Il gioco sporco della Germania keynesiana
Inviato: 20/08/2014, 11:47
da L'HUFFINGTON POST di Antonio Bruno
Il gioco sporco della Germania keynesiana
Ormai è opinione diffusa, anche e soprattutto in Italia, che il problema dell'economia italiana sia attribuibile esclusivamente a responsabilità italiane. La spesa pubblica, il debito pubblico, la burocrazia, la corruzione, le tasse e la politica che non decide. Pur riconoscendo l'esistenza di tali criticità, analizzando singolarmente alcune voci si scoprono aspetti poco evidenziati nel dibattito politico italiano.
Tagliare la spesa: ce lo chiede l'Europa
L'avvento della politica di austerità si è manifestato in Italia con continui tagli alla spesa, soprattutto quella degli enti locali, e con l'affermazione mediatica e politica del paradigma della riduzione dell'intervento pubblico. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una massiccia produzione di libri e di approfondimenti giornalistici tesi a evidenziare lo spreco delle risorse pubbliche. Eppure, ogni analisi sulla spesa pubblica parte dall'aspetto quantitativo - il paradigma della riduzione della spesa - e finisce, puntualmente, con valutazioni di tipo qualitativo. Soffermandoci sulla quantità, è possibile scoprire che l'Italia non è il Paese più spendaccione in Europa, anzi, in alcuni settori, come l'Istruzione, siamo tra i Paesi che spendono - investono - meno. Anche per quanto riguarda la cultura, peggio di noi, in Europa, soltanto la Grecia. Quindi, il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
La criminalizzazione degli anni '80: un falso storico
Sul debito pubblico, tema strettamente connesso alla spesa pubblica, ormai si dice tutto e il contrario di tutto, ma nell'opinione pubblica regge ancora il mantra politico della criminalizzazione degli anni '80. Ovviamente, il riferimento è alla politica e non, come giusto che sia, al divorzio tra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981. Negli anni '80 la spesa pubblica italiana era al di sotto della media europea e il debito pubblico esplose a causa degli interessi, subito dopo l'operazione voluta da Andreatta e Ciampi. Non è utile, in questa sede, aprire una discussione sulla politica del passato, mentre basta guardare alla percentuale del debito pubblico italiano oggi per renderci conto che la criminalizzazione del passato serve, soprattutto, a coprire i problemi del presente. Paragonare due epoche diverse, senza tenere conto dell'evoluzione normativa, dei mutamenti economici e dei vincoli europei, è un'operazione di pura de-responsabilizzazione della classe dirigente della seconda repubblica. È facile scaricare le colpe su Craxi e sugli anni '80, il difficile è dire la verità su quella stagione. Su questo tema bisogna cambiare verso, magari iniziando a raccontare la verità. Ma non è questo il punto.
L'Europa e il debito pubblico: il trucco della Germania
L'Europa a trazione tedesca ci dice che bisogna ridurre la spesa pubblica e contemporaneamente intervenire sul debito pubblico, anche alla luce degli obblighi derivanti dal Fiscal Compact. Con un'economia in recessione, la progressiva e costante riduzione della spesa pubblica non ha portato alcun beneficio, anzi, al contempo, il debito pubblico è aumentato raggiungendo il record del 132%. Il debito è salito principalmente a causa di diversi fattori: gli interessi sul debito, i fondi messi a disposizione dell'UE, i costi connessi alla disoccupazione e la mancata crescita economica. Cosa fare, a questo punto, secondo le ricette europee? Privatizzazioni, svalutazione dei salari - in Italia per molto tempo abbiamo mascherato la svalutazione interna con l'espressione "riforma del mercato del lavoro" - riduzione della spesa pubblica, maggiore prelievo fiscale.
In tutta questa vicenda c'è però un aspetto poco tenuto in considerazione. Sul calcolo del debito pubblico c'è qualcosa che non funziona in Europa e non sarà certo l'Esa 2010 a fugare questa perplessità. Con l'Esa 2010 si avrà una rivalutazione del Pil, non una crescita. Quindi, quando a fine anno leggeremo titoli giornalistici entusiastici sull'aumento del Pil, in realtà non sarà aumentato nulla, ma soltanto rivalutato l'esistente. Ciò comporterà maggiori margini di operatività, ma non significherà crescita economica.
Quale Stato, soprattutto in un momento di crisi economica, non utilizzerebbe la leva pubblica per finanziare piccole e medie imprese, infrastrutture locali, opere strategiche in materia di energia, bonifiche ambientali? Tutti gli Stati lo farebbero, ma devono fare i conti con il debito pubblico e con i vincoli europei. Tutti gli Stati europei, tranne uno: la Germania. Infatti, grazie alla maestria tedesca nella definizione delle regole relative al calcolo dei debiti pubblici - l'ex Esa95 - tutte le operazioni di supporto pubblico all'economia che in Germania passano attraverso una banca a totale capitale pubblico, la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, non vengono contabilizzate nel bilancio statale e quindi non generano debito pubblico. Un vero e proprio trucco che ha consentito alla Germania di utilizzare risorse pubbliche per sostenere la propria economia. Secondo diverse analisi, l'attivo della KfW si aggirerebbe intorno ai 500 miliardi di euro, circa il 17% del debito pubblico tedesco non contabilizzato. Una grossa quantità di danaro che ha consentito alla Germania di utilizzare la spesa pubblica per sostenere l'economia nazionale e al tempo stesso di imporre agli altri Stati europei la riduzione della spesa pubblica in nome delle politiche di austerità.
La Germania ha applicato la politica keynesiana a casa sua, ma ha imposto l'abbandono di simili politiche nel resto d'Europa. Così facendo, mentre svalutava il mercato interno con le riforme Hartz, sforando, in quel periodo, per due anni consecutivi il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, contemporaneamente, stimolava l'economia interna, soprattutto il settore dell' export, attraverso cospicui finanziamenti attraverso la KfW.
In Italia, ad esempio, la Cassa depositi e prestiti - che a differenza della KfG non è interamente pubblica - l'80,1% è del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il 18,4 è delle Fondazioni private e l'1,5 sono azioni proprie - genera debito pubblico quando presta i soldi alle pubbliche amministrazioni e queste ultime, a loro volta, sono vincolate dal Patto di stabilità. Sul punto Franco Bassanini, Presidente della CdP, ha dichiarato durante l'audizione alla Camera del 7 maggio 2014:
"tradizionalmente la Cassa faceva in media 6 miliardi di euro all'anno di nuovi mutui alle amministrazioni locali, più qualche altra amministrazione pubblica. Da tre o quattro anni a questa parte, questo impiego di cassa è venuto diminuendo, perché le amministrazioni locali, per il Patto di stabilità, per le condizioni della finanza locale, per i vari tagli, non sono in condizione di indebitarsi. Noi diciamo sempre che se ci chiedessero 10 miliardi, saremmo in grado di metterci 10 miliardi, perché questa è la prima e tradizionale missione della Cassa, che non deve venir meno. Tuttavia, le amministrazioni non sono in condizione di farlo, perché sono tutti miliardi che vanno sul debito pubblico e, quindi, sull'indebitamento delle pubbliche amministrazioni, e che, secondo le regole del Patto di stabilità devono trovare copertura anche i fini del deficit, attraverso i flussi programmati di pagamento delle rate di ammortamento degli interessi".
Abbiamo lo strumento per dare un impulso notevole alla crescita, ma non possiamo utilizzarlo. Appare del tutto necessario per l'Italia, soprattutto durante il semestre europeo a guida italiana, ridiscutere gli strumenti utilizzabili per dare impulso alla ripresa economica. Non basteranno le nuove regole per il calcolo del debito pubblico - Esa 2010 - a rimettere in moto l'economia, soprattutto perché con il passaggio delle spese per ricerca e sviluppo dal capitolo spese correnti al capitolo formazione di capitale fisso lordo senza intervenire sul veicolo pubblico per dare impulso alla crescita, in ogni caso, si avvantaggerà uno Stato come la Germania che può contare su una fonte - pubblica - di finanziamento di tali attività - la KfW - che, in misura molto ridotta, c'è soltanto in Francia.
Il gioco sporco della Germania keynesiana
Ormai è opinione diffusa, anche e soprattutto in Italia, che il problema dell'economia italiana sia attribuibile esclusivamente a responsabilità italiane. La spesa pubblica, il debito pubblico, la burocrazia, la corruzione, le tasse e la politica che non decide. Pur riconoscendo l'esistenza di tali criticità, analizzando singolarmente alcune voci si scoprono aspetti poco evidenziati nel dibattito politico italiano.
Tagliare la spesa: ce lo chiede l'Europa
L'avvento della politica di austerità si è manifestato in Italia con continui tagli alla spesa, soprattutto quella degli enti locali, e con l'affermazione mediatica e politica del paradigma della riduzione dell'intervento pubblico. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una massiccia produzione di libri e di approfondimenti giornalistici tesi a evidenziare lo spreco delle risorse pubbliche. Eppure, ogni analisi sulla spesa pubblica parte dall'aspetto quantitativo - il paradigma della riduzione della spesa - e finisce, puntualmente, con valutazioni di tipo qualitativo. Soffermandoci sulla quantità, è possibile scoprire che l'Italia non è il Paese più spendaccione in Europa, anzi, in alcuni settori, come l'Istruzione, siamo tra i Paesi che spendono - investono - meno. Anche per quanto riguarda la cultura, peggio di noi, in Europa, soltanto la Grecia. Quindi, il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
La criminalizzazione degli anni '80: un falso storico
Sul debito pubblico, tema strettamente connesso alla spesa pubblica, ormai si dice tutto e il contrario di tutto, ma nell'opinione pubblica regge ancora il mantra politico della criminalizzazione degli anni '80. Ovviamente, il riferimento è alla politica e non, come giusto che sia, al divorzio tra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981. Negli anni '80 la spesa pubblica italiana era al di sotto della media europea e il debito pubblico esplose a causa degli interessi, subito dopo l'operazione voluta da Andreatta e Ciampi. Non è utile, in questa sede, aprire una discussione sulla politica del passato, mentre basta guardare alla percentuale del debito pubblico italiano oggi per renderci conto che la criminalizzazione del passato serve, soprattutto, a coprire i problemi del presente. Paragonare due epoche diverse, senza tenere conto dell'evoluzione normativa, dei mutamenti economici e dei vincoli europei, è un'operazione di pura de-responsabilizzazione della classe dirigente della seconda repubblica. È facile scaricare le colpe su Craxi e sugli anni '80, il difficile è dire la verità su quella stagione. Su questo tema bisogna cambiare verso, magari iniziando a raccontare la verità. Ma non è questo il punto.
L'Europa e il debito pubblico: il trucco della Germania
L'Europa a trazione tedesca ci dice che bisogna ridurre la spesa pubblica e contemporaneamente intervenire sul debito pubblico, anche alla luce degli obblighi derivanti dal Fiscal Compact. Con un'economia in recessione, la progressiva e costante riduzione della spesa pubblica non ha portato alcun beneficio, anzi, al contempo, il debito pubblico è aumentato raggiungendo il record del 132%. Il debito è salito principalmente a causa di diversi fattori: gli interessi sul debito, i fondi messi a disposizione dell'UE, i costi connessi alla disoccupazione e la mancata crescita economica. Cosa fare, a questo punto, secondo le ricette europee? Privatizzazioni, svalutazione dei salari - in Italia per molto tempo abbiamo mascherato la svalutazione interna con l'espressione "riforma del mercato del lavoro" - riduzione della spesa pubblica, maggiore prelievo fiscale.
In tutta questa vicenda c'è però un aspetto poco tenuto in considerazione. Sul calcolo del debito pubblico c'è qualcosa che non funziona in Europa e non sarà certo l'Esa 2010 a fugare questa perplessità. Con l'Esa 2010 si avrà una rivalutazione del Pil, non una crescita. Quindi, quando a fine anno leggeremo titoli giornalistici entusiastici sull'aumento del Pil, in realtà non sarà aumentato nulla, ma soltanto rivalutato l'esistente. Ciò comporterà maggiori margini di operatività, ma non significherà crescita economica.
Quale Stato, soprattutto in un momento di crisi economica, non utilizzerebbe la leva pubblica per finanziare piccole e medie imprese, infrastrutture locali, opere strategiche in materia di energia, bonifiche ambientali? Tutti gli Stati lo farebbero, ma devono fare i conti con il debito pubblico e con i vincoli europei. Tutti gli Stati europei, tranne uno: la Germania. Infatti, grazie alla maestria tedesca nella definizione delle regole relative al calcolo dei debiti pubblici - l'ex Esa95 - tutte le operazioni di supporto pubblico all'economia che in Germania passano attraverso una banca a totale capitale pubblico, la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, non vengono contabilizzate nel bilancio statale e quindi non generano debito pubblico. Un vero e proprio trucco che ha consentito alla Germania di utilizzare risorse pubbliche per sostenere la propria economia. Secondo diverse analisi, l'attivo della KfW si aggirerebbe intorno ai 500 miliardi di euro, circa il 17% del debito pubblico tedesco non contabilizzato. Una grossa quantità di danaro che ha consentito alla Germania di utilizzare la spesa pubblica per sostenere l'economia nazionale e al tempo stesso di imporre agli altri Stati europei la riduzione della spesa pubblica in nome delle politiche di austerità.
La Germania ha applicato la politica keynesiana a casa sua, ma ha imposto l'abbandono di simili politiche nel resto d'Europa. Così facendo, mentre svalutava il mercato interno con le riforme Hartz, sforando, in quel periodo, per due anni consecutivi il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, contemporaneamente, stimolava l'economia interna, soprattutto il settore dell' export, attraverso cospicui finanziamenti attraverso la KfW.
In Italia, ad esempio, la Cassa depositi e prestiti - che a differenza della KfG non è interamente pubblica - l'80,1% è del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il 18,4 è delle Fondazioni private e l'1,5 sono azioni proprie - genera debito pubblico quando presta i soldi alle pubbliche amministrazioni e queste ultime, a loro volta, sono vincolate dal Patto di stabilità. Sul punto Franco Bassanini, Presidente della CdP, ha dichiarato durante l'audizione alla Camera del 7 maggio 2014:
"tradizionalmente la Cassa faceva in media 6 miliardi di euro all'anno di nuovi mutui alle amministrazioni locali, più qualche altra amministrazione pubblica. Da tre o quattro anni a questa parte, questo impiego di cassa è venuto diminuendo, perché le amministrazioni locali, per il Patto di stabilità, per le condizioni della finanza locale, per i vari tagli, non sono in condizione di indebitarsi. Noi diciamo sempre che se ci chiedessero 10 miliardi, saremmo in grado di metterci 10 miliardi, perché questa è la prima e tradizionale missione della Cassa, che non deve venir meno. Tuttavia, le amministrazioni non sono in condizione di farlo, perché sono tutti miliardi che vanno sul debito pubblico e, quindi, sull'indebitamento delle pubbliche amministrazioni, e che, secondo le regole del Patto di stabilità devono trovare copertura anche i fini del deficit, attraverso i flussi programmati di pagamento delle rate di ammortamento degli interessi".
Abbiamo lo strumento per dare un impulso notevole alla crescita, ma non possiamo utilizzarlo. Appare del tutto necessario per l'Italia, soprattutto durante il semestre europeo a guida italiana, ridiscutere gli strumenti utilizzabili per dare impulso alla ripresa economica. Non basteranno le nuove regole per il calcolo del debito pubblico - Esa 2010 - a rimettere in moto l'economia, soprattutto perché con il passaggio delle spese per ricerca e sviluppo dal capitolo spese correnti al capitolo formazione di capitale fisso lordo senza intervenire sul veicolo pubblico per dare impulso alla crescita, in ogni caso, si avvantaggerà uno Stato come la Germania che può contare su una fonte - pubblica - di finanziamento di tali attività - la KfW - che, in misura molto ridotta, c'è soltanto in Francia.