Cittadino Presidente
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Re: Cittadino Presidente
Sembrerebbe che, nella famosa telefonata tra Mancino e Napolitano, si sia parlato anche di me, e in toni non certo lusinghieri.
Ma è una telefonata privata, tra persone che al di là degli incarichi ricoperti si conoscono da 40 anni, non ci vuole un indovino per azzeccare che ci saranno anche apprezzamenti e considerazioni di vario tipo.
Il problema non è che Napolitano possa aver criticato Berlusconi, si era nel periodo dell'avvicendamento con Monti, o Di Pietro, in quel periodo io spingevo per il voto anticipato, a dispetto delle posizioni del Quirinale, insomma sto sempre tra i piedi capisco di non andare a genio a qualcuno.
Quel che non ci sta è che non rispetti il ruolo dei magistrati, e che anzi sollevi il conflitto di attribuzione su questa vicenda.
Per questo, io rivolgo un appello al presidente Napolitano: ritiri il conflitto di attribuzione, perchè con quella richiesta mette in difficoltà sia i magistrati di Palermo che stanno solo cercando di fare il loro lavoro, sia la Consulta, che si trova in grande imbarazzo, come scrive un ex presidente della stessa, Gustavo Zagrebelsky, perchè la Corte Costituzionale non potrà dargli torto, per non creare un grave conflitto istituzionale.
Piuttosto il Presidente ha una facoltà che non ha ancora sfruttato: inviare un messaggio formale alle Camere con il quale chiedere di tappare il buco legislativo che c'è in materia, e che è causa di tutta questa vicenda. E la colpa non è certo di chi pubblica le intercettazioni, la colpa è del capo del CSM che non rispetta il ruolo dei magistrati.
Ritiri il devastante conflitto di attribuzione, e renda pubbliche le telefonate.
http://www.italiadeivalori.it/interna/1 ... telefonate
..................
Io la penso come Di Pietro
Paolo11
Ma è una telefonata privata, tra persone che al di là degli incarichi ricoperti si conoscono da 40 anni, non ci vuole un indovino per azzeccare che ci saranno anche apprezzamenti e considerazioni di vario tipo.
Il problema non è che Napolitano possa aver criticato Berlusconi, si era nel periodo dell'avvicendamento con Monti, o Di Pietro, in quel periodo io spingevo per il voto anticipato, a dispetto delle posizioni del Quirinale, insomma sto sempre tra i piedi capisco di non andare a genio a qualcuno.
Quel che non ci sta è che non rispetti il ruolo dei magistrati, e che anzi sollevi il conflitto di attribuzione su questa vicenda.
Per questo, io rivolgo un appello al presidente Napolitano: ritiri il conflitto di attribuzione, perchè con quella richiesta mette in difficoltà sia i magistrati di Palermo che stanno solo cercando di fare il loro lavoro, sia la Consulta, che si trova in grande imbarazzo, come scrive un ex presidente della stessa, Gustavo Zagrebelsky, perchè la Corte Costituzionale non potrà dargli torto, per non creare un grave conflitto istituzionale.
Piuttosto il Presidente ha una facoltà che non ha ancora sfruttato: inviare un messaggio formale alle Camere con il quale chiedere di tappare il buco legislativo che c'è in materia, e che è causa di tutta questa vicenda. E la colpa non è certo di chi pubblica le intercettazioni, la colpa è del capo del CSM che non rispetta il ruolo dei magistrati.
Ritiri il devastante conflitto di attribuzione, e renda pubbliche le telefonate.
http://www.italiadeivalori.it/interna/1 ... telefonate
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Paolo11
Re: Cittadino Presidente
Nel video qui sotto, a partire dal minuto 1:14:50, c'è l'intervento di Marco Travaglio all'origine della presa posizione dell'ANM ed unanimemente definito da stampa e politici come un attacco eversivo al capo dello stato.
Vi inviterei ad ascoltarlo per farvi un'idea su chi ha ragione e chi ha torto.
Io sto con Travaglio, non per partito preso ma semplicemente ascoltando i fatti.
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Re: Cittadino Presidente
Intercettazioni, Consulta dice sì ad ammissibilità ricorso Quirinale
La Corte Costituzionale esaminerà la questione nel merito nei prossimi mesi. Le intercettazioni, disposte nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Palermo sulla presunta trattativa Stato-mafia, riguardano indirettamente Giorgio Napolitano, che parla al telefono con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 19 settembre 2012
Come previsto ed era prevedibile. E’ arrivato il via libera all’ammissibilità del conflitto sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo sulle intercettazioni che coinvolgono il Capo dello Stato. Lo ha deciso la Corte Costituzionale che esaminerà la questione nel merito nei prossimi mesi. Le intercettazioni, disposte nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, riguardano indirettamente Giorgio Napolitano, che parla al telefono con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza.
La Corte Costituzionale esaminerà la questione nel merito nei prossimi mesi. Le intercettazioni, disposte nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Palermo sulla presunta trattativa Stato-mafia, riguardano indirettamente Giorgio Napolitano, che parla al telefono con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 19 settembre 2012
Come previsto ed era prevedibile. E’ arrivato il via libera all’ammissibilità del conflitto sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo sulle intercettazioni che coinvolgono il Capo dello Stato. Lo ha deciso la Corte Costituzionale che esaminerà la questione nel merito nei prossimi mesi. Le intercettazioni, disposte nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, riguardano indirettamente Giorgio Napolitano, che parla al telefono con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza.
Re: Cittadino Presidente
Trattativa, i pm depositano memoria difensiva: “Immunità è solo per il re”
La procura di Palermo deposita la costituzione in giudizio di fronte alla Consulta per il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica. Dagli atti emerge che le telefonate - quattro in tutto su 9295 telefonate di Mancino captate - non sono mai state trascritte nei brogliacci della polizia giudiziaria. "L'immunità assoluta contraddice i principi democratico-costituzionali"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 ottobre 2012
Se immune da ogni responsabilità il Capo dello Stato diventa un sovrano. E’ questa la tesi sostenuta dalla procura di Palermo nel costituzione in giudizio presentata questa mattina di fronte ai giudici della Consulta nel conflitto di attribuzione sollevato dal Capo dello Stato. “Un’immunità assoluta” – si legge nel testo – può essere ipotizzata per il Capo dello Stato “solo se, contraddicendo i principi dello Stato democratico-costituzionale, gli si riconoscesse una totale irreponsabilità giuridica anche per i reati extrafunzionali”. E una tale “irresponsabilità finirebbe per coincidere con la qualifica di ‘inviolabile’ che caratterizza il Sovrano nelle monarchie ancorché limitate”.
Come effetto, scrivono i magistrati di palermo, una “vistosa serie di gravi conseguenze” potrebbe derivare da una “eventuale decisione di accoglimento” del ricorso del Quirinale. “Ci si deve chiedere – prosegue il testo – se una garanzia dell’immunità presidenziale – si legge nel documento firmato dai professori Pace, Serges e Serio – così irrazionalmente dilatata al di là dei limiti segnati per le intercettazioni legittime” da altre sentenze della Corte (n.390/2007; n.113 e n.114 del 2010) “non finisca per costituire una violazione dell’obbligatorietà dell’azione penale” (articolo 112 Costituzione) e “ciò per motivi privi di fondamento in Costituzione ed anzi contrari alla giurisprudenza di codesta Corte e tutt’affatto irrazionali”.
Intanto, sempre leggendo la memoria della procura di Palermo – un documento di 32 pagine - si scopre che sono quattro le telefonate intercettate tra Nicola Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quattro su un totale di 9.295 conversazioni captate sulle utenze dell’ex ministro dell’Interno.
E’ stata la stessa Corte Costituzionale, nell’ordinanza con cui ha ammesso il ricorso di Napolitano, a richiedere alla Procura di Palermo quante siano state le conversazioni di Napolitano indirettamente captate e in che date sono avvenute. Gli atti depositati dalla Procura di Palermo riferiscono che le telefonate effettuate da Mancino sono state registrate in un arco di tempo che complessivamente va dal 7 novembre 2011 al 9 maggio 2012: sei le utenze messe sotto controllo. Le quattro telefonate al Capo dello Stato, indirettamente intercettate, sono state effettuate da Mancino nelle seguenti date: il 24 dicembre 2011 alle ore 9.40 (durata 3 minuti): il 31 dicembre 2011 alle ore 8.48 (durata 6 minuti); il 13 gennaio 2012 alle ore 12.52 (durata 4 minuti); il 6 febbraio 2012 alle ore 11.12 (durata 5 minuti).
Scrivono i pm nella costituzione in giudizio che “l’intercettazione della conversazione del Presidente della Repubblica che sia occasionale, del tutto involontaria, non evitabile e non prevenibile, non può per la ragione di tali caratteristiche, integrare in sè alcuna lesione di prerogative previdenziali quali che sia il contenuto della conversazione”.
Aggiungono inoltre i magistrati che Il verbale della polizia giudiziaria relativo alle intercettazioni indirette del Capo dello Stato è stato redatto “senza l’indicazione del contenuto della conversazione”. Era stata la stessa Corte Costituzionale a chiedere il verbale, il cosiddetto “brogliaccio”, delle intercettazioni. Si legge nella memoria che non è stato effettuato, “anche su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, alcuna trascrizione delle conversazioni tra il sen. Mancino e il Presidente della Repubblica le cui registrazioni sono tuttora custodite dalla Procura della Repubblica nell’ambito del procedimento 11609/08 nel quale sono state disposte ed eseguite. Deve quindi essere sottolineato – si legge ancora negli atti depositati oggi in Corte Costituzionale – che le conversazioni con il Presidente della Repubblica non hanno mai formato oggetto di deposito che determinasse la possibilità della conoscenza ad opera di qualsivoglia parte processuale”.
La procura di Palermo deposita la costituzione in giudizio di fronte alla Consulta per il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica. Dagli atti emerge che le telefonate - quattro in tutto su 9295 telefonate di Mancino captate - non sono mai state trascritte nei brogliacci della polizia giudiziaria. "L'immunità assoluta contraddice i principi democratico-costituzionali"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 ottobre 2012
Se immune da ogni responsabilità il Capo dello Stato diventa un sovrano. E’ questa la tesi sostenuta dalla procura di Palermo nel costituzione in giudizio presentata questa mattina di fronte ai giudici della Consulta nel conflitto di attribuzione sollevato dal Capo dello Stato. “Un’immunità assoluta” – si legge nel testo – può essere ipotizzata per il Capo dello Stato “solo se, contraddicendo i principi dello Stato democratico-costituzionale, gli si riconoscesse una totale irreponsabilità giuridica anche per i reati extrafunzionali”. E una tale “irresponsabilità finirebbe per coincidere con la qualifica di ‘inviolabile’ che caratterizza il Sovrano nelle monarchie ancorché limitate”.
Come effetto, scrivono i magistrati di palermo, una “vistosa serie di gravi conseguenze” potrebbe derivare da una “eventuale decisione di accoglimento” del ricorso del Quirinale. “Ci si deve chiedere – prosegue il testo – se una garanzia dell’immunità presidenziale – si legge nel documento firmato dai professori Pace, Serges e Serio – così irrazionalmente dilatata al di là dei limiti segnati per le intercettazioni legittime” da altre sentenze della Corte (n.390/2007; n.113 e n.114 del 2010) “non finisca per costituire una violazione dell’obbligatorietà dell’azione penale” (articolo 112 Costituzione) e “ciò per motivi privi di fondamento in Costituzione ed anzi contrari alla giurisprudenza di codesta Corte e tutt’affatto irrazionali”.
Intanto, sempre leggendo la memoria della procura di Palermo – un documento di 32 pagine - si scopre che sono quattro le telefonate intercettate tra Nicola Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quattro su un totale di 9.295 conversazioni captate sulle utenze dell’ex ministro dell’Interno.
E’ stata la stessa Corte Costituzionale, nell’ordinanza con cui ha ammesso il ricorso di Napolitano, a richiedere alla Procura di Palermo quante siano state le conversazioni di Napolitano indirettamente captate e in che date sono avvenute. Gli atti depositati dalla Procura di Palermo riferiscono che le telefonate effettuate da Mancino sono state registrate in un arco di tempo che complessivamente va dal 7 novembre 2011 al 9 maggio 2012: sei le utenze messe sotto controllo. Le quattro telefonate al Capo dello Stato, indirettamente intercettate, sono state effettuate da Mancino nelle seguenti date: il 24 dicembre 2011 alle ore 9.40 (durata 3 minuti): il 31 dicembre 2011 alle ore 8.48 (durata 6 minuti); il 13 gennaio 2012 alle ore 12.52 (durata 4 minuti); il 6 febbraio 2012 alle ore 11.12 (durata 5 minuti).
Scrivono i pm nella costituzione in giudizio che “l’intercettazione della conversazione del Presidente della Repubblica che sia occasionale, del tutto involontaria, non evitabile e non prevenibile, non può per la ragione di tali caratteristiche, integrare in sè alcuna lesione di prerogative previdenziali quali che sia il contenuto della conversazione”.
Aggiungono inoltre i magistrati che Il verbale della polizia giudiziaria relativo alle intercettazioni indirette del Capo dello Stato è stato redatto “senza l’indicazione del contenuto della conversazione”. Era stata la stessa Corte Costituzionale a chiedere il verbale, il cosiddetto “brogliaccio”, delle intercettazioni. Si legge nella memoria che non è stato effettuato, “anche su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, alcuna trascrizione delle conversazioni tra il sen. Mancino e il Presidente della Repubblica le cui registrazioni sono tuttora custodite dalla Procura della Repubblica nell’ambito del procedimento 11609/08 nel quale sono state disposte ed eseguite. Deve quindi essere sottolineato – si legge ancora negli atti depositati oggi in Corte Costituzionale – che le conversazioni con il Presidente della Repubblica non hanno mai formato oggetto di deposito che determinasse la possibilità della conoscenza ad opera di qualsivoglia parte processuale”.
Re: Cittadino Presidente
Napolitano, ora basta!
ESCLUSIVA - di Saverio Lodato - 16 ottobre 2012
C’è un’enfasi quirinalizia, in questa ennesima puntata dell’affaire del conflitto d’attribuzione dei poteri, che lascia perplessi. Il capo dello Stato non perde occasione per definirsi il bersaglio di una dura campagna contro di lui. Non fa mistero di indicare in “magistrati, giornalisti e politici” i sapienti tessitori di una trama di denigrazione, calunnie e insinuazioni sospettose a danno della sua persona e dell’incarico istituzionale che si trova ad occupare.
Che lo pensi, non è una novità.
Sin dal momento in cui trapelò la notizia dell’esistenza di colloqui telefonici fra lui e il cittadino Mancino Nicola - prima indagato e poi imputato dalla Procura di Palermo per falsa testimonianza nell’ambito della trattativa Stato-mafia - il capo dello Stato scelse quella strada. Disse quello che pensava. E continua a pensarla allo stesso modo. Assolutamente superfluo ribadire che è suo pieno diritto pensarla come vuole.
La sintesi del suo pensiero sull’intera vicenda, d’altra parte, ormai è agli atti. E, fra l’altro, è alla base della decisione fragorosa di sollevare conflitto di attribuzione dei poteri di fronte all’Alta Corte a riprova dell’illiceità - da lui asseverata - dei comportamenti dei pubblici ministeri palermitani.
Però, verrebbe da dire che a tutto, anche agli affari di Stato, dovrebbe esserci un limite.
Siamo alla vigilia di quel verdetto della Corte Costituzionale tanto auspicato dal Capo dello Stato e dai giuristi a lui vicini, e invocato come taumaturgico. Siamo alla vigilia dell’inizio, a Palermo, del dibattimento di fronte al gup dal quale scaturirà il destino dell’inchiesta sulla trattativa. Siamo alla vigilia del trasferimento in Guatemala del procuratore Antonio Ingroia indicato, da più parti, come la <<pecora nera>> che avrebbe derazzato dal bon ton istituzionale. Siamo, in altre parole, al rush finale.
Ora, mentre nessuno se lo aspettava, ed esclusivamente per unilaterale decisione del capo dello Stato, la temperatura è tornata a surriscaldarsi. Il capo dello Stato, in occasione della pubblicazione di un suo libro, ha infatti reso pubblico il carteggio fra lui e il consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio, alla vigilia della scomparsa di quest’ultimo. Opera meritevole, trattandosi della divulgazione di atti che male avrebbero fatto a restare segreti.
Le lettere, basta leggerle, come vale per qualsiasi carteggio. Ma accompagnarle, come è avvenuto in questo caso, ancora una volta con la colonna sonora della voce del Quirinale che torna a denunciare l’esistenza di un complotto ai suoi danni, rientra, a nostro giudizio, in quell’enfasi quirinalizia di cui dicevamo all’inizio e che a lungo andare rischia di produrre un involontario rumore sinistro.
Siamo tutti uomini, capi dello Stato compresi. E per ciò fu legittimo lo sdegno di Napolitano alla notizia della morte improvvisa di Loris D’Ambrosio. Le sue parole di condanna, rivolte a chi, a suo giudizio, aveva provocato la morte del consigliere, nonché amico, furono umanamente comprensibili. Anche se incondivisibili, perché fuori dalle righe e inopportune nel contesto di dolore di una tragedia innanzitutto privata.
Prova ne sia che quelle parole indussero Giuliano Ferrara ad indicare in televisione, di fronte a milioni di spettatori, proprio in Antonio Ingroia il principale assassino dello stesso D’Ambrosio.
Non si levò una mosca (meno che mai dall’alto delle istituzioni) a condanna del macabro sproloquio dell’opinionista Ferrara.
In altre parole, il nostro Capo dello Stato, che conosce bene il paese in cui ci troviamo tutti a vivere, non dovrebbe mai dimenticare che le cose si dicono una volta sola e che le cause - quando sono delle buone cause - si difendono da sole.
saverio.lodato@virgilio.it
ESCLUSIVA - di Saverio Lodato - 16 ottobre 2012
C’è un’enfasi quirinalizia, in questa ennesima puntata dell’affaire del conflitto d’attribuzione dei poteri, che lascia perplessi. Il capo dello Stato non perde occasione per definirsi il bersaglio di una dura campagna contro di lui. Non fa mistero di indicare in “magistrati, giornalisti e politici” i sapienti tessitori di una trama di denigrazione, calunnie e insinuazioni sospettose a danno della sua persona e dell’incarico istituzionale che si trova ad occupare.
Che lo pensi, non è una novità.
Sin dal momento in cui trapelò la notizia dell’esistenza di colloqui telefonici fra lui e il cittadino Mancino Nicola - prima indagato e poi imputato dalla Procura di Palermo per falsa testimonianza nell’ambito della trattativa Stato-mafia - il capo dello Stato scelse quella strada. Disse quello che pensava. E continua a pensarla allo stesso modo. Assolutamente superfluo ribadire che è suo pieno diritto pensarla come vuole.
La sintesi del suo pensiero sull’intera vicenda, d’altra parte, ormai è agli atti. E, fra l’altro, è alla base della decisione fragorosa di sollevare conflitto di attribuzione dei poteri di fronte all’Alta Corte a riprova dell’illiceità - da lui asseverata - dei comportamenti dei pubblici ministeri palermitani.
Però, verrebbe da dire che a tutto, anche agli affari di Stato, dovrebbe esserci un limite.
Siamo alla vigilia di quel verdetto della Corte Costituzionale tanto auspicato dal Capo dello Stato e dai giuristi a lui vicini, e invocato come taumaturgico. Siamo alla vigilia dell’inizio, a Palermo, del dibattimento di fronte al gup dal quale scaturirà il destino dell’inchiesta sulla trattativa. Siamo alla vigilia del trasferimento in Guatemala del procuratore Antonio Ingroia indicato, da più parti, come la <<pecora nera>> che avrebbe derazzato dal bon ton istituzionale. Siamo, in altre parole, al rush finale.
Ora, mentre nessuno se lo aspettava, ed esclusivamente per unilaterale decisione del capo dello Stato, la temperatura è tornata a surriscaldarsi. Il capo dello Stato, in occasione della pubblicazione di un suo libro, ha infatti reso pubblico il carteggio fra lui e il consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio, alla vigilia della scomparsa di quest’ultimo. Opera meritevole, trattandosi della divulgazione di atti che male avrebbero fatto a restare segreti.
Le lettere, basta leggerle, come vale per qualsiasi carteggio. Ma accompagnarle, come è avvenuto in questo caso, ancora una volta con la colonna sonora della voce del Quirinale che torna a denunciare l’esistenza di un complotto ai suoi danni, rientra, a nostro giudizio, in quell’enfasi quirinalizia di cui dicevamo all’inizio e che a lungo andare rischia di produrre un involontario rumore sinistro.
Siamo tutti uomini, capi dello Stato compresi. E per ciò fu legittimo lo sdegno di Napolitano alla notizia della morte improvvisa di Loris D’Ambrosio. Le sue parole di condanna, rivolte a chi, a suo giudizio, aveva provocato la morte del consigliere, nonché amico, furono umanamente comprensibili. Anche se incondivisibili, perché fuori dalle righe e inopportune nel contesto di dolore di una tragedia innanzitutto privata.
Prova ne sia che quelle parole indussero Giuliano Ferrara ad indicare in televisione, di fronte a milioni di spettatori, proprio in Antonio Ingroia il principale assassino dello stesso D’Ambrosio.
Non si levò una mosca (meno che mai dall’alto delle istituzioni) a condanna del macabro sproloquio dell’opinionista Ferrara.
In altre parole, il nostro Capo dello Stato, che conosce bene il paese in cui ci troviamo tutti a vivere, non dovrebbe mai dimenticare che le cose si dicono una volta sola e che le cause - quando sono delle buone cause - si difendono da sole.
saverio.lodato@virgilio.it
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