altri soldi dovranno essere stanziati per l’apertura degli altri «hotspot» a Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani. Per ora si è deciso però di fermare tutto. Visti i primi risultati, il governo ha deciso di bloccare l’apertura dei centri di smistamento. Del resto tutti i tentativi, anche recenti, di varare un piano comunque con gli altri Stati sono falliti miseramente e i numeri contenuti nel cervellone «Dublinet» ne sono la prova più evidente. «Forse perderemo consenso e voti, ma salvando quelle vite salviamo l’idea di Italia», dichiara Matteo Renzi. Il governo dunque conterà sulle proprie forze, ma con la pretesa di ottenere da Bruxelles un margine più ampio sui conti.
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- Iscritto il: 21/02/2012, 19:25
Re: La crisi dell'Europa
Mi e' difficile entrare in questo argomento e magari condannare a priori il popolo polacco per le sua scelte.
Chi di noi sarebbe in grado di giudicare che la scelta dell'Euro sia stata giusta, dopo tutto quello che abbiamo visto fin'ora, o sia piuttosto sbagliata?
Probabilmente erano giusti gli obiettivi dei padri fondatori ma se questi non sono stati raggiunti ancora, come posso condannare l'esito delle urne polacche.
Quale politico serio di sinistra e' stato in grado di spiegare al popolo come veramente siano andate le cose o come avrebbero dovute andare?
Se dovessi stare a quanto scrivono alcuni personaggi anche a sinistra che in tempi lontani stimavo, mi sorgono parecchi dubbi. Non pochi!!
Ora difronte a queste situazioni politiche polacche che, in un certo qual modo, serpeggiano anche un po in tutta europa, non e' da spaventarsi se poi difronte a queste bibliche migrazioni forzate la popolazione si esprimo cosi e quindi non le accettano.
La solidarietà e' un grande valore ma deve essere supportata dalla politica la quale si deve fare carico di programmi tali da affrontare e risolvere le cause di tutto questo.
Non siamo ai tempi delle americhe in cui c'era la necessita di popolare il territorio e di mancanza manodopera.
Oggi non possiamo mettere al confronto queste due situazioni anche se, sulla migrazione di allora avrei ancora da dire la mia e quindi da aggiungere ancora qualcosa a quello precedentemente scritto.
Il popolo, se non e' politicizzato xche lo si e' voluto cosi, non fa tante elucubrazioni mentali. Va diritto al suo problema individuale e cioe ora quello che non vuol più dividere la sua povera, o anche non tanto povera, pagnotta con altri se soprattutto questi sono frutto di politiche sbagliate sia interne che esterne.
Non ne vogliono più sapere.
Quanto succede nel mondo non e' altro la l'ultimo anello di un percorso politico fatto in modo non corretto.
Siamo stati usati, finora, da coloro che avrebbero dovuto illuminarci sui problemi delle nostre societa' ed invece si son fatti i comodi loro ma nello stesso tempo noi non abbiamo voluto controllarli poiche ci bastava ricevere da costoro qualcosa di più di quello che necessitavamo e questo ci ha fregati ancora una volta.
Quindi, la storia potrebbe ripetersi in continuazione per cui non basta più sapere come e' andata ma occorre capirne le cause e di questo siamo molto carenti.
un salutone
Chi di noi sarebbe in grado di giudicare che la scelta dell'Euro sia stata giusta, dopo tutto quello che abbiamo visto fin'ora, o sia piuttosto sbagliata?
Probabilmente erano giusti gli obiettivi dei padri fondatori ma se questi non sono stati raggiunti ancora, come posso condannare l'esito delle urne polacche.
Quale politico serio di sinistra e' stato in grado di spiegare al popolo come veramente siano andate le cose o come avrebbero dovute andare?
Se dovessi stare a quanto scrivono alcuni personaggi anche a sinistra che in tempi lontani stimavo, mi sorgono parecchi dubbi. Non pochi!!
Ora difronte a queste situazioni politiche polacche che, in un certo qual modo, serpeggiano anche un po in tutta europa, non e' da spaventarsi se poi difronte a queste bibliche migrazioni forzate la popolazione si esprimo cosi e quindi non le accettano.
La solidarietà e' un grande valore ma deve essere supportata dalla politica la quale si deve fare carico di programmi tali da affrontare e risolvere le cause di tutto questo.
Non siamo ai tempi delle americhe in cui c'era la necessita di popolare il territorio e di mancanza manodopera.
Oggi non possiamo mettere al confronto queste due situazioni anche se, sulla migrazione di allora avrei ancora da dire la mia e quindi da aggiungere ancora qualcosa a quello precedentemente scritto.
Il popolo, se non e' politicizzato xche lo si e' voluto cosi, non fa tante elucubrazioni mentali. Va diritto al suo problema individuale e cioe ora quello che non vuol più dividere la sua povera, o anche non tanto povera, pagnotta con altri se soprattutto questi sono frutto di politiche sbagliate sia interne che esterne.
Non ne vogliono più sapere.
Quanto succede nel mondo non e' altro la l'ultimo anello di un percorso politico fatto in modo non corretto.
Siamo stati usati, finora, da coloro che avrebbero dovuto illuminarci sui problemi delle nostre societa' ed invece si son fatti i comodi loro ma nello stesso tempo noi non abbiamo voluto controllarli poiche ci bastava ricevere da costoro qualcosa di più di quello che necessitavamo e questo ci ha fregati ancora una volta.
Quindi, la storia potrebbe ripetersi in continuazione per cui non basta più sapere come e' andata ma occorre capirne le cause e di questo siamo molto carenti.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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