La decrescita Felice

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iospero
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La decrescita Felice

Messaggio da iospero »

da corriere .it
Orti in usufrutto e telelavoro: a Vicofertile, vicino a Parma L’eco-villaggio al cento per cento dove cibo ed energia sono a «km 0» Ci vivranno 240 persone in 60 abitazioni. «Caso unico nel mondo» a Vicofertile, vicino a Parma
L’eco-villaggio al cento per cento
dove cibo ed energia sono a «km 0»
Ci vivranno 240 persone in 60 abitazioni. «Caso unico nel mondo»

[Esplora il significato del termine: L’imprenditore agricolo Giovanni Leoni, 52 anni (Cavicchi) VICOFERTILE (Parma) - C’è un grande prato verde dove nascono speranze cantava Gianni Morandi. Il prato verde di Giovanni Leoni, 52 anni, imprenditore agricolo parmense con una rivoluzionaria idea in testa e un progetto che a mesi diventerà realtà, sono i 28 ettari sui quali il prossimo settembre verranno posate le 60 abitazioni (per altrettante famiglie, totale 240 persone) del suo Agrivillaggio, un quartiere ecologico totalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare ed energetico, fornito di negozi e servizi, dove nulla viene sprecato, tutto viene prodotto secondo i cicli naturali dell’agricoltura e i cui abitanti si muovono a piedi, in bici o con auto elettriche. Un eco-villaggio, «unico al mondo» afferma Leoni, capace di provvedere ai bisogni dei residenti nel rispetto dell’ambiente. Dove la filosofia del «Km 0» trova piena attuazione (Leoni parla di «iperzero»): «Tra il consumatore residente nel villaggio e l’agricoltore non ci sono intermediari né sprechi di risorse per il trasporto: tutto viene prodotto all’interno dell’Agrivillaggio, a cominciare dai prodotti di stagione». Il cuore pulsante, «il polo energetico» come lo chiama Leoni, è la stalla già perfettamente funzionante e in linea con le migliori tecnologie, che sforna cibo, consente il riciclo dei rifiuti e produce energia (biogas, quindi metano). Il progetto di Leoni, a un tiro di schioppo da Parma, a Vicofertile, dove la campagna lambisce la prima periferia, non è un ritorno al Medioevo, «né una suggestione da eremita». È un modo diverso di pensare il futuro, l’alimentazione, l’abitabilità, i rapporti sociali. Un modello alternativo alle grandi megalopoli-dormitorio che parte dalla constatazione «dell’enorme debito ecologico che il genere umano ha ormai contratto con la Terra». Un modello che punta, nel rispetto dei cicli, a creare un mondo con più beni e servizi e un minor impatto ambientale:«A differenza di adesso, l’agricoltura del futuro dovrà partire dal fabbisogno ideale di ciascuno, guardando in faccia il consumatore». È quella che Leoni chiama «agricoltura on demand»: «Nel villaggio gli orti e i frutteti produrranno cibo per un migliaio di persone, anche se i residenti sono 200: l’eccedenza sarà venduta all’esterno». Se negli ultimi dieci anni Leoni ha potuto dedicarsi anima e corpo al progetto dell’Agrivillaggio - che decollerà ufficialmente all’inizio del 2015 per sfruttare la scia dell’Expo di Milano e che si è avvalso della consulenza di architetti, biologi e ingegneri - lo si deve alla solidità della sua azienda agricola, leader nel settore, che produce ogni anno 1500 forme di Parmigiano-Reggiano, 22 mila quintali di pomodori e 10 mila di cipolle. L’azienda sarà il cuore pulsante dell’Agrivillaggio. È in essa che Leoni ha riversato le conoscenze accumulate nelle più diverse aree del mondo (dall’Argentina all’Australia) nel campo della sperimentazione agricola e ora confluite in una sorta di «fattoria didattica» per gli studenti delle scuole medie e superiori. Anche sul piano urbanistico il progetto presenta lati innovativi. Ispirato dalle teorie dell’architetto Frank Lloyd Wright («La città vivente», 1958) e dalle transition towns fondate in Irlanda e in Inghilterra dall’ambientalista Rob Hopkins, l’Agrivillaggio prevede nuove concezioni abitative: «Case a un piano con un tetto che fa da terrazza sugli orti. Ogni modulo poggia su una piattaforma di cemento e ha una superficie di 18 metri quadrati. Saranno i residenti a scegliere la metratura: basterà aggiungere o togliere i moduli». Il costo della casa, fornita di fotovoltaico e solare termico, è volutamente basso per consentire a tutti di usufruirne: «Non si acquista la terra, che resta di proprietà dell’azienda, ma il diritto di superficie. Chi vuole può acquistare una quota che diventa una sorta di pensione integrativa». Autogestita anche l’urbanizzazione. Non ci saranno fogne: «Tramite la fitodepurazione i rifiuti vengono trasformati in cibo per piante, biomassa e quindi energia». Di notte funzionerà un’illuminazione al passaggio. E poi c’è l’aspetto sociale: «La spesa a “Km 0”, la possibilità del telelavoro e i servizi del villaggio consentiranno ai residenti di dedicare più tempo ai figli e agli anziani». La grande incognita tra Leoni e il suo sogno si chiama, guarda caso, burocrazia: «Stiamo aspettando il varo del Piano strutturale comunale, ci hanno assicurato una corsia preferenziale». E ci mancherebbe. Parma è governata da un monocolore 5 Stelle. E uno degli ispiratori dell’Agrivillaggio, nonché presidente della scuola, è Maurizio Pallante, teorico della «decrescita felice», totem dei grillini. 12 gennaio 2014] L’imprenditore agricolo Giovanni Leoni, 52 anni (Cavicchi)

VICOFERTILE (Parma) - C’è un grande prato verde dove nascono speranze cantava Gianni Morandi. Il prato verde di Giovanni Leoni, 52 anni, imprenditore agricolo parmense con una rivoluzionaria idea in testa e un progetto che a mesi diventerà realtà, sono i 28 ettari sui quali il prossimo settembre verranno posate le 60 abitazioni (per altrettante famiglie, totale 240 persone) del suo Agrivillaggio, un quartiere ecologico totalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare ed energetico, fornito di negozi e servizi, dove nulla viene sprecato, tutto viene prodotto secondo i cicli naturali dell’agricoltura e i cui abitanti si muovono a piedi, in bici o con auto elettriche.

Un eco-villaggio, «unico al mondo» afferma Leoni, capace di provvedere ai bisogni dei residenti nel rispetto dell’ambiente. Dove la filosofia del «Km 0» trova piena attuazione (Leoni parla di «iperzero»): «Tra il consumatore residente nel villaggio e l’agricoltore non ci sono intermediari né sprechi di risorse per il trasporto: tutto viene prodotto all’interno dell’Agrivillaggio, a cominciare dai prodotti di stagione».

Il cuore pulsante, «il polo energetico» come lo chiama Leoni, è la stalla già perfettamente funzionante e in linea con le migliori tecnologie, che sforna cibo, consente il riciclo dei rifiuti e produce energia (biogas, quindi metano).
Il progetto di Leoni, a un tiro di schioppo da Parma, a Vicofertile, dove la campagna lambisce la prima periferia, non è un ritorno al Medioevo, «né una suggestione da eremita». È un modo diverso di pensare il futuro, l’alimentazione, l’abitabilità, i rapporti sociali. Un modello alternativo alle grandi megalopoli-dormitorio che parte dalla constatazione «dell’enorme debito ecologico che il genere umano ha ormai contratto con la Terra». Un modello che punta, nel rispetto dei cicli, a creare un mondo con più beni e servizi e un minor impatto ambientale:«A differenza di adesso, l’agricoltura del futuro dovrà partire dal fabbisogno ideale di ciascuno, guardando in faccia il consumatore». È quella che Leoni chiama «agricoltura on demand»: «Nel villaggio gli orti e i frutteti produrranno cibo per un migliaio di persone, anche se i residenti sono 200: l’eccedenza sarà venduta all’esterno».
Se negli ultimi dieci anni Leoni ha potuto dedicarsi anima e corpo al progetto dell’Agrivillaggio - che decollerà ufficialmente all’inizio del 2015 per sfruttare la scia dell’Expo di Milano e che si è avvalso della consulenza di architetti, biologi e ingegneri - lo si deve alla solidità della sua azienda agricola, leader nel settore, che produce ogni anno 1500 forme di Parmigiano-Reggiano, 22 mila quintali di pomodori e 10 mila di cipolle.

L’azienda sarà il cuore pulsante dell’Agrivillaggio. È in essa che Leoni ha riversato le conoscenze accumulate nelle più diverse aree del mondo (dall’Argentina all’Australia) nel campo della sperimentazione agricola e ora confluite in una sorta di «fattoria didattica» per gli studenti delle scuole medie e superiori. Anche sul piano urbanistico il progetto presenta lati innovativi. Ispirato dalle teorie dell’architetto Frank Lloyd Wright («La città vivente», 1958) e dalle transition towns fondate in Irlanda e in Inghilterra dall’ambientalista Rob Hopkins, l’Agrivillaggio prevede nuove concezioni abitative: «Case a un piano con un tetto che fa da terrazza sugli orti. Ogni modulo poggia su una piattaforma di cemento e ha una superficie di 18 metri quadrati. Saranno i residenti a scegliere la metratura: basterà aggiungere o togliere i moduli».
Il costo della casa, fornita di fotovoltaico e solare termico, è volutamente basso per consentire a tutti di usufruirne: «Non si acquista la terra, che resta di proprietà dell’azienda, ma il diritto di superficie. Chi vuole può acquistare una quota che diventa una sorta di pensione integrativa». Autogestita anche l’urbanizzazione. Non ci saranno fogne: «Tramite la fitodepurazione i rifiuti vengono trasformati in cibo per piante, biomassa e quindi energia». Di notte funzionerà un’illuminazione al passaggio. E poi c’è l’aspetto sociale: «La spesa a “Km 0”, la possibilità del telelavoro e i servizi del villaggio consentiranno ai residenti di dedicare più tempo ai figli e agli anziani».

La grande incognita tra Leoni e il suo sogno si chiama, guarda caso, burocrazia: «Stiamo aspettando il varo del Piano strutturale comunale, ci hanno assicurato una corsia preferenziale». E ci mancherebbe. Parma è governata da un monocolore 5 Stelle. E uno degli ispiratori dell’Agrivillaggio, nonché presidente della scuola, è Maurizio Pallante, teorico della «decrescita felice», totem dei grillini.
12 gennaio 2014
aaaa42
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Re: La decrescita Felice

Messaggio da aaaa42 »

molto interessante
condivido
non sono d' accordo sulla ' novità'
questi idee le avevano i socialisti utopisti e i fisiocratici circa 1750 quindi circa 2 o 3 secoli fa.
poi c è stato l' avvento del capitalismo industriale circa 1800 in inghilterra con il fenomeno delle' 'enclurese' privatizzazioni della terra .

non mi convince il modulo abitativo di 18 mq, uno spreco un idea arcaica.
in commercio vi è un modulo abitativi di 10 mq che include cucina e sala, bagno e soppalco con camera
iospero
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Re: La decrescita Felice

Messaggio da iospero »

Al di là dei dettagli mi sembra importante verificare e far vedere agli scettici che la " decrescita Felice" funziona e può essere diffusa con notevole vantaggi per tutti.
paolo11
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Iscritto il: 22/02/2012, 14:30

Re: La decrescita Felice

Messaggio da paolo11 »

iospero ha scritto:Al di là dei dettagli mi sembra importante verificare e far vedere agli scettici che la " decrescita Felice" funziona e può essere diffusa con notevole vantaggi per tutti.
.................................
Sono d'accordo.
Ciao
Paolo11
aaaa42
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Re: La decrescita Felice

Messaggio da aaaa42 »

la decrescita è un nuovo modello economico che si contrappone al modello economico neoliberista e al modello economico keynesiano oppure sono nuovi modelli di vita basati sul benessere delle persone, su una nuova qualità delle vita ?
aaaa42
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Re: La decrescita Felice

Messaggio da aaaa42 »

La problematica della DECRESCITA merita approfondimenti non come MODELLO ECONOMICO ALTERNATIVO, ma come una componente importante insieme alla componente ' ANALISI DEI BISOGNI'
di un nuovo modello di sviluppo badato non sul mercato ma sui bisogni.
inoltre la DECRESCITA non è Decremento della Domanda Aggregata e in particolare dei CONSUMI, ma una diversa COMPOSIZIONE DEI CONSUMI.
Questo intervento del prof. Lunghini è a mio avviso molto interessante :
-----------------------------------------------------------------------------------
La crisi, Keynes, la decrescita

Giorgio Lunghini

Proibire la guerra e ogni strumento bellico, cambiare radicalmente stile di vita, evitare sprechi energetici, rinunciare a mode e prodotti inutili. Siamo pronti a diventare keynesiani?

Sul manifesto sono frequenti scritti che a fronte della crisi evocano la questione dell'ambiente e dei beni comuni, che come via di uscita invocano la teoria della decrescita, e per i quali Keynes non basta più.
Hanno ragione tutti, salvo che su un punto: Keynes non è mai servito, se non come alibi abusivo per forme di keynesismo bastardo o criminale, forse perché il capitalismo non vuole essere migliorato, e per ragioni che aveva ben chiare Kalecki:
«Ogni allargamento dell'ambito dell'attività economica dello Stato è visto con sospetto dai capitalisti; ma l'accrescimento dell'occupazione tramite le spese statali ha un aspetto particolare che rende la loro opposizione particolarmente intensa. Nel sistema del laissez faire il livello dell'occupazione dipende in larga misura dalla così detta atmosfera di fiducia. Quando questa si deteriora, gli investimenti si riducono, cosa che porta a un declino della produzione e dell'occupazione (direttamente, o indirettamente, tramite l'effetto di una riduzione dei redditi sul consumo e sugli investimenti).
Questo assicura ai capitalisti un controllo automatico sulla politica governativa. Il governo deve evitare tutto quello che può turbare l' "atmosfera di fiducia", in quanto ciò può produrre una crisi economica. Ma una volta che il governo abbia imparato ad accrescere artificialmente l'occupazione tramite le proprie spese, allora tale "apparato di controllo" perde la sua efficacia. Anche per questo il deficit del bilancio, necessario per condurre l'intervento statale, deve venir considerato come pericoloso. La funzione sociale della dottrina della "finanza sana" si fonda sulla dipendenza del livello dell'occupazione dalla "atmosfera di fiducia"».

Infatti Luigi Einaudi, oggi molto di moda, pensava che Keynes fosse un bolscevico. Tuttavia la questione dell'ambiente - ma sarebbe meglio dire: della natura - era ben presente allo stesso Keynes e a un altro autore meno noto ma qui particolarmente autorevole: Georgescu-Rögen; tutti e due autori consapevoli delle premesse tecniche e politiche di un rapporto non disastroso tra capitalismo e natura. Di Keynes ricordo soltanto un passo:
«Il secolo XIX aveva esagerato sino alla stravaganza quel criterio che si può chiamare brevemente del tornaconto finanziario quale segno della opportunità di una azione qualsiasi, di iniziativa privata o collettiva. Tutta la condotta della vita era stata ridotta a una specie di parodia dell'incubo di un contabile. Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell'ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d'opinione che fosse giusto ed opportuno costruire delle catapecchie perché le catapecchie, alla prova dell'iniziativa privata,
"rendevano", mentre la città delle meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell'idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe "ipotecato il futuro"? La stessa regola autodistruttiva del calcolo finanziario governa ogni altro aspetto della vita. Distruggiamo le bellezze del paesaggio, perché le bellezze della natura che non si possono privatizzare non hanno alcun valore economico. Probabilmente saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo».

Di qui una domanda molto semplice: è possibile superare queste contraddizioni, in particolare la contraddizione tra capitalismo e natura? È una domanda molto difficile, ma un principio di risposta si trova in un ragionamento di Georgescu-Rögen, che qui riassumo e la cui premessa è che anche il processo produttivo è soggetto alle leggi della termodinamica, cioè è soggetto a una dissipazione irreversibile. Circa le conseguenze sulla natura del processo capitalistico di produzione, così come per le sue conseguenze economiche, in prima istanza conviene chiedersi se è tecnicamente possibile ridurle in maniera significativa; chiedendoci poi se e come ciò sia possibile politicamente.

Georgescu-Rögen riconosce che una rinuncia completa alle comodità offerte dall'industria moderna è improponibile; e che però è pensabile un programma minimale, il quale comprenda almeno questi punti: 1. Proibire non soltanto la guerra in sé, ma anche la produzione di qualsiasi strumento bellico. 2. Impiegare le forze produttive così liberate al fine di consentire ai paesi sottosviluppati di raggiungere rapidamente gli standard di una vita buona: tutti i paesi devono essere alla pari, nelle condizioni necessarie per riconoscere l'urgenza di un cambiamento radicale negli stili di vita.
3. La popolazione mondiale deve ridursi a un livello tale che ne sia possibile la nutrizione mediante la sola agricoltura organica.
4. Fino a quando l'energia solare e l'energia nucleare non diventeranno davvero convenienti e sicure, ogni spreco di energia dovrà essere evitato e controllato.
5.Dovremo rinunciare ai gadget, a tutti i troppi prodotti inutili.
6. Dobbiamo liberarci dalla moda, che ci spinge a buttar via vestiti, mobili, oggetti ancora utili.
7. I beni durevoli devono essere ancora più durevoli, e perciò riparabili. 8. Dobbiamo liberarci della frenesia del fare, e renderci conto che un prerequisito importante per una buona vita è l'ozio: tempo libero liberato dall'ansia e impiegato in maniera intelligente.

Così come per quelle economiche, anche a fronte delle crisi naturali si possono dunque concepire, e si potrebbero praticare, comportamenti umani che eviterebbero le une e le altre. Siamo pronti, noi per primi ma soprattutto i potenti della terra, a fare nostri i programmi di Keynes e di Georgescu-Rögen, programmi che sono semplicemente un elogio della sobrietà?
Tutto ciò ha ovviamente a che fare con la questione di fondo: dobbiamo rassegnarci a morire nel mondo del capitale?
Qui la risposta è semplice: sarebbe strano se così fosse, e proprio per semplici ragioni storiche: se ci sono state altre forme di organizzazione dell'economia e della società prima di questa, è forse possibile che questa duri in eterno? Altrimenti dovremmo convenire con Pangloss: «Ogni avvenimento è concatenato in questo migliore dei mondi possibile; ché, infine, se non foste stato cacciato per amore di Cunegonda a pedate sul didietro da un bel castello, se non foste passato sotto l'Inquisizione, se non aveste corsa l'America a piedi e non aveste perduti tutti i montoni del bel paese dell'Eldorado, non mangereste qui cedri canditi e pistacchi».

Qui tuttavia si entra nel terreno vago e scivoloso della filosofia della storia; e sarebbe davvero un bizzarro scherzo della Storia se si inverasse la tesi di Hegel secondo Kojève, se con il capitalismo la storia finisse.
Meglio dunque rileggere questo brano di Marx: «In quanto il processo lavorativo è soltanto un processo tra l'uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme dell'evoluzione sociale. Ma ogni determinata forma storica di questo processo ne sviluppa la base materiale e le forme sociali». Dunque si potrebbe dire che alla forma capitalistica del processo lavorativo e dello sfruttamento del lavoro, corrisponde una forma capitalistica dello sfruttamento della natura. E così come esiste un limite al saggio di sfruttamento del lavoro, oltre il quale si danno crisi economiche, così esiste un limite al saggio di sfruttamento della natura, oltre il quale si danno crisi non soltanto del sistema economico, ma della stessa natura. Quel brano di Marx così seguita: «Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un'altra più elevata (il corsivo è nostro, ndr). Si riconosce che è giunto il momento di una tale crisi quando guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall'altro. Subentra allora un conflitto tra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale».

Mai come oggi, con l'intensità e gravità delle crisi economiche e naturali ora in atto, sembra ragionevole dare ragione a Marx: salvo che per quell'ottimistico «più elevata», una questione rilevante anche per quell'esame di noi stessi, lettori e collaboratori del manifesto, cui ci sollecita Rossana Rossanda.
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