QUALE LEGGE ELETTORALE
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Il Sole 26.1.14
Dietro la corrida sulle riforme si intravede il possibile compromesso
Partitini e partitoni
di Stefano Folli
Via via che si avvicina il momento della verità, la corrida intorno alla legge elettorale diventa più confusa, in un crescendo di tecnicismi che disorientano il cittadino. Tuttavia l'opinione pubblica su qualcosa ha le idee chiare: vuole un sistema capace di decidere, in cui la classe politica si prenda le proprie responsabilità.
A Beppe Grillo non è piaciuto, ad esempio, il sondaggio della Ipsos da cui emerge che gli italiani gradiscono un sistema elettorale nel quale maggioranza e minoranza siano ben distinte e nettamente percepite come tali. Ma non è certo una novità di queste settimane. Anni di immobilismo, sotto l'ombrello di un mediocre bipolarismo e di una fittizia Seconda Repubblica, hanno creato un tale disorientamento che la sola idea di un modello rinnovato ed efficiente suscita i sussulti e le speranze registrati dai più recenti sondaggi.
Renzi e Berlusconi - soprattutto il primo, come è ovvio - hanno colto questo stato d'animo diffuso, ricavandone una sorta di viatico implicito ad andare avanti con la riforma. Ma è chiaro che in realtà i sondaggi non esprimono l'approvazione di uno schema, il cosiddetto Italico, che non è ancora definito nei suoi complicati aspetti. Esprimono soprattutto un sentimento, uno slancio morale: agli interpellati piace una legge elettorale in grado di far camminare l'Italia, senza le estenuanti ambiguità sofferte fino a oggi. Ed è inevitabile che le trattative di queste ore in Parlamento appaiano all'opinione pubblica come una lotta fra conservatori e riformatori. Fra difensori a oltranza del vecchio proporzionale e fautori di un maggioritario senza veli. Fra «partitini» e «partitoni». In effetti, è così.
Eppure non hanno torto alcuni dei frenatori. Come il vendoliano Migliore, secondo cui «noi non stiamo difendendo un piccolo partito, ma un principio di democrazia e trasparenza» (allusione agli sbarramenti e alle liste bloccate). Oppure come Sacconi, del Nuovo Centrodestra, il quale mette l'accento sulle carenze di un processo che dovrebbe condurci nella Terza Repubblica e invece offre solo alcuni spezzoni di riforma costituzionale (il Titolo V, l'abolizione del Senato). Quando invece un sistema maggioritario e monocamerale avrebbe bisogno di un serio meccanismo di pesi e contrappesi, nonchè dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo.
Queste obiezioni sono senza dubbio strumentali, dunque funzionali alla battaglia che sta per cominciare davanti alle Camere. Ma non sono prive di logica. Il riformismo di Renzi è coraggioso, ma il progetto del giovane leader è tutt'altro che completo. È vero che non si limita alla riforma elettorale, tuttavia il disegno costituzionale è a macchia di leopardo. Per cui alla fine si rischia di avere un assetto politico-istituzionale sbilanciato. Materia per la Consulta.
Quanto a Berlusconi, la sua rivendicazione («queste sono le nostre riforme, sono vent'anni che le proponiamo») è ben poco convincente. Sembra un tentativo di evitare che il «renzismo», fenomeno peraltro di notevole fascino agli occhi del capo di Forza Italia, diventi un'idrovora elettorale capace di risucchiare i voti del centrodestra. In verità il ventennio berlusconiano presenta un bilancio fallimentare per ciò che riguarda le riforme. In parte per responsabilità della sinistra, certo, ma in buona misura per colpe politiche del fronte berlusconiano.
Ora si vedrà come volge il braccio di ferro. Le carte da giocare in vista del compromesso non mancano. A cominciare dall'abbassamento della soglia minima (dal 5 al 4 per cento per chi entra in coalizione) e continuando con la necessità di «sbloccare» le liste oggi troppo chiuse.
Dietro la corrida sulle riforme si intravede il possibile compromesso
Partitini e partitoni
di Stefano Folli
Via via che si avvicina il momento della verità, la corrida intorno alla legge elettorale diventa più confusa, in un crescendo di tecnicismi che disorientano il cittadino. Tuttavia l'opinione pubblica su qualcosa ha le idee chiare: vuole un sistema capace di decidere, in cui la classe politica si prenda le proprie responsabilità.
A Beppe Grillo non è piaciuto, ad esempio, il sondaggio della Ipsos da cui emerge che gli italiani gradiscono un sistema elettorale nel quale maggioranza e minoranza siano ben distinte e nettamente percepite come tali. Ma non è certo una novità di queste settimane. Anni di immobilismo, sotto l'ombrello di un mediocre bipolarismo e di una fittizia Seconda Repubblica, hanno creato un tale disorientamento che la sola idea di un modello rinnovato ed efficiente suscita i sussulti e le speranze registrati dai più recenti sondaggi.
Renzi e Berlusconi - soprattutto il primo, come è ovvio - hanno colto questo stato d'animo diffuso, ricavandone una sorta di viatico implicito ad andare avanti con la riforma. Ma è chiaro che in realtà i sondaggi non esprimono l'approvazione di uno schema, il cosiddetto Italico, che non è ancora definito nei suoi complicati aspetti. Esprimono soprattutto un sentimento, uno slancio morale: agli interpellati piace una legge elettorale in grado di far camminare l'Italia, senza le estenuanti ambiguità sofferte fino a oggi. Ed è inevitabile che le trattative di queste ore in Parlamento appaiano all'opinione pubblica come una lotta fra conservatori e riformatori. Fra difensori a oltranza del vecchio proporzionale e fautori di un maggioritario senza veli. Fra «partitini» e «partitoni». In effetti, è così.
Eppure non hanno torto alcuni dei frenatori. Come il vendoliano Migliore, secondo cui «noi non stiamo difendendo un piccolo partito, ma un principio di democrazia e trasparenza» (allusione agli sbarramenti e alle liste bloccate). Oppure come Sacconi, del Nuovo Centrodestra, il quale mette l'accento sulle carenze di un processo che dovrebbe condurci nella Terza Repubblica e invece offre solo alcuni spezzoni di riforma costituzionale (il Titolo V, l'abolizione del Senato). Quando invece un sistema maggioritario e monocamerale avrebbe bisogno di un serio meccanismo di pesi e contrappesi, nonchè dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo.
Queste obiezioni sono senza dubbio strumentali, dunque funzionali alla battaglia che sta per cominciare davanti alle Camere. Ma non sono prive di logica. Il riformismo di Renzi è coraggioso, ma il progetto del giovane leader è tutt'altro che completo. È vero che non si limita alla riforma elettorale, tuttavia il disegno costituzionale è a macchia di leopardo. Per cui alla fine si rischia di avere un assetto politico-istituzionale sbilanciato. Materia per la Consulta.
Quanto a Berlusconi, la sua rivendicazione («queste sono le nostre riforme, sono vent'anni che le proponiamo») è ben poco convincente. Sembra un tentativo di evitare che il «renzismo», fenomeno peraltro di notevole fascino agli occhi del capo di Forza Italia, diventi un'idrovora elettorale capace di risucchiare i voti del centrodestra. In verità il ventennio berlusconiano presenta un bilancio fallimentare per ciò che riguarda le riforme. In parte per responsabilità della sinistra, certo, ma in buona misura per colpe politiche del fronte berlusconiano.
Ora si vedrà come volge il braccio di ferro. Le carte da giocare in vista del compromesso non mancano. A cominciare dall'abbassamento della soglia minima (dal 5 al 4 per cento per chi entra in coalizione) e continuando con la necessità di «sbloccare» le liste oggi troppo chiuse.
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Rischia di essere una pessima riforma. Bisogna lottare perché nella riforma elettorale tornino le preferenze (una sola, al massimo due per genere), vi sia il divieto di candidature multiple in più collegi, vi siano quote per le donne e per le categorie protette nelle liste. Facciamoci sentire con i nostri rappresentanti di qualunque partito ci sentiamo rappresentati. Io poi continuo a non amare il doppio turno ma per me fare 15 giorni di campagna elettorale in più e buttare ulteriori soldi mi sembra inutile. Se si vuole si possono trovare mille altre soluzioni. In Australia ad esempio c'è il voto multiplo se nessuno raggiunge la maggioranza si vanno a vedere i secondi voti degli elettori ecc.
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Una specie di aut-aut. Il presidente del Consiglio «è espressione del Pd, e se il Pd sostiene Letta il governo va avanti, in caso contrario no. Si riuniscano e decidano cosa fare, il Paese non può pagare le liti interne al Pd». Così il vicepremier Angelino Alfano, a margine della manifestazione dell’Ncd a Teramo. Le parole del leader Ncd arrivano dopo l’ennesima polemica tra premier e segretario del Pd ,con Letta che apriva alle preferenze nella legge elettorale (posizione condivisa con Ncd) e Renzi, che, di rimando si diceva contrario.
Una tensione che allarmava anche Forza Italia, che, per bocca del suo capogruppo alla Camera Renato Brunetta , sottolineava ancora una volta che l’intesa doveva essere globale altrimenti «salta tutto».
Riforma elettorale, Brunetta: “Intesa ampia o salta tutto”
Invia contenuto via mail Link:
LEGGE ELETTORALE - Del resto a Teramo Alfano era ritornato proprio sul tema della legge elettorale, in particolare sul passaggio legato alle preferenze: «Davvero dobbiamo fare questo torto agli italiani di tenere la parte peggiore del porcellum? Non capisco proprio, è inspiegabile, per Forza Italia è diventata una materia teologica, ed è impossibile discuterne. Chiedo a Forza Italia di non fare questo torto agli italiani. Se non riusciremo a dare agli elettori la possibilità di scegliere il deputato, sarà chiaro di chi è la responsabilità. Vi faccio notare una cosa: da quando è nato Ncd il centrodestra è tornato in vantaggio: con la legge elettorale cercano di soffocarci nella culla, ma non ci sono riusciti e non ci riusciranno».
CONTRATTO - «Ora presentiamo l’emendamento sulle preferenze, poi proporremo al Pd un contratto di governo per l’emergenza lavoro. E nel 2015 si potrà andare a votare» ha aggiunto ancora Alfano.
CONFLITTO - Sullo sfondo resta, come detto, l’ombra del conflitto nel Pd tra Renzi e Letta, con il segretario poco propenso a sostenere un governo che non sente suo e con il premier che ha invece bisogno dell’appoggio compatto del partito per rilanciare l’azione dell’esecutivo. Così il feeling tra Renzi e Berlusconi sul fronte della legge elettorale che ha provocato fibrillazioni nell’ala sinistra del partito, ha portato Letta a tirare fuori il tema della legge sul conflitto di interessi che ha irritato Renzi , che vorrebbe approvare al più presto legge elettorale e riforme costituzionali per poi andare al voto, restando il meno possibile compromesso con l’azione quotidiana del governo.
FORZA ITALIA - Cresce però, come sottolineato prima, la confusione in seno ai partiti firmatari del progetto di legge sulla riforma elettorale, dopo le parole di Brunetta che invitavano il Pd a non modificare il testo della legge , se no salta tutto l’accordo. «Il gruppo del Pd della commissione Affari costituzionali esprime preoccupazione» per le parole di Brunetta «che contraddice in modo eclatante la base dell’accordo sulle riforme». «Fi deve fare chiarezza se intende andare avanti sul progetto o se sfilarsi» dichiarava il capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali Emanuele Fiano.
BOSCHI - A tentare di spegnere l’incendio arrivava la responsabile Riforme del Pd, Maria Elena Boschi che spiegava: «Le proposte di modifica al testo base della legge elettorale devono passare attraverso l’accordo con le altre forze politiche: lunedì alle 13 presenteremo le nostre proposte di miglioramento e poi prima dell’inizio del voto in Commissione cercheremo una sintesi politica. Non si fa la nuova legge elettorale per andare a votare. La linea del Pd è chiara: abbiamo detto che l’accordo è complessivo, include anche le riforme costituzionali, e ne restiamo convinti».
26 gennaio 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione Online
Una tensione che allarmava anche Forza Italia, che, per bocca del suo capogruppo alla Camera Renato Brunetta , sottolineava ancora una volta che l’intesa doveva essere globale altrimenti «salta tutto».
Riforma elettorale, Brunetta: “Intesa ampia o salta tutto”
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LEGGE ELETTORALE - Del resto a Teramo Alfano era ritornato proprio sul tema della legge elettorale, in particolare sul passaggio legato alle preferenze: «Davvero dobbiamo fare questo torto agli italiani di tenere la parte peggiore del porcellum? Non capisco proprio, è inspiegabile, per Forza Italia è diventata una materia teologica, ed è impossibile discuterne. Chiedo a Forza Italia di non fare questo torto agli italiani. Se non riusciremo a dare agli elettori la possibilità di scegliere il deputato, sarà chiaro di chi è la responsabilità. Vi faccio notare una cosa: da quando è nato Ncd il centrodestra è tornato in vantaggio: con la legge elettorale cercano di soffocarci nella culla, ma non ci sono riusciti e non ci riusciranno».
CONTRATTO - «Ora presentiamo l’emendamento sulle preferenze, poi proporremo al Pd un contratto di governo per l’emergenza lavoro. E nel 2015 si potrà andare a votare» ha aggiunto ancora Alfano.
CONFLITTO - Sullo sfondo resta, come detto, l’ombra del conflitto nel Pd tra Renzi e Letta, con il segretario poco propenso a sostenere un governo che non sente suo e con il premier che ha invece bisogno dell’appoggio compatto del partito per rilanciare l’azione dell’esecutivo. Così il feeling tra Renzi e Berlusconi sul fronte della legge elettorale che ha provocato fibrillazioni nell’ala sinistra del partito, ha portato Letta a tirare fuori il tema della legge sul conflitto di interessi che ha irritato Renzi , che vorrebbe approvare al più presto legge elettorale e riforme costituzionali per poi andare al voto, restando il meno possibile compromesso con l’azione quotidiana del governo.
FORZA ITALIA - Cresce però, come sottolineato prima, la confusione in seno ai partiti firmatari del progetto di legge sulla riforma elettorale, dopo le parole di Brunetta che invitavano il Pd a non modificare il testo della legge , se no salta tutto l’accordo. «Il gruppo del Pd della commissione Affari costituzionali esprime preoccupazione» per le parole di Brunetta «che contraddice in modo eclatante la base dell’accordo sulle riforme». «Fi deve fare chiarezza se intende andare avanti sul progetto o se sfilarsi» dichiarava il capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali Emanuele Fiano.
BOSCHI - A tentare di spegnere l’incendio arrivava la responsabile Riforme del Pd, Maria Elena Boschi che spiegava: «Le proposte di modifica al testo base della legge elettorale devono passare attraverso l’accordo con le altre forze politiche: lunedì alle 13 presenteremo le nostre proposte di miglioramento e poi prima dell’inizio del voto in Commissione cercheremo una sintesi politica. Non si fa la nuova legge elettorale per andare a votare. La linea del Pd è chiara: abbiamo detto che l’accordo è complessivo, include anche le riforme costituzionali, e ne restiamo convinti».
26 gennaio 2014
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Si parla di legge elettorale , che non sarà mai adeguata a tutte le situazioni, ma si trascura chi (quale partito) può partecipare.
Fin dalla nascita della Costituzione si era discusso a lungo su l'art. 49 che parla dei partiti che devono partecipare con metodo democratico alla vita politica del paese, In particolare l'on Bellavista disse : " si è invece per l'opposto trascurato completamente il fine che un partito, che un'organizzazione politica può proporsi. Questo sorge evidente dalla parola «metodo», che attiene alla strumentalità della azione che il partito svolge nella lotta politica nazionale, ma non certamente attiene alla funzione teleologica, allo scopo che detto partito persegue. infatti si può essere democratici ab extra, ma si può essere antidemocratici ab intra; un partito, cioè, può svolgere la sua attività nell'agone politico nazionale democraticamente, rispettoso, ligio alle regole della democrazia, ma può nel suo interno essere retto da un principio che capovolga il principio di Archimede della democrazia, che vada cioè non dal basso verso l'alto, ma che dall'alto discenda invece verso il basso. [/b]
Fin dalla nascita della Costituzione si era discusso a lungo su l'art. 49 che parla dei partiti che devono partecipare con metodo democratico alla vita politica del paese, In particolare l'on Bellavista disse : " si è invece per l'opposto trascurato completamente il fine che un partito, che un'organizzazione politica può proporsi. Questo sorge evidente dalla parola «metodo», che attiene alla strumentalità della azione che il partito svolge nella lotta politica nazionale, ma non certamente attiene alla funzione teleologica, allo scopo che detto partito persegue. infatti si può essere democratici ab extra, ma si può essere antidemocratici ab intra; un partito, cioè, può svolgere la sua attività nell'agone politico nazionale democraticamente, rispettoso, ligio alle regole della democrazia, ma può nel suo interno essere retto da un principio che capovolga il principio di Archimede della democrazia, che vada cioè non dal basso verso l'alto, ma che dall'alto discenda invece verso il basso. [/b]
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Corriere 28.1.14
Pomicino evoca la legge Acerbo: riforma autoritaria
di Daria Gorodisky
ROMA — «È sconcertante: la legge elettorale che si sta proponendo significa affidare il governo, in via definitiva e permanente, a una minoranza di poco più di un terzo dei votanti. Qualcosa che non esiste in nessun Paese democratico».
Paolo Cirino Pomicino, una vita nella Dc (fede andreottiana) e nelle sue eredi Udeur e Udc, vede nel sistema pattuito fra Berlusconi e Renzi «il rischio di un autoritarismo vestito a festa democratica»:
«Riunisce insieme tre elementi maggioritari anomali: alta soglia di ingresso, circoscrizioni piccole, 18% di premio di maggioranza. Non accade in nessun posto. C’è un problema sul terreno democratico non opinabile».
Si dice che bisogna farlo in nome della governabilità…
«È un alibi. Si dimentica quello che le grandi democrazie parlamentari non hanno mai dimenticato: cioè che la maggioranza si forma in Parlamento e non prima del voto».
Sono 20 anni che in Italia il sistema di voto prevede coalizioni.
«Infatti abbiamo avuto sempre governi di minoranza. Però, almeno, erano minoranze del 46-48%. Qui si parla del 35. Ricorda la legge Acerbo, nata 90 anni fa proprio richiamando il bisogno di governabilità e votata da tutti, compreso De Gasperi. E fu un errore».
Secondo quella legge, fortemente sostenuta da Mussolini, bastava il 25% per prendere la guida del Paese.
«Con il modello prospettato può succedere la stessa cosa. Per esempio, una coalizione può avere due partiti che raccolgono ciascuno il 4% dei consensi; però i loro voti concorrerebbero comunque a far scattare il premio di maggioranza. Quindi l’esecutivo rappresenterebbe appena il 26-27% degli italiani. Avremmo un governo elitario, aggravato da liste bloccate che producono schiere di cortigiani. Sarebbe qualcosa di simile ai mandarinati…».
C’è chi sostiene che questo pericolo verrebbe eliminato dalle primarie.
«È ridicolo. Le preferenze che vanno bene per indicare i candidati, ma non per votarli.
Sembra di essere su Scherzi a parte».
Quale potrebbe essere il rimedio?
«Bisognerebbe almeno alzare molto la soglia per un premio di maggioranza o addirittura abolirlo. Un sistema proporzionale con uno sbarramento al 4-5% spazzerebbe via i partitini; e il partito di maggioranza può cercare in Parlamento la maggioranza».
E l’allarme sulla frantumazione politica?
«La frantumazione va contrastata con la soglia di ingresso al 4-5%. E la governabilità sarà sulle spalle della politica, non delle leggi elettorali».
«Pesano, sul Pd, il mancato ripensamento, e la revisione critica, della politica del Partito comunista. È tuttora imperante la parola d’ordine cominformista “nessun nemico a sinistra» che aveva condizionato i partiti comunisti occidentali ancora nell’immediato secondo dopoguerra»
Corriere 28.1.14
Tra i democratici torna il timore che spunti qualcuno «più a sinistra»
di Piero Ostellino
La sinistra del Partito democratico — che accusa Renzi di «aver resuscitato Berlusconi», aprendo con lui un dialogo sulle riforme — è fuori dalla realtà e dal tempo.
Primo. Si è rivelata illusoria la convinzione di aver eliminato politicamente il Cavaliere per via giudiziaria. Era nell’ordine delle cose, in un Paese libero, che Berlusconi avrebbe continuato a fare le stesse cose anche dopo essere stato condannato e espulso dal Senato. Nell’Urss degli anni Trenta, Stalin non aveva eliminato i propri avversari con le false accuse dei processi, ma con le fucilazioni e il Gulag che ne erano seguiti. La sinistra del Pd è fuori dalla realtà perché ha creduto che «la via giudiziaria» al potere, trasferita in democrazia, potesse funzionare senza Stalin.
Secondo. Renzi non ha «resuscitato» Berlusconi per la semplice ragione che Berlusconi non era morto. Anche ammesso che la condanna giudiziaria e l’espulsione dal Senato lo avessero politicamente indebolito, non avevano, però, cancellato i milioni di italiani che votano a destra e che il Cavaliere, bene o male, ha continuato a rappresentare facendo le stesse cose da palazzo Grazioli, invece che dal Parlamento.
Terzo. Non occorreva aver votato Popolo delle libertà e cantato «meno male che Silvio c’è» per capire che i tentativi di vincere le elezioni per via giudiziaria sono illusori in un Paese dove si vota, si fanno e si disfano i governi, non con la Ghepeu, l’Nkvd, il Kgb e affini, i processi e le fucilazioni, ma con le regole della democrazia.
Quarto. Anche ammesso, e non concesso, che siano legalmente fondate le accuse con le quali una certa magistratura crede di poter delegittimare Berlusconi, resta il fatto che, per chi vota a destra, esse sono percepite come un tentativo della sinistra — con la complicità di un sistema giudiziario, oltre tutto, in molti casi, non propriamente esemplare — di andare al governo in modo improprio.
Quinto. Stando così le cose, è ormai evidente che più lo si accusa e lo si processa, a torto o a ragione, maggiormente milioni di italiani votano Berlusconi non perché lo considerino esemplare, ma per paura di una tale sinistra. Una sinistra che pretenda di imporre una certa vocazione totalitaria, senza disporre dei mezzi repressivi, e di operare nei tempi dei quali aveva goduto Stalin, è un nonsenso logico e politico.
Sesto. Con Renzi — e la sua decisione di piantarla con la demonizzazione della destra conservatrice percepita e rappresentata come «fascista» — sono venuti al pettine i nodi che la sinistra massimalista ha accumulato, senza sapere come scioglierli una volta diventata riformista. Pesano, sul Pd, il mancato ripensamento, e la revisione critica, della politica del Partito comunista. È tuttora imperante la parola d’ordine cominformista «nessun nemico a sinistra» che aveva condizionato i partiti comunisti occidentali ancora nell’immediato secondo dopoguerra. Malgrado il fallimento e il crollo del comunismo nel mondo, si teme sempre spunti qualcuno «più a sinistra»...
La “sinistra” del Pd alle dieci e mezzo di sera, “obtorto collo, grazie al fatto che siamo una minoranza responsabile” ritira tutte le proprie proposte di modifica, come richiesto da Renzi...
La Stampa 28.1.14
Riforme, l’affondo di Renzi
“O li ritirate o annuncio che il gruppo non mi segue”
Convince la minoranza Pd a ritirare gli emendamenti non concordati
L’aut aut di Renzi stoppa il Pd
di Francesca Schianchi
Legge elettorale, trattativa con Forza Italia per alzare la soglia del premio di maggioranza. Forse tornano le candidature in più collegi
Tutti gli emendamenti del Pd alla legge elettorale ritirati tranne tre. Alle dieci e mezzo di sera, alla fine della tesa riunione dei membri della Commissione affari costituzionali del Partito democratico con il loro segretario, Matteo Renzi, la decisione presa, “obtorto collo, grazie al fatto che siamo una minoranza responsabile”, si sfoga un deputato della minoranza, è di ritirare quasi tutte le proposte di modifica avanzate dal Pd ieri mattina, come richiesto da Renzi. Alle 13 di ieri scadeva infatti il tempo per presentare emendamenti, e ne sono arrivati 318, inclusi una trentina dai democratici.
Da modifiche alle soglie di sbarramento alle preferenze o ai collegi uninominali al premio di maggioranza fino ad aspetti per ora non presi in considerazione dalla legge, come la possibilità di far votare studenti Erasmus e fuori sede. Firmati da quasi tutti (se ne sono tenuti fuori il capogruppo in Commissione Emanuele Fiano e la responsabile riforme, Maria Elena Boschi, che stanno conducendo la partita), senza che fossero contrassegnati come emendamenti “di corrente”. Ma ieri, dopo aver incontrato lungo la giornata Fiano, il capogruppo Speranza, e aver tentato una nuova mediazione con il plenipotenziario berlusconiano in materia Denis Verdini, il segretario-sindaco riunisce i suoi e pone la questione come un aut aut.
Solo tre sono gli emendamenti su cui, pur non essendoci ancora l’accordo con Forza Italia, si può andare avanti, fa sapere: portare la soglia al 38% per ottenere il premio di maggioranza (l’accordo con Berlusconi prevede il 35%), la delega al governo per disegnare i collegi (anziché affidare il compito al Parlamento) e quello che prevede primarie per legge, obbligatorie ma con la possibilità di renderle facoltative. Prendere o lasciare: «Altrimenti sarò costretto a dichiarare che il gruppo parlamentare del Pd non mi segue e non posso proseguire la trattativa», spiega senza mezzi termini ai suoi deputati. Che, allibiti dalla nettezza della questione, tentano una difesa. Intervengono in tre o quattro, a cui il segretario risponde lapidario: «Non è in questione quello che ci piace o meno, ma quello che si può fare per portare a casa la legge». Finché non interviene l’ex presidente del partito, Gianni Cuperlo: «Nel Pd che immagino io non si procede con gli aut aut, ma se poni la questione in questo modo, allora dobbiamo dirti di sì». Purché, chiede e ottiene garanzia, sia possibile ripresentare emendamenti in Aula. Tranne quei tre, si procede al ritiro tecnico di tutte le proposte di modifica targate Pd.
«Questa legge elettorale non può saltare per uno 0,5%, ci confronteremo su tutti gli emendamenti, lo scopo è trovare un accordo complicato ma possibile», metteva in guardia lungo la giornata Renzi, se si affossa questa riforma «è difficile pensare a uno spazio di speranza per questa legislatura». E non si dica che l’Italicum, insiste, è come il Porcellum (chi lo dice «vive sulla luna»): i costituzionalisti critici sono «quasi tutti di ideologia molto spinta sulla sinistra radicale» che vorrebbero «la legge elettorale della Prima repubblica». Lui prosegue con il testo presentato, portando avanti i soli emendamenti su cui ci sono spiragli. E se in Aula, coperti dal voto segreto, ci fossero franchi tiratori? Pur definendosi «ottimista», dagli schermi di «Piazzapulita» ammette che «può darsi che ci siano ma io faccio le cose mettendoci la faccia. Adesso se qualcuno di nascosto vuol fare il furbo, è un problema di credibilità sua, non mia». Una legge che anche il premier Letta spera arrivi, «se c’è accordo il più felice sono io», perché la riforma e la fine del bicameralismo perfetto renderanno «l’Italia più forte in Europa».
La Commissione lavora in notturna, dopo che per tutta la giornata l’ostruzionismo del M5S sul decreto Imu-Bankitalia non permette di riunire le Commissioni. In una partita in cui anche i tempi contano: la legge deve arrivare alla discussione generale in Aula entro gennaio, se si vuole mantenere il contingentamento dei tempi e approvarla nel primo ramo del Parlamento entro febbraio, mantenendo il timing caldeggiato dal segretario del Pd.
Pomicino evoca la legge Acerbo: riforma autoritaria
di Daria Gorodisky
ROMA — «È sconcertante: la legge elettorale che si sta proponendo significa affidare il governo, in via definitiva e permanente, a una minoranza di poco più di un terzo dei votanti. Qualcosa che non esiste in nessun Paese democratico».
Paolo Cirino Pomicino, una vita nella Dc (fede andreottiana) e nelle sue eredi Udeur e Udc, vede nel sistema pattuito fra Berlusconi e Renzi «il rischio di un autoritarismo vestito a festa democratica»:
«Riunisce insieme tre elementi maggioritari anomali: alta soglia di ingresso, circoscrizioni piccole, 18% di premio di maggioranza. Non accade in nessun posto. C’è un problema sul terreno democratico non opinabile».
Si dice che bisogna farlo in nome della governabilità…
«È un alibi. Si dimentica quello che le grandi democrazie parlamentari non hanno mai dimenticato: cioè che la maggioranza si forma in Parlamento e non prima del voto».
Sono 20 anni che in Italia il sistema di voto prevede coalizioni.
«Infatti abbiamo avuto sempre governi di minoranza. Però, almeno, erano minoranze del 46-48%. Qui si parla del 35. Ricorda la legge Acerbo, nata 90 anni fa proprio richiamando il bisogno di governabilità e votata da tutti, compreso De Gasperi. E fu un errore».
Secondo quella legge, fortemente sostenuta da Mussolini, bastava il 25% per prendere la guida del Paese.
«Con il modello prospettato può succedere la stessa cosa. Per esempio, una coalizione può avere due partiti che raccolgono ciascuno il 4% dei consensi; però i loro voti concorrerebbero comunque a far scattare il premio di maggioranza. Quindi l’esecutivo rappresenterebbe appena il 26-27% degli italiani. Avremmo un governo elitario, aggravato da liste bloccate che producono schiere di cortigiani. Sarebbe qualcosa di simile ai mandarinati…».
C’è chi sostiene che questo pericolo verrebbe eliminato dalle primarie.
«È ridicolo. Le preferenze che vanno bene per indicare i candidati, ma non per votarli.
Sembra di essere su Scherzi a parte».
Quale potrebbe essere il rimedio?
«Bisognerebbe almeno alzare molto la soglia per un premio di maggioranza o addirittura abolirlo. Un sistema proporzionale con uno sbarramento al 4-5% spazzerebbe via i partitini; e il partito di maggioranza può cercare in Parlamento la maggioranza».
E l’allarme sulla frantumazione politica?
«La frantumazione va contrastata con la soglia di ingresso al 4-5%. E la governabilità sarà sulle spalle della politica, non delle leggi elettorali».
«Pesano, sul Pd, il mancato ripensamento, e la revisione critica, della politica del Partito comunista. È tuttora imperante la parola d’ordine cominformista “nessun nemico a sinistra» che aveva condizionato i partiti comunisti occidentali ancora nell’immediato secondo dopoguerra»
Corriere 28.1.14
Tra i democratici torna il timore che spunti qualcuno «più a sinistra»
di Piero Ostellino
La sinistra del Partito democratico — che accusa Renzi di «aver resuscitato Berlusconi», aprendo con lui un dialogo sulle riforme — è fuori dalla realtà e dal tempo.
Primo. Si è rivelata illusoria la convinzione di aver eliminato politicamente il Cavaliere per via giudiziaria. Era nell’ordine delle cose, in un Paese libero, che Berlusconi avrebbe continuato a fare le stesse cose anche dopo essere stato condannato e espulso dal Senato. Nell’Urss degli anni Trenta, Stalin non aveva eliminato i propri avversari con le false accuse dei processi, ma con le fucilazioni e il Gulag che ne erano seguiti. La sinistra del Pd è fuori dalla realtà perché ha creduto che «la via giudiziaria» al potere, trasferita in democrazia, potesse funzionare senza Stalin.
Secondo. Renzi non ha «resuscitato» Berlusconi per la semplice ragione che Berlusconi non era morto. Anche ammesso che la condanna giudiziaria e l’espulsione dal Senato lo avessero politicamente indebolito, non avevano, però, cancellato i milioni di italiani che votano a destra e che il Cavaliere, bene o male, ha continuato a rappresentare facendo le stesse cose da palazzo Grazioli, invece che dal Parlamento.
Terzo. Non occorreva aver votato Popolo delle libertà e cantato «meno male che Silvio c’è» per capire che i tentativi di vincere le elezioni per via giudiziaria sono illusori in un Paese dove si vota, si fanno e si disfano i governi, non con la Ghepeu, l’Nkvd, il Kgb e affini, i processi e le fucilazioni, ma con le regole della democrazia.
Quarto. Anche ammesso, e non concesso, che siano legalmente fondate le accuse con le quali una certa magistratura crede di poter delegittimare Berlusconi, resta il fatto che, per chi vota a destra, esse sono percepite come un tentativo della sinistra — con la complicità di un sistema giudiziario, oltre tutto, in molti casi, non propriamente esemplare — di andare al governo in modo improprio.
Quinto. Stando così le cose, è ormai evidente che più lo si accusa e lo si processa, a torto o a ragione, maggiormente milioni di italiani votano Berlusconi non perché lo considerino esemplare, ma per paura di una tale sinistra. Una sinistra che pretenda di imporre una certa vocazione totalitaria, senza disporre dei mezzi repressivi, e di operare nei tempi dei quali aveva goduto Stalin, è un nonsenso logico e politico.
Sesto. Con Renzi — e la sua decisione di piantarla con la demonizzazione della destra conservatrice percepita e rappresentata come «fascista» — sono venuti al pettine i nodi che la sinistra massimalista ha accumulato, senza sapere come scioglierli una volta diventata riformista. Pesano, sul Pd, il mancato ripensamento, e la revisione critica, della politica del Partito comunista. È tuttora imperante la parola d’ordine cominformista «nessun nemico a sinistra» che aveva condizionato i partiti comunisti occidentali ancora nell’immediato secondo dopoguerra. Malgrado il fallimento e il crollo del comunismo nel mondo, si teme sempre spunti qualcuno «più a sinistra»...
La “sinistra” del Pd alle dieci e mezzo di sera, “obtorto collo, grazie al fatto che siamo una minoranza responsabile” ritira tutte le proprie proposte di modifica, come richiesto da Renzi...
La Stampa 28.1.14
Riforme, l’affondo di Renzi
“O li ritirate o annuncio che il gruppo non mi segue”
Convince la minoranza Pd a ritirare gli emendamenti non concordati
L’aut aut di Renzi stoppa il Pd
di Francesca Schianchi
Legge elettorale, trattativa con Forza Italia per alzare la soglia del premio di maggioranza. Forse tornano le candidature in più collegi
Tutti gli emendamenti del Pd alla legge elettorale ritirati tranne tre. Alle dieci e mezzo di sera, alla fine della tesa riunione dei membri della Commissione affari costituzionali del Partito democratico con il loro segretario, Matteo Renzi, la decisione presa, “obtorto collo, grazie al fatto che siamo una minoranza responsabile”, si sfoga un deputato della minoranza, è di ritirare quasi tutte le proposte di modifica avanzate dal Pd ieri mattina, come richiesto da Renzi. Alle 13 di ieri scadeva infatti il tempo per presentare emendamenti, e ne sono arrivati 318, inclusi una trentina dai democratici.
Da modifiche alle soglie di sbarramento alle preferenze o ai collegi uninominali al premio di maggioranza fino ad aspetti per ora non presi in considerazione dalla legge, come la possibilità di far votare studenti Erasmus e fuori sede. Firmati da quasi tutti (se ne sono tenuti fuori il capogruppo in Commissione Emanuele Fiano e la responsabile riforme, Maria Elena Boschi, che stanno conducendo la partita), senza che fossero contrassegnati come emendamenti “di corrente”. Ma ieri, dopo aver incontrato lungo la giornata Fiano, il capogruppo Speranza, e aver tentato una nuova mediazione con il plenipotenziario berlusconiano in materia Denis Verdini, il segretario-sindaco riunisce i suoi e pone la questione come un aut aut.
Solo tre sono gli emendamenti su cui, pur non essendoci ancora l’accordo con Forza Italia, si può andare avanti, fa sapere: portare la soglia al 38% per ottenere il premio di maggioranza (l’accordo con Berlusconi prevede il 35%), la delega al governo per disegnare i collegi (anziché affidare il compito al Parlamento) e quello che prevede primarie per legge, obbligatorie ma con la possibilità di renderle facoltative. Prendere o lasciare: «Altrimenti sarò costretto a dichiarare che il gruppo parlamentare del Pd non mi segue e non posso proseguire la trattativa», spiega senza mezzi termini ai suoi deputati. Che, allibiti dalla nettezza della questione, tentano una difesa. Intervengono in tre o quattro, a cui il segretario risponde lapidario: «Non è in questione quello che ci piace o meno, ma quello che si può fare per portare a casa la legge». Finché non interviene l’ex presidente del partito, Gianni Cuperlo: «Nel Pd che immagino io non si procede con gli aut aut, ma se poni la questione in questo modo, allora dobbiamo dirti di sì». Purché, chiede e ottiene garanzia, sia possibile ripresentare emendamenti in Aula. Tranne quei tre, si procede al ritiro tecnico di tutte le proposte di modifica targate Pd.
«Questa legge elettorale non può saltare per uno 0,5%, ci confronteremo su tutti gli emendamenti, lo scopo è trovare un accordo complicato ma possibile», metteva in guardia lungo la giornata Renzi, se si affossa questa riforma «è difficile pensare a uno spazio di speranza per questa legislatura». E non si dica che l’Italicum, insiste, è come il Porcellum (chi lo dice «vive sulla luna»): i costituzionalisti critici sono «quasi tutti di ideologia molto spinta sulla sinistra radicale» che vorrebbero «la legge elettorale della Prima repubblica». Lui prosegue con il testo presentato, portando avanti i soli emendamenti su cui ci sono spiragli. E se in Aula, coperti dal voto segreto, ci fossero franchi tiratori? Pur definendosi «ottimista», dagli schermi di «Piazzapulita» ammette che «può darsi che ci siano ma io faccio le cose mettendoci la faccia. Adesso se qualcuno di nascosto vuol fare il furbo, è un problema di credibilità sua, non mia». Una legge che anche il premier Letta spera arrivi, «se c’è accordo il più felice sono io», perché la riforma e la fine del bicameralismo perfetto renderanno «l’Italia più forte in Europa».
La Commissione lavora in notturna, dopo che per tutta la giornata l’ostruzionismo del M5S sul decreto Imu-Bankitalia non permette di riunire le Commissioni. In una partita in cui anche i tempi contano: la legge deve arrivare alla discussione generale in Aula entro gennaio, se si vuole mantenere il contingentamento dei tempi e approvarla nel primo ramo del Parlamento entro febbraio, mantenendo il timing caldeggiato dal segretario del Pd.
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Repubblica 29.1.14
Flores D’Arcais scrive ai democratici “Vantaggi solo per il Cavaliere”
ROMA — «Caro Renzi, stimati parlamentari Pd, ciò che lascia sconcertati molti cittadini non è solo che la legge elettorale che vi accingete ad approvare abbia gravissimi difetti, ma che insistiate su una proposta che è dannosa innanzitutto per il vostro partito». È l’incipit della lettera aperta con cui Paolo Flores D’Arcais si rivolge ai vertici pd nell’ultimo numero di MicroMega, in cui elenca punti deboli della riforma e vantaggi per il «condannato di Arcore».
Flores D’Arcais scrive ai democratici “Vantaggi solo per il Cavaliere”
ROMA — «Caro Renzi, stimati parlamentari Pd, ciò che lascia sconcertati molti cittadini non è solo che la legge elettorale che vi accingete ad approvare abbia gravissimi difetti, ma che insistiate su una proposta che è dannosa innanzitutto per il vostro partito». È l’incipit della lettera aperta con cui Paolo Flores D’Arcais si rivolge ai vertici pd nell’ultimo numero di MicroMega, in cui elenca punti deboli della riforma e vantaggi per il «condannato di Arcore».
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Repubblica 29.1.14
La trincea della minoranza dem “Pronti i nostri emendamenti se il testo non cambia davvero”
Cuperlo a Nardella: “Siete degli squadristi”
di Giovanna Casadio
ROMA — «Questo testo, se non viene modificato profondamente, presenta dubbi di costituzionalità ».
Gianni Cuperlo morde il freno. Lo fa da lunedì sera, quando nella riunione in cui Renzi ha posto l’aut aut, il leader della minoranza democratica ha preso la parola per dire che «se il segretario chiede la fiducia, bisogna dargliela ».
Ma ha anche aggiunto che il Pd di Renzi sta subendo una mutazione genetica, non lo riconosce più come il suo partito.
E poco prima di entrare in commissione Affari costituzionali per ritirare materialmente gli emendamenti, Cuperlo si è sfogato con il renziano Dario Nardella: «Siete degli irresponsabili, usate metodi squadristi...».
L’accusa di autoritarismo e di scarso rispetto per l’opposizione interna si trascinada quella battuta “Fassina chi?” del segretario, che portò alle dimissioni da vice ministro di Stefano Fassina.
Scontro riacceso il giorno del dibattito in direzione proprio sulle preferenze nella nuova legge elettorale, che provocò le dimissioni di Cuperlo da presidente del Pd, dopo un’altra battuta di Renzi.
Il segretario prova a rabbonire, lodando il senso di responsabilità della sinistra dem per la prova di forza evitata sugli emendamenti. Ma cambia poco.
E potrebbero esserci modifiche, ad esempio per le preferenze, che hanno un consenso trasversale e saldano un asse con gli alfaniani e i centristi.
Una cosa infatti è evitare ora possibili appigli strumentali a Berlusconi per fare saltare tutto - ragiona la presidente della commissione Antimafia altra sono le obiezioni di merito: «Queste restano in piedi. E poi chi dice prendere o lasciare, non fa sul serio.
Non vogliamo fare naufragare la riforma, sia chiaro».
L’accordo sulla soglia più alta dal 35 al 38 o 37% per avere il premio di maggioranza - è al centro della trattativa, tuttavia non basta per la minoranza che è pronta a dare battaglia.
Si materializza lo spettro dei “franchi tiratori”. Tutti negano.
Ma sono gli stessi che a Montecitorio mormorano: «Non lo voteremo mai un testo blindato ».
Alfredo D’Attore, bersaniano, invita Renzi a evitare gli ultimatum: «Non servono: nessuno di noi ha paura della minaccia del voto anticipato: il problema non è certo che qualche parlamentare non torni alla Camera. Piuttosto se si va a votare con il proporzionale consegnatoci dalla Consulta, finisce la vocazione maggioritaria del Pd e sarebbe un colpo letale anche alle ambizioni di governo di Renzi».
Il Pd che resiste ha varie anime. I “giovani turchi” sono cauti. Hanno siglato un patto con i renziani in Sicilia per la candidatura di Fausto Raciti contro Giuseppe Lupo, segretario regionale uscente, dato per favorito, di Areadem, la corrente di Franceschini: lotta in casa renziana, quindi.
Ebbene i “turchi” escludono “giochetti”: «Bisogna trovare una soluzione per le liste bloccate, però si vota come dice il partito alla fine», assicura Matteo Orfini. Cesare Damiano, l’ex ministro del Lavoro, è per mantenere le obiezioni fino in fondo: «Se si tratta con Forza Italia, si tratta. Su tutto. Le preferenze sono una questione dirimente, non possono passare le liste bloccate e noi minoranza abbiamo offerte le alternative dei collegi uninominali, delle primarie per legge e per tutti ». Sul punto primarie, altra divaricazione: alcuni dem sono possibilisti sulle primarie per legge ma facoltative (decidono i partiti); altri le vogliono obbligatorie. Ironizza Sandra Zampa, vice presidente del Pd: «Siamo come willy il coyote, in bilico sul burrone, una riforma va fatta».
La trincea della minoranza dem “Pronti i nostri emendamenti se il testo non cambia davvero”
Cuperlo a Nardella: “Siete degli squadristi”
di Giovanna Casadio
ROMA — «Questo testo, se non viene modificato profondamente, presenta dubbi di costituzionalità ».
Gianni Cuperlo morde il freno. Lo fa da lunedì sera, quando nella riunione in cui Renzi ha posto l’aut aut, il leader della minoranza democratica ha preso la parola per dire che «se il segretario chiede la fiducia, bisogna dargliela ».
Ma ha anche aggiunto che il Pd di Renzi sta subendo una mutazione genetica, non lo riconosce più come il suo partito.
E poco prima di entrare in commissione Affari costituzionali per ritirare materialmente gli emendamenti, Cuperlo si è sfogato con il renziano Dario Nardella: «Siete degli irresponsabili, usate metodi squadristi...».
L’accusa di autoritarismo e di scarso rispetto per l’opposizione interna si trascinada quella battuta “Fassina chi?” del segretario, che portò alle dimissioni da vice ministro di Stefano Fassina.
Scontro riacceso il giorno del dibattito in direzione proprio sulle preferenze nella nuova legge elettorale, che provocò le dimissioni di Cuperlo da presidente del Pd, dopo un’altra battuta di Renzi.
Il segretario prova a rabbonire, lodando il senso di responsabilità della sinistra dem per la prova di forza evitata sugli emendamenti. Ma cambia poco.
E potrebbero esserci modifiche, ad esempio per le preferenze, che hanno un consenso trasversale e saldano un asse con gli alfaniani e i centristi.
Una cosa infatti è evitare ora possibili appigli strumentali a Berlusconi per fare saltare tutto - ragiona la presidente della commissione Antimafia altra sono le obiezioni di merito: «Queste restano in piedi. E poi chi dice prendere o lasciare, non fa sul serio.
Non vogliamo fare naufragare la riforma, sia chiaro».
L’accordo sulla soglia più alta dal 35 al 38 o 37% per avere il premio di maggioranza - è al centro della trattativa, tuttavia non basta per la minoranza che è pronta a dare battaglia.
Si materializza lo spettro dei “franchi tiratori”. Tutti negano.
Ma sono gli stessi che a Montecitorio mormorano: «Non lo voteremo mai un testo blindato ».
Alfredo D’Attore, bersaniano, invita Renzi a evitare gli ultimatum: «Non servono: nessuno di noi ha paura della minaccia del voto anticipato: il problema non è certo che qualche parlamentare non torni alla Camera. Piuttosto se si va a votare con il proporzionale consegnatoci dalla Consulta, finisce la vocazione maggioritaria del Pd e sarebbe un colpo letale anche alle ambizioni di governo di Renzi».
Il Pd che resiste ha varie anime. I “giovani turchi” sono cauti. Hanno siglato un patto con i renziani in Sicilia per la candidatura di Fausto Raciti contro Giuseppe Lupo, segretario regionale uscente, dato per favorito, di Areadem, la corrente di Franceschini: lotta in casa renziana, quindi.
Ebbene i “turchi” escludono “giochetti”: «Bisogna trovare una soluzione per le liste bloccate, però si vota come dice il partito alla fine», assicura Matteo Orfini. Cesare Damiano, l’ex ministro del Lavoro, è per mantenere le obiezioni fino in fondo: «Se si tratta con Forza Italia, si tratta. Su tutto. Le preferenze sono una questione dirimente, non possono passare le liste bloccate e noi minoranza abbiamo offerte le alternative dei collegi uninominali, delle primarie per legge e per tutti ». Sul punto primarie, altra divaricazione: alcuni dem sono possibilisti sulle primarie per legge ma facoltative (decidono i partiti); altri le vogliono obbligatorie. Ironizza Sandra Zampa, vice presidente del Pd: «Siamo come willy il coyote, in bilico sul burrone, una riforma va fatta».
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Beh, che dire
Alla fine: niente preferenze e salvalega incorporato per fare contento il caimano e pure salvini che fa il vago
Ma chi stracazzo (scusate) lo vota il pd adesso?
Vi prego, se qualcuno qua sopra vuol votare questa manica di venduti mi spieghi in base a cosa lo farebbe
Alla fine: niente preferenze e salvalega incorporato per fare contento il caimano e pure salvini che fa il vago
Ma chi stracazzo (scusate) lo vota il pd adesso?
Vi prego, se qualcuno qua sopra vuol votare questa manica di venduti mi spieghi in base a cosa lo farebbe
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Caro peantus
il caimano fra un po' andrà ai servizi sociali, dove dovrebbe essere rieducato ,
e senza di lui voglio proprio vedere cosa farà FI. Se vorrà parlare con qlc dovrà chiedere il permesso,
se non si rieduca forse dovranno prolungare il periodo di detenzione.
Io non so se voterò il PD, sto vedendo se la piattaforma democratica del M5S funziona.
il caimano fra un po' andrà ai servizi sociali, dove dovrebbe essere rieducato ,
e senza di lui voglio proprio vedere cosa farà FI. Se vorrà parlare con qlc dovrà chiedere il permesso,
se non si rieduca forse dovranno prolungare il periodo di detenzione.
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Re: QUALE LEGGE ELETTORALE
Guarda che se vince (e credo che vincerà) di nuovo il partito del caimano dopo faranno come prima cosa una legge per "liberarlo", come fanno da 20 anni
E il pd perderà valanghe di voti dopo oggi
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