Il gioco sporco della Germania keynesiana
-
- Messaggi: 2444
- Iscritto il: 24/02/2012, 18:16
Il gioco sporco della Germania keynesiana
da L'HUFFINGTON POST di Antonio Bruno
Il gioco sporco della Germania keynesiana
Ormai è opinione diffusa, anche e soprattutto in Italia, che il problema dell'economia italiana sia attribuibile esclusivamente a responsabilità italiane. La spesa pubblica, il debito pubblico, la burocrazia, la corruzione, le tasse e la politica che non decide. Pur riconoscendo l'esistenza di tali criticità, analizzando singolarmente alcune voci si scoprono aspetti poco evidenziati nel dibattito politico italiano.
Tagliare la spesa: ce lo chiede l'Europa
L'avvento della politica di austerità si è manifestato in Italia con continui tagli alla spesa, soprattutto quella degli enti locali, e con l'affermazione mediatica e politica del paradigma della riduzione dell'intervento pubblico. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una massiccia produzione di libri e di approfondimenti giornalistici tesi a evidenziare lo spreco delle risorse pubbliche. Eppure, ogni analisi sulla spesa pubblica parte dall'aspetto quantitativo - il paradigma della riduzione della spesa - e finisce, puntualmente, con valutazioni di tipo qualitativo. Soffermandoci sulla quantità, è possibile scoprire che l'Italia non è il Paese più spendaccione in Europa, anzi, in alcuni settori, come l'Istruzione, siamo tra i Paesi che spendono - investono - meno. Anche per quanto riguarda la cultura, peggio di noi, in Europa, soltanto la Grecia. Quindi, il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
La criminalizzazione degli anni '80: un falso storico
Sul debito pubblico, tema strettamente connesso alla spesa pubblica, ormai si dice tutto e il contrario di tutto, ma nell'opinione pubblica regge ancora il mantra politico della criminalizzazione degli anni '80. Ovviamente, il riferimento è alla politica e non, come giusto che sia, al divorzio tra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981. Negli anni '80 la spesa pubblica italiana era al di sotto della media europea e il debito pubblico esplose a causa degli interessi, subito dopo l'operazione voluta da Andreatta e Ciampi. Non è utile, in questa sede, aprire una discussione sulla politica del passato, mentre basta guardare alla percentuale del debito pubblico italiano oggi per renderci conto che la criminalizzazione del passato serve, soprattutto, a coprire i problemi del presente. Paragonare due epoche diverse, senza tenere conto dell'evoluzione normativa, dei mutamenti economici e dei vincoli europei, è un'operazione di pura de-responsabilizzazione della classe dirigente della seconda repubblica. È facile scaricare le colpe su Craxi e sugli anni '80, il difficile è dire la verità su quella stagione. Su questo tema bisogna cambiare verso, magari iniziando a raccontare la verità. Ma non è questo il punto.
L'Europa e il debito pubblico: il trucco della Germania
L'Europa a trazione tedesca ci dice che bisogna ridurre la spesa pubblica e contemporaneamente intervenire sul debito pubblico, anche alla luce degli obblighi derivanti dal Fiscal Compact. Con un'economia in recessione, la progressiva e costante riduzione della spesa pubblica non ha portato alcun beneficio, anzi, al contempo, il debito pubblico è aumentato raggiungendo il record del 132%. Il debito è salito principalmente a causa di diversi fattori: gli interessi sul debito, i fondi messi a disposizione dell'UE, i costi connessi alla disoccupazione e la mancata crescita economica. Cosa fare, a questo punto, secondo le ricette europee? Privatizzazioni, svalutazione dei salari - in Italia per molto tempo abbiamo mascherato la svalutazione interna con l'espressione "riforma del mercato del lavoro" - riduzione della spesa pubblica, maggiore prelievo fiscale.
In tutta questa vicenda c'è però un aspetto poco tenuto in considerazione. Sul calcolo del debito pubblico c'è qualcosa che non funziona in Europa e non sarà certo l'Esa 2010 a fugare questa perplessità. Con l'Esa 2010 si avrà una rivalutazione del Pil, non una crescita. Quindi, quando a fine anno leggeremo titoli giornalistici entusiastici sull'aumento del Pil, in realtà non sarà aumentato nulla, ma soltanto rivalutato l'esistente. Ciò comporterà maggiori margini di operatività, ma non significherà crescita economica.
Quale Stato, soprattutto in un momento di crisi economica, non utilizzerebbe la leva pubblica per finanziare piccole e medie imprese, infrastrutture locali, opere strategiche in materia di energia, bonifiche ambientali? Tutti gli Stati lo farebbero, ma devono fare i conti con il debito pubblico e con i vincoli europei. Tutti gli Stati europei, tranne uno: la Germania. Infatti, grazie alla maestria tedesca nella definizione delle regole relative al calcolo dei debiti pubblici - l'ex Esa95 - tutte le operazioni di supporto pubblico all'economia che in Germania passano attraverso una banca a totale capitale pubblico, la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, non vengono contabilizzate nel bilancio statale e quindi non generano debito pubblico. Un vero e proprio trucco che ha consentito alla Germania di utilizzare risorse pubbliche per sostenere la propria economia. Secondo diverse analisi, l'attivo della KfW si aggirerebbe intorno ai 500 miliardi di euro, circa il 17% del debito pubblico tedesco non contabilizzato. Una grossa quantità di danaro che ha consentito alla Germania di utilizzare la spesa pubblica per sostenere l'economia nazionale e al tempo stesso di imporre agli altri Stati europei la riduzione della spesa pubblica in nome delle politiche di austerità.
La Germania ha applicato la politica keynesiana a casa sua, ma ha imposto l'abbandono di simili politiche nel resto d'Europa. Così facendo, mentre svalutava il mercato interno con le riforme Hartz, sforando, in quel periodo, per due anni consecutivi il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, contemporaneamente, stimolava l'economia interna, soprattutto il settore dell' export, attraverso cospicui finanziamenti attraverso la KfW.
In Italia, ad esempio, la Cassa depositi e prestiti - che a differenza della KfG non è interamente pubblica - l'80,1% è del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il 18,4 è delle Fondazioni private e l'1,5 sono azioni proprie - genera debito pubblico quando presta i soldi alle pubbliche amministrazioni e queste ultime, a loro volta, sono vincolate dal Patto di stabilità. Sul punto Franco Bassanini, Presidente della CdP, ha dichiarato durante l'audizione alla Camera del 7 maggio 2014:
"tradizionalmente la Cassa faceva in media 6 miliardi di euro all'anno di nuovi mutui alle amministrazioni locali, più qualche altra amministrazione pubblica. Da tre o quattro anni a questa parte, questo impiego di cassa è venuto diminuendo, perché le amministrazioni locali, per il Patto di stabilità, per le condizioni della finanza locale, per i vari tagli, non sono in condizione di indebitarsi. Noi diciamo sempre che se ci chiedessero 10 miliardi, saremmo in grado di metterci 10 miliardi, perché questa è la prima e tradizionale missione della Cassa, che non deve venir meno. Tuttavia, le amministrazioni non sono in condizione di farlo, perché sono tutti miliardi che vanno sul debito pubblico e, quindi, sull'indebitamento delle pubbliche amministrazioni, e che, secondo le regole del Patto di stabilità devono trovare copertura anche i fini del deficit, attraverso i flussi programmati di pagamento delle rate di ammortamento degli interessi".
Abbiamo lo strumento per dare un impulso notevole alla crescita, ma non possiamo utilizzarlo. Appare del tutto necessario per l'Italia, soprattutto durante il semestre europeo a guida italiana, ridiscutere gli strumenti utilizzabili per dare impulso alla ripresa economica. Non basteranno le nuove regole per il calcolo del debito pubblico - Esa 2010 - a rimettere in moto l'economia, soprattutto perché con il passaggio delle spese per ricerca e sviluppo dal capitolo spese correnti al capitolo formazione di capitale fisso lordo senza intervenire sul veicolo pubblico per dare impulso alla crescita, in ogni caso, si avvantaggerà uno Stato come la Germania che può contare su una fonte - pubblica - di finanziamento di tali attività - la KfW - che, in misura molto ridotta, c'è soltanto in Francia.
Il gioco sporco della Germania keynesiana
Ormai è opinione diffusa, anche e soprattutto in Italia, che il problema dell'economia italiana sia attribuibile esclusivamente a responsabilità italiane. La spesa pubblica, il debito pubblico, la burocrazia, la corruzione, le tasse e la politica che non decide. Pur riconoscendo l'esistenza di tali criticità, analizzando singolarmente alcune voci si scoprono aspetti poco evidenziati nel dibattito politico italiano.
Tagliare la spesa: ce lo chiede l'Europa
L'avvento della politica di austerità si è manifestato in Italia con continui tagli alla spesa, soprattutto quella degli enti locali, e con l'affermazione mediatica e politica del paradigma della riduzione dell'intervento pubblico. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una massiccia produzione di libri e di approfondimenti giornalistici tesi a evidenziare lo spreco delle risorse pubbliche. Eppure, ogni analisi sulla spesa pubblica parte dall'aspetto quantitativo - il paradigma della riduzione della spesa - e finisce, puntualmente, con valutazioni di tipo qualitativo. Soffermandoci sulla quantità, è possibile scoprire che l'Italia non è il Paese più spendaccione in Europa, anzi, in alcuni settori, come l'Istruzione, siamo tra i Paesi che spendono - investono - meno. Anche per quanto riguarda la cultura, peggio di noi, in Europa, soltanto la Grecia. Quindi, il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
La criminalizzazione degli anni '80: un falso storico
Sul debito pubblico, tema strettamente connesso alla spesa pubblica, ormai si dice tutto e il contrario di tutto, ma nell'opinione pubblica regge ancora il mantra politico della criminalizzazione degli anni '80. Ovviamente, il riferimento è alla politica e non, come giusto che sia, al divorzio tra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981. Negli anni '80 la spesa pubblica italiana era al di sotto della media europea e il debito pubblico esplose a causa degli interessi, subito dopo l'operazione voluta da Andreatta e Ciampi. Non è utile, in questa sede, aprire una discussione sulla politica del passato, mentre basta guardare alla percentuale del debito pubblico italiano oggi per renderci conto che la criminalizzazione del passato serve, soprattutto, a coprire i problemi del presente. Paragonare due epoche diverse, senza tenere conto dell'evoluzione normativa, dei mutamenti economici e dei vincoli europei, è un'operazione di pura de-responsabilizzazione della classe dirigente della seconda repubblica. È facile scaricare le colpe su Craxi e sugli anni '80, il difficile è dire la verità su quella stagione. Su questo tema bisogna cambiare verso, magari iniziando a raccontare la verità. Ma non è questo il punto.
L'Europa e il debito pubblico: il trucco della Germania
L'Europa a trazione tedesca ci dice che bisogna ridurre la spesa pubblica e contemporaneamente intervenire sul debito pubblico, anche alla luce degli obblighi derivanti dal Fiscal Compact. Con un'economia in recessione, la progressiva e costante riduzione della spesa pubblica non ha portato alcun beneficio, anzi, al contempo, il debito pubblico è aumentato raggiungendo il record del 132%. Il debito è salito principalmente a causa di diversi fattori: gli interessi sul debito, i fondi messi a disposizione dell'UE, i costi connessi alla disoccupazione e la mancata crescita economica. Cosa fare, a questo punto, secondo le ricette europee? Privatizzazioni, svalutazione dei salari - in Italia per molto tempo abbiamo mascherato la svalutazione interna con l'espressione "riforma del mercato del lavoro" - riduzione della spesa pubblica, maggiore prelievo fiscale.
In tutta questa vicenda c'è però un aspetto poco tenuto in considerazione. Sul calcolo del debito pubblico c'è qualcosa che non funziona in Europa e non sarà certo l'Esa 2010 a fugare questa perplessità. Con l'Esa 2010 si avrà una rivalutazione del Pil, non una crescita. Quindi, quando a fine anno leggeremo titoli giornalistici entusiastici sull'aumento del Pil, in realtà non sarà aumentato nulla, ma soltanto rivalutato l'esistente. Ciò comporterà maggiori margini di operatività, ma non significherà crescita economica.
Quale Stato, soprattutto in un momento di crisi economica, non utilizzerebbe la leva pubblica per finanziare piccole e medie imprese, infrastrutture locali, opere strategiche in materia di energia, bonifiche ambientali? Tutti gli Stati lo farebbero, ma devono fare i conti con il debito pubblico e con i vincoli europei. Tutti gli Stati europei, tranne uno: la Germania. Infatti, grazie alla maestria tedesca nella definizione delle regole relative al calcolo dei debiti pubblici - l'ex Esa95 - tutte le operazioni di supporto pubblico all'economia che in Germania passano attraverso una banca a totale capitale pubblico, la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, non vengono contabilizzate nel bilancio statale e quindi non generano debito pubblico. Un vero e proprio trucco che ha consentito alla Germania di utilizzare risorse pubbliche per sostenere la propria economia. Secondo diverse analisi, l'attivo della KfW si aggirerebbe intorno ai 500 miliardi di euro, circa il 17% del debito pubblico tedesco non contabilizzato. Una grossa quantità di danaro che ha consentito alla Germania di utilizzare la spesa pubblica per sostenere l'economia nazionale e al tempo stesso di imporre agli altri Stati europei la riduzione della spesa pubblica in nome delle politiche di austerità.
La Germania ha applicato la politica keynesiana a casa sua, ma ha imposto l'abbandono di simili politiche nel resto d'Europa. Così facendo, mentre svalutava il mercato interno con le riforme Hartz, sforando, in quel periodo, per due anni consecutivi il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, contemporaneamente, stimolava l'economia interna, soprattutto il settore dell' export, attraverso cospicui finanziamenti attraverso la KfW.
In Italia, ad esempio, la Cassa depositi e prestiti - che a differenza della KfG non è interamente pubblica - l'80,1% è del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il 18,4 è delle Fondazioni private e l'1,5 sono azioni proprie - genera debito pubblico quando presta i soldi alle pubbliche amministrazioni e queste ultime, a loro volta, sono vincolate dal Patto di stabilità. Sul punto Franco Bassanini, Presidente della CdP, ha dichiarato durante l'audizione alla Camera del 7 maggio 2014:
"tradizionalmente la Cassa faceva in media 6 miliardi di euro all'anno di nuovi mutui alle amministrazioni locali, più qualche altra amministrazione pubblica. Da tre o quattro anni a questa parte, questo impiego di cassa è venuto diminuendo, perché le amministrazioni locali, per il Patto di stabilità, per le condizioni della finanza locale, per i vari tagli, non sono in condizione di indebitarsi. Noi diciamo sempre che se ci chiedessero 10 miliardi, saremmo in grado di metterci 10 miliardi, perché questa è la prima e tradizionale missione della Cassa, che non deve venir meno. Tuttavia, le amministrazioni non sono in condizione di farlo, perché sono tutti miliardi che vanno sul debito pubblico e, quindi, sull'indebitamento delle pubbliche amministrazioni, e che, secondo le regole del Patto di stabilità devono trovare copertura anche i fini del deficit, attraverso i flussi programmati di pagamento delle rate di ammortamento degli interessi".
Abbiamo lo strumento per dare un impulso notevole alla crescita, ma non possiamo utilizzarlo. Appare del tutto necessario per l'Italia, soprattutto durante il semestre europeo a guida italiana, ridiscutere gli strumenti utilizzabili per dare impulso alla ripresa economica. Non basteranno le nuove regole per il calcolo del debito pubblico - Esa 2010 - a rimettere in moto l'economia, soprattutto perché con il passaggio delle spese per ricerca e sviluppo dal capitolo spese correnti al capitolo formazione di capitale fisso lordo senza intervenire sul veicolo pubblico per dare impulso alla crescita, in ogni caso, si avvantaggerà uno Stato come la Germania che può contare su una fonte - pubblica - di finanziamento di tali attività - la KfW - che, in misura molto ridotta, c'è soltanto in Francia.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Il gioco sporco della Germania keynesiana
Tagliare la spesa: ce lo chiede l'Europa
L'avvento della politica di austerità si è manifestato in Italia con continui tagli alla spesa, soprattutto quella degli enti locali, e con l'affermazione mediatica e politica del paradigma della riduzione dell'intervento pubblico. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una massiccia produzione di libri e di approfondimenti giornalistici tesi a evidenziare lo spreco delle risorse pubbliche. Eppure, ogni analisi sulla spesa pubblica parte dall'aspetto quantitativo - il paradigma della riduzione della spesa - e finisce, puntualmente, con valutazioni di tipo qualitativo. Soffermandoci sulla quantità, è possibile scoprire che l'Italia non è il Paese più spendaccione in Europa, anzi, in alcuni settori, come l'Istruzione, siamo tra i Paesi che spendono - investono - meno. Anche per quanto riguarda la cultura, peggio di noi, in Europa, soltanto la Grecia. Quindi, il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
Per quello che mi sembra di capire è che nella politica di austerità confliggono due culture. Quella nordica e quella sudicia.
Di fronte allo stesso problema a Nord reagiscono in un modo che a Sud non è applicabile.
Si tratta di differenze culturali che vengono da lontano.
Questo mi ricorda ad esempio due modi di interpretare la vita. Ritorniamo ad esempio indietro di oltre 70 anni.
Quando un battaglione di fanteria tedesco effettuava un trasferimento, un colonnello si portava le sue cose nello zaino a spalla. L’equivalente italiano, invece, aveva l’attendente che gli portava lo zaino.
Negli anni ’70 noi navigavamo con governi che duravano 6 mesi un anno. I tedeschi affermavano tranquillamente che se fosse accaduto da loro, in 20 giorni sarebbe crollata la Germania.
Loro non erano in grado di vivere nel caos come noi.
Ergo, di fronte a certi problemi loro reagiscono applicando l’austerità. Solo che l’austerità viene suddivisa per tutti.
Da noi invece no. La fatica dei nostri politici è quella di rendere accettabile l’austerità alle classi medio basse cercando di non perdere consenso.
Questa mattina mi sono trovato nuovamente d’accordo con Cirino Pomicino, che nella Prima Repubblica ho sempre avversato.
Siamo in crisi e la cosa più logica per non fare cadere il mercato interno è andare prendere i soldi dove ci sono. Se il 10 % della popolazione detiene il 47 % della ricchezza nazionale privata, i soldi si vanno chiedere lì. Perché a furia di mungere sempre la stessa vacca si rischia che di latte non cene sia più.
Ma dato che la classe politica dipende da quel 10 % allora cerca di non toccarla.
Quando Monti aveva in mente una patrimoniale soprattutto verso le classi alte, Berlusconi gli ha imposto l’alt, altrimenti faceva cadere il governo.
Mucchetti, Pd, nell’autunno del 2011, sosteneva che si potevano recuperare 300 miliardi.
Ma il ragionamento dei politici è sempre lo stesso.
Invece di chiedere 60 milioni alla famiglia Agnelli (tanto per fare un esempio), preferisce chiedere 1 euro a ciascun italiano.
L'avvento della politica di austerità si è manifestato in Italia con continui tagli alla spesa, soprattutto quella degli enti locali, e con l'affermazione mediatica e politica del paradigma della riduzione dell'intervento pubblico. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una massiccia produzione di libri e di approfondimenti giornalistici tesi a evidenziare lo spreco delle risorse pubbliche. Eppure, ogni analisi sulla spesa pubblica parte dall'aspetto quantitativo - il paradigma della riduzione della spesa - e finisce, puntualmente, con valutazioni di tipo qualitativo. Soffermandoci sulla quantità, è possibile scoprire che l'Italia non è il Paese più spendaccione in Europa, anzi, in alcuni settori, come l'Istruzione, siamo tra i Paesi che spendono - investono - meno. Anche per quanto riguarda la cultura, peggio di noi, in Europa, soltanto la Grecia. Quindi, il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
Per quello che mi sembra di capire è che nella politica di austerità confliggono due culture. Quella nordica e quella sudicia.
Di fronte allo stesso problema a Nord reagiscono in un modo che a Sud non è applicabile.
Si tratta di differenze culturali che vengono da lontano.
Questo mi ricorda ad esempio due modi di interpretare la vita. Ritorniamo ad esempio indietro di oltre 70 anni.
Quando un battaglione di fanteria tedesco effettuava un trasferimento, un colonnello si portava le sue cose nello zaino a spalla. L’equivalente italiano, invece, aveva l’attendente che gli portava lo zaino.
Negli anni ’70 noi navigavamo con governi che duravano 6 mesi un anno. I tedeschi affermavano tranquillamente che se fosse accaduto da loro, in 20 giorni sarebbe crollata la Germania.
Loro non erano in grado di vivere nel caos come noi.
Ergo, di fronte a certi problemi loro reagiscono applicando l’austerità. Solo che l’austerità viene suddivisa per tutti.
Da noi invece no. La fatica dei nostri politici è quella di rendere accettabile l’austerità alle classi medio basse cercando di non perdere consenso.
Questa mattina mi sono trovato nuovamente d’accordo con Cirino Pomicino, che nella Prima Repubblica ho sempre avversato.
Siamo in crisi e la cosa più logica per non fare cadere il mercato interno è andare prendere i soldi dove ci sono. Se il 10 % della popolazione detiene il 47 % della ricchezza nazionale privata, i soldi si vanno chiedere lì. Perché a furia di mungere sempre la stessa vacca si rischia che di latte non cene sia più.
Ma dato che la classe politica dipende da quel 10 % allora cerca di non toccarla.
Quando Monti aveva in mente una patrimoniale soprattutto verso le classi alte, Berlusconi gli ha imposto l’alt, altrimenti faceva cadere il governo.
Mucchetti, Pd, nell’autunno del 2011, sosteneva che si potevano recuperare 300 miliardi.
Ma il ragionamento dei politici è sempre lo stesso.
Invece di chiedere 60 milioni alla famiglia Agnelli (tanto per fare un esempio), preferisce chiedere 1 euro a ciascun italiano.
Ultima modifica di camillobenso il 20/08/2014, 23:22, modificato 1 volta in totale.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Il gioco sporco della Germania keynesiana
Noi continuiamo a fare i furbi in questo modo, poi non possiamo lamentarci dell'Ue.
Conti pubblici, aggiornamento del Def slitta a ottobre per aspettare “aiutino” Esa
Il governo posticipa dal 20 settembre al 1° ottobre la trasmissione al Consiglio dei ministri della nuova versione del Documento di economia e finanza. In modo da potervi inserire i dati ricalcolati con il nuovo sistema europeo di contabilità pubblica, che gonfierà il pil fino al 2% con effetti positivi sul rispetto dei parametri del patto di Stabilità. Non per niente l'1 agosto Renzi aveva annunciato una ripartenza "col botto"
di Chiara Brusini | 20 agosto 2014Commenti (3)
Pur di garantire la “ripartenza col botto” promessa l’1 agosto agli italiani, Matteo Renzi cambia in corsa il calendario dell’aggiornamento dei conti pubblici. Il nuovo Documento di economia e finanza, ha comunicato il Tesoro, non sarà presentato alle Camere il 20 settembre, come prevede una legge del 2011: arriverà in Consiglio dei ministri per il via libera solo l’1 ottobre. Per aspettare che l’Istat diffonda i nuovi conti nazionali aggiornati sulla base del tanto atteso (a Palazzo Chigi) nuovo sistema di contabilità pubblica European system of national accounts 2010, meglio noto come Esa 2010 o, in italiano, Sec 2010. Quello che prevede, tra le altre cose, che nel calcolo del prodotto interno lordo rientrino le spese in ricerca e sviluppo e quelle militari, ma pure le attività illegali, compreso traffico di droga, contrabbando e prostituzione. E che si tradurrà per l’Italia, senza che nulla cambi in concreto nell’economia reale, in un aumento del Pil di 1-2 punti percentuali. Un “doping” che non ci farà uscire dalla recessione, perché le variazioni, positive o negative, resteranno uguali, ma avrà un effetto rilevante su due parametri cruciali per il rispetto del Patto di Stabilità: il rapporto deficit/Pil e il debito/Pil. Il primo, che stando ai dati più recenti rischia di sforare il 3%, in caso di un aumento del Pil di 2 punti si ridurrebbe di una percentuale compresa tra 0,05 e 0,06%. Il secondo, che come è noto ha raggiunto il 135,6% del Pil, calerà fino a 2,6 punti percentuali. Manna dal cielo, ora che commentatori e analisti fanno a gara per suggerire ricette in grado di colmare la voragine dei conti pubblici.
“Gli italiani vadano in ferie tranquillamente, a settembre ci sarà una grande ripartenza col botto”, aveva garantito il premier l’1 agosto, durante la conferenza stampa che l’ha visto fare marcia indietro sull’estensione a pensionati e partite Iva del bonus di 80 euro. Pensando, probabilmente, proprio ai nuovi numeri che sarebbero usciti dall’aggiornamento dei conti sulla base di Esa 2010. Ma a luglio l’Istat ha comunicato che i conti nazionali così rivisti verranno rilasciati solo il 22 settembre. Problema: il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan avrebbe dovuto presentare l’aggiornamento del Documento di economia e finanza - cruciale appuntamento d’autunno in vista della Legge di Stabilità - proprio due giorni prima, il 20 settembre. Una vera disdetta. Quindi che si fa? Semplice: si fa slittare l’aggiornamento. Poter presentare numeri più rassicuranti agli italiani e agli investitori internazionali varrà bene qualche giorno di attesa.
Detto, fatto. Mercoledì sera il Tesoro ha diffuso un comunicato che recita: “Per gli adeguamenti al Sec 2010 la Nota di Aggiornamento al Def sarà disponibile per la discussione in Consiglio dei Ministri il primo ottobre 2014″. Peccato che il termine ultimo per la presentazione alle Camere prescritto dalla legge 39 del 7 aprile 2011, adottata per coordinare il calendario della programmazione economica italiana con quello degli altri Paesi Ue, sia il 20 settembre. D’altronde l’utilizzo dei nuovi dati, spiega il ministero, “è il presupposto essenziale per la predisposizione di un Def coerente con questa nuova metodologia di rilevazione statistica adottata a livello europeo”. Insomma: non si può proprio far senza. Tocca aspettare. Anche se le date, in teoria, sono tassative: entro il 20 bisogna aggiornare il documento che mette nero su bianco gli obiettivi triennali di politica economica e di finanza pubblica del governo, entro il 15 ottobre si deve presentare alle Camere il disegno di legge di Stabilità e a novembre la legge va inviata a Bruxelles per il vaglio della Commissione europea. Ma evidentemente stavolta Padoan e i tecnici di via XX Settembre hanno preferito chiudere un occhio e mettere al sicuro il “botto” di Renzi. Tra violare i parametri del Patto e prendersi un po’ di “flessibilità” almeno sui tempi, meglio la seconda opzione.
Se poi il 15 ottobre, quando l’Istat avrà aggiornato anche i dati sul Pil del primo e secondo trimestre, “vi saranno modifiche di rilievo nei tassi di crescita trimestrali dei vari aggregati tali da portare a modifiche significative anche nelle proiezioni, verrà successivamente presentata una Relazione ad hoc al Parlamento, come previsto per legge”. Chissà che l’asso nella manica di Renzi non riservi altre sorprese.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08 ... qus_thread
Conti pubblici, aggiornamento del Def slitta a ottobre per aspettare “aiutino” Esa
Il governo posticipa dal 20 settembre al 1° ottobre la trasmissione al Consiglio dei ministri della nuova versione del Documento di economia e finanza. In modo da potervi inserire i dati ricalcolati con il nuovo sistema europeo di contabilità pubblica, che gonfierà il pil fino al 2% con effetti positivi sul rispetto dei parametri del patto di Stabilità. Non per niente l'1 agosto Renzi aveva annunciato una ripartenza "col botto"
di Chiara Brusini | 20 agosto 2014Commenti (3)
Pur di garantire la “ripartenza col botto” promessa l’1 agosto agli italiani, Matteo Renzi cambia in corsa il calendario dell’aggiornamento dei conti pubblici. Il nuovo Documento di economia e finanza, ha comunicato il Tesoro, non sarà presentato alle Camere il 20 settembre, come prevede una legge del 2011: arriverà in Consiglio dei ministri per il via libera solo l’1 ottobre. Per aspettare che l’Istat diffonda i nuovi conti nazionali aggiornati sulla base del tanto atteso (a Palazzo Chigi) nuovo sistema di contabilità pubblica European system of national accounts 2010, meglio noto come Esa 2010 o, in italiano, Sec 2010. Quello che prevede, tra le altre cose, che nel calcolo del prodotto interno lordo rientrino le spese in ricerca e sviluppo e quelle militari, ma pure le attività illegali, compreso traffico di droga, contrabbando e prostituzione. E che si tradurrà per l’Italia, senza che nulla cambi in concreto nell’economia reale, in un aumento del Pil di 1-2 punti percentuali. Un “doping” che non ci farà uscire dalla recessione, perché le variazioni, positive o negative, resteranno uguali, ma avrà un effetto rilevante su due parametri cruciali per il rispetto del Patto di Stabilità: il rapporto deficit/Pil e il debito/Pil. Il primo, che stando ai dati più recenti rischia di sforare il 3%, in caso di un aumento del Pil di 2 punti si ridurrebbe di una percentuale compresa tra 0,05 e 0,06%. Il secondo, che come è noto ha raggiunto il 135,6% del Pil, calerà fino a 2,6 punti percentuali. Manna dal cielo, ora che commentatori e analisti fanno a gara per suggerire ricette in grado di colmare la voragine dei conti pubblici.
“Gli italiani vadano in ferie tranquillamente, a settembre ci sarà una grande ripartenza col botto”, aveva garantito il premier l’1 agosto, durante la conferenza stampa che l’ha visto fare marcia indietro sull’estensione a pensionati e partite Iva del bonus di 80 euro. Pensando, probabilmente, proprio ai nuovi numeri che sarebbero usciti dall’aggiornamento dei conti sulla base di Esa 2010. Ma a luglio l’Istat ha comunicato che i conti nazionali così rivisti verranno rilasciati solo il 22 settembre. Problema: il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan avrebbe dovuto presentare l’aggiornamento del Documento di economia e finanza - cruciale appuntamento d’autunno in vista della Legge di Stabilità - proprio due giorni prima, il 20 settembre. Una vera disdetta. Quindi che si fa? Semplice: si fa slittare l’aggiornamento. Poter presentare numeri più rassicuranti agli italiani e agli investitori internazionali varrà bene qualche giorno di attesa.
Detto, fatto. Mercoledì sera il Tesoro ha diffuso un comunicato che recita: “Per gli adeguamenti al Sec 2010 la Nota di Aggiornamento al Def sarà disponibile per la discussione in Consiglio dei Ministri il primo ottobre 2014″. Peccato che il termine ultimo per la presentazione alle Camere prescritto dalla legge 39 del 7 aprile 2011, adottata per coordinare il calendario della programmazione economica italiana con quello degli altri Paesi Ue, sia il 20 settembre. D’altronde l’utilizzo dei nuovi dati, spiega il ministero, “è il presupposto essenziale per la predisposizione di un Def coerente con questa nuova metodologia di rilevazione statistica adottata a livello europeo”. Insomma: non si può proprio far senza. Tocca aspettare. Anche se le date, in teoria, sono tassative: entro il 20 bisogna aggiornare il documento che mette nero su bianco gli obiettivi triennali di politica economica e di finanza pubblica del governo, entro il 15 ottobre si deve presentare alle Camere il disegno di legge di Stabilità e a novembre la legge va inviata a Bruxelles per il vaglio della Commissione europea. Ma evidentemente stavolta Padoan e i tecnici di via XX Settembre hanno preferito chiudere un occhio e mettere al sicuro il “botto” di Renzi. Tra violare i parametri del Patto e prendersi un po’ di “flessibilità” almeno sui tempi, meglio la seconda opzione.
Se poi il 15 ottobre, quando l’Istat avrà aggiornato anche i dati sul Pil del primo e secondo trimestre, “vi saranno modifiche di rilievo nei tassi di crescita trimestrali dei vari aggregati tali da portare a modifiche significative anche nelle proiezioni, verrà successivamente presentata una Relazione ad hoc al Parlamento, come previsto per legge”. Chissà che l’asso nella manica di Renzi non riservi altre sorprese.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08 ... qus_thread
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Il gioco sporco della Germania keynesiana
La vox populi.
Vincenzo Giancristofaro • 31 minuti fa
Se bastassero queste furbate per far ripartire l'Italia..non gli è bastato prendere in giro gli italiani una volta con gli 80 euro, ha bisogno di fare il bis! POVERA PATRIA
16 • Rispondi•Condividi ›
Immagine Avatar
Qfwfq • 32 minuti fa
Mentre Renzi dà priorità a riforme che nel breve periodo non daranno alcun beneficio (ammesso che ne abbiano), crolla il PIL, sale la pressione fiscale, aumenta il debito e la disoccupazione.
La vita dell'esecutivo non è legata al compimento delle riforme istituzionali come quello di #Enricostaisereno, quindi tutta questa fretta risulta immotivata, in forza anche dei disastrosi dati economici che indurrebbero una persona con un minimo di raziocinio a occuparsi d'altro. Lo ha detto anche il divin Draghi, facendo trapelare tra le righe che le riforme strutturali di cui questo paese ha bisogno non collimano con quella del Senato. Per il resto, se i dati peggiorano, non è colpa di Germania e Francia, ma di Renzi e del suo scintillante governo.
Il nostro primo ministro dovrebbe motivare - concretamente - questa scelta che per molti (Ue compresa) è immotivata. Se non è chiedere troppo, senza gridare al gufo!1!!.
P.S. il colmo della sceneggiata lo raggiungeremo se verrà dichiarato incostituzionale l'Italicum, visto che ripropone i punti cassati nel Porcellum, ossia il premio bulgaro di maggioranz a e le liste bloccate.
13 • Rispondi•Condividi ›
Immagine Avatar
disqus_dq3UEVN2QW • un'ora fa
se e' vero sono dei pagliacci.
31 • Rispondi•Condividi ›
Vincenzo Giancristofaro • 31 minuti fa
Se bastassero queste furbate per far ripartire l'Italia..non gli è bastato prendere in giro gli italiani una volta con gli 80 euro, ha bisogno di fare il bis! POVERA PATRIA
16 • Rispondi•Condividi ›
Immagine Avatar
Qfwfq • 32 minuti fa
Mentre Renzi dà priorità a riforme che nel breve periodo non daranno alcun beneficio (ammesso che ne abbiano), crolla il PIL, sale la pressione fiscale, aumenta il debito e la disoccupazione.
La vita dell'esecutivo non è legata al compimento delle riforme istituzionali come quello di #Enricostaisereno, quindi tutta questa fretta risulta immotivata, in forza anche dei disastrosi dati economici che indurrebbero una persona con un minimo di raziocinio a occuparsi d'altro. Lo ha detto anche il divin Draghi, facendo trapelare tra le righe che le riforme strutturali di cui questo paese ha bisogno non collimano con quella del Senato. Per il resto, se i dati peggiorano, non è colpa di Germania e Francia, ma di Renzi e del suo scintillante governo.
Il nostro primo ministro dovrebbe motivare - concretamente - questa scelta che per molti (Ue compresa) è immotivata. Se non è chiedere troppo, senza gridare al gufo!1!!.
P.S. il colmo della sceneggiata lo raggiungeremo se verrà dichiarato incostituzionale l'Italicum, visto che ripropone i punti cassati nel Porcellum, ossia il premio bulgaro di maggioranz a e le liste bloccate.
13 • Rispondi•Condividi ›
Immagine Avatar
disqus_dq3UEVN2QW • un'ora fa
se e' vero sono dei pagliacci.
31 • Rispondi•Condividi ›
-
- Messaggi: 822
- Iscritto il: 08/03/2012, 23:18
Re: Il gioco sporco della Germania keynesiana
un po di vera storia economica italiana ,un ALTRA STORIA rispetto alla dittatura dei massmedia controllati dai potentati finanziari del prof. NINO GALLONI http://www.iconicon.it/blog/2014/11/ci-hanno-distrutto/
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Amazon [Bot] e 2 ospiti