Pianeta donna....

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camillobenso
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Re: Pianeta donna....

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Viaggio nel pianeta delle scimmie - 2


«Ora vi racconto come
ci violenta il nostro uomo»

LA TESTIMONIANZA ESCLUSIVA: VIDEO | Segregata e picchiata, dopo 13 anni da incubo Sara riesce a fuggire dal suo compagno grazie all’incontro con la «Casa delle donne di Bologna».
http://www.unita.it/donne/donne-violenz ... o-1.520610

Di Chiara Affronte
11 settembre 2013


«Fuggivo, con mia figlia accanto a me nell’auto, io appena patentata, fuggivo dall’uomo che stava per uccidermi e .- insieme al terrore, all’angoscia, sentivo tanta sete, una sete indescrivibile -: chissà, forse ci si sente così sempre, quando si sta per morire».


Sara - la chiameremo così - compirà 33 anni tra qualche giorno e finalmente festeggerà. Per dare il via al terzo tempo della sua vita, che sembra davvero un film. Il «primo tempo», come lo chiama lei, è quello dell’incubo che ha scatenato poi anche il secondo: Sara non è “solo” una donna violentata nel corpo e nell’anima da un uomo che le stava a fianco e che diceva di amarla, ma è stata anche vittima di chi l’ha scelta e tradita per venderla sui viali di una città: lei che, fino a quel momento non aveva ancora mai avuto un fidanzato... «Una torta con le candeline non me la preparo da tanto...», racconta. Da quando a 20 anni partì con entusiasmo dalla Romania verso l’Italia, dove le avevano promesso un visto per lavoro.

L’INIZIO
Era la primavera del 2000, il 19 marzo. Proveniente da una «famiglia colta», Sara ha perso da piccola i genitori ed è rimasta a vivere con la nonna che presto ha avuto bisogno di lei. «Me la cavavo benissimo: studiavo, seguivo un corso di canto e facevo qualche lavoretto per integrare la pensione della nonna: questa era la mia vita». Dopo il liceo, il sogno: «Volevo diventare medico». I soldi non bastavano. «Quando mi hanno offerto un lavoro per qualche mese in Italia mi è sembrato quello che faceva per me», prosegue, mentre i suoi occhi cercano, tra i ricordi, come è successo. «Mi sono fidata, e dire che non ero una sprovveduta; ma le persone che mi hanno offerto “il lavoro” mi hanno convinto: ho frequentato una scuola paritaria evangelica, forse sono vissuta in una campana di vetro perché nella mia mente non esistevano cose simili e i media non ne parlavano, allora».

Arrivata a Bologna, i trafficanti le hanno requisito i documenti, consegnato una nuova identità e comunicato qual era il “lavoro”. «Cosa credevi di fare? - mi ha detto quell’uomo, perfido». Poi il gelo: «Ero stata venduta ad un albanese». Segregata di giorno, all’imbrunire veniva portata in strada. «Uscivamo vestite normali, ci cambiavamo in macchina o nel parco e conciate così ci sbattevano in strada non prima di averci fatto il lavaggio del cervello: minacce di morte, di botte, “non provare a scappare, ti facciamo a pezzetti..». «Con la mente ho cercato subito appigli: a volte mi nascondevo nel parco per non farmi vedere dalle auto, oppure mi intrattenevo a chiacchierare con un cliente, per perdere tempo. Il fatto che non portassi abbastanza denaro li faceva infuriare». Per il resto era il buio.

LA SPERANZA TRADITA
Un’unica speranza ha sostenuto Sara, mai concretizzata: «Quando passavano le forze dell’ordine speravo sempre che mi fermassero, mi chiedessero i documenti; lì avrei potuto spiegare e l’incubo sarebbe finito». Invece niente. «Io non ho il potere di cambiare le leggi - scandisce - ma non si può fare finta che questo mondo parallelo non esista: vorrei dire a tutti e soprattutto agli uomini che cercano donne in strada che è come se togliessero loro la vita perché la maggior parte è costretta». Denunciare era impossibile: «Quando non ero in strada, ero sempre sorvegliata. Poi questa gente ti mette in testa è che tu sei perseguibile, per me non avere documenti veri era gravissimo: vivevo con un senso di colpa enorme, assurdo a pensarci adesso, ma per tutte è così, quando si è segregate e violentate».

IL “SECONDO TEMPO”
L’identità. Ecco ciò che Sara ha sentito di aver perso per tanti anni, anche quando è iniziato il secondo tempo. Perché ad un certo punto una falla nell’organizzazione dei trafficanti c’è stata. E lei, in modo rocambolesco e con l’aiuto di un cliente, è riuscita a scappare. «Quell’uomo mi ha portata in un posto, un’azienda agricola ho scoperto che cercavano una segretaria: potevo solo fidarmi a quel punto. Non avevo altre chances». L’azienda era reale e reale anche il posto di lavoro: «Ma quando il proprietario ha capito che non avevo documenti non se ne è fatto nulla». Il seguito si è concretizzato in un uomo, più vecchio di 25 anni, che si approfittava di lei in cambio di promesse di aiuto. Sara presto ha capito cosa lui avesse in testa, il «suo business»: «Farmi lavorare solo per lui». La «fortuna» ha voluto che lo stress le procurasse una psoriasi impressionante: «Ero inguardabile, come potevo andare in strada?».

Intanto però Sara è rimasta incinta. «Abbiamo girovagato, poi lui ha deciso di andare al sud, da dove proveniva». «Non mi ha fatto abortire: quando ho partorito e mi hanno detto che avrei potuto consegnare la mia bambina ai medici, non me la sono sentita..», ricorda commossa pensando alla figlia che oggi ha con sé. «Durante la gravidanza e l’accudimento leggevo, guardavo la tv: ho capito che potevo denunciare almeno il primo tempo della vicenda».L’uomo - «che aveva pianto alla nascita della bimba, chissà se aveva un’umanità...» - sembrava essere d’accordo. Poi «tra burocrazia e negligenza» per riavere i documenti ci sono voluti due anni. Ero “quasi” libera, riflette Sara. Troppo per il compagno che non aveva scelto: «È divento sempre più irascibile, possessivo: mi violentava mentre la bimba era nell’altra stanza».

LA FUGA
Un giorno il culmine: «Stava per uccidermi, mi ha salvato una telefonata che lo ha costretto a uscire di casa». Sara ricorda: «Ho preso le prime cose che ho trovato, i documenti e sono scappata, via, con l’auto che guidavo da pochissimo». Prima la chiamata al centro antiviolenza napoletano che non poteva aiutarla, poi la fuga verso Mestre dove si trovava un cugino. «Ad Anzio era buio, non avevo un centesimo in tasca. Alla stazione dei carabinieri più vicina ho raccontato che stavo scappando, hanno fatto una colletta per la benzina». Sulla Firenze-Bologna, la sorte ancora una volta ci si mette di mezzo: un incidente bruttissimo, la figlia in coma, con il viso rotto. Insieme l’incontro con la salvezza: «La Casa delle donne per non subire violenza di Bologna». Immediati i colloqui e il regime di protezione ristretto: 8 mesi in una casa-rifugio, il sostegno psicologico e morale. «Peccato solo che il Comune non mi abbia subito affidato un assistente sociale», sospira. Che fatica... Sara però sorride: ha un aspetto forte, deciso. Sa che oltre il tunnel la luce c’è, può esserci. E lo grida al mondo, alle donne che subiscono violenza e agli uomini che ogni giorno, sui viali delle città e non solo, fomentano dolore.
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L'indifferenza uccide.
Una lezione di vita che arriva sempre dalla morte.



Milano, migliaia ricordano Lea Garofalo. Don Ciotti: “Non basta commuoversi”

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/10/ ... si/249830/

“Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla”. Sono le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che oggi a Milano ha officiato i funerali civili di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa nel 2009 dall’ex compagno e boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco.

Una piazza Beccaria gremita ha accolto il feretro tra le bandiere colorate che Libera ha dedicato alla vittima di mafia.

“Ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose – ha aggiunto don Ciotti – dico, contribuite a cercare la verità. Noi non vi lasceremo soli”.

Il prete antimafia si è poi commosso quando ha ammesso: ”Abbiamo tanto dolore dentro, perché non ce l’abbiamo fatta a salvarla”.

Una commozione che ha coinvolto tutti i presenti quando la figlia di Lea Garofalo, Denise Cosco, è intervenuta con un messaggio audio trasmesso dalla località protetta in cui si trova.

“Ringrazio tutti”, ha esordito, prima di terminare con un commosso “Ciao mamma!”. In piazza anche Marisa Garofalo, sorella di Lea: “È giusto che Lea abbia un funerale dignitoso, ringrazio il sindaco Giuliano Pisapia, don Luigi Ciotti e il sindaco di Petilia Policastro“.

“In effetti – ha aggiunto – mia sorella questa vicinanza non l’ha mai avuta in vita e ciò provoca anche rabbia. Forse con un decimo di queste attenzioni e di questo affetto oggi sarebbe ancora in vita”.

Nel corso della cerimonia è stato letto un messaggio che la donna aveva scritto al Presidente Giorgio Napolitano quattro anni fa, prima del fatale attentato che la raggiunse nonostante il programma di protezione.

Lea non riuscì mai a spedire la lettera al Capo dello Stato, dove si presentava come “una mamma disperata, allo stremo delle forze”.

“Mi trovo
 con mia figlia, isolata da tutto e da tutti”, scriveva al Presidente della Repubblica. “Ho perso ogni
 prospettiva di futuro ma sapevo a cosa andavo incontro con la 
mia scelta. Non posso
 cambiare il corso della mia triste storia, ma vorrei con questa
 mia richiesta di aiuto che lei rispondesse alla decine di
 persone nelle mie stesse condizioni. La prego, ci 
dia un segnale di speranza”
di Fabio Abati
19 ottobre 2013
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Re: Pianeta donna....

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‘Ndrangheta, in un libro le sofferenze di Lea Garofalo prima di essere uccisa
'La scelta di Lea' di Marika Demaria ripercorre gli anni difficili del programma di protezione e della testimonianza della figlia Denise al processo in cui sono stati condannati all'ergastolo 4 uomini. Una storia di criminalità organizzata e di dubbia presenza dello Stato

di Stefania Prandi | 17 ottobre 2013Commenti (10)


Lea Garofalo è stata una donna coraggiosa: stanca di vivere fin dall’infanzia in un contesto di ’ndrangheta, ha rotto con il marito e con la famiglia di origine ed è diventata testimone di giustizia. Scelte che ha pagato con la vita. Il 24 novembre del 2009 è stata infatti sequestrata, uccisa con un colpo di pistola e bruciata.

Di lei sono rimasti 2.800 frammenti ossei, in tutto un chilo e trecento grammi. Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo quattro uomini. Tra loro Carlo Cosco, ex compagno della donna e padre della figlia Denise.

La vicenda di Lea Garofalo – che racchiude in sé molte contraddizioni della società italiana – viene raccontata con cura e passione da Marika Demaria, giornalista del mensile Narcomafie e referente dell’associazione Libera per la Valle d’Aosta, nel libro La scelta di Lea.

Il testo sarà in libreria dal 19 ottobre, giorno dei funerali pubblici di Lea Garofalo a Milano, e ripercorre gli anni difficili e solitari del programma di protezione, le testimonianze sui traffici di stupefacenti e gli omicidi tra Calabria e Lombardia, le arringhe degli avvocati difensori, la testimonianza della figlia Denise (ora sotto protezione) contro il padre, gli zii, il fidanzato.

Dall’inchiesta di Demaria emerge una realtà fatta di criminalità organizzata e dubbia presenza dello Stato.

Lea Garofalo e la figlia Denise, hanno infatti goduto della protezione testimoni per alcuni anni, ma nel 2006 sono state espulse.

Dopo aver fatto ricorso al Tar sono state reintegrate ma dopo qualche mese sono uscite per volontà di Lea. “Una decisione difficile, sofferta, dettata dall’amarezza, dallo sconforto per avere capito che la sua coraggiosa scelta non ha portato a nulla, se non alla vita solitaria – si legge nel libro. – Le dichiarazioni di Lea non sono state la miccia per innescare un processo, per vedere i Cosco dietro le sbarre.

Niente di tutto questo”. Come ha spiegato Enza Rando, avvocata di Libera, nella deposizione,“Lea lamentava che a volte quelli del Nop (Nucleo operativo di protezione, nda) la trattavano come una mafiosa, mentre lei era una testimone di giustizia e non aveva commesso reati. In generale era stanca della vita durante il programma per i continui cambi di città. E poi si era sentita molto amareggiata e tradita per il fatto che, dopo la non ammissione al programma definitivo, le avevano detto che entro quindici giorni avrebbe dovuto lasciare la casa. Era disperata. Non sapeva dove andare”.

Nell’inchiesta della giornalista di Narcomafie non mancano i particolari inquietanti. Come quello che riguarda un episodio avvenuto il 20 novembre 2004, quando Lea e la figlia erano ancora nel programma di protezione. Gennaro Garofalo, un lontano parente, molto amico di Vito Cosco (fratello dell’ex compagno di Lea, condannato anche lui all’ergastolo), “va alla stazione dei carabinieri di Lissone, nella provincia di Monza e Brianza. Non deve sporgere denuncia. Non deve prendere servizio. O perlomeno non più. Il ragazzo era infatti un ausiliario dei carabinieri, ma si era congedato tre giorni prima”. Va lì con la scusa di un saluto e “riesce ad utilizzare il pc di un collega, impegnato in un’operazione esterna, per cercare la città dove vive Lea inserendo la password che era stata appuntata su un’agenda riposta in un cassetto non chiuso a chiave”.

Nel testo appare in continuazione l’ombra della ‘ndrangheta anche se, come scrive Nando dalla Chiesa nell’introduzione, durante il processo “non è stato contestato l’articolo 416 bis del codice penale, l’associazione di stampo mafioso. Davvero è stato un delitto privato, interno a una famiglia che si è sentita disonorata?”. Certo, Lea è stata una donna che ha affermato il proprio diritto all’indipendenza, contestando anche la patria potestà, portandosi via la figlia. Ma la sua è stata una vicenda privata? Secondo dalla Chiesa “si è affacciata in realtà nel processo una tendenza piuttosto diffusa nella magistratura settentrionale. E cioè la convinzione del fatto che per condannare per associazione mafiosa al nord occorrano più elementi di quanti ne occorrano nelle regioni a insediamento tradizionale. Quasi che fatichino a svanire i vecchi pregiudizi secondo cui ‘qui la mafia non esiste’ o ‘qui non si fanno le stesse cose che al sud’”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10 ... sa/747409/
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La sedicenne di Modena che ci svela il nostro abisso

(CONCITA DE GREGORIO).
21/10/2013 di triskel182


QUALCUNO DICA CHE QUEL GIOCO NON È UN GIOCO.


CE L’AVETE, ce l’avete avuta una figlia di sedici anni?

Che si veste e si trucca come la sua cantante preferita, che sta chiusa in camera ore e a tavola risponde a monosillabi, che quando la vedete uscire con il nero tutto attorno agli occhi pensate mamma mia com’è diventata, ma lo sapete, voi lo sapete che è solo una bambina mascherata da donna e vi si stringe il cuore a vederla uscire fintamente spavalda. Dove va, a fare cosa, con chi. Ve li ricordate, i vostri sedici anni?

Quando Facebook non c’era e passavate pomeriggi al telefono fisso a dire no, sì, ma dai…, e poi quando vostro padre vi diceva ora basta, libera quel telefono vi chiudevate in camera, anche voi, a scrivere a penna su quaderno ché il computer non c’era, e se c’era era uno solo, enorme, sempre spento, inaccessibile.

Ecco, fate lo sforzo di ricordare perché una ragazza di sedici anni è quella cosa lì, da sempre e per sempre anche se cambiano i modi e le mode, i vestiti e le canzoni, i modi di parlarsi perché con la chat si fa più in fretta ma è uguale, in fondo.

È COME stare pomeriggi interi al telefono, a canzonare il tempo a prenderlo in contropiede e ingannarlo.

Una ragazza di sedici anni è una persona a cui la vita deve ancora succedere e non lo sa, e ha un po’ paura e un po’ fretta, e molto desiderio che passi veloce il momento e che arrivi quello, alla meta dei diciotto, in cui “nessuno mi può obbligare, ora”.

Io non lo so, nessuno lo sa tranne lei e quelli che erano lì, cosa è successo alla ragazzina di Modena che – dicono gli investigatori, i parenti, ora anche gli adulti che rivestono incarichi pubblici – una sera d’estate a una festa di compagni di scuola è stata violentata da cinque, sei, non è sicuro quanti amici. Amici, attenzione. Nessun livido, nessun graffio, nessun segno di violenza che segnali la sopraffazione fisica in senso proprio.

Erano compagni di scuola. Alcuni maggiorenni da poco, varcata l’agognata meta dei diciotto, altri, almeno uno, no. Aveva bevuto lei, avevano bevuto probabilmente tutti perché come sa chi si guarda intorno gli adolescenti, oggi, bevono. Superalcolici, moltissimo.

Costano meno delle droghe, spesso si trovano nelle case già disponibili all’uso. Shortini, alla mescita.

Pochi euro a bicchiere, nessuno chiede la carta d’identità. Bevono i quindicenni come i trentenni, uguale.

Io non lo so com’è andata, quella sera, in una casa della più rassicurante delle città emiliane, la Modena delle scuole modello degli imprenditori che non si arrendono al terremoto, delle donne imprenditrici che vendono figurine nel mondo, dei ristoranti celebrati oltreoceano.

Uno faceva il palo, scrivono gli agenti di polizia, gli altri a turno nella stanza “avevano rapporti sessuali completi” con la ragazzina.

Non c’è niente di più algido di una relazione, niente di meno adatto a descrivere il tumulto, il disordine, lo sgomento, la resa. Lei cosa pensava, come stava, cosa voleva, cosa diceva? Non si sa, nessuna relazione può raccontarlo.


Dicono, i verbali, che erano tutti ragazzi “incensurati e di buona famiglia”. Aggiungono, le cronache, che sono passati quasi due mesi dall’evento e che nessuno – nessuno – ha fatto un gesto o ha detto qualcosa, né a scuola né in famiglia, nelle molte famiglie coinvolte, che somigliasse alla presa d’atto di un reato, o quanto meno di una vergogna, di una colpa, di un dispiacere.

Niente, silenzio. Il sindaco ieri ha detto che “inquieta che questi ragazzi non distinguano il bene dal male”. Inquieta, certo.

Pone il problema della responsabilità. È loro, che geneticamente, naturalmente non sanno distinguere o è della generazione che li ha cresciuti, e non gli ha fornito i ferri essenziali per l’opera di elementare distinzione? È dei figli o dei padri, la colpa?

Anni fa, a Niscemi, Caltanissetta, un gruppo di minorenni massacrò di botte, strangolò con un cavo di antenna e gettò in una vasca di irrigazione una coetanea, Lorena Cultraro, 14 anni. Era incinta, rivelò l’autopsia.

Uno degli assassini, quindicenne, chiese al giudice, dopo aver confessato l’omicidio: “Ora che le ho detto cosa è successo posso tornare a casa?”. A vedere la tv, a giocare alla play. Tornare a casa. Era il 2008, cinque anni fa.

Si scrissero articoli sgomenti, intervennero psicologi di fama, dissero che certo in quelle zone del Paese, al Sud, è tutto più difficile.

one d’ombra, povertà di mezzi e di sapere, l’adolescenza sempre un enigma. Ora, cinque anni dopo, siamo a Modena.

Emilia culla di bandiera di democratica civiltà e di sapere. Certo questa ragazzina non è morta, per sua fortuna.

Forse non ha nemmeno lottato per evitare quel barbaro rituale che chissà, magari era proprio quello che l’avrebbe fatta diventare grande, finalmente. Forse per qualche tempo ha pensato: è stato quello che doveva essere.

Però arriverà, deve arrivare, il momento il tempo e il luogo in cui qualcuno di molto molto autorevole senza essere per questo canzonato e dal coro irriso dica no, non è quello che deve, non è questo che devi accettare per essere accettata.

Non devi fare silenzio. Verrà il giorno in cui questo tempo avariato scadrà e sarà buttato come uno yogurt andato a male e ricominceremo tutti, dalle case, dalle televisioni, dai giornali, dalle scuole elementari a dire alle bambine: quando ti chiedono di stare al loro gioco, digli di no. È un gioco sbagliato, non è il tuo gioco. Non è nemmeno un gioco.

Verrà il giorno in cui capiremo l’abisso in cui siamo precipitati pensando che fosse l’anticamera del privé del Billionaire, che fortuna essere ammessi all’harem, e sapremo di nuovo dire, come i nostri nonni ci dicevano: è una trappola, bambina.

Quando ti chiedono di mostrargli le mutande non è vero che si alza l’auditel, come dice la canzone scema. Quando te lo chiedono vattene, ridigli in faccia e torna a casa.

Da La Repubblica del 21/10/2013.
Amadeus

Re: Pianeta donna....

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(di Alessandra Magliaro)

(ANSA) - Bambini trofeo, bambini capolavori, bambini tiranni. Figli al centro della famiglia degli affetti, investiti di attenzioni e di responsabilità.

Il tempo dei bambini 'e basta' sembra essere finito da un po', da quando consapevoli o meno i genitori hanno cominciato a vedere questi bambini voluti, amati, coccolati non solo come proiezioni delle loro stesse aspirazioni ma ancor più come aiuto alle loro fragilità , assicurando conferme e persino consolazione. In una parola 'bambini adultizzati'.

Una tendenza che più o meno investe tutte le mamme e tutti i papa' , si insinua nelle abitudini quotidiane persino contro la volontà, si può resistere al figlio trilingue ma magari no alla figlia che a 10 anni chiede la messa in piega dal parrucchiere, si può resistere alla bambina che chiede la scarpa con il tacco 4 che ha visto nelle foto della figlia di Katie Holmes e Tom Cruise ma magari no al figlio che per il compleanno chiede tre feste a scuola per tutti, a casa per i parenti e con gli amichetti in pizzeria.

Ciascuno ha i propri esempi, ciascuno considera più o meno grave un atteggiamento piuttosto che un altro ma nessuno sembra essere escluso da questa epoca di bambini che addirittura saltano la fase del principe per diventare direttamente re tiranni. "Mi sembra di vedere in giro tanti adulti infantilizzati e tanti bambini adultizzati. O addirittura parentificati, cui chiediamo di farci da mamma e da papà e di darci sostegno", dice la psicologa Irene Bernardini che per la prima volta si è dedicata a loro nel libro Mondadori Bambini e basta, in cui ha raccolto tante esperienze legate dal filo conduttore della riflessione ''perché non dobbiamo dimenticare che i grandi siamo noi''. Non c'è solo da ricordare il libro mito di Phillips Asha, I no che aiutano a crescere, qui la novità va oltre lo strapotere dei figli all'interno del nucleo familiare: il bambino si fa grande anzitempo per placare le ansie adulte di vederlo responsabile, perfetto, modello, autonomo, precoce, tecnologicamente indipendente, con un'agenda settimanale di impegni degna di un manager. ''Figli smarriti di genitori narcisi', dice la Bernardini ''senza voler giudicare nessuno''. I bambini sono piccoli e per quanto intelligenti sono immaturi e non certo competenti nella elaborazione delle emozioni e degli affetti. Cristina Colli, una psicologa dell'istituto Il Minotauro, a proposito del bambino adultizzato sottolinea ''L'adulto chiede al bambini di dare un significato uguale alle esperienze emotive e di reggere alla pari la relazione. Questa sorta di equivoco, l'attribuzione al bambino di bisogni esigenze e competenze modellate su quelle degli adulti di riferimento, porta alla costruzione di una figura di bambino-partner, mentre è centrale la differenza generazionale per lo sviluppo di una identità positiva''.
Amadeus

Re: Pianeta donna....

Messaggio da Amadeus »

oggi si celebrano i 70 della splendida Catherine Deneuve

http://www.ansa.it/web/notizie/speciali ... 89083.html
camillobenso
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Re: Pianeta donna....

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Arabia Saudita, le donne per il diritto alla guida. “Il 26 ottobre tutte al volante”

di Manuela Campitelli | 24 ottobre 2013Commenti (1)


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“Dio non ha detto che non posso guidare”. Arriva dall’Arabia Saudita una nuova ondata di protesta al femminile, che porterà in piazza, anzi in macchina, le voci e le rivendicazioni delle donne arabe. Un gruppo di attiviste saudite ha fissato per il 26 ottobre prossimo la mobilitazione “October 26 driving” un’intera giornata di lotta contro il divieto di guidare imposto alle donne dallo Stato. Per quel giorno tutte le saudite, che hanno solo recentemente conquistato il diritto di girare in bicicletta, sono invitate a uscire in strada e a mettersi al volante.


Un'immagine diffusa su Twitter secondo cui far guidare le donne significa lasciare campo libero a comunismo, droga e liberalismo
Sul sito della campagna si chiede di sottoscrivere una petizione che ha già raggiunto oltre 11mila firme: “Non essendoci alcuna valida ragione per cui lo Stato possa impedire alle donne adulte di guidare la macchina se in grado di farlo – si legge nell’appello - è necessario fornire alle cittadine la possibilità di sostenere l’esame di guida. In caso di mancato superamento, non verrà rilasciata la patente, perché non ci sia alcuna disparità con gli uomini. L’unico criterio di valutazione sarà la capacità di guidare e non il genere”. Nella pagina “How you can help” (come puoi aiutarci) del sito web, si chiede la collaborazione dei lettori per “insegnare a una donna a guidare; stampare il logo della campagna ed esporlo sul finestrino della macchina; pubblicare video e clip audio”. Molti dei filmati caricati su YouTube promuovono veri e propri corsi di guida online. Uno di questi vede come protagonista una donne della campagna “Teach me how to drive” (ossia “Insegnami a guidare”) che spiega come guidare la macchina.

Già nel 2011, venne lanciata una mobilitazione analoga, “Women2drivecampaign”, che imperversò su Twitter con l’hashtag #Women2Drive e su Facebook, a cui seguirono numerose condanne. Risale a quel periodo l’arresto di Manal al-Sharif, un’attivista saudita per i diritti umani che osò sfidare la legge caricando su YouTube un video che la mostrava al volante.

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Arabia Saudita, le donne per il diritto alla guida. “Il 26 ottobre tutte al volante”
di Manuela Campitelli | 24 ottobre 2013Commenti (1)
Arabia Saudita, le donne per il diritto alla guida. “Il 26 ottobre tutte al volante”
Più informazioni su: Arabia Saudita, Automobilisti, Discriminazioni di Genere, Proteste.

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“Dio non ha detto che non posso guidare”. Arriva dall’Arabia Saudita una nuova ondata di protesta al femminile, che porterà in piazza, anzi in macchina, le voci e le rivendicazioni delle donne arabe. Un gruppo di attiviste saudite ha fissato per il 26 ottobre prossimo la mobilitazione “October 26 driving” un’intera giornata di lotta contro il divieto di guidare imposto alle donne dallo Stato. Per quel giorno tutte le saudite, che hanno solo recentemente conquistato il diritto di girare in bicicletta, sono invitate a uscire in strada e a mettersi al volante.


Un'immagine diffusa su Twitter secondo cui far guidare le donne significa lasciare campo libero a comunismo, droga e liberalismo
Sul sito della campagna si chiede di sottoscrivere una petizione che ha già raggiunto oltre 11mila firme: “Non essendoci alcuna valida ragione per cui lo Stato possa impedire alle donne adulte di guidare la macchina se in grado di farlo – si legge nell’appello - è necessario fornire alle cittadine la possibilità di sostenere l’esame di guida. In caso di mancato superamento, non verrà rilasciata la patente, perché non ci sia alcuna disparità con gli uomini. L’unico criterio di valutazione sarà la capacità di guidare e non il genere”. Nella pagina “How you can help” (come puoi aiutarci) del sito web, si chiede la collaborazione dei lettori per “insegnare a una donna a guidare; stampare il logo della campagna ed esporlo sul finestrino della macchina; pubblicare video e clip audio”. Molti dei filmati caricati su YouTube promuovono veri e propri corsi di guida online. Uno di questi vede come protagonista una donne della campagna “Teach me how to drive” (ossia “Insegnami a guidare”) che spiega come guidare la macchina.

Già nel 2011, venne lanciata una mobilitazione analoga, “Women2drivecampaign”, che imperversò su Twitter con l’hashtag #Women2Drive e su Facebook, a cui seguirono numerose condanne. Risale a quel periodo l’arresto di Manal al-Sharif, un’attivista saudita per i diritti umani che osò sfidare la legge caricando su YouTube un video che la mostrava al volante.



La mobilitazione per il diritto alla guida, che su Flickr consente di pubblicare foto a sostegno della giornata del 26 ottobre, si è intensificata dopo le dichiarazioni di Sheikh Saleh al-Lehaydan, consulente legale e psicologo dell’associazione psicologi del Golfo, che ha parlato di alcuni dati scientifici secondo i quali “la guida delle donne danneggia le ovaie, il bacino e compromette la fertilità. Di conseguenza, le donne al volante danno alla luce figli affetti da disfunzioni cliniche di diverso grado “. Un hashtag di Twitter,#قيادة_المرأة_تؤثر_على_المبايض_والحوض, che significa “la guida delle donne si ripercuote sulle ovaie e sul bacino”, ha innescato una serie di reazioni tra cui la diffusione via Twitter di un’immagine che mostra come la concessione alle donne del diritto di guidare porterà al comunismo, alla droga e al liberalismo.

In Italia l’Unione delle donne italiane (Udi) in occasione della mobilitazione del 26 ottobre farà pervenire all’ambasciata dell’Arabia Saudita un messaggio di sostegno alle rivendicazioni delle saudite nei confronti della casa regnante e scriverà una lettera alla ministra degli Esteri, Emma Bonino, “augurandoci – afferma Carla Pecis dell’Udi di Catania – che si riesca a costruire nel loro Paese una coesione, oggi inesistente, intorno ai temi del rispetto dei diritti umani e civili”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10 ... te/755442/
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Re: Pianeta donna....

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Le ragazze rispondono chiedendo soldi e ricariche ai telefonini...........


Il problema non è essere o fare i moralisti, questo è il mestiere più vecchio del mondo, e quindi i soldi sono alla base di tutto.

Il problema odierno sono le motivazioni come la ricarica dei telefonini.

Equivale ad una dipendenza da droga o alcool nella società dei consumi.




01 NOV 2013 18:20
FAMMI UNO SQUILLO - TELEFONATE E SMS CON LE BABY PROSTITUTE DEI PARIOLI: “MI PIACI LOLITA, TI PORTO IN BARCA”
Le ragazze rispondono chiedendo soldi e ricariche ai telefonini - “Mi piaci, hai amichette giovani e adoro le lolitine”, scrive il commercialista arrestato - Clienti delle baby squillo perquisiti dagli investigatori e indagati per rapporti sessuali con minorenni, per di più a pagamento. Altri potrebbero finire presto sotto inchiesta…




Rinaldo Frignani per "Corriere della Sera - Roma"


«Il mio amico ha apprezzato molto la tua amichetta. Vi voleva invitare in barca a Ponza, ma per il week end siamo già in 15». Risale alla fine di luglio uno dei messaggini inviati dal commercialista Riccardo Sbarra - arrestato nell'operazione «Ninfa» con altre quattro persone - a una delle due baby squillo dei Parioli che aveva da poco lasciato un cliente. Frasi forti, soprattutto se riferite a ragazzine di 14 anni, simili ad altre intercettate dai carabinieri nel corso delle indagini e che ora sono al centro di accertamenti.

«Tu mi piaci, hai amichette giovani e io adoro le lolitine», scriveva ancora il professionista solo pochi giorni prima di finire in manette, oppure, con un altro sms a una delle giovanissime prostitute: «Venite a casa mia e ci restate, se volete». Uno spaccato inquietante del giro nel quale le minorenni erano finite dopo aver conosciuto sulla Rete, uno dopo l'altro, i quattro arrestati (oltre al commercialista, anche il soldato abruzzese Nunzio Pizzacalla, Mirko Ieni, residente ai Parioli, e il commerciante Michael De Quattro, accusato di aver ricattato una delle ragazze con un video dei loro incontri sessuali).

Fino a oggi alcuni dei clienti delle baby squillo sono stati perquisiti dagli investigatori in quanto indagati per aver avuto rapporti sessuali con minorenni, e per di più a pagamento. Altri potrebbero finire presto sotto inchiesta. Finora nessuno di loro è stato interrogato dai carabinieri e dalla procura, ma quando verranno convocati dovranno essere accompagnati dall'avvocato.

«Non sapevo che fossero minorenni», è la giustificazione più frequente data ai militari dell'Arma al momento delle perquisizioni. Ma qualcuno avrebbe ammesso di aver pagato personalmente sia le ragazze sia i «protettori» prima o dopo gli incontri sessuali. Sempre Sbarra, da quanto è emerso dalle indagini, avrebbe ricompensato adolescenti con ricariche su postepay . «Ti sei preso tutte le foto, tutti i miei dati - è scritto in uno dei tanti sms ricevuti dal commercialista -. Siccome vai a mangiare all'Hilton, quindi sei ricco, mi faresti almeno una ricarica». Elementi che i carabinieri stanno analizzando per trovare riscontri ai sospetti di altre giovani coinvolte nella vicenda che sta scioccando tutta Roma.

Fra i clienti - alcuni dei quali residenti fuori dalla Capitale - ci sarebbe anche chi si era invece accorto che le baby squillo non avevano più di 17 anni. «Ha detto che sono troppo piccola» è la risposta di una «lolita» al caporalmaggiore Pizzacalla - ascoltato ieri nel carcere dell'Aquila - che le aveva procurato un contatto un po' sospettoso: «Mi chiedono se hai realmente 18 anni», le aveva scritto in precedenza, raccomandandosi «ogni volta che fai uno mi devi mandare sms con tempo e soldi» e più tardi «venerdì nel primo pomeriggio sono a Roma, mi servono i soldini».

Uno dei clienti agganciati dal militare «ci è rimasto male, è quello a cui hai dato buca. L'ho dovuto fare uscire con un'altra ragazza». La conferma, secondo gli investigatori, che il giro di prostituzione - sia di minorenni sia di maggiorenni - era ben organizzato, anche con disponibilità di alberghi nonostante una delle giovani avesse sottolineato che non le piaceva andare in hotel.

E in questo ambito le indagini si spostano anche sulle schede telefoniche usate dalle ragazzine: sim che, come accaduto nel caso di Ieni, erano state consegnate alle baby squillo e i relativi numeri pubblicati su «bakecaincontri.com». Punti di riferimenti per chi voleva contattare le ragazzine che adesso potrebbero contenere i numeri di clienti ancora da identificare.
camillobenso
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Re: Pianeta donna....

Messaggio da camillobenso »

Non se ne viene più fuori – 5



Da questa situazione Non se ne viene più fuori,……..perché:

15) Perché la degenerazione è alta.


Il problema non è tanto la prostituzione in sé, perché da sempre è il mestiere più vecchio del mondo. Ma le motivazioni ufficiali delle giovanissime “Bella di giorno”.

E’ il fallimento di un’intera società assieme al fallimento dei nuovi genitori.

Non si tratta di fare del facile moralismo da quattro soldi che non serve assolutamente a nulla, ma dello schiavismo giovanile preda dell’ansia di avere tutti i beni materiali del momento, subito “A QUALSIASI COSTO”.




07 NOV 2013 13:18
COSÌ FAN TUTTE - SE ROMA CALA LE BABY ESCORT, MILANO RISPONDE CON LE “RAGAZZE DOCCIA”, PISCHELLE-BENE CHE SI VENDONO NEI BAGNI DELLE SCUOLE PRIVATE - E COME LA DOCCIA SI FA OGNI GIORNO, LORO OGNI GIORNO SCOPANO
Otto ragazzine hanno tra i 14 e i 16 anni, che vengono da famiglie benestanti e frequentano scuola private, si prostituivano nei bagni, offrendo anche mini-orge, in cambio di oggetti e regalini - Alcuni ragazzi facevano da procacciatori di clienti e si teme che nel giro siano entrati anche dei clienti adulti…




Amalia De Simone per il "Corriere della Sera"

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Le chiamano «ragazze doccia» e sono adolescenti, in genere di famiglie benestanti, che si prostituiscono nei bagni delle scuole in cambio di oggetti. Il fenomeno è stato scoperto dall'equipe del prof. Luca Bernardo, direttore del reparto di pediatria dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano.
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Secondo il dossier le ragazzine hanno tra i 14 e i 16 anni, vengono perlopiù da scuole private. «Abbiamo individuato per ora otto ragazze ma ci risulta che il fenomeno sia molto più esteso - spiega - Le chiamano ragazze-doccia perché così come ci si fa la doccia tutti i giorni, loro quotidianamente fanno sesso. I maschietti-clienti vengono scelti in base a ciò che possono dare in cambio alle ragazze. Durante le lezioni delle prime ore sui telefonini gira il menù con prestazioni, richieste e orari per gli appuntamenti nei bagni, dove avvengono i rapporti sessuali. Le ragazze offrono le loro prestazioni anche a più persone.

Per loro è una specie di gioco, un gioco molto pericoloso nel quale pensano di dominare e irretire i loro clienti. Finora abbiamo accertato i otto casi, sette di ragazze di "famiglia bene" del centro di Milano e una invece proveniente dalla periferia. Le scuole coinvolte nel "giro" sono prevalentemente istituti privati. Nessuna di queste minorenni ha parlato subito e liberamente della cosa. La confessione è arrivata sempre all'interno di un percorso di assistenza relativo ad altri tipi di problematiche come la droga o il bullismo».

Il professor Bernardo - che è riuscito a realizzare un reparto di pediatrico di eccellenza costruendo un ambiente colorato e sereno con vari programmi di assistenza ai ragazzi -, sta approfondendo il fenomeno perché il sospetto è che con il tempo la pratica si sia addirittura evoluta: «Non posso pensare che in questi ambienti non girino anche soldi. Inoltre sembra che ora ci siano dei ragazzi, dai diciassette anni in su che fanno da procacciatori di clienti e il timore è che nel giro, già molto preoccupante, stiano entrando anche dei clienti adulti»
camillobenso
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Re: Pianeta donna....

Messaggio da camillobenso »

07 NOV 2013 12:16


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1. L’AGGHIACCIANTE VERBALE DELLE BABY-SQUILLO: ‘’NOI SIAMO RAGAZZE ESIGENTI. VOGLIAMO MACCHINE, VESTITI, COSE GRIFFATE. VOGLIAMO SOLDI PER COMPRARE TUTTO QUELLO CHE CI PIACE”. È PER QUESTO CHE SI PROSTITUIVANO MANU E SERENA, 14 E 15 ANNI -
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2. “PRENDEVAMO 300 EURO, TUTTE E DUE INSIEME PER LA PRESTAZIONE CON RAPPORTO COMPLETO, 200 PER SOLI PRELIMINARI. POI HO INIZIATO A LAVORARE DA SOLA CHIEDENDO 150” -

3. “HO 14 ANNI E QUANDO SONO TRUCCATA NE DIMOSTRO DI PIÙ. HO DECISO DI PROVARE E COSÌ CON SERENA ABBIAMO PREPARANDO UN ANNUNCIO TUTTO NOSTRO SUL SITO ‘BAKECAINCONTRI’ -

4. “IL PRIMO INCONTRO È STATO CON UN SIGNORE DI 35 ANNI CHE CI HA PORTATO A PIAZZA FIUME A CASA SUA. CI SIAMO DIVISE I COMPITI: LEI DOVEVA AVERE I RAPPORTI SESSUALI. IO LE HO FATTO VEDERE COME SI DOVEVA FARE SU INTERNET, IO PRENDEVO I SOLDI E ME LI FACEVO DARE PRIMA DEL RAPPORTO. IO L’HO VISTA COME UNA COSA “ALLA PARI”” -



Maria Elena Vincenzi per "la Repubblica"


‘'Noi siamo ragazze esigenti. Vogliamo macchine, vestiti, cose griffate. Vogliamo soldi per comprare tutto quello che ci piace». È per questo che si prostituivano Emanuela e Serena, 14 e 15 anni (i nomi sono di fantasia). Sembra quasi sapessero cosa stavano facendo, per quanto lo possano sapere due adolescenti. Parlano di prostituzione, ma usano ancora un
linguaggio da bambine.



Discutono di preliminari e rapporti completi e si definiscono amiche del cuore. Si vendono per qualche centinaia di euro in un seminterrato dei Parioli e rifiutano un coetaneo perché troppo «opprimente».

Eppure l'analisi davanti ai magistrati è lucida.

«Io penso di conoscere il motivo per cui sono qui oggi: sono stata colta nel fatto, ovvero mi prostituivo a scopo economico fin dal luglio del 2013». Inizia cosi il verbale di interrogatorio di Emanuela.

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«VOLEVAMO FACILMENTE TANTI SOLDI»
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È il 28 ottobre scorso. Mentre i carabinieri del nucleo investigativo di Roma arrestano quattro clienti e sua madre (tutti accusati di induzione e sfruttamento della prostituzione minorile), Emanuela, 15 anni da qualche giorno, si siede davanti al procuratore aggiunto Maria Monteleone e al pm Cristiana Macchiusi.

«Tutto è iniziato con la mia amica Serena. Un giorno ci siamo collegate su Bakecaincontrii per trovare lavoretti ed essere autonome e abbiamo visto un annuncio invitante per lavorare e guadagnare facilmente tanti soldi. Conosco Serena da quando facevamo la medie: è la mia amica del cuore. Lei ha iniziato subito a lavorare, io l'ho fatto più tardi perché non me la sentivo, non mi sembrava una bella cosa».

Serena, come dimostrano le indagini, si prostituiva già da maggio. Presto, però, la seguirà anche Manu. «Dopo qualche mese, ho iniziato a lavorare anche io. Mia madre non lavora se non saltuariamente, mio fratello ha problemi di salute: gli manca mio padre. Io non ho mai sentito la sua mancanza.

Ho 14 anni e quando sono truccata ne dimostro di più. Ho deciso di provare e così ci siamo organizzate autonomamente con Serena preparando un annuncio tutto nostro.

La prima volta che è avvenuto un incontro, è stato con un signore di 35 anni che ci ha portato a piazza Fiume a casa sua». È la stessa storia che racconta, qualche ora dopo, l'amica.

«La prima volta che Manu è venuta con me, avevamo deciso di metterci da sole dopo il fatto di Pizzacalla (Nunzio, uno degli arrestati, che cercava di organizzare incontri a Serena e prendere una percentuale, ndr). Il primo appuntamento lo abbiamo
avuto con uno a piazza Fiume, ci siamo divise i compiti: lei doveva avere i rapporti sessuali.

Io le ho fatto vedere come si doveva fare su internet, io prendevo i soldi e me li facevo dare prima del rapporto che lei consumava. Anche io chiamavo il taxi per andare agli incontri con i clienti, io l'ho vista come una cosa "alla pari"».


«300 EURO INSIEME, 150 SOLO UNA»
Il lavoro sembra facile. E si fanno tanti soldi. «Inizialmente - continua Manu nel verbale depositato al tribunale del Riesame, che il 12 novembre discuterà le istanze di scarcerazione degli indagati - lavoravamo sempre insieme perché io avevo paura e con lei ho iniziato ad imparare. Prendevamo 300 euro, tutte e due insieme per la prestazione con rapporto completo, 200 euro per soli preliminari. Piano piano ho iniziato a lavorare da sola chiedendo 150. Senza Mirko (Ieni, anche lui in manette, ndr) lavoravamo tre volte a settimana, con lui tutti i giorni c'erano almeno due incontri. Lo abbiamo conosciuto come cliente e poi è diventato il nostro intermediario.

Prima gli incontri avvenivano in macchina o a casa dei clienti, poi Mirko ha preso in affitto un appartamento. A settembre ho avuto il mio primo rapporto lavorativo da sola in quanto ho dovuto sostituire Serena. L'accordo con Mirko era la metà di quanto guadagnavo ».

Quando entra in scena Mirko, lo conferma anche Serena, il business, sul quale la procura e i carabinieri continuano gli accertamenti, fa un salto di qualità. «A "Mimmi" - dice Serena che parla anche di hashish e cocaina - davamo 10 euro ogni volta che avevamo bisogno della casa. Secondo me faceva finta di non sapere che eravamo minorenni».

IL RAPPORTO CON LE MAMME
La mamma di Emanuela è finita in carcere perché, secondo la procura, induceva la figlia a "lavorare". La mamma di Serena, invece, ha denunciato tutto dando il via alle indagini. Serena non va d'accordo con la madre: «abbiamo un rapporto burrascoso, quello di Manu con la sua è diverso».

Tanto che, continua la ragazzina, «la mamma della mia amica non sapeva cosa facevamo ma lo sospettava perché giravano troppi soldi. Una volta ci chiese come mai avessimo tutti questi soldi e noi rispondemmo che "spacciavamo". Lei disse che "se ci beccavano ci si bevevano".

Penso che entrambe abbiano pensato che ci prostituivamo perché non potevamo avere tutti quei soldi spacciando, perché chi spaccia ha sopra di sé qualcuno». Eppure la madre di Emanuela secondo i pm sapeva. Manu la difende. «Mamma non chiedeva ma io cercavo di aiutarla. Quando le davo i soldi li prendeva anche se pensava non fosse giusto. Ma lei pensava io spacciassi e comunque mi rimproverava e mi diceva che non me li ero guadagnati ».
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