Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

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paolo11
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Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da paolo11 »

Caro Monti e partiti connessi daccordo con la costruzione della Tav val di Susa.
Possiamo dirottare quei soldi verso i terremotati o cosa?
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da camillobenso »

Caro paolino,..............mica vorrai fare soffrire la Mafia SpA e le cooperative rosse?
camillobenso
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da camillobenso »

Un amico che ha lavorato per molti anni alla Coop, ora in pensione, già qualche anno mi aveva segnalato che la Coop versa il 5 % del suo fatturato al Pd.

Questo vuol dire che in questi ultimi dieci anni ho finanziato indirettamente, contro la mia volontà, prima Dalemoni e oggi Bersani. Se lo sapessero i miei concittadini, quelli del circondario di Milano, Bresso e Cinisello Balsamo avversi al Pd, andrebbero di corsa a fare la spesa in altro supermercato pur di non dare un cents a Dalemoni.

Quando Bersani insiste per il Tav, non dice che nel pappa e ciccia ci sta una cooperativa rossa.

Il solito informato, Marco Travaglio, sostiene che il costo al chilometro del futuro Tav è di 7 volte quello dei franzosi.

Quando regnava Bettino Ghino di Tacco, la Metropolitana Milanese costava il doppio al chilometro del dopo Tangentopoli.

Tutti buoni e zitti i partiti si spartivano la metà del costo al chilometro.

Naturalmente ci stava dentro anche il nuovo Pci del dopo Berlinguer.

Se tutti i partiti ad eccezione di Idv e Sel, insistono per il Tav è per via della pappatoia.
baskerville2008
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da baskerville2008 »

beh entrambi fate un ragionamento che non condivido. Le cose non si smettono di farle perché c'è stato un terremoto o perché c'è il rischio di infiltrazioni mafiose, se no tiriamo i remi in barca e non facciamo nulla. La domanda da porsi è: serve o non serve? per me si è un opera che serve e con cui abbiamo preso dei patti chiari con l'europa anni fa ma poiché siamo i soliti inaffidabili italiani dall'altra parte aspettano che ci mettiamo d'accordo! Ma sicuramente noi siamo molto più furbi nei nostri cugini francesi che d'altronde hanno cominciato i lavori nel 2002 ed alle contestazioni,la classe politica, ha risposto spiegando alle popolazioni i vantaggi ecologici ed economici dell'opera......eh si sono proprio dei fessi! http://www.lettera43.it/attualita/41912 ... l-2002.htm

ciao a tutti
camillobenso
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da camillobenso »

baskerville2008 ha scritto:beh entrambi fate un ragionamento che non condivido. Le cose non si smettono di farle perché c'è stato un terremoto o perché c'è il rischio di infiltrazioni mafiose, se no tiriamo i remi in barca e non facciamo nulla. La domanda da porsi è: serve o non serve? per me si è un opera che serve e con cui abbiamo preso dei patti chiari con l'europa anni fa ma poiché siamo i soliti inaffidabili italiani dall'altra parte aspettano che ci mettiamo d'accordo! Ma sicuramente noi siamo molto più furbi nei nostri cugini francesi che d'altronde hanno cominciato i lavori nel 2002 ed alle contestazioni,la classe politica, ha risposto spiegando alle popolazioni i vantaggi ecologici ed economici dell'opera......eh si sono proprio dei fessi! http://www.lettera43.it/attualita/41912 ... l-2002.htm

ciao a tutti

Già pubblicato in altro 3D


CORRIDOIO 5, BINARIO MORTO
C'era una volta l'Alta velocità europea. Un sogno nato negli anni '90: unire i due estremi del continente con una grande rete di treni veloci. Quasi vent'anni dopo, il progetto stenta a decollare e deve fare i conti con la crisi e alcune defezioni. Viaggio sulla linea che (ancora) non c'è tra Lisbona e Kiev

REPORTAGE dal nostro inviato LUCA RASTELLO

Da Lisbona a Kiev, sognando l'Alta velocità
Viaggio nell'Europa che aspetta la Tav



Doveva, in teoria, unire l'oceano Atlantico con l'ultimo avamposto prima della Federazione Russa. Ma il grande progetto concepito negli anni '90, una linea ferroviaria che collegasse il Portogallo con l'Ucraina, oggi esce ridimensionato da crisi economica e contestazioni.

Abbandonato il "Corridoio 5", il nuovo tracciato porta ora il nome di "Corridoio mediterraneo", con un nuovo via dalla piccola Algeciras, in Andalusia, al posto della capitale lusitana, che ha dato forfait pochi mesi fa.


Intanto anche l'Ucraina sembra sfilarsi, e l'ultima tappa certa potrebbe diventare la più piccola e semisconosciuta Miskolc LISBONA - Santa Apollonia è la stazione principale. Due binari per convogli suburbani, un treno per Bilbao, una tettoia di ferro e vetro affumicato, aria dall'oceano e dal Tago.

Lisbona se ne sta sospesa fra un passato nostalgico d'impero e un futuro internazionale che non verrà più, qualche vezzo liberty e il rimpianto per la promessa - tradita - di diventare la sorgente del mitico "Corridoio 5", l'asse Lisbona-Kiev che doveva unire l'Europa dall'Atlantico alle steppe con il miracolo delle grandi opere e dell'alta velocità e che invece perde le ali e anche pezzi del suo ventre e del suo cuore.

Quinto pilastro di un sontuoso progetto di viabilità europea stabilito nelle conferenze di Creta e Helsinki a metà degli anni Novanta, oggi quel corridoio, spesso nominato (soprattutto a proposito di un suo piccolo tratto, quello tra Torino e Lione) ma mai percorso per intero, rimane sostanzialmente un mistero. Nella sua articolazione, nella sua utilità, nelle prospettive.



E il mistero comincia proprio dalla testa. Il 21 marzo scorso il governo portoghese ha annunciato l'abbandono di ogni progetto di alta velocità. Una decisione accolta con flemma: oplà, il Portogallo non c'è più.

(Oltre a questo reportage di Repubblica, chi altro ha comunicato nel Bel Paese di Merlonia che il Portogallo aveva abbandonato il progetto dell'alta velocità? ...E il governo Monti ha reso noto il fatto? Quanti italiani oggi ne sono al corrente? --ndt)




Del resto, lo vedremo, anche l'Ucraina non si sa bene dove sia andata a finire. Resta in piedi però il sogno di un'Europa unita da una rete di infrastrutture viarie, ma nella forma di una ragnatela di tratti a media percorrenza stesa su tutto il continente e chiamata "Ten-T". Quanto al Corridoio 5, ridimensionato, viene oggi ribattezzato Corridoio Mediterraneo.

Il nuovo tracciato.
Lasciamoci alle spalle Santa Apollonia, dunque, e anche l'ambizioso complesso della Stazione del Mare (un solo treno al giorno per Madrid, undici ore, come dire che tanto vale andarci a piedi), ricordo dell'Expo del '98.

Non si va a Madrid, però: rotta a sud. E non in treno, in corriera, fra nuvole-batuffolo, colline, sorgenti africane, mulini (eolici). Sommerso il Portogallo, la penisola iberica torna a sdraiarsi dove l'aveva immaginata Strabone, che qui collocò le porte dell'oltretomba: siamo ad Algeciras, di fronte al Marocco, un tiro di lancia da Gibilterra.

È qui che la Commissione europea vuole la fonte del Corridoio Mediterraneo. Palazzine bianche in una conca, un porto dai ritmi frenetici, povertà magrebina, disoccupazione al quaranta per cento.

I migranti marocchini si concentrano a Algeciras per essere vicini alle famiglie: "Se il lavoro va male torno prima e spendo meno", racconta Said Muhammad, titolare di un'agenzia di viaggi. Non ha mai sentito parlare di alta velocità.


Don Carlos Fenoy, invece, presidente della Camera di commercio locale è fra i più convinti sostenitori dell'utilità del Corridoio, solo che lo intende in una maniera per noi italiani sorprendente: "Alta velocità per le merci? Lei è matto! Il consumo energetico e l'usura dei carri oltre gli 80 chilometri orari aumentano esponenzialmente i costi. E poi treni veloci e nodi inadeguati significano intasamenti nell'ultimo chilometro: pensi a una grande autostrada con piccoli caselli".



La Spagna del resto sta riducendo drasticamente gli investimenti infrastrutturali: 5.400 milioni di euro in meno rispetto al 2001 (meno 36 per cento e meno 55,6 per cento per il porto di Algeciras). Non solo: molta parte dei finanziamenti è destinata ad alimentare la rete autostradale, non le ferrovie. Eppure, nonostante i tagli, l'alta velocità passeggeri da Algeciras a Bobadilla (raccordo Tav verso Madrid) si farà. E si farà grazie a una soluzione sorprendente.

Per scoprirla dobbiamo raggiungere Ronda attraversando un labirinto di alture, forre, aranceti in verticale, voli di aguila calvada, grida d'uccelli (ptuiit!). Un solo binario corre tra i boschi, su ogni traliccio un nido di cicogna, su ogni albero il parassita del vischio. Come potrà una linea ad alta velocità attraversare senza danni questa meraviglia?

Rafael Flores, responsabile del nodo ferroviario di Ronda, spiega: "Semplice. Per ottenere lo scartamento adatto ai treni veloci aggiungiamo una terza rotaia all'interno delle due guide sulla linea esistente: i treni lenti correranno sullo scartamento spagnolo, quelli veloci su quello internazionale".

Tutto su un solo binario? "Certo. Con un buon piano di movimento gli incroci si fanno nelle stazioni". Senza cemento, e senza investimenti colossali. È la scelta del ministro per lo Sviluppo Ana Pastor che, accantonando le previsioni a nove zeri d'epoca zapateriana, stanzia in tutto 1.240 milioni di euro per collegare con il "terzo filo" i porti di Tarragona, Castellon, Valencia e Alicante.

Cordoba, Barcellona, Lione. Ma ora, in attesa dell'alta velocità che verrà, per noi è tempo dell'alta velocità che già c'è, quella di cui la rete ferroviaria spagnola è dotata da oltre quindici anni. Ci imbarchiamo così a Cordoba, su un supertreno che gioca all'aereo tra controlli da aeroporto (dopo le stragi di Atocha si può capire) e simulazione d'atterraggio (una voce suadente raccomanda di restare seduti attendendo l'arresto completo del convoglio). Fino a Madrid sono 400 chilometri in un quasi lampo (a prezzi non proprio popolari, 68,9 euro in seconda). Quindi "voliamo" attraverso Barcellona, il confine mediterraneo con la Francia, Perpignan, gli stagni del sud, Montpellier, Lione: niente ci può rallentare, salvo un suicida che inchioda il treno per due ore alle porte della città.

È qui che inizia la storia a noi più nota e controversa. Storia di molte lotte e pochi scavi, tutti comunque sul lato francese: tre tunnel esplorativi paralleli al tracciato che dovrebbe collegare St. Jean de Maurienne a Venaus in val Susa.

In Italia niente: a Chiomonte si combatte intorno a uno steccato perché, in mancanza di progetto esecutivo, non si può scavare nemmeno un centimetro cubo.

Poco sotto St. Jean, all'ingresso del terminal intermodale di Bourgneuf la Rochette, capolinea dell'Autostrada ferroviaria alpina che porta allo scalo italiano di Orbassano, alcuni Tir cisterna attendono il carico sui convogli: quattro al giorno. Pochi, e il progetto che aveva suscitato tante speranze al suo varo sette anni fa è sopravvissuto finora grazie a pesanti sovvenzioni pubbliche: circa 900 euro per ogni mezzo trasportato, oltre cento milioni di euro in contributi statali.

Michel Chaumatte, direttore dell'Afa, però è ottimista: "Il problema era la sagomatura delle gallerie di confine che permetteva solo il trasporto di cisterne, ma ora gli ammodernamenti al Frejus ci permetteranno di portare anche i Tir a sezione quadrata raddoppiando la capacità della linea". I lavori dovevano finire nel 2007, d'accordo, ma la storia del Corridoio è tutta così: i matematici conoscono la legge ricorsiva di Hofstadter - "Ci vuole sempre più tempo del previsto, anche se si tiene conto della legge ricorsiva di Hofstadter" - gli ingegneri e Bruxelles no.

Ma se l'Afa passa dal Frejus, il supertunnel della Torino-Lione a che serve?



Chaumatte: "Diminuendo la pendenza permette di risparmiare sui costi legati alla trazione". A patto di non andare veloci: "Diciamo che l'alta velocità è un vantaggio ma riguarda i passeggeri". Che però, come tutti sanno, sono diminuiti fino a spingere le ferrovie italiane e francesi a sopprimere il collegamento.


Stessa sorte delle merci, per altro: meno 30 per cento di traffico nel decennio scorso, con un ritorno ai volumi del 1993.

Anche i calcoli finanziari stridono: il costo delle opere previsto per il prossimo decennio sull'intera rete europea "Ten-T" si aggira sui 500 miliardi, la Commissione europea propone uno stanziamento di 31,7.

Il resto a carico dei singoli stati e della loro capacità di attrarre investitori privati. Ma se nel decennio scorso i miliardi investiti dalla Ue sono stati solo otto è quantomeno ottimistico pensare che in tempi di crisi Bruxelles autorizzi finanziamenti quadruplicati.



E anche se così fosse al Corridoio Mediterraneo (una sola fra le dieci direttrici prioritarie) spetterebbe al massimo il dieci per cento di quella somma, poco più di tre miliardi.

E volendone stanziare il dieci per cento alla Lione-Torino si arriva alla cifra di 300 milioni da spartire tra Italia e Francia a fronte di una spesa prevista di 17 miliardi. Possiamo permettercelo?

"In effetti - commenta un esponente di Confindustria Piemonte - i vantaggi veri sono solo sulla prospettiva occupazionale locale e a breve: la Torino-Lione in realtà è un caso Jimby: Just in my backyard!".

Il confine "caldo" tra Francia e Italia. Quassù, sui valichi che uniscono la Maurienne alla val Susa, rimbomba ancora l'eco delle liti e delle battaglie, e lo slogan dei No Tav - "Sarà durà" - fronteggia convinzioni di segno opposto: "L'Europa è pronta, manchiamo solo noi". Il vento disegna un labirinto dove ci si può perdere fra voci di rabbia, violenze, ma anche grandi previsioni disattese e promesse a lunghissima scadenza (opere che andranno in esercizio fra il 2030 e il 2050). Ottimismo, mal di montagna, grida di uccelli. Ptuiiit.

Quasi con sollievo procediamo oltre, su piccole, sporche, lente carrozze locali, verso le colline e poi la piana torinese. Per imbatterci però in un grosso guaio a valle, dove il tratto nazionale della Lione-Torino, che devia sotto la collina morenica di Rivoli verso l'interporto di Orbassano per poi riconnettersi alla Tav per Milano attraverso la "gronda nord", semplicemente "non si farà mai".

Ce lo assicura un ingegnere della commissione regionale per la valutazione di impatto ambientale: "Il progetto prevede un interramento a quaranta metri di profondità. Il tunnel si infila né più né meno che nella falda idropotabile della città. Attenzione, non in quella irrigua: proprio nell'acqua che va nelle case dei torinesi. Impensabile e illegale".


Alta velocità da bere, argomento da approfondire. Non ora, però, non qui.


Veniamo trascinati a più di 300 chilometri orari verso Milano, dove ci intasiamo secondo il modello dello spagnolo Fenoy, per correre ancora un po' - poco - fino a Treviglio: attraverseremo la pianura padana a passo di tradizione.


Stranamente, nel tratto geologicamente meno problematico, da Brescia a Padova, l'alta velocità si farà attendere ancora molto: il progetto è in fase preliminare e Rfi (Rete ferroviaria italiana) nega il proprio contributo, anche se il tratto padano doveva essere completato entro il 2010.


Dal 2008 è pronto, però, un segmento di 28 chilometri tra Padova e Mestre, ma non fai in tempo ad aprire la falcata che sei di nuovo in una palude, fra Venezia e Trieste.


Qui, per non perdere i soliti fondi spesi in studi di progettazione, a dicembre 2010 fu presentato in fretta e furia un progetto preliminare purchessia: era la "Tav balneare", che doveva portare bagnanti alle spiagge della "grande Jesolo", poi bucare le friabili doline del Carso, sfiorare Monfalcone dove Unicredit intendeva finanziare la triplicazione del porto, superare Trieste in galleria ed entrare in Slovenia.



Ma poi l'amministratore delegato di Rfi, Moretti, fece notare che la Tav serve le grandi città e non gli jesolotti, i sindaci locali documentarono il disastro ambientale in vista, la città di Trieste rifiutò l'interramento: una Caporetto.



In viaggio verso Lubiana. Lasciamo così Trieste al suo destino e ci imbarchiamo mestamente in corriera verso il porto di Koper e lo snodo di Divaca che nessuna ferrovia collegherà mai all'Italia.

Perché è qui, sul Quarnaro, che si apre la ferita mortale all'idea platonica di Corridoio.



L'ultimo treno dall'Italia verso Lubiana è partito nel dicembre 2011.




Dispetti, priorità, ripicche e rappresaglie: fra i litigi italo-sloveni, le piume nazionaliste che si gonfiano sul petto del governo ungherese, la distrazione ucraina in vista degli Europei di calcio, questa diventa ora la storia del nostro viaggio.

Sono in molti oggi a pensare che il Corridoio più redditizio non sia sull'asse est-ovest ma su quello Baltico-adriatico che unisce il Mediterraneo alle grandi economie dell'Europa centrale e settentrionale.

Il progetto europeo ne prevede lo sbocco sui nostri porti friulani, veneti e di Ravenna. La richiesta slovena di una bretella che vi agganciasse Koper è stata rigettata su insistenza del governo italiano, sotto la pressione del governatore veneto Zaia. Rappresaglia da Lubiana: nessun collegamento fra Trieste e i mercati orientali. Le merci dirette a est possono usare il porto di Koper e il nodo di Divaca.

Facciamo quindi visita ai vagoni arrugginiti di Divaca, scavalchiamo Lubiana e poi tappa a Maribor prima di inoltrarci fra le colline ungheresi, in un dedalo di stradine che portano agli snodi "cruciali" (in prospettiva Ten-T) di Zalalovo e Boba: chioschi persi nel paesaggio rurale.

Anche qui come nel sud della Spagna l'aria appartiene alle cicogne, le chiome degli alberi alle palle di vischio. Anche qui si parla di trasporto su gomma: "La nostra priorità - dichiara un portavoce del ministero dei Trasporti - non è la ferrovia: i finanziamenti Ue andranno sulle autostrade, in primo luogo il raccordo anulare della capitale e il collegamento fra Miskolc e il confine ucraino". È un'interpretazione legittima: il Corridoio, nelle intenzioni, è un sistema intermodale che prevede grandi investimenti sull'asfalto, con buona pace di chi ama l'argomento del trasferimento su rotaia. E poi anche qui interessa molto di più il collegamento con il nord, Austria via Gyor, che non con noi.

Il profondo est. Ma lasciamo anche questo tema alle analisi logistiche, il nostro compito è sfiorare le facciate elegantemente asburgiche, i caffè e i tram colorati di Miskolc, pazientare in coda alla frontiera dell'Unione e correre in Ucraina. Dopo Uzhgorod, la strada si raggomitola fra le valli dei Carpazi, villaggi di legno e foreste piene di mostri e leggende. Da qualche parte ci sarà pure un trenino, ogni tanto spunta una stazioncina, si intravede un binario, raramente un cavo per la trazione elettrica. Poi il paesaggio si apre alle piane galiziane, ecco le botteghe color cannella di Drohobycz e le memorie dello sterminio che ha cancellato la civiltà degli shtetl askhenaziti, la cultura chassidica che ha influenzato metà del Novecento letterario europeo e americano.

Raggiungiamo una delle città più belle d'Europa. Leopoli, fasto imperiale, nido di spie, capitale yiddish. Oggi duecentomila pendolari ogni giorno e un'elegante stazione. Mancano meno di 600 chilometri a Kiev, ma servono 15 ore, e si viaggia di notte. In terza classe i letti sono incolonnati a tre a tre a vista, in cima alla carrozza c'è una stufa con fuoco a legna e un capovagone dal cappello rigido offre il tè in bicchieri con supporto in metallo lavorato (da restituire, purtroppo). La notte è un mercato, si può mangiare insieme, fare affari, chiacchierare. Come all'altro capo d'Europa, nessuno ha mai sentito parlare di corridoi, e poi c'erano gli stadi da fare e qui non c'è un'Unione che finanzia, insomma a poco a poco arriva il sonno. Ci si sveglia a Kiev, stupiti, stropicciati: la stazione alterna il moderno allo stile imperiale russo, l'orizzonte è abolito da barriere di torri a trenta piani che disegnano il futuro cementizio delle metropoli europee, ma i treni a motore, antiquati e colorati, percorrono tratte i cui soli nomi bastano a sognare: Chisinau-Pietroburgo, Odessa-Novgorod, Volgograd-Danzica. La nostra missione è compiuta, possiamo tornare indietro dopo 3.200 chilometri percorsi lungo un corridoio che non c'è. Occhi e memoria ingolfati da frammenti di immagini sfiorate più o meno in corsa. Nelle orecchie grida d'uccelli: ptuiit.
12 maggio 2012 Lisbona e Kiev
Ultima modifica di camillobenso il 01/06/2012, 0:17, modificato 2 volte in totale.
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da camillobenso »

La Spagna del resto sta riducendo drasticamente gli investimenti infrastrutturali: 5.400 milioni di euro in meno rispetto al 2001 (meno 36 per cento e meno 55,6 per cento per il porto di Algeciras). Non solo: molta parte dei finanziamenti è destinata ad alimentare la rete autostradale, non le ferrovie. Eppure, nonostante i tagli, l'alta velocità passeggeri da Algeciras a Bobadilla (raccordo Tav verso Madrid) si farà. E si farà grazie a una soluzione sorprendente.

Questo al 21 marzo 2012. Ora la Spagna sta per saltare, siamo sicuri che disporrà dei fondi per il Tav.

Di fronte ad un'economia che salta, fare viaggiare le mozzarelle ad alta velocità può essere in cima ai pensieri degli spagnoli?
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da camillobenso »

I due tracciati a confronto

Con le defezioni di Portogallo e Ucraina il progetto originario del Corridoio 5 potrebbe cambiare percorso e denominazione. Il nuovo "Corridoio Mediterraneo" vedrebbe un nuovo punto di partenza, la spagnola Algerciras, e due differenti direttrici iniziali. Una per i passeggeri attraverso Ronda, Cordoba e Madrid, l'altra per le merci, via Alicante e Valencia. Le varianti si ricongiungerebbero a Barcellona al tracciato originario, rimasto immutato fino a Miskolc, in Ungheria, dove la nuova linea ad Alta velocità dovrebbe concludere il suo corso.

http://inchieste.repubblica.it/it/repub ... 4850474%2F
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da baskerville2008 »

mah le mie fonti mi dicono cose ben diverse da quelle scritte dal laureato in filosofia luca restello....

La sua realizzazione è indispensabile, indifferibile ed urgente perchè:

il tunnel del Frejus, vecchio di 150 anni, è ormai in disuso e sempre meno utilizzato e quindi i transiti ferroviari crescono dappertutto, in Svizzera ed in Austria, e crollano sul Frejus; Il Frejus è il tunnel più vecchio (1871) ed il più alto d’Europa (1281 m), con pendenze superiori al 33 per 1000 ed una sagoma che non consente l’incrocio di due treni moderni per il trasporto delle merci; utilizzando 3 locomotori (3 macchinisti e 3 volte l’energia) per superare le elevatissime pendenze può portare treni merci lunghi al massimo 750 metri con un peso di 1050 tonnellate; i nuovi tunnel in corso di realizzazione sugli assi della Svizzera (Loetchberg e Gottardo) e dell’ Austria (Gottardo), analoghi al nuovo tunnel della Torino Lione hanno pendenze inferiori al 10 per mille, sono a quota inferiore a 600 metri, portano con un’unica motrice convogli lunghi 1.000 metri e che pesano 1600 tonnellate. Il risultato che oggi una tonnellata portata attraverso il tunnel del Frejus costa il 50% in più di una tonnellata trasportata in Svizzera ed in Austria. Chiunque ha un’alternativa oggi evita il tunnel ferroviario del Frejus. E’ una follia pensare che esistendo un’alternativa tra una strada ed una mulattiera, qualcuno scelga ancora una mulattiera.
la domanda di mobilità merci e passeggeri sull’arco alpino, non ha smesso di crescere ed è più che raddoppiata negli ultimi 30 anni. L’Interscambio dell’Italia con Francia – Spagna – Gran Bretagna, rispettivamente 2°, 3°, 4° partner commerciale dell’Italia, in un periodo di crisi economica come quello attuale, supera, nell 2010, i 150 miliardi di euro l’anno, contro i 102 miliardi dell’interscambio con la Germania (1° partner commerciale dell’Italia). La Svizzera con 38 milioni di tonnellate di merci (all’epoca della scelta erano solo 24 milioni), ha avviato da quasi vent’anni la realizzazione di ben 2 tunnel moderni oramai in corso di conclusione. In Piemonte, con flussi ben maggiori, almeno 45 milioni di tonnellate di merci , non si dovrebbe realizzare nulla?.
trasferire le merci da gomma a ferro, è la scelta ambientale di tutte le politiche Europee. Infatti una tonnellata di merce trasportata con un treno moderno per 300 km produce meno di un quinto della CO2 prodotta dal trasporto su strada e costa la metà. Senza infrastrutture adeguate è impossibile fare questa scelta; oggi meno del 10% delle merci per la Francia ( e quindi la Spagna e la Gran Bretagna) viaggia in ferrovia. Grazie alle infrastrutture ben il 67% delle merci che attraversano la Svizzera viaggiano su ferrovia, e più del 30 % delle merci per Austria e Germania (il nuovo tunnel del Brennero è ancora da costruire).
La ferrovia è anche la scelta più economica per trasportare merci: lo sarà sempre di più per effetto dell’aumento del costo del carburante e delle politiche europee che penalizzano il trasporto su gomma inquinante (direttiva Eurovignette III); per questo, per le lunghe percorrenze ( > di 800 km) sempre più operatori scelgono il ferro. Per questo la Nuova Linea, attraverso il polo logistico di Orbassano, consentirà al sistema economico italiano e piemontese di migliorare la propria competitività, riducendo il proprio gap logistico rispetto agli altri Paesi europei. Nel nostro Paese la logistica pesa sul valore della produzione industriale per il 22%, mentre nel resto d’Europa si attesta tra il 14 ed il 16%. La voce trasporto nella logistica italiana pesa a sua volta per il 73% contro una media europea del 60%. E’ uno svantaggio di competitività enorme per il nostro sistema produttivo che la nuova infrastruttura (integrata all’ HUB di Orbassano) riesce a ridurre significativamente.
L’entrata in esercizio della Nuova Linea permetterà di riservare la linea storica e il passante ferroviario ai pendolari e a tutti i cittadini migliorando in modo notevole il trasporto pubblico locale. La realizzazione del Sistema Ferroviario Metropolitano è l’opzione prioritaria del Piano strategico per i territori interessati alla nuova linea Torino-Lione realizzato dalla Provincia di Torino)
I cantieri costituiranno una grande opportunità per lo sviluppo dell’attività economica del Piemonte: più di 2.000 saranno le persone direttamente impegnate (per 10 anni) e almeno 4.000 indirettamente. A regime gli occupati per la gestione della nuova linea saranno almeno 500, senza considerare l’indotto prodotto dalla logistica, valutabile in migliaia di posti di lavoro.
Il costo del progetto low cost (FASE 1), che consente di realizzare il tunnel di base e le stazioni internazionali di Susa e San Jean de Maurienne, è per l’Italia di 3 miliardi di Euro. Non pare un costo esagerato: è metà del costo del terzo valico (6,2 MLD) e costa meno della Treviglio-Brescia (4,1 MLD), ed è pienamente “compensato” dagli enormi benefici economici ed ambientali prodotti .


poi altra bugia sulle presenze dei turisti in calo basta fare una semplice ricerca e si scopre : http://www.torinotoday.it/economia/turi ... -2010.html

purtoppo come tutte le cose in Italia diventano politiche, si parla di politiche energetiche e tutti a vestire una casacca, si parla se voler trasferire le merci su gomma o su ferro ed ecco che bisogna prendere delle posizioni ideologiche senza neanche informarsi un po'....

beh che dire così di strada ne facciamo poca come paese e ritorneremo ad essere terra di conquista per lo straniero..

a proposito hollande è a favore della linea torini-lione e la vede centrale non solo per l'economia francese ed italiana ma per tutta l'europa....ah già ma lui è un fesso mica come noi furbastri italioti

un saluto a tutti
baskerville2008
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da baskerville2008 »

camillobenso ha scritto:La Spagna del resto sta riducendo drasticamente gli investimenti infrastrutturali: 5.400 milioni di euro in meno rispetto al 2001 (meno 36 per cento e meno 55,6 per cento per il porto di Algeciras). Non solo: molta parte dei finanziamenti è destinata ad alimentare la rete autostradale, non le ferrovie. Eppure, nonostante i tagli, l'alta velocità passeggeri da Algeciras a Bobadilla (raccordo Tav verso Madrid) si farà. E si farà grazie a una soluzione sorprendente.

Questo al 21 marzo 2012. Ora la Spagna sta per saltare, siamo sicuri che disporrà dei fondi per il Tav.

Di fronte ad un'economia che salta, fare viaggiare le mozzarelle ad alta velocità può essere in cima ai pensieri degli spagnoli?
questa della mozzarella è una frase di grillo, conte sei troppo intelligente per fare una citazione così banale. Sai che non sono in gioco le mozzarelle ma la competività dell'europa. In un mondo con sempre meno petrolio e con il costo del greggio che salirà alle stelle sei sicuro che consideri una tale opera inutile?
camillobenso
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Re: Facciamo ancora la TAV? dopo questo disastro

Messaggio da camillobenso »

Trieste Ultima Stazione
PAOLO RUMIZ - LA REPUBBLICA | 29 GENNAIO 2012


La inaugurò Francesco Ferdinando, vide partire i soldati della Grande guerra e arrivare gli italiani in fuga dal comunismo Oggi Campo Marzio è un museo unico al mondo Gestito interamente da volontari senza contributi statali rischia di chiudere. Mentre una intera città viene cancellata dalla mappa delle ferrovie italiane

Trieste - La inaugurò Francesco Ferdinando nel 1906 prima di morire ammazzato a Sarajevo. La usarono come terminal i convogli di lusso della Canadian Pacific giunti dalle gallerie dei Tauri. Vi partirono i soldati della Grande guerra e vi arrivarono gli italiani in fuga dallo jugo-comunismo. Negli anni Settanta vi approdarono dall´Est carrozze piene di compratori affamati di jeans, poi vi vennero girati film come Anna Karenina. Oggi non arrivano più treni e va di scena lo sfratto, la chiusura definitiva, la fine della più gloriosa stazione triestina e delle meraviglie in essa contenute, uno dei più bei musei ferroviari d´Europa. Succede che Trenitalia ha costretto i volontari che lo gestiscono ad andarsene, triplicando loro l´affitto già pesantissimo. La loro colpa? Avere impedito che andasse in rovina il capolavoro del più prestigioso waterfront dell´Adriatico. La stazione di Campo Marzio, capolinea di quella che l´Austria chiamò "Transalpina". Narrano che nel 2008 Mauro Moretti, gran capo dell´azienda, in una sua visita a Trieste, dopo avere visto nelle sale d´aspetto le stufe originali in maiolica, la piumata feluca del primo capostazione, montagne di cimeli e un secolo di vaporiere schierate all´esterno, abbia dato una pacca sulle spalle ai custodi del Dopolavoro ferroviario, dicendo loro «bravi ragazzi». Aveva buone ragioni per fregarsi le mani. Quelli non solo gli avevano messo insieme un patrimonio collezionistico inestimabile e si erano presi sulle spalle il costo della manutenzione straordinaria, ma pagavano di tasca propria un affitto di 54mila euro l´anno senza un centesimo di aiuto pubblico.
Ma la partita, si capì di lì a poco, era più importante di un museo. Era la vendita della seconda stazione triestina. Era la chiusura della linea, la rottamazione dei binari "in sonno" che ancora collegano la città all´Istria, alla Slovenia e al Centro Europa. E poiché i "bravi ragazzi" erano un intralcio a questa operazione immobiliare, si è ben pensato di alzare loro il canone a 140mila euro. Cifra insostenibile, che - in assenza di aiuti dall´esterno - condanna il museo alla chiusura e la stazione (sulla quale Trenitalia non ha mai speso un euro) al decadimento e alla rovina. Sfratto, come a clandestini morosi e non a benefattori che danno lustro a Trenitalia e senso alla memoria ferroviaria del Paese.
Per chiudere in fretta l´affare Moretti andrà di persona a Trieste ai primi di febbraio, e subito si è capito che la partita sarà di vasta portata. Il rischio è la definitiva cancellazione della città dalla mappa ferroviaria italiana. Per capire cosa accade basta guardare gli orari conservati nelle bacheche della stazione. Un secolo fa, con una sola coincidenza si andava a Praga, Cracovia e Stoccarda. La città era al centro d´Europa. Perfino trent´anni fa era meglio di oggi, senza Schengen e con la cortina di ferro di mezzo. Sull´altopiano passava ancora il Simplon Orient Express diretto a Istanbul, e in wagon lit potevi andare a Parigi, Genova, Roma, Budapest, Belgrado. Oggi vai solo a Udine e Venezia, con i treni più lenti d´Italia.
Il confronto più deprimente è quello che tocca i collegamenti con Vienna. C´erano dodici treni al giorno, tutti diretti. Oggi nessuno. Con trazione a vapore, il viaggio durava dieci ore e sette minuti contro le nove e ventotto di oggi, epoca dell´alta velocità. Un viaggio così lento e così umiliante - due cambi, tre biglietti e una tratta in pullman - che il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, dovendo incontrare il Burgermeister di Vienna, ha voluto farlo di persona, per masticare fino in fondo l´amaro della sua emarginazione.
Prima della Grande guerra, Trieste aveva tre strade di ferro per la città imperiale: una via Lubiana-Graz, una via Pontebba e una via Gorizia-Villach, linea che avvicinava la Germania di 250 chilometri. Oggi è rimasta solo la seconda.

Fra Trieste e Lubiana due mesi fa è stato tolto l´ultimo treno. Quanto alla linea di Gorizia, è chiusa dai tempi della Guerra fredda, anche se i binari esistono ancora. Tutto è finito: niente per l´Ungheria, per Zagabria, per l´Istria, per Fiume e Dalmazia. Per Roma il mondo finisce a Mestre.


È chiaro: la gloriosa stazione inaugurata da Francesco Ferdinando non è solo un gioiello da conservare. È l´unico vettore di traffico alternativo al miserabile doppio binario che ancora collega Trieste al resto d´Italia. I soldi per ripartire ci sono, Bruxelles ha stanziato milioni di euro (progetto "Adria A") per riattivare i vecchi binari come linee metropolitane. Trenitalia partecipa alle trattative per l´operazione, ma intanto, alla chetichella, spolpa le linee ovunque è possibile. Con la parola d´ordine «rete snella» si attua l´indicibile. Binari di precedenza tolti, declassamento di fermate, saccheggio di scali merci, caselli storici venduti o lasciati alle ortiche, linee vitali ridotte a raccordi industriali. Persino la bella stazione di Miramare, dove Massimiliano d´Asburgo scendeva dal treno per raggiungere in carrozza il castello, si è vista estirpare i binari di sorpasso. Il grave è che lo smantellamento trova alleati nel porto che, senza la minima lungimiranza, pare ora disposto a comprare i binari (vicinissimi ai moli) per ampliare l´area di sosta dei camion dietro il terminal traghetti. Operazione catastrofica, che significa waterfront degradato a parcheggio, scelta di un trasporto su gomma che Amburgo e Rotterdam hanno abbandonato da tempo, e soprattutto cancellazione di una strada ferrata vitale per lo sviluppo della città.
In questa corsa alla rottamazione, i matti del museo restano asserragliati nella loro trincea e conservano, conservano come formichine. Timbri, telefoni a manovella, quadri di comando, carri passeggeri, tappezzerie, amperometri, pompe, scambi, segnali, divise, spartineve, locomotive, fotografie, mappe, plastici, sigilli doganali per la piombatura dei vagoni, cappelli con visiera e decorazioni in oro di un mestiere che fu nobile. Nelle sale di Campo Marzio leggi la storia commerciale di mezzo mondo. Tutto è cominciato al tempo della dismissione delle vaporiere, ai tempi in cui per entrare in ferrovia dovevi giurare sulla bandiera. Ed è stata subito una lotta. Il mobilio della "Sala reale" della stazione centrale era già stato buttato via. «Stessa cosa per l´archivio delle ferrovie austriache, già destinato al macero», racconta Luciano Muran, classe ´29, macchinista dell´Orient Express.
I treni all´esterno sono pezzi unici, tutti funzionanti. La vecchia Gomulka sovietica usata dai treni di Tito. La Kriegslokomotive nazista, macchina di morte che deportò gli ebrei e poi divenne macchina di pace col trasporto degli aiuti del Piano Marshall. Carrozze fine Ottocento con tappezzeria intatta. La rete c´è ancora, i treni storici possono entrare e uscire, ma - mentre in Austria e Germania i viaggi della nostalgia fanno soldi a palate - le nuove, esose richieste tariffarie romane hanno bloccato anche questa opportunità. Non c´è un euro per il turismo, mentre se ne trovano milioni per iniziative truffaldine come il contiguo museo della fotografia, mai aperto e lasciato a metà.
E dire che non c´è niente di simile in Italia. Il museo di Pietrarsa, presso Napoli, ha i suoi bei cimeli, ma è lontano dalla città e i treni non possono entrarvi. E per giunta costa, perché Trenitalia, lì, paga il personale di custodia. Trieste no, funziona da sola. È in pieno centro. E i fessacchiotti pagano pure l´affitto, aggiustano i tetti, raccolgono i pezzi di un tempo perduto che anche l´Austria ci invidia. I turisti vengono da lontano, specie dalla Germania. Un dirigente delle ferrovie francesi ha mandato al sindaco una lettera d´allarme per le voci di chiusura. «Ho ammirato un gioiello - scrive il signor Vignaud - e so che un tale lavoro di conservazione non va ostacolato ma al contrario valorizzato».
«Ci amano più all´estero che in patria», lamenta Roberto Carollo, capo dei volontari al Dopolavoro. Nel 2009, racconta, il municipio di Vienna si offrì di dare al suo ex porto la preziosa copertura in ferro della vecchia Sudbahnhof, ex "stazione Trieste" ora in ristrutturazione, che sarebbe andata a pennello su quella di Campo Marzio. Era un magnifico regalo, e l´allora sindaco Roberto Dipiazza promise mari e monti. Poi tutto finì in nulla, i costi del trasporto parvero eccessivi, Trenitalia non volle spendere, la Regione non diede una mano. Così, a Vienna il glorioso ferro da museo è stato trasformato in barre. E a Trieste la stazione del "secolo breve" è stata condannata a morire sotto la pioggia.
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