“Il ministero della Verità”
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“Il ministero della Verità”
“Il ministero della Verità”
Bufale web… informazione da controllare? Siamo come in ‘1984’ di Orwell, al Ministero della Verità.
Silvia Truzzi intervista Vladimiro Giacché – economista, filosofo e firma del Fatto Quotidiano –
che nel 2008 ha scritto: “La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea”.
Il libro ha avuto due successive edizioni, l’ultima ad aprile di quest’anno, ma come spiega l’autore,
“l’ho solo aggiornato, non ho dovuto cambiare la struttura. Le cose stanno così: c’è un tentativo di far passare
pseudo verità come fatti oggettivi”.
D: Cosa pensa dell’agenzia statale invocata dal presidente dell’Antitrust Pitruzzella?
“Non è una proposta nuova: in 1984 di Orwell, c’era il ministero della Verità, che si prefiggeva per l’appunto di
avere il monopolio sulla verità nel dibattito pubblico e purtroppo serviva a propagandare solo bugie.
Dovremmo tenere ben presente questo scenario, perché è il primo rischio di un’operazione di questo tipo,
dove qualcuno pretende di avere il monopolio della verità”.
D: Rendere “governativo” il controllo sulle notizie crea un cortocircuito: un fisiologico rapporto tra i poteri
prevede che l’informazione vigili su chi detiene il potere.
“La gran parte dei media ha mancato l’obiettivo del controllo sulle notizie. Esempi? Sappiamo, da studi
successivi, che la guerra in Iraq si basò su 935 menzogne dette da Bush jr e dal suo entourage all’opinione
pubblica (Charles Lewis, 935 Lies: The Future of Truth and the Decline of America’s Moral Integrity, 2014).
Più di recente, una porzione considerevole della nostra stampa, ha ignorato che gran parte dei ribelli siriani
non erano civili inermi, ma terroristi: ora che Aleppo è stata liberata si scopre che ci sono armi statunitensi,
bulgare, tedesche, francesi…”
D: L’informazione, dicevano i liberali, dovrebbe essere il cane da guardia del potere, perché è da lì che
arrivano le bugie pericolose.
“Invece si è appiattita sulle posizioni dominanti. Al di là di come valutiamo il voto sulla Brexit, è ovvio che quel
risultato manifesta un’enorme sofferenza sociale rispetto all’appartenenza all’Ue e a quella che genericamente
chiameremo “globalizzazione”: non solo questa sofferenza non è stata compresa, ma quando si è espressa è
stata demonizzata. Avrebbero votato leave, i disadattati, i vecchi rimbambiti, gli ignoranti. Invece di interrogarsi
sul perché questi segnali non erano stati intercettati, si è preferito insultare gli elettori. Stessa cosa è accaduta
per le elezioni Usa e il nostro referendum. Ma sarebbe preferibile evitare queste scorciatoie, in cui io vedo derive
autoritarie: sono pericolose, anche per chi le invoca”.
D: Lei ha scritto: “La menzogna è il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo”.
“Quel che non si vuol capire è che la verità ha la testa più dura. Serve a poco propagandare numeri
mirabolanti sull’occupazione: le persone sanno se lavorano o no. Kennedy diceva: puoi ingannare
qualcuno per sempre e tutti per un po’, ma non puoi ingannare tutti per sempre”.
D: Ha letto la risoluzione del Parlamento europeo per contrastare la propaganda contro la medesima Ue?
“Sì, è un caso di umorismo involontario. Siamo di fronte a una élite europea del tutto sorda rispetto al giudizio
dei cittadini e arroccata sulle proprie posizioni in modo non diverso da quello dei nobili dell’Ancien régime francese.
Il discorso pubblico è stato ingessato su presunte verità che sono oggettivamente insostenibili: pensiamo al dibattito
sull’euro. Il muro di menzogne sta crollando ed è proprio per questo che ci s’inventa un “ministero della Verità”.
Ma attenzione, la bugia ha un valore diagnostico e rivelatore: una bugia scoperta ci dice sul suo autore molte cose.
Chi mente ha sempre buoni motivi per farlo. Allo stesso modo, queste proposte rivelano molto su paure e debolezze
di chi le porta avanti. E anche un’insofferenza al dibattito democratico che è tipica delle ideologie autoritarie”.
D: Chi dovrebbe decidere che una news è fake?
“L’unico capo di questa ipotetica Agenzia potrebbe essere Dio. Ma ovviamente agenzie del genere finiscono per avere
un obiettivo molto più terra terra: vietare ciò che è sgradito al potere, nascondere i problemi sotto il tappeto”.
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... di-orwell/
Bufale web… informazione da controllare? Siamo come in ‘1984’ di Orwell, al Ministero della Verità.
Silvia Truzzi intervista Vladimiro Giacché – economista, filosofo e firma del Fatto Quotidiano –
che nel 2008 ha scritto: “La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea”.
Il libro ha avuto due successive edizioni, l’ultima ad aprile di quest’anno, ma come spiega l’autore,
“l’ho solo aggiornato, non ho dovuto cambiare la struttura. Le cose stanno così: c’è un tentativo di far passare
pseudo verità come fatti oggettivi”.
D: Cosa pensa dell’agenzia statale invocata dal presidente dell’Antitrust Pitruzzella?
“Non è una proposta nuova: in 1984 di Orwell, c’era il ministero della Verità, che si prefiggeva per l’appunto di
avere il monopolio sulla verità nel dibattito pubblico e purtroppo serviva a propagandare solo bugie.
Dovremmo tenere ben presente questo scenario, perché è il primo rischio di un’operazione di questo tipo,
dove qualcuno pretende di avere il monopolio della verità”.
D: Rendere “governativo” il controllo sulle notizie crea un cortocircuito: un fisiologico rapporto tra i poteri
prevede che l’informazione vigili su chi detiene il potere.
“La gran parte dei media ha mancato l’obiettivo del controllo sulle notizie. Esempi? Sappiamo, da studi
successivi, che la guerra in Iraq si basò su 935 menzogne dette da Bush jr e dal suo entourage all’opinione
pubblica (Charles Lewis, 935 Lies: The Future of Truth and the Decline of America’s Moral Integrity, 2014).
Più di recente, una porzione considerevole della nostra stampa, ha ignorato che gran parte dei ribelli siriani
non erano civili inermi, ma terroristi: ora che Aleppo è stata liberata si scopre che ci sono armi statunitensi,
bulgare, tedesche, francesi…”
D: L’informazione, dicevano i liberali, dovrebbe essere il cane da guardia del potere, perché è da lì che
arrivano le bugie pericolose.
“Invece si è appiattita sulle posizioni dominanti. Al di là di come valutiamo il voto sulla Brexit, è ovvio che quel
risultato manifesta un’enorme sofferenza sociale rispetto all’appartenenza all’Ue e a quella che genericamente
chiameremo “globalizzazione”: non solo questa sofferenza non è stata compresa, ma quando si è espressa è
stata demonizzata. Avrebbero votato leave, i disadattati, i vecchi rimbambiti, gli ignoranti. Invece di interrogarsi
sul perché questi segnali non erano stati intercettati, si è preferito insultare gli elettori. Stessa cosa è accaduta
per le elezioni Usa e il nostro referendum. Ma sarebbe preferibile evitare queste scorciatoie, in cui io vedo derive
autoritarie: sono pericolose, anche per chi le invoca”.
D: Lei ha scritto: “La menzogna è il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo”.
“Quel che non si vuol capire è che la verità ha la testa più dura. Serve a poco propagandare numeri
mirabolanti sull’occupazione: le persone sanno se lavorano o no. Kennedy diceva: puoi ingannare
qualcuno per sempre e tutti per un po’, ma non puoi ingannare tutti per sempre”.
D: Ha letto la risoluzione del Parlamento europeo per contrastare la propaganda contro la medesima Ue?
“Sì, è un caso di umorismo involontario. Siamo di fronte a una élite europea del tutto sorda rispetto al giudizio
dei cittadini e arroccata sulle proprie posizioni in modo non diverso da quello dei nobili dell’Ancien régime francese.
Il discorso pubblico è stato ingessato su presunte verità che sono oggettivamente insostenibili: pensiamo al dibattito
sull’euro. Il muro di menzogne sta crollando ed è proprio per questo che ci s’inventa un “ministero della Verità”.
Ma attenzione, la bugia ha un valore diagnostico e rivelatore: una bugia scoperta ci dice sul suo autore molte cose.
Chi mente ha sempre buoni motivi per farlo. Allo stesso modo, queste proposte rivelano molto su paure e debolezze
di chi le porta avanti. E anche un’insofferenza al dibattito democratico che è tipica delle ideologie autoritarie”.
D: Chi dovrebbe decidere che una news è fake?
“L’unico capo di questa ipotetica Agenzia potrebbe essere Dio. Ma ovviamente agenzie del genere finiscono per avere
un obiettivo molto più terra terra: vietare ciò che è sgradito al potere, nascondere i problemi sotto il tappeto”.
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... di-orwell/
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Re: “Il ministero della Verità”
D: Rendere “governativo” il controllo sulle notizie crea un cortocircuito: un fisiologico rapporto tra i poteri
prevede che l’informazione vigili su chi detiene il potere.
“La gran parte dei media ha mancato l’obiettivo del controllo sulle notizie. Esempi? Sappiamo, da studi
successivi, che la guerra in Iraq si basò su 935 menzogne dette da Bush jr e dal suo entourage all’opinione
pubblica (Charles Lewis, 935 Lies: The Future of Truth and the Decline of America’s Moral Integrity, 2014).
Più di recente, una porzione considerevole della nostra stampa, ha ignorato che gran parte dei ribelli siriani
non erano civili inermi, ma terroristi: ora che Aleppo è stata liberata si scopre che ci sono armi statunitensi,
bulgare, tedesche, francesi…”
L'ultima minaccia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/L%27ultima_minaccia
1. E' la stampa, bellezza - YouTube
Traduci questa pagina
www.youtube.com/watch?v=u3WpqsgTXUQ
02/10/2009 • Video incorporato • È la stampa, bellezza... - Duration: 2:30. ipponax 9,903 views. ... Humphrey Bogart Wins Best Actor: 1952 Oscars - Duration: 2:10.
https://www.youtube.com/watch?v=u3WpqsgTXUQ
CON IL VOLTO VOLITIVO E RASSICURANTE DI HUMPHREY BOGART, CI HANNO FATTO CREDERE PER MEZZO SECOLO CHE LA STAMPA FOSSE QUELLA, CON QUELLE FUNZIONI.
IL CANE DA GUARDIA DEL POTERE.
INVECE SE NE SONO APPROFFITTATI IN LUNGO E IN LARGO PER PORTARE A SPASSO COME VOLEVANO INTERE GENERAZIONI, FACENDOGLI CREDERE QUELLO CHE VOLEVANO.
IN SOSTANZA, CHE GLI ASINI VOLANO
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Re: “Il ministero della Verità”
QUANDO IL MINISTERO DELLA VERITA' DIVENTA UN PROBLEMA MONDIALE
LIBRE news
Recensioni
Segnalazioni.
Dietro i sorrisi di Obama, un’eredità di menzogne e di morte
Scritto il 10/1/17 • nella Categoria: idee Condividi
Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria.
Incontro da cui erano esclusi gli Stati uniti.
Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton.
Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama.
Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.
Ciò ha impedito che lo Stato siriano fosse smantellato come quello libico e ha permesso alle forze governative di liberare vaste aree controllate per anni da Isis, Al Nusra e altri movimenti terroristici funzionali alla strategia Usa-Nato.
Riforniti di armi, pagate con miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie, attraverso una rete internazionale della Cia (documentata dal “New York Times” nel marzo 2013) che le faceva arrivare in Siria attraverso la Turchia, avamposto Nato nella regione.
Ora però, di fronte all’evidente fallimento dell’operazione, costata centinaia di migliaia di morti, Ankara se ne tira fuori aprendo un negoziato con l’intento di ricavarne il massimo vantaggio possibile.
A tal fine ricuce i rapporti con Mosca, che erano giunti al punto di rottura, e prende le distanze da Washington.
Uno smacco per il presidente Obama.
Questi, però, prima di passare il bastone di comando al neoeletto Trump, spara le ultime cartucce.
Nascosta nelle pieghe dell’autorizzazione della spesa militare 2017, firmata dal presidente, c’è la legge per «contrastare la disinformazione e propaganda straniere», attribuite in particolare a Russia e Cina, la quale conferisce ulteriori poteri alla tentacolare comunità di intelligence, formata da 17 agenzie federali.
Grazie anche a uno stanziamento di 19 miliardi di dollari per la “cybersicurezza”, esse possono mettere a tacere qualsiasi fonte di «false notizie», a insindacabile giudizio di un apposito “Centro” coadiuvato da analisti, giornalisti e altri «esperti» reclutati all’estero.
Diviene realtà l’orwelliano Ministero della Verità che, preannuncia il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, dovrebbe essere istituito anche dalla Ue.
Escono potenziate dall’amministrazione Obama anche le forze speciali, che hanno esteso le loro operazioni coperte da 75 paesi nel 2010 a 135 nel 2015.
Nei suoi atti conclusivi l’amministrazione Obama ha ribadito il 15 dicembre il proprio appoggio a Kiev, di cui arma e addestra le forze, compresi i battaglioni neonazisti, per combattere i russi di Ucraina.
E il 20 dicembre, in funzione anti-russa, il Pentagono ha deciso la fornitura alla Polonia di missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari.
Del democratico Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, resta ai posteri il suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».
(Manlio Dinucci, “L’eredità del democratico Barack Obama”, da “Il Manifesto” del 3 gennaio 2017).
LIBRE news
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Dietro i sorrisi di Obama, un’eredità di menzogne e di morte
Scritto il 10/1/17 • nella Categoria: idee Condividi
Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria.
Incontro da cui erano esclusi gli Stati uniti.
Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton.
Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama.
Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.
Ciò ha impedito che lo Stato siriano fosse smantellato come quello libico e ha permesso alle forze governative di liberare vaste aree controllate per anni da Isis, Al Nusra e altri movimenti terroristici funzionali alla strategia Usa-Nato.
Riforniti di armi, pagate con miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie, attraverso una rete internazionale della Cia (documentata dal “New York Times” nel marzo 2013) che le faceva arrivare in Siria attraverso la Turchia, avamposto Nato nella regione.
Ora però, di fronte all’evidente fallimento dell’operazione, costata centinaia di migliaia di morti, Ankara se ne tira fuori aprendo un negoziato con l’intento di ricavarne il massimo vantaggio possibile.
A tal fine ricuce i rapporti con Mosca, che erano giunti al punto di rottura, e prende le distanze da Washington.
Uno smacco per il presidente Obama.
Questi, però, prima di passare il bastone di comando al neoeletto Trump, spara le ultime cartucce.
Nascosta nelle pieghe dell’autorizzazione della spesa militare 2017, firmata dal presidente, c’è la legge per «contrastare la disinformazione e propaganda straniere», attribuite in particolare a Russia e Cina, la quale conferisce ulteriori poteri alla tentacolare comunità di intelligence, formata da 17 agenzie federali.
Grazie anche a uno stanziamento di 19 miliardi di dollari per la “cybersicurezza”, esse possono mettere a tacere qualsiasi fonte di «false notizie», a insindacabile giudizio di un apposito “Centro” coadiuvato da analisti, giornalisti e altri «esperti» reclutati all’estero.
Diviene realtà l’orwelliano Ministero della Verità che, preannuncia il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, dovrebbe essere istituito anche dalla Ue.
Escono potenziate dall’amministrazione Obama anche le forze speciali, che hanno esteso le loro operazioni coperte da 75 paesi nel 2010 a 135 nel 2015.
Nei suoi atti conclusivi l’amministrazione Obama ha ribadito il 15 dicembre il proprio appoggio a Kiev, di cui arma e addestra le forze, compresi i battaglioni neonazisti, per combattere i russi di Ucraina.
E il 20 dicembre, in funzione anti-russa, il Pentagono ha deciso la fornitura alla Polonia di missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari.
Del democratico Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, resta ai posteri il suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».
(Manlio Dinucci, “L’eredità del democratico Barack Obama”, da “Il Manifesto” del 3 gennaio 2017).
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Re: “Il ministero della Verità”
10 gen 2017 16:38
ERMES MAIOLICA IN CATTEDRA! IL RE DELLE BUFALE SUL WEB È STATO CHIAMATO PURE DALL'UNIVERSITÀ BICOCCA DI MILANO: "DIFFONDO NOTIZIE FALSE SUL WEB PER FARE ESPERIMENTI SOCIOLOGICI: LA MIGLIORE? QUANDO DISSI CHE PUTIN SAREBBE ANDATO A LIBERARE I MARÒ. HO FATTO INCAZZA’ PURE RENZI
- LA MOGLIE DI BRUNETTA? UNA GRAN TROLL, LA ASSUMEREI"
Andrea Tempestini per “Libero quotidiano”
«Una gran troll! La assumerei per far coppia: io e la moglie de Brunetta, sarebbe ganzo. Due insospettabili. Pensa un po': il peggior fabbricatore di notizie virali false è un operaio con la terza media e la regina di tutti i troll è la moglie di un deputato. È il bello della rete, non sai mai chi ce sta dietro».
Parla Ermes Maiolica, anni 33, orgogliosissimo accento umbro e il vero nome nascosto da una sorta di segreto professionale: «Mmmh Meglio non scriverlo, sennò tutti me contattano sull' altro profilo. Mica per altro». Nota per il lettore: il "troll" nel gergo di internet è un qualcuno, anonimo o sotto falsa identità, che infiamma le discussioni digitali con provocazioni e, alla bisogna, insulti.
Qualcosa di simile a Beatrice Di Maio, la "grillina" e fervente anti-renziana dietro a cui si nascondeva Titti Brunetta (smascherata lo scorso novembre dal nostro Franco Bechis).
Mister Maiolica, però, non è soltanto (o propriamente) un troll.
Di professione fa il metalmeccanico a Terni e negli anni si è guadagnato l' etichetta di "re delle bufale": fabbrica notizie (palesemente) false, le mette online, le persone se le bevono e solitamente scoppia un casino. Questo il format. Fu lui ad inventarsi la notizia (balla) su Volkswagen che avrebbe regalato 800mila Golf nel giorno di San Valentino e quella di Umberto Eco (peccato fosse già morto) che al referendum avrebbe votato Sì.
Tra le pernacchie quella su Agnese Renzi, la ex first lady che nell' immaginifico mondo di Ermes aveva annunciato: «Caro Matteo, mi dispiace ma anche io voto no al referendum».
Risultato? È stata la "notizia" più condivisa sui social di tutta la campagna referendaria: per il web - o almeno, per una parte - era diventata una sostanziale verità.
Senti, ma internet fa schifo?
«È 'na domanda?».
Già
«Allora te rispondo di no. Io ho una visione ottimistica. È un mezzo relativamente nuovo, la gente deve imparare a interagire un po' meglio. Le persone si creano una maschera, non capiscono cos' è reale e cosa no, magari credono alle bufale perché non hanno niente da perdere.
È un fatto di tempo, di educazione: i nonni della mia ex ragazza raccontavano sempre 'sta storia, che quando andavo a lavà i panni mi dovevo fare accompagnare da un adulto perché alla fontana ce stava il lupo mannaro. Vai ora a chiedere a un ragazzo del Paese se ce sta il lupo mannaro. Insomma, tra trent' anni i giovani ci prenderanno in giro perché eravamo così creduloni su internet».
Ma intanto Pitruzzella vuole creare una sorta di commissione anti-bufale che ripulisca il web.
«Una follia: è come fare la chemio a uno con l' influenza, non ce n' è bisogno. La persone stanno cambiando, sono già meno credulone di prima».
A Pitruzzella risponde Grillo, che vuole una giuria popolare per giudicare le bufale dei giornali. Che ne pensi?
«Altra follia. Credo che neppure Grillo sia così matto da crederci. Lui, semmai, vuole curare l' influenza facendo dormire le persone in strada: oppone la creduloneria alla creduloneria. Se era una provocazione è riuscita male, se è una strategia peggio ancora: come la costituisce 'sta commissione? Non lo ha preso sul serio nessuno, me pare».
Non credi che Grillo abbia reagito al fatto che, nei giorni della cosiddetta "post-verità", sono finiti nel mirino tutti i siti della sua galassia?
«È possibile, anche se bisogna sempre dividere il M5s e la Casaleggio Associati».
Se provoco e dico che il M5s ha costruito il successo politico su bufale e trollaggio...
«Ti rispondo che il Movimento è stato creato da un' agenzia di marketing, quindi certe dinamiche sono più normali. Ma più che parlare di bufale direi che i loro siti disinformano. Mettiamola così: i grillini sono onesti, ma trasparenti per niente».
Torniamo allo strepitoso successo della bufala su Agnese: eri più contento o turbato?
«Beh, m' ha spaventato e divertito: non voglio fare politica, i miei sono esperimenti sociologici.
Non pensavo potesse avere questo successo: era pacchiana, fatta malissimo, l' ho pubblicata per gioco. È stato assurdo, soprattutto vedere Renzi che la smentiva in diretta dalla Camera».
Tu mi parli di esperimenti sociologici: vuoi dimostrare quanto siamo fessi?
«Sìsì. Non solo voi, anche io non scherzo. Riesco a dimostrare come siamo fragili: persone, giornalisti, istituzioni».
Come te le inventi?
«Fabbricare una bufala è una performance artistica: devo studià i comportamenti, trovare il nervo scoperto della società. Addirittura so' arrivato a fa incazzà il premier, io».
Ti senti vagamente responsabile per il tracollo di Renzi?
«Nooo. Queste bufale non spostano voti: so' talmente assurde che vengono smentite subito».
C' è chi sostiene che Trump grazie alle notizie false sia alla Casa Bianca.
«Impossibile abbia vinto per i bufalari. Non può essere vero».
Eppure l' idea che Hillary Clinton sia malata, di fatto mai confermata, è rimasta in testa un po' a tutti.
«Vero, quella è una bufala che può funzionare: è studiata bene. Non come le mie, che sono goliardiche. Lei avrebbe dovuto smentire subito, con forza: non lo ha fatto ed è rimasta nell' immaginario collettivo».
Bufale da evitare?
«Quelle razziste: riescono a indirizzare i voti e fanno bei danni».
Tu hai detto che con le tue balle non ci guadagni un euro: confermi?
«Ho sempre rifiutato ogni compenso economico. Non c' è alcuna pubblicità nelle mie bufale, nessun banner né niente».
Ma nel frattempo sei diventato famoso: sei seguitissimo sui social, vai in radio e in televisione. Ti attrae la celebrità?
«Per niente, non è l' ambiente mio. So' timido, poi ho la parlata ternana che se sente tantissimo. Il fatto che mi chiamino e mi intervistino mi mette n' ansia da prestazione che non hai idea: mi hanno pure fatto parlare all' università Bicocca di Milano non sono mica una rockstar. Sono un bufalaro: non ho i fan, è molta di più la gente a cui sto sulle palle. Infatti adesso me ritiro».
Scusa?
«Sìsì. Tutti gli anni faccio il botto e poi sparisco. L' anno scorso la Volkswagen, questa volta Agnese. Resto attivo un paio di mesi all' anno, non di più».
La bufala di cui sei più orgoglioso?
«Quando dissi che Putin sarebbe andato a liberare i marò. Ci sono cascati tutti: siti di giornali, siti istituzionali, marina militare, carabinieri, polizia. Pure Giulio Terzi, che era ministro, smentì la notizia. Poi anche quella su Volkswagen: le persone dovevano condividere il post e scrivere di che colore volevano ricevere l' auto. Quando l' ho rivisto, il telefono era impazzito: avevo 180mila notifiche».
Una che non rifaresti?
«Di sicuro quella su Teo Mammucari: ho creato un danno alla sua immagine (la bufala raccontava che era stato arrestato per il possesso di 7 grammi di cocaina, ndr). Ma non è stata colpa mia, la notizia non era granché virale: è diventata vera quando Le Iene l' hanno smentita. Capito come funziona la comunicazione? È un discorso strano, perverso».
Querele o minacce ne hai subite?
«Diffide. Ancora non sono mai entrato in causa: le bufale le smentisco il giorno stesso e mi faccio avanti, mica me nascondo. Se diventano virali avverto i giornali, nel caso addirittura cancello tutto: così non ce stanno manco le prove». Vip che si sono incazzati?
«M' ha scritto l' avvocato di Antonella Clerici, poi Maurizio Costanzo RaiNews24 mi ha consegnato una lettera di tre pagine perché ho usato il loro logo. Comunque per ora me la sono sempre cavata perché tanto non c' ho 'na lira. Chi se la prende con me rischia di rimetterci pure: non ho niente di proprietà, solo lo stipendio da operaio».
La politica ti appassiona?
«Sinceramente no: so' de sinistra, ma non un attivista».
Alle prossime politiche cosa voti?
«E chi c' è?».
Bella domanda.
«De sicuro a sinistra. Ma non questo centrosinistra».
Tra cinque anni cosa farai?
«Spero di continuare a vivere a Terni, che la mia azienda resista alla crisi e di avere ancora un lavoro. Vorrei continuare a fare l' operaio e avere un figlio con la mia compagna».
Basta bufale?
«Non credo che ne farò ancora.
Magari me sarò inventato altri modi, qualcosa di diverso. Chissà». riproduzione riservata Ermes Maiolica, autore di molti finti scoop: dal crollo di un ponte sulla Salerno Reggio il giorno dopo l' inaugurazione, all' outing di Agnese Renzi per il "no".
ERMES MAIOLICA IN CATTEDRA! IL RE DELLE BUFALE SUL WEB È STATO CHIAMATO PURE DALL'UNIVERSITÀ BICOCCA DI MILANO: "DIFFONDO NOTIZIE FALSE SUL WEB PER FARE ESPERIMENTI SOCIOLOGICI: LA MIGLIORE? QUANDO DISSI CHE PUTIN SAREBBE ANDATO A LIBERARE I MARÒ. HO FATTO INCAZZA’ PURE RENZI
- LA MOGLIE DI BRUNETTA? UNA GRAN TROLL, LA ASSUMEREI"
Andrea Tempestini per “Libero quotidiano”
«Una gran troll! La assumerei per far coppia: io e la moglie de Brunetta, sarebbe ganzo. Due insospettabili. Pensa un po': il peggior fabbricatore di notizie virali false è un operaio con la terza media e la regina di tutti i troll è la moglie di un deputato. È il bello della rete, non sai mai chi ce sta dietro».
Parla Ermes Maiolica, anni 33, orgogliosissimo accento umbro e il vero nome nascosto da una sorta di segreto professionale: «Mmmh Meglio non scriverlo, sennò tutti me contattano sull' altro profilo. Mica per altro». Nota per il lettore: il "troll" nel gergo di internet è un qualcuno, anonimo o sotto falsa identità, che infiamma le discussioni digitali con provocazioni e, alla bisogna, insulti.
Qualcosa di simile a Beatrice Di Maio, la "grillina" e fervente anti-renziana dietro a cui si nascondeva Titti Brunetta (smascherata lo scorso novembre dal nostro Franco Bechis).
Mister Maiolica, però, non è soltanto (o propriamente) un troll.
Di professione fa il metalmeccanico a Terni e negli anni si è guadagnato l' etichetta di "re delle bufale": fabbrica notizie (palesemente) false, le mette online, le persone se le bevono e solitamente scoppia un casino. Questo il format. Fu lui ad inventarsi la notizia (balla) su Volkswagen che avrebbe regalato 800mila Golf nel giorno di San Valentino e quella di Umberto Eco (peccato fosse già morto) che al referendum avrebbe votato Sì.
Tra le pernacchie quella su Agnese Renzi, la ex first lady che nell' immaginifico mondo di Ermes aveva annunciato: «Caro Matteo, mi dispiace ma anche io voto no al referendum».
Risultato? È stata la "notizia" più condivisa sui social di tutta la campagna referendaria: per il web - o almeno, per una parte - era diventata una sostanziale verità.
Senti, ma internet fa schifo?
«È 'na domanda?».
Già
«Allora te rispondo di no. Io ho una visione ottimistica. È un mezzo relativamente nuovo, la gente deve imparare a interagire un po' meglio. Le persone si creano una maschera, non capiscono cos' è reale e cosa no, magari credono alle bufale perché non hanno niente da perdere.
È un fatto di tempo, di educazione: i nonni della mia ex ragazza raccontavano sempre 'sta storia, che quando andavo a lavà i panni mi dovevo fare accompagnare da un adulto perché alla fontana ce stava il lupo mannaro. Vai ora a chiedere a un ragazzo del Paese se ce sta il lupo mannaro. Insomma, tra trent' anni i giovani ci prenderanno in giro perché eravamo così creduloni su internet».
Ma intanto Pitruzzella vuole creare una sorta di commissione anti-bufale che ripulisca il web.
«Una follia: è come fare la chemio a uno con l' influenza, non ce n' è bisogno. La persone stanno cambiando, sono già meno credulone di prima».
A Pitruzzella risponde Grillo, che vuole una giuria popolare per giudicare le bufale dei giornali. Che ne pensi?
«Altra follia. Credo che neppure Grillo sia così matto da crederci. Lui, semmai, vuole curare l' influenza facendo dormire le persone in strada: oppone la creduloneria alla creduloneria. Se era una provocazione è riuscita male, se è una strategia peggio ancora: come la costituisce 'sta commissione? Non lo ha preso sul serio nessuno, me pare».
Non credi che Grillo abbia reagito al fatto che, nei giorni della cosiddetta "post-verità", sono finiti nel mirino tutti i siti della sua galassia?
«È possibile, anche se bisogna sempre dividere il M5s e la Casaleggio Associati».
Se provoco e dico che il M5s ha costruito il successo politico su bufale e trollaggio...
«Ti rispondo che il Movimento è stato creato da un' agenzia di marketing, quindi certe dinamiche sono più normali. Ma più che parlare di bufale direi che i loro siti disinformano. Mettiamola così: i grillini sono onesti, ma trasparenti per niente».
Torniamo allo strepitoso successo della bufala su Agnese: eri più contento o turbato?
«Beh, m' ha spaventato e divertito: non voglio fare politica, i miei sono esperimenti sociologici.
Non pensavo potesse avere questo successo: era pacchiana, fatta malissimo, l' ho pubblicata per gioco. È stato assurdo, soprattutto vedere Renzi che la smentiva in diretta dalla Camera».
Tu mi parli di esperimenti sociologici: vuoi dimostrare quanto siamo fessi?
«Sìsì. Non solo voi, anche io non scherzo. Riesco a dimostrare come siamo fragili: persone, giornalisti, istituzioni».
Come te le inventi?
«Fabbricare una bufala è una performance artistica: devo studià i comportamenti, trovare il nervo scoperto della società. Addirittura so' arrivato a fa incazzà il premier, io».
Ti senti vagamente responsabile per il tracollo di Renzi?
«Nooo. Queste bufale non spostano voti: so' talmente assurde che vengono smentite subito».
C' è chi sostiene che Trump grazie alle notizie false sia alla Casa Bianca.
«Impossibile abbia vinto per i bufalari. Non può essere vero».
Eppure l' idea che Hillary Clinton sia malata, di fatto mai confermata, è rimasta in testa un po' a tutti.
«Vero, quella è una bufala che può funzionare: è studiata bene. Non come le mie, che sono goliardiche. Lei avrebbe dovuto smentire subito, con forza: non lo ha fatto ed è rimasta nell' immaginario collettivo».
Bufale da evitare?
«Quelle razziste: riescono a indirizzare i voti e fanno bei danni».
Tu hai detto che con le tue balle non ci guadagni un euro: confermi?
«Ho sempre rifiutato ogni compenso economico. Non c' è alcuna pubblicità nelle mie bufale, nessun banner né niente».
Ma nel frattempo sei diventato famoso: sei seguitissimo sui social, vai in radio e in televisione. Ti attrae la celebrità?
«Per niente, non è l' ambiente mio. So' timido, poi ho la parlata ternana che se sente tantissimo. Il fatto che mi chiamino e mi intervistino mi mette n' ansia da prestazione che non hai idea: mi hanno pure fatto parlare all' università Bicocca di Milano non sono mica una rockstar. Sono un bufalaro: non ho i fan, è molta di più la gente a cui sto sulle palle. Infatti adesso me ritiro».
Scusa?
«Sìsì. Tutti gli anni faccio il botto e poi sparisco. L' anno scorso la Volkswagen, questa volta Agnese. Resto attivo un paio di mesi all' anno, non di più».
La bufala di cui sei più orgoglioso?
«Quando dissi che Putin sarebbe andato a liberare i marò. Ci sono cascati tutti: siti di giornali, siti istituzionali, marina militare, carabinieri, polizia. Pure Giulio Terzi, che era ministro, smentì la notizia. Poi anche quella su Volkswagen: le persone dovevano condividere il post e scrivere di che colore volevano ricevere l' auto. Quando l' ho rivisto, il telefono era impazzito: avevo 180mila notifiche».
Una che non rifaresti?
«Di sicuro quella su Teo Mammucari: ho creato un danno alla sua immagine (la bufala raccontava che era stato arrestato per il possesso di 7 grammi di cocaina, ndr). Ma non è stata colpa mia, la notizia non era granché virale: è diventata vera quando Le Iene l' hanno smentita. Capito come funziona la comunicazione? È un discorso strano, perverso».
Querele o minacce ne hai subite?
«Diffide. Ancora non sono mai entrato in causa: le bufale le smentisco il giorno stesso e mi faccio avanti, mica me nascondo. Se diventano virali avverto i giornali, nel caso addirittura cancello tutto: così non ce stanno manco le prove». Vip che si sono incazzati?
«M' ha scritto l' avvocato di Antonella Clerici, poi Maurizio Costanzo RaiNews24 mi ha consegnato una lettera di tre pagine perché ho usato il loro logo. Comunque per ora me la sono sempre cavata perché tanto non c' ho 'na lira. Chi se la prende con me rischia di rimetterci pure: non ho niente di proprietà, solo lo stipendio da operaio».
La politica ti appassiona?
«Sinceramente no: so' de sinistra, ma non un attivista».
Alle prossime politiche cosa voti?
«E chi c' è?».
Bella domanda.
«De sicuro a sinistra. Ma non questo centrosinistra».
Tra cinque anni cosa farai?
«Spero di continuare a vivere a Terni, che la mia azienda resista alla crisi e di avere ancora un lavoro. Vorrei continuare a fare l' operaio e avere un figlio con la mia compagna».
Basta bufale?
«Non credo che ne farò ancora.
Magari me sarò inventato altri modi, qualcosa di diverso. Chissà». riproduzione riservata Ermes Maiolica, autore di molti finti scoop: dal crollo di un ponte sulla Salerno Reggio il giorno dopo l' inaugurazione, all' outing di Agnese Renzi per il "no".
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Re: “Il ministero della Verità”
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Cancellare i fatti: Obama e il nuovo Ministero della Verità
Scritto il 16/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Vi ricordate il ritornello della canzone di Battiato di vent’anni fa? Strani giorni, viviamo strani giorni… Beh, quei giorni saranno stati forse strani, ma mai come quelli che stiamo vivendo oggi, dove la sovrabbondanza di notizie e la manipolazione incessante da parte dei media fa in modo che la gente non recepisca il ‘peso specifico’ di una notizia rispetto alle altre. Manipolare le coscienze non è solo scrivere il falso o negare il vero; basta semplicemente dare ad una notizia di importanza del tutto trascurabile lo stesso ‘peso’ (corpo tipografico o tempo dedicato nei Tg) di un fatto di grande rilevanza. Questa manipolazione costante produce nel lettore/spettatore una perdita di riferimento, un disorientamento della coscienza; è come se rispetto alla nostra vita noi dessimo pari importanza ad un mal di pancia rispetto ad un ictus. O, meglio, come se interpretassimo i sintomi dell’ictus con la stessa leggerezza con cui osserviamo quelli del mal di pancia… In effetti, i sintomi di questi strange days ci sono tutti, se solo li guardassimo con attenzione, senza farci disorientare da chi ci dovrebbe orientare, vale a dire dai media. A cosa mi riferisco?
Prima di tutto all’ultima trovata delle governance mondiali e dei loro “presstitutes” (geniale sintesi che definisce la stampa prostituita al potere) vale a dire la crociata contro le fake news o post-verità, che via web rappresenterebbero una minaccia per le istituzioni. Pensate che il termine originale inglese, post-truth, è stato eletto parola dell’anno 2016 dall’Oxford Dictionary! Queste fake news irritano così tanto l’establishment che da diverse parti si invoca addirittura una sorta di commissione di controllo sulle opinioni espresse in rete. Un Ministero della Verità, insomma, di orwelliana memoria. Ora, considerando la costante e instancabile manipolazione che i mezzi d’informazione esercitano da sempre sull’opinione pubblica attraverso menzogne, falsificazioni dei fatti, mezze verità e fantasie, fa davvero sorridere che si identifichi nelle bufale – indubitabilmente presenti in rete – un rischio per la democrazia. Il fatto è che fino a poco tempo fa il fenomeno del cosiddetto ‘complottismo’ era confinato ad una nicchia di persone che iniziavano a fiutare odore di marcio proveniente dai media e cercavano quindi – visti i mezzi messi a disposizione dalla rete – di capire meglio certe situazioni quando i conti proprio non tornavano.
Il fact-checking ha permesso allora a milioni di utenti del web di smascherare le vere e proprie bufale messe in onda dalle televisioni di mezzo mondo. Ma ad un certo punto, questo fenomeno del complottismo, della Conspiracy Theory, ha iniziato a diffondersi sempre di più, tracimando dalla rete ed entrando anche nei salotti buoni dei media mainstream. Fenomeno naturalmente irriso, denigrato e oggi criminalizzato. Certamente grazie anche a tutte le reali bufale presenti sul web, inserite ad arte da falsi idioti o da idioti autentici. Così Obama ha iniziato a fare pressioni su Google e Facebook che dovrebbero – a suo dire – esercitare un controllo su notizie false o presunte tali diffuse in rete. Ora, se i mezzi d’informazione ufficiali diffondessero sempre e solo notizie vere la preoccupazione del presidente americano uscente avrebbe una qualche credibilità ma, dato che è vero esattamente il contrario, questa operazione ha proprio l’aria di un intervento a gamba tesa su tutte quelle comunità virtuali che, collegate tra loro, iniziano a nutrire seri dubbi sulle versioni ufficiali. Pensate che io esageri affermando che “è vero esattamente il contrario”? Bene, allora state a sentire, e parlo solo delle fake news più recenti messe in giro dai media.
Negli ultimi mesi i mezzi d’informazione del cosiddetto ‘mondo libero’ hanno ripetuto incessantemente che vi erano tra 250 mila e 300 mila civili intrappolati tutto i bombardamenti russi e siriani ad Aleppo Est, nonostante che le fonti d’informazioni siriane avessero più volte ribadito che il numero delle persone intrappolate non superava un terzo di quella cifra. Ebbene, una volta liberata la parte orientale di Aleppo è emerso che il numero dei civili che erano stati bloccati era inferiore alle 90 mila unità. Pensate che i media occidentali si siano peritati di riconoscere l’errore? No, neppure una riga. L’affermazione secondo la quale hacker russi avrebbero cercato di influenzare le elezioni americane è stata smentita sia da Assange che da Craig Murray – ex ambasciatore inglese in Uzbekistan che si è giocato la carriera quando ha accusato la Cia di complicità nelle torture nell’ex-repubblica sovietica – che ha fatto risalire a due fonti americane, una delle quali ha incontrato personalmente, il leak delle email che hanno inguaiato la Clinton. Risultato? Nessuno: Assange e Murray sono stati definiti spie russe. Così il presidente Obama ha appena firmato una legge di Difesa Nazionale che prevede un investimento di 160 milioni di dollari per nuove operazioni di propaganda Usa, dichiaratamente intese a contrastare la “propaganda russa”.
Altre due prove di disinformazione da parte dei media: il risultato delle elezioni presidenziali americane e la Brexit. Nel primo caso non c’è stato un solo mezzo di informazione che non abbia ripetuto ad nauseam che non c’erano dubbi sulla vittoria della Killary. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Quanto a Brexit (anch’essa data per inverosimile) le catastrofiche previsioni della vigilia sono state – a oltre sei mesi di distanza – ampiamente contraddette dai fatti. Mentre la quasi totalità degli economisti profetizzavano una flessione immediata, con relativi crolli di Borsa, l’economia britannica è cresciuta negli ultimi mesi, registrando un incremento del Pil rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6% nei primi due trimestri del 2016, e dello 0,6% e dello 0,5% negli ultimi due, vale a dire nel semestre successivo all’esito del referendum grazie al quale il Regno Unito è uscito dalla Ue. Che ne dite, ci sono o no buoni motivi per diffidare delle fake news dei media?
Ma i mezzi ufficiali d’informazione non ne vogliono sapere – loro non possono sbagliare per definizione – e così oggi ci troviamo di fronte ad una prima spinta censoria mirata direttamente a ostacolare quella libertà di pensiero e di espressione che oggi inizia a preoccupare l’establishment. Il quale non si sporca le mani con divieti palesi ma subdolamente e vigliaccamente interviene su motori di ricerca e social media. Ora, se il loro obiettivo fosse raggiunto, la ratio menzogna/verità dipenderebbe non dalla nostra personale indagine, ma da un algoritmo. In sostanza da una macchina. Questo non vi dice nulla? La seconda questione che mi riporta agli strange days è collegata ad alcuni avvenimenti la cui estrema gravità è passata – e continua a passare – quasi inosservata. Mi riferisco agli eventi che hanno contrassegnato le ultime elezioni americane. Ora, quanto è avvenuto e sta avvenendo sull’altra riva dell’Atlantico è qualcosa di assolutamente nuovo nella storia americana. Mai, neppure nei periodi peggiori della guerra fredda con l’allora Unione Sovietica si è visto un tale palese odio e disprezzo verso la Russia come quello che oggi dilaga sui media americani.
Neppure nei giorni più oscuri del trentennio che va dagli anni ’50 agli ’80 presidenti come Eisenhower, Nixon, Reagan si sono rivolti ad un presidente russo con termini come quelli che oggi usano politici come Obama, la Clinton, McCain, Clapper. Quell’Obama, su cui ironizza Ron Paul affermando che il Premio Nobel per la pace è il giusto riconoscimento per un presidente che ha bombardato 7 nazioni ed è stato il primo nella storia degli Stati Uniti ad essere stato in guerra ogni singolo giorno dei suoi otto anni di mandato. Mai una elezione fu così piena di colpi bassi come questa che ha portato The Donald alla Casa Bianca. Mai – anche se è risaputo che vi sono delle aspre rivalità tra i servizi di intelligence Usa – si era verificato uno scontro aperto tra Cia e Fbi come quello che abbiamo sotto gli occhi oggi. E ancora: mai un presidente eletto aveva pubblicamente screditato le motivazioni dei rapporti di intelligence di una delle più potenti strutture di potere come la Cia, affermando che alla base della conferma del presunto hackeraggio da parte dei russi che avrebbero influenzato le elezioni americane ci sono solo “ragioni politiche”.
Si tratta di macro-eventi che indicano un cambio globale nella direzione che l’establishment americano sta imboccando, evidentemente obtorto collo. Un cambio di rotta che non viene digerito dalle strutture di potere consolidato che cercano freneticamente di intralciare e sabotare la nuova direzione della Casa Bianca. In tale chiave va vista l’ultima aggressione verbale a Putin con relativa espulsione di diplomatici. E i media mainstream come si sono comportati di fronte a questi veri e propri terremoti politici globali? Minimizzando la magnitudo degli eventi e distogliendo l’attenzione della gente dalle enormi implicazioni a livello mondiale. Attraverso delle vere e proprie armi di distrazione di massa, dunque. Ma al tempo stesso si fanno megafono di una chiamata alle armi contro le fake news. Quelle degli altri, naturalmente.
(Piero Cammerinesi, “Strange days”, riflessione pubblicata da “Altrogiornale” il 12 gennaio 2017).
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Prima di tutto all’ultima trovata delle governance mondiali e dei loro “presstitutes” (geniale sintesi che definisce la stampa prostituita al potere) vale a dire la crociata contro le fake news o post-verità, che via web rappresenterebbero una minaccia per le istituzioni. Pensate che il termine originale inglese, post-truth, è stato eletto parola dell’anno 2016 dall’Oxford Dictionary! Queste fake news irritano così tanto l’establishment che da diverse parti si invoca addirittura una sorta di commissione di controllo sulle opinioni espresse in rete. Un Ministero della Verità, insomma, di orwelliana memoria. Ora, considerando la costante e instancabile manipolazione che i mezzi d’informazione esercitano da sempre sull’opinione pubblica attraverso menzogne, falsificazioni dei fatti, mezze verità e fantasie, fa davvero sorridere che si identifichi nelle bufale – indubitabilmente presenti in rete – un rischio per la democrazia. Il fatto è che fino a poco tempo fa il fenomeno del cosiddetto ‘complottismo’ era confinato ad una nicchia di persone che iniziavano a fiutare odore di marcio proveniente dai media e cercavano quindi – visti i mezzi messi a disposizione dalla rete – di capire meglio certe situazioni quando i conti proprio non tornavano.
Il fact-checking ha permesso allora a milioni di utenti del web di smascherare le vere e proprie bufale messe in onda dalle televisioni di mezzo mondo. Ma ad un certo punto, questo fenomeno del complottismo, della Conspiracy Theory, ha iniziato a diffondersi sempre di più, tracimando dalla rete ed entrando anche nei salotti buoni dei media mainstream. Fenomeno naturalmente irriso, denigrato e oggi criminalizzato. Certamente grazie anche a tutte le reali bufale presenti sul web, inserite ad arte da falsi idioti o da idioti autentici. Così Obama ha iniziato a fare pressioni su Google e Facebook che dovrebbero – a suo dire – esercitare un controllo su notizie false o presunte tali diffuse in rete. Ora, se i mezzi d’informazione ufficiali diffondessero sempre e solo notizie vere la preoccupazione del presidente americano uscente avrebbe una qualche credibilità ma, dato che è vero esattamente il contrario, questa operazione ha proprio l’aria di un intervento a gamba tesa su tutte quelle comunità virtuali che, collegate tra loro, iniziano a nutrire seri dubbi sulle versioni ufficiali. Pensate che io esageri affermando che “è vero esattamente il contrario”? Bene, allora state a sentire, e parlo solo delle fake news più recenti messe in giro dai media.
Negli ultimi mesi i mezzi d’informazione del cosiddetto ‘mondo libero’ hanno ripetuto incessantemente che vi erano tra 250 mila e 300 mila civili intrappolati tutto i bombardamenti russi e siriani ad Aleppo Est, nonostante che le fonti d’informazioni siriane avessero più volte ribadito che il numero delle persone intrappolate non superava un terzo di quella cifra. Ebbene, una volta liberata la parte orientale di Aleppo è emerso che il numero dei civili che erano stati bloccati era inferiore alle 90 mila unità. Pensate che i media occidentali si siano peritati di riconoscere l’errore? No, neppure una riga. L’affermazione secondo la quale hacker russi avrebbero cercato di influenzare le elezioni americane è stata smentita sia da Assange che da Craig Murray – ex ambasciatore inglese in Uzbekistan che si è giocato la carriera quando ha accusato la Cia di complicità nelle torture nell’ex-repubblica sovietica – che ha fatto risalire a due fonti americane, una delle quali ha incontrato personalmente, il leak delle email che hanno inguaiato la Clinton. Risultato? Nessuno: Assange e Murray sono stati definiti spie russe. Così il presidente Obama ha appena firmato una legge di Difesa Nazionale che prevede un investimento di 160 milioni di dollari per nuove operazioni di propaganda Usa, dichiaratamente intese a contrastare la “propaganda russa”.
Altre due prove di disinformazione da parte dei media: il risultato delle elezioni presidenziali americane e la Brexit. Nel primo caso non c’è stato un solo mezzo di informazione che non abbia ripetuto ad nauseam che non c’erano dubbi sulla vittoria della Killary. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Quanto a Brexit (anch’essa data per inverosimile) le catastrofiche previsioni della vigilia sono state – a oltre sei mesi di distanza – ampiamente contraddette dai fatti. Mentre la quasi totalità degli economisti profetizzavano una flessione immediata, con relativi crolli di Borsa, l’economia britannica è cresciuta negli ultimi mesi, registrando un incremento del Pil rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6% nei primi due trimestri del 2016, e dello 0,6% e dello 0,5% negli ultimi due, vale a dire nel semestre successivo all’esito del referendum grazie al quale il Regno Unito è uscito dalla Ue. Che ne dite, ci sono o no buoni motivi per diffidare delle fake news dei media?
Ma i mezzi ufficiali d’informazione non ne vogliono sapere – loro non possono sbagliare per definizione – e così oggi ci troviamo di fronte ad una prima spinta censoria mirata direttamente a ostacolare quella libertà di pensiero e di espressione che oggi inizia a preoccupare l’establishment. Il quale non si sporca le mani con divieti palesi ma subdolamente e vigliaccamente interviene su motori di ricerca e social media. Ora, se il loro obiettivo fosse raggiunto, la ratio menzogna/verità dipenderebbe non dalla nostra personale indagine, ma da un algoritmo. In sostanza da una macchina. Questo non vi dice nulla? La seconda questione che mi riporta agli strange days è collegata ad alcuni avvenimenti la cui estrema gravità è passata – e continua a passare – quasi inosservata. Mi riferisco agli eventi che hanno contrassegnato le ultime elezioni americane. Ora, quanto è avvenuto e sta avvenendo sull’altra riva dell’Atlantico è qualcosa di assolutamente nuovo nella storia americana. Mai, neppure nei periodi peggiori della guerra fredda con l’allora Unione Sovietica si è visto un tale palese odio e disprezzo verso la Russia come quello che oggi dilaga sui media americani.
Neppure nei giorni più oscuri del trentennio che va dagli anni ’50 agli ’80 presidenti come Eisenhower, Nixon, Reagan si sono rivolti ad un presidente russo con termini come quelli che oggi usano politici come Obama, la Clinton, McCain, Clapper. Quell’Obama, su cui ironizza Ron Paul affermando che il Premio Nobel per la pace è il giusto riconoscimento per un presidente che ha bombardato 7 nazioni ed è stato il primo nella storia degli Stati Uniti ad essere stato in guerra ogni singolo giorno dei suoi otto anni di mandato. Mai una elezione fu così piena di colpi bassi come questa che ha portato The Donald alla Casa Bianca. Mai – anche se è risaputo che vi sono delle aspre rivalità tra i servizi di intelligence Usa – si era verificato uno scontro aperto tra Cia e Fbi come quello che abbiamo sotto gli occhi oggi. E ancora: mai un presidente eletto aveva pubblicamente screditato le motivazioni dei rapporti di intelligence di una delle più potenti strutture di potere come la Cia, affermando che alla base della conferma del presunto hackeraggio da parte dei russi che avrebbero influenzato le elezioni americane ci sono solo “ragioni politiche”.
Si tratta di macro-eventi che indicano un cambio globale nella direzione che l’establishment americano sta imboccando, evidentemente obtorto collo. Un cambio di rotta che non viene digerito dalle strutture di potere consolidato che cercano freneticamente di intralciare e sabotare la nuova direzione della Casa Bianca. In tale chiave va vista l’ultima aggressione verbale a Putin con relativa espulsione di diplomatici. E i media mainstream come si sono comportati di fronte a questi veri e propri terremoti politici globali? Minimizzando la magnitudo degli eventi e distogliendo l’attenzione della gente dalle enormi implicazioni a livello mondiale. Attraverso delle vere e proprie armi di distrazione di massa, dunque. Ma al tempo stesso si fanno megafono di una chiamata alle armi contro le fake news. Quelle degli altri, naturalmente.
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Re: “Il ministero della Verità”
FORSE, PER UN CERTO TIPO DI ITALIA, IL MINISTERO DELLA VERITA' CI VORREBBE PER METTERE FINE AGLI INTRALLAZZI DEI TRAFFICONI
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Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Scritto il 15/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.
Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.
L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.
(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).
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Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Scritto il 15/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.
Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.
L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.
(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).
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Re: “Il ministero della Verità”
Ddl contro false notizie, Ciccone: “Il web non ha regole? È ‘fake news’. Serve educazione, non censura”
di Eleonora Bianchini | 18 febbraio 2017
Media & Regime
La fondatrice del Festival del Giornalismo di Perugia critica punto per punto il ddl presentato al Senato contro le false informazioni pubblicate in rete. "Dal testo traspare un istinto illiberale. Bisogna imparare a 'leggere' le notizie. Ma la disinformazione è sempre esistita. E mi sembra sia diventata un problema da quando Trump ha vinto"
di Eleonora Bianchini | 18 febbraio 2017
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Più informazioni su: Donald Trump, Media, Senato
“Il problema non è tanto il ddl in sé, ormai, quanto il sottotesto culturale che ha portato a una bozza del genere. È per questo, in sostanza, che abbiamo deciso di prendere posizione. Il ddl in sé è estremamente fragile dal punto di vista della compatibilità con la Costituzione. Ma sarebbe sbagliato sottovalutare questo tentativo solo perché contraddittorio e fallace: bisogna tenere alta la guardia sull’assetto culturale che è alla base di quella proposta, con la quale dobbiamo fare i conti”. Arianna Ciccone, organizzatrice del Festival del Giornalismo di Perugia, parla del ddl contro le fake news presentato al Senato, che il blog collettivo da lei fondato – Valigia Blu – ha aspramente criticato punto per punto. “Dal testo emerge la scarsa competenza su questi temi da parte dei proponenti – prosegue – Come ha scritto Fabio Chiusi su Valigia Blu, emerge una concezione della Rete che porta alla demonizzazione, cercando così di irregimentare il web in modo da renderlo innocuo strumento di trasmissione del consenso, invece che un libero canale di espressione del dissenso”.
Scrivete anche che gli strumenti di contrasto esistono già e sono le norme vigenti. Ad esempio, contro la diffamazione. Perché il legislatore nel corso degli anni insiste con questa proposta rivolta su blog e forum?
Perché sfuggono le dinamiche della Rete e perché in definitiva emerge un istinto illiberale. Nel testo si legge: “…la libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell’ambito dell’informazione, vuol dire una notizia corretta a tutela degli utenti”. Questa frase è concettualmente pericolosa: chi decide cosa è corretto e cosa no, e chi controlla i controllori? La verità non può esser imposta per legge. Questo succede nei regimi autoritari. In Cina il problema lo hanno risolto, c’è solo la verità di Stato. È questo il modello a cui aspiriamo? Come ha splendidamente scritto Carlo Blengino (avvocato penalista, ndr): sulla verità non si legifera. Fino a quando ci sarà libertà di espressione, ci saranno bugie e falsità, da parte dei potenti e da parte degli utenti.
“La verità non può esser imposta per legge. Questo succede nei regimi autoritari. In Cina il problema lo hanno risolto, c’è solo la verità di Stato”
Ma già oggi le regole esistono.
Sì, sia online che offline. Ed è bene ribadirlo. La concezione di una Rete senza regole, così come dicono questi legislatori, è essa stessa una “fake news”. E quante volte abbiamo sentito politici dire che “il web è come il far west”? Bene, è un’espressione priva di fondamento.
Quali sono secondo te i punti più critici del testo?
Innanzitutto non c’è consenso unanime sulla definizione di fake news, che è un fenomeno complesso. La vulgata è che siano un fenomeno preoccupante, perché influiscono sul comportamento e sulla opinione delle persone. Ma evidenze scientifiche di questo concetto, ormai dato per scontato, non ci sono. Non sappiamo nemmeno quale sia la portata di questo fenomeno, e se davvero sia così impattante sul comportamento delle persone. Perché la propaganda politica, la disinformazione, il cattivo giornalismo non dovrebbero suscitare la stessa preoccupazione? E poi il testo presenta articoli che mettono insieme – e male – tutto. Primo: ammenda e carcere per chi diffonde false informazioni. Questo significa che è punibile anche chi in buona fede condivide un post o retweetta un contenuto che risulterà poi falso? E si specifica che le sanzioni riguardano anche informazioni che sono fuorvianti per l’opinione pubblica. Ma come si può stabilire in modo oggettivo cosa sia fuorviante? Il ddl prevede anche l’obbligo di registrazione alla sezione per la stampa di chi vuole aprire un sito. Ma questo vale anche per chi ha un profilo Facebook in cui parla di politica?. E vuole introdurre l’obbligo di rettifica senza possibilità di replica per i blog. E nel caso in cui la rettifica fosse falsa?
Si parla anche di diritto all’oblio.
Sì, riferito a contenuti diffamatori o irrilevanti, come se fossero la stessa cosa, che vanno rimossi da Internet. Così si affida ai gestori dei social una sorta di controllo preventivo. Ma chi controlla? E non ci ricorda forse le leggi-bavaglio? In più emerge la contrapposizione tra un giornalismo “tradizionale” buono e un web cattivo e inaffidabile. Questa banalizzazione è smentita quotidianamente. Ci sono buoni e cattivi esempi di giornalismo tradizionale, ci sono buoni e cattivi esempi di informazione digitale. E un altro esempio di impreparazione dei proponenti riguarda l’uso del termine whistleblower: chi svela segreti in nome della trasparenza e per il bene e interesse pubblico, nel testo vuole indicare chi sui social segnala irregolarità.
“È punibile anche chi in buona fede condivide un post o retweetta un contenuto che risulterà poi falso?”
Poniamo il caso che questo testo diventasse legge: potrebbe funzionare per contrastare le fake news?
Ovviamente no. Le fake news non si contrastano con la censura, ma con l’alfabetizzazione. Non si contrastano con la repressione. Ma rendendo i cittadini sempre più critici, attrezzati e consapevoli. È incredibile che a dircelo debba essere il fondatore e proprietario di Facebook, un’azienda privata (e sponsor del Festival Internazionale del Giornalismo, ndr) che ai politici che spingono per filtri preventivi e censura risponde: “Non è con la rimozione dei contenuti che si risolve ma rendendo sempre più competenti le persone”. È un discorso che mi sarei aspettata, anni fa, da qualche buon ministro dell’istruzione.
Se il legislatore volesse davvero essere efficace nella sua azione di contrasto contro la circolazione delle false informazioni in rete, chi dovrebbe colpire? E soprattutto: c’è qualcuno da colpire?
È una questione è di educazione e di alfabetizzazione ai media e alle news. I cittadini devono imparare ad acquisire un atteggiamento scettico verso l’informazione. Imparare a “leggere” le notizie, chiedersi se un contenuto è affidabile o meno. Alcune testate straniere stanno portando avanti da un lato intere sezioni dedicate alla verifica (che è alla base del buon giornalismo), dall’altro all’educazione (media literacy) in collaborazione con Università e scuole. Non dimentichiamo che la disinformazione è sempre esistita. Propaganda, false informazioni si sono sempre accompagnate alle “real news”. Oggi viviamo in un ecosistema informativo estremamente più ricco e complesso. E questo amplifica la capacità di diffusione delle fake news ma al tempo stesso anche delle real news. E la possibilità di smontare una notizia falsa e diffondere la sua versione corretta è più forte oggi rispetto al passato, quando a dominare c’era un sostanziale oligopolio mediatico. Dobbiamo occuparci di questo: di come riuscire come individui e comunità a gestire questa mole enorme di informazione, di come garantire alle persone la fruizione dei contenuti più diversi, che vanno oltre pregiudizi e abitudini individuali di consumo mediatico.
“Non dimentichiamo che la disinformazione è sempre esistita. Propaganda, false informazioni si sono sempre accompagnate alle real news”
Non dimentichiamo che c’è una forte esigenza da parte di siti e testate di fare clic, anche con contenuti di scarsa qualità.
Il problema è anche il modello di business che è alla base dell’informazione online: l’esigenza di traffico spinge a un’informazione sempre più mediocre e di basso costo ma che riesca ad attirare l’attenzione delle persone il più possibile. Un cinismo da cui nemmeno i media cosiddetti “di qualità” sono immuni. E alla base della diffusione delle fake news c’è anche una componente economica. Google, Facebook hanno deciso di sottrarre pubblicità a siti e blog non affidabili. Però faccio notare che molti siti di testate anche autorevoli ospitano contenuti molto vicini alle fake news, che servono solo per attirare l’attenzione del lettore con titolo ad effetto e informazioni fasulle e ingannevoli spacciate per giornalismo.
A puntare il dito contro i grandi colossi del web è stato il Times. L’esempio era quello della diffusione del documentario dello “screditato ex medico Andrew Wakefield” sui fantomatici legami fra vaccini e autismo. Film che viene venduto su Amazon Instant Video a meno di una sterlina, Apple iTunes a 6,99 sterline e On Vimeo a 3,17.
La critica è legittima. Ma su disinformazione e informazione ingannevole a scopo di lucro sfido chiunque a scagliare la prima pietra. Nessuno è immune. Allora la mia sfida è: partiamo da noi, dal giornalismo che facciamo e diffondiamo. Perché anche qui si fa la differenza. La lotta al cattivo giornalismo dovrebbe essere il vero, primo passo per la credibilità e reputazione di chi fa del giornalismo la propria professione e per la ricostruzione di un solido rapporto di fiducia con il pubblico, con i cittadini.
“Esiste il problema della manipolazione delle notizie, della disinformazione. Che facciamo, interveniamo per legge anche su questo?”
Al di là del giudizio sul ddl, però, il problema fake news esiste. E anche l’Unione europea ha più volte lanciato l’allarme contro la diffusione e la condivisione di false informazioni, anche mettendo a punto strumenti comunicativi di contrasto. Finora per smontare le false notizie diffuse dalla propaganda russa. Ricordiamo l’account twitter @EUvsDisInfo, The Disinformation Digest e The Disinformation Review. Credi possano essere efficaci?
Esiste il problema della cattiva informazione, della manipolazione delle notizie, della disinformazione. Che facciamo, interveniamo per legge anche su questo? Gli strumenti citati sono nati prima della questione dibattuta in questi giorni intorno alle fake news. E riguardano la propaganda russa. Non so quanto il pubblico, i cittadini siano a conoscenza di questi strumenti, ho i miei dubbi. Strumenti poi che si limitano a un sito, un account twitter molto scarno, senza il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini – fondamentale per poter parlare in qualche modo di efficacia -, e una newsletter. Mi sembra quanto meno ingenuo.
Se parliamo oggi di fake news, pensiamo soprattutto a Trump. Credi che lui abbia trovato una strategia migliore per veicolarle o semplicemente attaccarlo su questo è diventata un’arma politica?
La mia sensazione è che le fake news siano diventate un problema perché Trump ha vinto. Una facile scorciatoia – il classico capro espiatorio – per spiegarci quello che non riusciamo a spiegare e accettare. Com’è possibile che le persone abbiano votato per Brexit? Com’è possibile che Trump abbia vinto? Ho idea che se avesse vinto Clinton questo interesse paternalistico di proteggere dalla disinformazione i poveri cittadini disarmati non ci sarebbe stato. Esiste davvero una emergenza fake news? Dove sono dati, prove a sostegno del fatto che Trump ha vinto grazie alle fake news diffuse online? Perché si sta caricando il fenomeno di una emergenza di cui non abbiamo nessun dato a disposizione?
di Eleonora Bianchini | 18 febbraio 2017
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... a/3399493/
di Eleonora Bianchini | 18 febbraio 2017
Media & Regime
La fondatrice del Festival del Giornalismo di Perugia critica punto per punto il ddl presentato al Senato contro le false informazioni pubblicate in rete. "Dal testo traspare un istinto illiberale. Bisogna imparare a 'leggere' le notizie. Ma la disinformazione è sempre esistita. E mi sembra sia diventata un problema da quando Trump ha vinto"
di Eleonora Bianchini | 18 febbraio 2017
2
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Più informazioni su: Donald Trump, Media, Senato
“Il problema non è tanto il ddl in sé, ormai, quanto il sottotesto culturale che ha portato a una bozza del genere. È per questo, in sostanza, che abbiamo deciso di prendere posizione. Il ddl in sé è estremamente fragile dal punto di vista della compatibilità con la Costituzione. Ma sarebbe sbagliato sottovalutare questo tentativo solo perché contraddittorio e fallace: bisogna tenere alta la guardia sull’assetto culturale che è alla base di quella proposta, con la quale dobbiamo fare i conti”. Arianna Ciccone, organizzatrice del Festival del Giornalismo di Perugia, parla del ddl contro le fake news presentato al Senato, che il blog collettivo da lei fondato – Valigia Blu – ha aspramente criticato punto per punto. “Dal testo emerge la scarsa competenza su questi temi da parte dei proponenti – prosegue – Come ha scritto Fabio Chiusi su Valigia Blu, emerge una concezione della Rete che porta alla demonizzazione, cercando così di irregimentare il web in modo da renderlo innocuo strumento di trasmissione del consenso, invece che un libero canale di espressione del dissenso”.
Scrivete anche che gli strumenti di contrasto esistono già e sono le norme vigenti. Ad esempio, contro la diffamazione. Perché il legislatore nel corso degli anni insiste con questa proposta rivolta su blog e forum?
Perché sfuggono le dinamiche della Rete e perché in definitiva emerge un istinto illiberale. Nel testo si legge: “…la libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell’ambito dell’informazione, vuol dire una notizia corretta a tutela degli utenti”. Questa frase è concettualmente pericolosa: chi decide cosa è corretto e cosa no, e chi controlla i controllori? La verità non può esser imposta per legge. Questo succede nei regimi autoritari. In Cina il problema lo hanno risolto, c’è solo la verità di Stato. È questo il modello a cui aspiriamo? Come ha splendidamente scritto Carlo Blengino (avvocato penalista, ndr): sulla verità non si legifera. Fino a quando ci sarà libertà di espressione, ci saranno bugie e falsità, da parte dei potenti e da parte degli utenti.
“La verità non può esser imposta per legge. Questo succede nei regimi autoritari. In Cina il problema lo hanno risolto, c’è solo la verità di Stato”
Ma già oggi le regole esistono.
Sì, sia online che offline. Ed è bene ribadirlo. La concezione di una Rete senza regole, così come dicono questi legislatori, è essa stessa una “fake news”. E quante volte abbiamo sentito politici dire che “il web è come il far west”? Bene, è un’espressione priva di fondamento.
Quali sono secondo te i punti più critici del testo?
Innanzitutto non c’è consenso unanime sulla definizione di fake news, che è un fenomeno complesso. La vulgata è che siano un fenomeno preoccupante, perché influiscono sul comportamento e sulla opinione delle persone. Ma evidenze scientifiche di questo concetto, ormai dato per scontato, non ci sono. Non sappiamo nemmeno quale sia la portata di questo fenomeno, e se davvero sia così impattante sul comportamento delle persone. Perché la propaganda politica, la disinformazione, il cattivo giornalismo non dovrebbero suscitare la stessa preoccupazione? E poi il testo presenta articoli che mettono insieme – e male – tutto. Primo: ammenda e carcere per chi diffonde false informazioni. Questo significa che è punibile anche chi in buona fede condivide un post o retweetta un contenuto che risulterà poi falso? E si specifica che le sanzioni riguardano anche informazioni che sono fuorvianti per l’opinione pubblica. Ma come si può stabilire in modo oggettivo cosa sia fuorviante? Il ddl prevede anche l’obbligo di registrazione alla sezione per la stampa di chi vuole aprire un sito. Ma questo vale anche per chi ha un profilo Facebook in cui parla di politica?. E vuole introdurre l’obbligo di rettifica senza possibilità di replica per i blog. E nel caso in cui la rettifica fosse falsa?
Si parla anche di diritto all’oblio.
Sì, riferito a contenuti diffamatori o irrilevanti, come se fossero la stessa cosa, che vanno rimossi da Internet. Così si affida ai gestori dei social una sorta di controllo preventivo. Ma chi controlla? E non ci ricorda forse le leggi-bavaglio? In più emerge la contrapposizione tra un giornalismo “tradizionale” buono e un web cattivo e inaffidabile. Questa banalizzazione è smentita quotidianamente. Ci sono buoni e cattivi esempi di giornalismo tradizionale, ci sono buoni e cattivi esempi di informazione digitale. E un altro esempio di impreparazione dei proponenti riguarda l’uso del termine whistleblower: chi svela segreti in nome della trasparenza e per il bene e interesse pubblico, nel testo vuole indicare chi sui social segnala irregolarità.
“È punibile anche chi in buona fede condivide un post o retweetta un contenuto che risulterà poi falso?”
Poniamo il caso che questo testo diventasse legge: potrebbe funzionare per contrastare le fake news?
Ovviamente no. Le fake news non si contrastano con la censura, ma con l’alfabetizzazione. Non si contrastano con la repressione. Ma rendendo i cittadini sempre più critici, attrezzati e consapevoli. È incredibile che a dircelo debba essere il fondatore e proprietario di Facebook, un’azienda privata (e sponsor del Festival Internazionale del Giornalismo, ndr) che ai politici che spingono per filtri preventivi e censura risponde: “Non è con la rimozione dei contenuti che si risolve ma rendendo sempre più competenti le persone”. È un discorso che mi sarei aspettata, anni fa, da qualche buon ministro dell’istruzione.
Se il legislatore volesse davvero essere efficace nella sua azione di contrasto contro la circolazione delle false informazioni in rete, chi dovrebbe colpire? E soprattutto: c’è qualcuno da colpire?
È una questione è di educazione e di alfabetizzazione ai media e alle news. I cittadini devono imparare ad acquisire un atteggiamento scettico verso l’informazione. Imparare a “leggere” le notizie, chiedersi se un contenuto è affidabile o meno. Alcune testate straniere stanno portando avanti da un lato intere sezioni dedicate alla verifica (che è alla base del buon giornalismo), dall’altro all’educazione (media literacy) in collaborazione con Università e scuole. Non dimentichiamo che la disinformazione è sempre esistita. Propaganda, false informazioni si sono sempre accompagnate alle “real news”. Oggi viviamo in un ecosistema informativo estremamente più ricco e complesso. E questo amplifica la capacità di diffusione delle fake news ma al tempo stesso anche delle real news. E la possibilità di smontare una notizia falsa e diffondere la sua versione corretta è più forte oggi rispetto al passato, quando a dominare c’era un sostanziale oligopolio mediatico. Dobbiamo occuparci di questo: di come riuscire come individui e comunità a gestire questa mole enorme di informazione, di come garantire alle persone la fruizione dei contenuti più diversi, che vanno oltre pregiudizi e abitudini individuali di consumo mediatico.
“Non dimentichiamo che la disinformazione è sempre esistita. Propaganda, false informazioni si sono sempre accompagnate alle real news”
Non dimentichiamo che c’è una forte esigenza da parte di siti e testate di fare clic, anche con contenuti di scarsa qualità.
Il problema è anche il modello di business che è alla base dell’informazione online: l’esigenza di traffico spinge a un’informazione sempre più mediocre e di basso costo ma che riesca ad attirare l’attenzione delle persone il più possibile. Un cinismo da cui nemmeno i media cosiddetti “di qualità” sono immuni. E alla base della diffusione delle fake news c’è anche una componente economica. Google, Facebook hanno deciso di sottrarre pubblicità a siti e blog non affidabili. Però faccio notare che molti siti di testate anche autorevoli ospitano contenuti molto vicini alle fake news, che servono solo per attirare l’attenzione del lettore con titolo ad effetto e informazioni fasulle e ingannevoli spacciate per giornalismo.
A puntare il dito contro i grandi colossi del web è stato il Times. L’esempio era quello della diffusione del documentario dello “screditato ex medico Andrew Wakefield” sui fantomatici legami fra vaccini e autismo. Film che viene venduto su Amazon Instant Video a meno di una sterlina, Apple iTunes a 6,99 sterline e On Vimeo a 3,17.
La critica è legittima. Ma su disinformazione e informazione ingannevole a scopo di lucro sfido chiunque a scagliare la prima pietra. Nessuno è immune. Allora la mia sfida è: partiamo da noi, dal giornalismo che facciamo e diffondiamo. Perché anche qui si fa la differenza. La lotta al cattivo giornalismo dovrebbe essere il vero, primo passo per la credibilità e reputazione di chi fa del giornalismo la propria professione e per la ricostruzione di un solido rapporto di fiducia con il pubblico, con i cittadini.
“Esiste il problema della manipolazione delle notizie, della disinformazione. Che facciamo, interveniamo per legge anche su questo?”
Al di là del giudizio sul ddl, però, il problema fake news esiste. E anche l’Unione europea ha più volte lanciato l’allarme contro la diffusione e la condivisione di false informazioni, anche mettendo a punto strumenti comunicativi di contrasto. Finora per smontare le false notizie diffuse dalla propaganda russa. Ricordiamo l’account twitter @EUvsDisInfo, The Disinformation Digest e The Disinformation Review. Credi possano essere efficaci?
Esiste il problema della cattiva informazione, della manipolazione delle notizie, della disinformazione. Che facciamo, interveniamo per legge anche su questo? Gli strumenti citati sono nati prima della questione dibattuta in questi giorni intorno alle fake news. E riguardano la propaganda russa. Non so quanto il pubblico, i cittadini siano a conoscenza di questi strumenti, ho i miei dubbi. Strumenti poi che si limitano a un sito, un account twitter molto scarno, senza il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini – fondamentale per poter parlare in qualche modo di efficacia -, e una newsletter. Mi sembra quanto meno ingenuo.
Se parliamo oggi di fake news, pensiamo soprattutto a Trump. Credi che lui abbia trovato una strategia migliore per veicolarle o semplicemente attaccarlo su questo è diventata un’arma politica?
La mia sensazione è che le fake news siano diventate un problema perché Trump ha vinto. Una facile scorciatoia – il classico capro espiatorio – per spiegarci quello che non riusciamo a spiegare e accettare. Com’è possibile che le persone abbiano votato per Brexit? Com’è possibile che Trump abbia vinto? Ho idea che se avesse vinto Clinton questo interesse paternalistico di proteggere dalla disinformazione i poveri cittadini disarmati non ci sarebbe stato. Esiste davvero una emergenza fake news? Dove sono dati, prove a sostegno del fatto che Trump ha vinto grazie alle fake news diffuse online? Perché si sta caricando il fenomeno di una emergenza di cui non abbiamo nessun dato a disposizione?
di Eleonora Bianchini | 18 febbraio 2017
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... a/3399493/
Chi c’è in linea
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