Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Mille giorni, Centinaio (LN): “Renzi cerca l’appoggio di Forza Italia con il garantismo”
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http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/09/ ... ia/296759/
“Con i gelati in mano abbiamo ricordato a Renzi come lo vedono in Europa e cosa pensano di lui gli organi di informazione internazionali”. Così, dopo una nuova protesta in Senato durante il dibattito sui ‘Mille giorni‘ presentato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, il capogruppo della Lega Nord, Gian Marco Centinaio, ne spiega il senso. Per Centinaio, “il premier è abituato a prendere in giro gli italiani, con le sue trovate anche un po’ ridicole“. E sulle parole garantiste pronunciate da Renzi, Centinaio è sicuro che si tratti di un messaggio per Silvio Berlusconi: “Cerca la sponda di Forza Italia, perchè i dati parlano chiaro: durante il dibattito sulle riforme costituzionali e sulle richieste di fiducia, senza Forza Italia, il governo non avrebbe mai avuto i numeri. Quindi – conclude Centinaio – a differenza di quello che dicono i colleghi di Forza Italia, il ‘Patto del Nazareno‘ è a 360 gradi”
di Manolo Lanaro
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“Con i gelati in mano abbiamo ricordato a Renzi come lo vedono in Europa e cosa pensano di lui gli organi di informazione internazionali”. Così, dopo una nuova protesta in Senato durante il dibattito sui ‘Mille giorni‘ presentato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, il capogruppo della Lega Nord, Gian Marco Centinaio, ne spiega il senso. Per Centinaio, “il premier è abituato a prendere in giro gli italiani, con le sue trovate anche un po’ ridicole“. E sulle parole garantiste pronunciate da Renzi, Centinaio è sicuro che si tratti di un messaggio per Silvio Berlusconi: “Cerca la sponda di Forza Italia, perchè i dati parlano chiaro: durante il dibattito sulle riforme costituzionali e sulle richieste di fiducia, senza Forza Italia, il governo non avrebbe mai avuto i numeri. Quindi – conclude Centinaio – a differenza di quello che dicono i colleghi di Forza Italia, il ‘Patto del Nazareno‘ è a 360 gradi”
di Manolo Lanaro
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Ieri, ascoltando il discorso di Renzi alle Camere, trovavo difficile scovare la differenza con quelli precedenti di Berlusconi o di Monti.
Si può riassumere in queste parole:
"La colpa di tutto è nell'Articolo 18"
Cose da Pazzi!
Si può riassumere in queste parole:
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
E' la follia dilagante che ormai attraversa questo povero paese da oltre 20 anni...
La colpa non è di imprenditori incapaci di prevedere gli effetti della globalizzazione sulle produzioni a basso valore aggiunto, gli effetti della moneta unica non svalutabile a piacere, gli effetti di una domanda interna depressa da anni di politiche salariali e fiscali folli...
La colpa non è dei politici che da sempre non capiscono come dovrebbe funzionare uno stato civile e sono in mano a poteri forti e/o criminali...
La colpa non è di sindacati antiquati che per anni hanno difeso (e continuano a farlo come nei casi Alitalia) rendite di posizione indifendibili invece che pensare a chi il lavoro lo perdeva veramente o non lo trovava proprio...
La colpa non è di economisti e giuslavoristi da strapazzo che non ne hanno indovinata una nemmeno per sbaglio (smentendo così tutte le leggi statistiche) e dovrebbero restituire le loro lauree e dedicarsi all'ippica...
La colpa è solo dell'art.18 che non consente di cacciare via chi costa troppo, chi sta antipatico al padrone, chi fa veramente sindacato, chi non si piega ai voleri e desideri del padrone... che difende tutti i lavoratori dal ritorno al Medioevo e alla schiavitù...
La colpa non è di imprenditori incapaci di prevedere gli effetti della globalizzazione sulle produzioni a basso valore aggiunto, gli effetti della moneta unica non svalutabile a piacere, gli effetti di una domanda interna depressa da anni di politiche salariali e fiscali folli...
La colpa non è dei politici che da sempre non capiscono come dovrebbe funzionare uno stato civile e sono in mano a poteri forti e/o criminali...
La colpa non è di sindacati antiquati che per anni hanno difeso (e continuano a farlo come nei casi Alitalia) rendite di posizione indifendibili invece che pensare a chi il lavoro lo perdeva veramente o non lo trovava proprio...
La colpa non è di economisti e giuslavoristi da strapazzo che non ne hanno indovinata una nemmeno per sbaglio (smentendo così tutte le leggi statistiche) e dovrebbero restituire le loro lauree e dedicarsi all'ippica...
La colpa è solo dell'art.18 che non consente di cacciare via chi costa troppo, chi sta antipatico al padrone, chi fa veramente sindacato, chi non si piega ai voleri e desideri del padrone... che difende tutti i lavoratori dal ritorno al Medioevo e alla schiavitù...
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
La Stampa 17.9.14
Riforme o voto
Il premier prova l’azzardo
di Marcello Sorgi
Matteo Renzi si è molto dispiaciuto che il programma dei mille giorni presentato ieri nei dettagli sia stato interpretato come un preannuncio o una minaccia di elezioni anticipate. Ed in effetti, stando al senso letterale delle sue parole, se uno spiega che vuole governare per almeno tre anni perché li considera il tempo minimo per realizzare le riforme, non si capisce per quale ragione tutti corrano a pensare il contrario. Solo nel caso in cui il Parlamento si riveli incapace di prendere decisioni e metta il governo in condizione di non poter realizzare il programma, lo scioglimento delle Camere sarebbe inevitabile.
Fin qui, il filo del ragionamento del premier, che ha posto come prima scadenza il varo del Jobs Act, la riforma delle leggi sul lavoro, entro la fine di ottobre. Perché allora tutti continuano a ritenere che al novanta per cento la prossima primavera si voterà? Ne è convinto, tra gli altri, Berlusconi, che in questi giorni continua a rinviare il previsto nuovo incontro con il premier e a valutare la possibilità di un ripensamento sul patto del Nazareno, come gli chiede la base parlamentare del suo partito, desiderosa di tornare all’opposizione dura.
La spiegazione delle tante inquietudini che attraversano i giorni complicati della ripresa autunnale, gravata da dati economici in continuo peggioramento, è abbastanza semplice. Su tutti i punti controversi, a cominciare dal lavoro e dalla legge di stabilità, che contiene una manovra da venti miliardi che da qualche parte occorrerà trovare, Renzi finora si è tenuto sul vago. La delega al governo sul Jobs Act, ad esempio, ha avuto un iter abbastanza regolare, anche se la minoranza del Pd continua a minacciare sfracelli se il governo dovesse decidere di procedere sul famigerato articolo 18, cioè di cancellare il diritto (già piuttosto ridimensionato dalla riforma Fornero e dal decreto Poletti) per il lavoratore di ottenere dalla magistratura la reintegra nel posto di lavoro, sostituendola con un indennizzo in denaro. Se Renzi si pronuncia sul punto contestato, si discuterà e si andrà al voto delle Camere. I voti mancanti dal centrosinistra potrebbero anche in questa occasione essere sostituiti da quelli del centrodestra.
Se invece il premier continua a lamentarsi della scarsa produttività del Parlamento, immagina in alternativa di fare le riforme per decreto, anticipando anche il voto sulla legge elettorale, l’impressione che si diffonde è che sia questo, e non altro, ciò a cui vuole arrivare. Di qui i timori, che serpeggiano, di un’accelerata verso lo scioglimento. Che comporterebbe, è bene ricordarlo, il rinvio di tutto il processo riformatore. E troverebbe contrario, per non dire contrarissimo, il presidente Napolitano. Anche di questo Renzi dovrebbe tener conto.
Riforme o voto
Il premier prova l’azzardo
di Marcello Sorgi
Matteo Renzi si è molto dispiaciuto che il programma dei mille giorni presentato ieri nei dettagli sia stato interpretato come un preannuncio o una minaccia di elezioni anticipate. Ed in effetti, stando al senso letterale delle sue parole, se uno spiega che vuole governare per almeno tre anni perché li considera il tempo minimo per realizzare le riforme, non si capisce per quale ragione tutti corrano a pensare il contrario. Solo nel caso in cui il Parlamento si riveli incapace di prendere decisioni e metta il governo in condizione di non poter realizzare il programma, lo scioglimento delle Camere sarebbe inevitabile.
Fin qui, il filo del ragionamento del premier, che ha posto come prima scadenza il varo del Jobs Act, la riforma delle leggi sul lavoro, entro la fine di ottobre. Perché allora tutti continuano a ritenere che al novanta per cento la prossima primavera si voterà? Ne è convinto, tra gli altri, Berlusconi, che in questi giorni continua a rinviare il previsto nuovo incontro con il premier e a valutare la possibilità di un ripensamento sul patto del Nazareno, come gli chiede la base parlamentare del suo partito, desiderosa di tornare all’opposizione dura.
La spiegazione delle tante inquietudini che attraversano i giorni complicati della ripresa autunnale, gravata da dati economici in continuo peggioramento, è abbastanza semplice. Su tutti i punti controversi, a cominciare dal lavoro e dalla legge di stabilità, che contiene una manovra da venti miliardi che da qualche parte occorrerà trovare, Renzi finora si è tenuto sul vago. La delega al governo sul Jobs Act, ad esempio, ha avuto un iter abbastanza regolare, anche se la minoranza del Pd continua a minacciare sfracelli se il governo dovesse decidere di procedere sul famigerato articolo 18, cioè di cancellare il diritto (già piuttosto ridimensionato dalla riforma Fornero e dal decreto Poletti) per il lavoratore di ottenere dalla magistratura la reintegra nel posto di lavoro, sostituendola con un indennizzo in denaro. Se Renzi si pronuncia sul punto contestato, si discuterà e si andrà al voto delle Camere. I voti mancanti dal centrosinistra potrebbero anche in questa occasione essere sostituiti da quelli del centrodestra.
Se invece il premier continua a lamentarsi della scarsa produttività del Parlamento, immagina in alternativa di fare le riforme per decreto, anticipando anche il voto sulla legge elettorale, l’impressione che si diffonde è che sia questo, e non altro, ciò a cui vuole arrivare. Di qui i timori, che serpeggiano, di un’accelerata verso lo scioglimento. Che comporterebbe, è bene ricordarlo, il rinvio di tutto il processo riformatore. E troverebbe contrario, per non dire contrarissimo, il presidente Napolitano. Anche di questo Renzi dovrebbe tener conto.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
17 SETTEMBRE 2014
Scalfari a Floris: "Renzi è l'erede di Berlusconi ma non fa bunga bunga"
Renzi "è come Berlusconi, sono due bravissimi seduttori, Berlusconi l'ha detto: se non fossimo contrapposti, sarebbe il mio figlio minore" afferma il fondatore di repubblica, Eugenio Scalfari, nell'intervista conclusiva di diMartedì
http://video.repubblica.it/politica/sca ... ef=HREC1-3
Scalfari a Floris: "Renzi è l'erede di Berlusconi ma non fa bunga bunga"
Renzi "è come Berlusconi, sono due bravissimi seduttori, Berlusconi l'ha detto: se non fossimo contrapposti, sarebbe il mio figlio minore" afferma il fondatore di repubblica, Eugenio Scalfari, nell'intervista conclusiva di diMartedì
http://video.repubblica.it/politica/sca ... ef=HREC1-3
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
da Il Manifesto
La radicalità di Renzi è una buona occasione
— Alberto Burgio, 15.9.2014
Raccogliere la sfida del premier per un confronto tra le diverse anime del partito verso un sommovimento benefico nel frazionato campo della sinistra italiana
La si può raccontare come si vuole, ma quello mosso da Renzi nel comizio finale della Festa del Pd è stato un attacco contro i dissidenti e i recalcitranti del suo partito. Un’invettiva dettata dalla volontà di neutralizzare ogni opposizione interna che nessuna vischiosa profferta unitaria può dissimulare. Chi ha tradotto senza abbellimenti quel discorso ha evocato a ragione una pulsione sterminatrice.
Che cosa abbia indotto il presidente-segretario ad affondare il colpo alla vigilia di un autunno a dir poco problematico non è chiaro. Può avere inciso la nota vocazione autoritaria, forse all’origine del primo drastico calo di popolarità che i sondaggi documentano. Può essersi trattato di un riflesso immediato della più complessiva tendenza in atto alla concentrazione del potere nelle mani del leader massimo. Possono aver pesato anche le crescenti difficoltà in cui si muove il governo, in mezzo al guado in tutte le iniziative sin qui assunte mentre gli indicatori della crisi sociale volgono al peggio e la situazione economica si fa semplicemente allarmante.
Può darsi che, alle strette, il giocatore d’azzardo bluffi e rilanci. Sta di fatto che è evidente l’intenzione di zittire bruscamente i critici — perlopiù riconducibili alla componente post-comunista del Pd — se non di sbarazzarsene una volta per tutte. Se questo è vero, sarà decisiva la risposta che la sinistra democratica darà a questa offensiva. Decisiva non soltanto per le vicende interne del Pd e per le sorti del governo, ma per il paese. Ne va della residua possibilità di porre finalmente le premesse di un’inversione di rotta rispetto a quanto è accaduto in questi sette anni di crisi e già nel corso del trentennio neoliberista.
Tutto dipenderà, per così dire, dall’ordine del discorso. Sarà dirimente la prospettiva nella quale ci si disporrà nella replica. Se si ragionerà (come sempre sin qui) in termini immediatamente (riduttivamente) politici, o invece in chiave politico-storica: in un’ottica occasionale oppure epocale. Il che, a sua volta, rivelerà la concezione di sé che la sinistra del Pd è in grado di mobilitare. Se, cioè, essa si vive essenzialmente — se non soltanto — come un settore del ceto politico, preoccupato soprattutto della propria persistenza, oppure ha l’ambizione di concepirsi come un soggetto politico responsabile, in campo in una delicatissima fase di trasformazione degli assetti di comando della società che vede in discussione le stesse sorti della democrazia in Italia e in Europa.
Per rispetto della verità e di noi stessi, dobbiamo ammettere che l’esperienza sconsiglia di nutrire soverchie speranze al riguardo. Ma non possiamo nemmeno escludere che qualcosa di nuovo accada, interrompendo una lunga sequenza di arretramenti e di compromissione. Renzi ha il merito – se vogliamo – della brutalità. Nessuno può nascondersi la radicalità del suo disegno, e ciò dovrebbe aiutare a capire che questo è uno di quei casi in cui la cautela massimizza i pericoli. Se i suoi oppositori accettassero l’invito a collaborare alla gestione della linea del segretario, si consegnerebbero in vincoli al suo potere, firmando così la propria estinzione politica di fatto. Al contrario, optare per l’autonomia, guardare in faccia la natura dello scontro, raccogliere la sfida e lavorare per un progetto alternativo, tutto ciò sarebbe di certo molto rischioso. Ma potrebbe rivelarsi l’unica strada per salvarsi, quindi la meno avventurosa.
Ma c’è un ma. Scegliere l’autonomia e il conflitto implica un compito che il gruppo dirigente post-comunista ha sin qui accuratamente evitato, e che appare oggi indifferibile. Non è possibile porsi come soggetto alternativo al progetto restauratore del presidente del Consiglio senza fare un bilancio delle scelte politiche e culturali compiute a partire dai primi anni Ottanta, quando si abbatté sul paese la prima onda d’urto del reaganismo. E quando in tutta Europa le forze socialiste avviarono — per iniziativa, appunto, dei propri gruppi dirigenti — una mutazione genetica che le avrebbe di lì a poco poste alla testa della «modernizzazione neoliberista». Della rivincita del privato sul pubblico. Del capitale sul lavoro. Delle élites sui corpi sociali. E dell’imperialismo militare dell’Occidente sui principi di pace scritti nelle Costituzioni democratiche e antifasciste.
In tutto il comizio di Renzi a Bologna c’è un elemento di verità, ed è l’attacco agli esperti e ai tecnici che in questi vent’anni non hanno visto – o hanno finto di non vedere – che cosa stava accadendo. Lui, beninteso, la regressione al nuovo regime oligarchico sta facendo di tutto per accelerarla. Come osservava Claudio Gnesutta nel penultimo inserto di Sbilanciamoci! pubblicato dal manifesto, siamo nel pieno di una transizione organica verso una società di mercato. Questo è l’obiettivo strategico della politica economica del governo, praticata d’intesa con la buro-tecnocrazia comunitaria. Ma ciò non toglie che anche chi in questi vent’anni ha preceduto Renzi alla guida del centro-sinistra e in posti-chiave nel governo del paese ha lavorato in questa direzione.
Basti un esempio. Pier Carlo Padoan non è soltanto il ministro dell’Economia di Renzi, che chiede a gran voce altri tagli alla spesa e «riforme strutturali»: riduzioni del welfare, compressione dei salari e privatizzazioni. È anche colui che ieri (l’anno scorso), da capo-economista dell’Ocse, reclamava il taglio dei salari italiani, già tra i più bassi d’Europa. E che l’altroieri prestava i suoi servigi come consigliere economico dei presidenti del Consiglio Amato e D’Alema. Del resto, negli anni Novanta la mutazione genetica della socialdemocrazia — o la sua eclisse — non è stata certo un’anomalia italiana. Se oggi il Regno Unito rischia di perdere pezzi, ciò si deve in gran parte agli effetti socialmente devastanti del blairismo, a una concezione dell’efficienza e del presunto merito che ha sistematicamente sacrificato i diritti sociali ai privilegi delle oligarchie. Il che per contro non significa che allinearsi alla tendenza fosse inevitabile, quasi che un incoercibile destino imponesse di innamorarsi del neoliberismo.
Riprendere in mano la storia di questi ultimi decenni è necessario perché soltanto ponendosi sul terreno storico è possibile comprendere la portata del conflitto che oggi attraversa il Pd renziano e, in generale, le forze di quello che un tempo era il centrosinistra. Di sicuro ripensare criticamente alle scelte compiute e agli errori commessi è un travaglio. Ma potrebbe essere anche un cimento liberatorio, capace di dar vita a un’impresa di ben più vasta portata e per la quale varrebbe davvero la pena d’impegnarsi.
Raccogliere in tutte le sue implicazioni la sfida lanciata da Renzi non darebbe vita soltanto a un confronto tra le diverse anime del partito, indispensabile per restituire dignità e credito alle componenti che l’attuale leadership intende mettere sotto tutela. Ne deriverebbe anche la ripresa del discorso interrottosi, oltre vent’anni fa, con lo sciagurato smantellamento del Pci. Che — quali che fossero le intenzioni dei suoi artefici — ha innegabilmente comportato l’estinguersi di qualsiasi rappresentanza politica del lavoro. E ne discenderebbe altresì, con ogni probabilità, un benefico sommovimento dell’intero campo della sinistra italiana, oggi frantumato in un arcipelago di piccole organizzazioni (piccole, beninteso, e perciò ininfluenti, anche per loro diretta responsabilità).
Mettere al centro della discussione e sottoporre a critica un’idea di modernità che ha coinciso con l’abbandono del conflitto sociale e di lavoro e col reinstaurarsi del potere pressoché assoluto del capitale privato significherebbe non soltanto ripercorrere i peggiori anni della nostra vita ma anche riaprire una prospettiva di lotta senza la quale è impensabile arrestare la deriva post-democratica. Da qui oggi si può e si deve ripartire, sfruttando la radicalità dell’attacco renziano. Per restituire finalmente al paese una sinistra politica capace di stare in campo nel conflitto in atto, ed evitare che a lucrare sui contraccolpi sociali della crisi sia, anche in Italia, la destra neofascista xenofoba e razzista.
La radicalità di Renzi è una buona occasione
— Alberto Burgio, 15.9.2014
Raccogliere la sfida del premier per un confronto tra le diverse anime del partito verso un sommovimento benefico nel frazionato campo della sinistra italiana
La si può raccontare come si vuole, ma quello mosso da Renzi nel comizio finale della Festa del Pd è stato un attacco contro i dissidenti e i recalcitranti del suo partito. Un’invettiva dettata dalla volontà di neutralizzare ogni opposizione interna che nessuna vischiosa profferta unitaria può dissimulare. Chi ha tradotto senza abbellimenti quel discorso ha evocato a ragione una pulsione sterminatrice.
Che cosa abbia indotto il presidente-segretario ad affondare il colpo alla vigilia di un autunno a dir poco problematico non è chiaro. Può avere inciso la nota vocazione autoritaria, forse all’origine del primo drastico calo di popolarità che i sondaggi documentano. Può essersi trattato di un riflesso immediato della più complessiva tendenza in atto alla concentrazione del potere nelle mani del leader massimo. Possono aver pesato anche le crescenti difficoltà in cui si muove il governo, in mezzo al guado in tutte le iniziative sin qui assunte mentre gli indicatori della crisi sociale volgono al peggio e la situazione economica si fa semplicemente allarmante.
Può darsi che, alle strette, il giocatore d’azzardo bluffi e rilanci. Sta di fatto che è evidente l’intenzione di zittire bruscamente i critici — perlopiù riconducibili alla componente post-comunista del Pd — se non di sbarazzarsene una volta per tutte. Se questo è vero, sarà decisiva la risposta che la sinistra democratica darà a questa offensiva. Decisiva non soltanto per le vicende interne del Pd e per le sorti del governo, ma per il paese. Ne va della residua possibilità di porre finalmente le premesse di un’inversione di rotta rispetto a quanto è accaduto in questi sette anni di crisi e già nel corso del trentennio neoliberista.
Tutto dipenderà, per così dire, dall’ordine del discorso. Sarà dirimente la prospettiva nella quale ci si disporrà nella replica. Se si ragionerà (come sempre sin qui) in termini immediatamente (riduttivamente) politici, o invece in chiave politico-storica: in un’ottica occasionale oppure epocale. Il che, a sua volta, rivelerà la concezione di sé che la sinistra del Pd è in grado di mobilitare. Se, cioè, essa si vive essenzialmente — se non soltanto — come un settore del ceto politico, preoccupato soprattutto della propria persistenza, oppure ha l’ambizione di concepirsi come un soggetto politico responsabile, in campo in una delicatissima fase di trasformazione degli assetti di comando della società che vede in discussione le stesse sorti della democrazia in Italia e in Europa.
Per rispetto della verità e di noi stessi, dobbiamo ammettere che l’esperienza sconsiglia di nutrire soverchie speranze al riguardo. Ma non possiamo nemmeno escludere che qualcosa di nuovo accada, interrompendo una lunga sequenza di arretramenti e di compromissione. Renzi ha il merito – se vogliamo – della brutalità. Nessuno può nascondersi la radicalità del suo disegno, e ciò dovrebbe aiutare a capire che questo è uno di quei casi in cui la cautela massimizza i pericoli. Se i suoi oppositori accettassero l’invito a collaborare alla gestione della linea del segretario, si consegnerebbero in vincoli al suo potere, firmando così la propria estinzione politica di fatto. Al contrario, optare per l’autonomia, guardare in faccia la natura dello scontro, raccogliere la sfida e lavorare per un progetto alternativo, tutto ciò sarebbe di certo molto rischioso. Ma potrebbe rivelarsi l’unica strada per salvarsi, quindi la meno avventurosa.
Ma c’è un ma. Scegliere l’autonomia e il conflitto implica un compito che il gruppo dirigente post-comunista ha sin qui accuratamente evitato, e che appare oggi indifferibile. Non è possibile porsi come soggetto alternativo al progetto restauratore del presidente del Consiglio senza fare un bilancio delle scelte politiche e culturali compiute a partire dai primi anni Ottanta, quando si abbatté sul paese la prima onda d’urto del reaganismo. E quando in tutta Europa le forze socialiste avviarono — per iniziativa, appunto, dei propri gruppi dirigenti — una mutazione genetica che le avrebbe di lì a poco poste alla testa della «modernizzazione neoliberista». Della rivincita del privato sul pubblico. Del capitale sul lavoro. Delle élites sui corpi sociali. E dell’imperialismo militare dell’Occidente sui principi di pace scritti nelle Costituzioni democratiche e antifasciste.
In tutto il comizio di Renzi a Bologna c’è un elemento di verità, ed è l’attacco agli esperti e ai tecnici che in questi vent’anni non hanno visto – o hanno finto di non vedere – che cosa stava accadendo. Lui, beninteso, la regressione al nuovo regime oligarchico sta facendo di tutto per accelerarla. Come osservava Claudio Gnesutta nel penultimo inserto di Sbilanciamoci! pubblicato dal manifesto, siamo nel pieno di una transizione organica verso una società di mercato. Questo è l’obiettivo strategico della politica economica del governo, praticata d’intesa con la buro-tecnocrazia comunitaria. Ma ciò non toglie che anche chi in questi vent’anni ha preceduto Renzi alla guida del centro-sinistra e in posti-chiave nel governo del paese ha lavorato in questa direzione.
Basti un esempio. Pier Carlo Padoan non è soltanto il ministro dell’Economia di Renzi, che chiede a gran voce altri tagli alla spesa e «riforme strutturali»: riduzioni del welfare, compressione dei salari e privatizzazioni. È anche colui che ieri (l’anno scorso), da capo-economista dell’Ocse, reclamava il taglio dei salari italiani, già tra i più bassi d’Europa. E che l’altroieri prestava i suoi servigi come consigliere economico dei presidenti del Consiglio Amato e D’Alema. Del resto, negli anni Novanta la mutazione genetica della socialdemocrazia — o la sua eclisse — non è stata certo un’anomalia italiana. Se oggi il Regno Unito rischia di perdere pezzi, ciò si deve in gran parte agli effetti socialmente devastanti del blairismo, a una concezione dell’efficienza e del presunto merito che ha sistematicamente sacrificato i diritti sociali ai privilegi delle oligarchie. Il che per contro non significa che allinearsi alla tendenza fosse inevitabile, quasi che un incoercibile destino imponesse di innamorarsi del neoliberismo.
Riprendere in mano la storia di questi ultimi decenni è necessario perché soltanto ponendosi sul terreno storico è possibile comprendere la portata del conflitto che oggi attraversa il Pd renziano e, in generale, le forze di quello che un tempo era il centrosinistra. Di sicuro ripensare criticamente alle scelte compiute e agli errori commessi è un travaglio. Ma potrebbe essere anche un cimento liberatorio, capace di dar vita a un’impresa di ben più vasta portata e per la quale varrebbe davvero la pena d’impegnarsi.
Raccogliere in tutte le sue implicazioni la sfida lanciata da Renzi non darebbe vita soltanto a un confronto tra le diverse anime del partito, indispensabile per restituire dignità e credito alle componenti che l’attuale leadership intende mettere sotto tutela. Ne deriverebbe anche la ripresa del discorso interrottosi, oltre vent’anni fa, con lo sciagurato smantellamento del Pci. Che — quali che fossero le intenzioni dei suoi artefici — ha innegabilmente comportato l’estinguersi di qualsiasi rappresentanza politica del lavoro. E ne discenderebbe altresì, con ogni probabilità, un benefico sommovimento dell’intero campo della sinistra italiana, oggi frantumato in un arcipelago di piccole organizzazioni (piccole, beninteso, e perciò ininfluenti, anche per loro diretta responsabilità).
Mettere al centro della discussione e sottoporre a critica un’idea di modernità che ha coinciso con l’abbandono del conflitto sociale e di lavoro e col reinstaurarsi del potere pressoché assoluto del capitale privato significherebbe non soltanto ripercorrere i peggiori anni della nostra vita ma anche riaprire una prospettiva di lotta senza la quale è impensabile arrestare la deriva post-democratica. Da qui oggi si può e si deve ripartire, sfruttando la radicalità dell’attacco renziano. Per restituire finalmente al paese una sinistra politica capace di stare in campo nel conflitto in atto, ed evitare che a lucrare sui contraccolpi sociali della crisi sia, anche in Italia, la destra neofascista xenofoba e razzista.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
http://www.youtube.com/watch?v=Ho40cqn0 ... ploademail
La Costituzionale, la proposta M5S per Renzi e Berlusconi
Ciao
Paolo11
La Costituzionale, la proposta M5S per Renzi e Berlusconi
Ciao
Paolo11
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Tanto il Jobs act non serve assolutamente niente con il tipo di crisi che stiamo attraversando. Serve solo ad incantare i merli o i citrulli che dopo mezzanotte si recano nei campi del Gatto & La Volpe per prendere gli zecchini d'oro promessi da messer Lo Renzi.
L'ex segretario Bersani: "Il governo chiarisca ciò che intende fare".
Il presidente del partito Orfini attacca via twitter: "I titoli sono convincenti, lo svolgimento meno. Servono modifiche importanti". M5S e Sel abbandonano la Commissione, ma il testo della legge delega è stato approvato
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 settembre 2014Commenti (615)
Non solo sindacati e opposizioni. La riforma del lavoro di Matteo Renzi spacca anche il Partito democratico. Il presidente del Consiglio l’ha detto al Parlamento durante la presentazione dei Millegiorni: “Pronti anche ai provvedimenti d’urgenza pur di far andare avanti il Jobs act“.
E mentre in commissione il testo ottiene il via libera (si astiene Forza Italia, abbandonano il voto M5S e Sel), a frenare ora sono i suoi: le correnti di sinistra, ma non solo. Parla su Twitter il presidente dem Matteo Orfini: “I titoli sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo”.
Più duro ancora l’ex segretario Pierluigi Bersani che parla di “intenzioni surreali“: “E’ assolutamente indispensabile che il governo dica al Parlamento cosa intende fare nel decreto delegato sul lavoro, perché si parla di cose serie”. Nel vertice di ieri sera, Berlusconi ha offerto il suo aiuto a Renzi anche sull’articolo 18.
Un’offerta che al premier pare sia piaciuta poco, convinto di essere appoggiato dal partito e deciso a non ricorrere al patto del Nazareno anche per i temi economici. La Fiom intanto annuncia che la mobilitazione prevista per il 25 ottobre potrebbe essere anticipata.
Le polemiche tra i democratici nascono dopo la presentazione in commissione Lavoro al Senato di un emendamento all’articolo 4 della legge delega sul mercato del lavoro. Il testo è stato approvato in queste ore e già la prossima settimana potrebbe finire al voto in Aula. M5S e Sel hanno abbandonato i lavori in segno di protesta, mentre Forza Italia si è astenuta. Di fatto nei contenuti si supera l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (sui licenziamenti senza giusta causa): si prevede infatti, tra le altre cose, che i nuovi contratti a tempo indeterminato vengano fatti con tutele crescenti a seconda dell’anzianità.
Per i nuovi assunti inoltre, in caso di licenziamento l’indennizzo è proporzionale alla durata del contratto di lavoro. E’ poi introdotto per la prima volta il demansionamento di un dipendentenei “limiti alla modifica dell’inquadramento“, il compenso orario minimo nei rapporti subordinati di collaborazione e il divieto al controllo a distanza dei dipendenti con impianti audiovisivi. “Via libera”, dice il relatore del provvedimento Maurizio Sacconi (Ncd), “alla delega sul lavoro a novembre, per consentire al governo di approvare alcuni decreti delegati già entro l’anno. L’approvazione della delega, da parte della commissione Lavoro del Senato, commenta Sacconi, “è una vittoria per tutti i riformisti”.
E’ Bersani oggi a chiedere tempo e riflessioni a Renzi: “Io mi ritengo una persona di sinistra liberale, penso ci sia assoluta necessità di modernizzare le regole del lavoro dal lato dei contratti e dei servizi. Ma leggo oggi sui giornali, come attribuite al governo, delle intenzioni ai miei occhi surreali. In alcuni casi si descrive un’Italia come vista da Marte. E’ ora di poter discutere con precisione cosa intendiamo quando diciamo che bisogna superare il dualismo e l’apartheid nel mercato del lavoro, quando diciamo che bisogna estendere le tutele universalistiche, quando diciamo che bisogna tenere, nella crisi, in equilibrio i rapporti di forza tra capitale e lavoro. Sono cose basiche per un Paese”. A far discutere soprattutto è l’eliminazione del diritto al reintegro: “Io vorrei ricordare – aggiunge l’ex segretario del Pd – che in tutta Europa, in Inghilterra, in Francia, in Germania, esiste, ancorché non obbligatoria, la reintegra. Quindi non raccontiamoci cose che non esistono”. A chi gli ha domandato se il governo debba smentire l’intenzione di voler abolire l’articolo 18 per decreto, Bersani ha risposo: “L’esecutivo deve chiarire quali sono i contenuti precisi, perché l’emendamento che è stato presentato, sulla carta, lascia aperta qualsiasi interpretazione. Leggo oggi sui giornali come attribuite al governo delle interpretazioni che secondo me vanno chiarite. L’abolizione della reintegra è uno degli aspetti, non è il solo”.
Sulla riforma del lavoro è intervenuto anche il segretario generale della Fiom Maurizio Landini che ha fatto sapere che la manifestazione annunciata dalla Fiom per protestare contro le politiche del lavoro e fissata per il 25 ottobre potrebbe essere anticipata. ”In questi anni”, ha detto davanti al direttivo dello Spi-Cgil, “abbiamo sottovalutato i segnali su quello che stava succedendo, a partire dalla Fiat: dietro all’articolo 18 c’è un riassetto del sistema di relazioni sindacali e industriali: il demansionamento, il controllo a distanza dei lavoratori, la possibilità di licenziare, il superamento del contratto nazionale” cose, ha concluso, che si sono forse “sottovalutate all’origine, dal caso di Pomigliano”.
Ha poi aggiunto: ”Il licenziamento è sempre un dramma per il lavoratore, per l’imprenditore può essere un capriccio: il diritto al reintegro è un fatto di civiltà che deve essere esteso. Dobbiamo mettere in campo azioni e proposte e non dobbiamo avere paura delle parole forti. Di cosa abbiamo paura? Cosa deve succedere ancora per dire che queste cose ci stanno mettendo a rischio?”.
Intanto i più critici dentro il Partito democratico cercano di ricompattarsi. Massimo D’Alema, secondo quanto riporta da il Corriere della sera, ha organizzato una cena con numerosi esponenti della minoranza Pd. Un incontro conviviale, lunedì 15 settembre, in cui si sarebbe parlato “di come arginare il segretario nonché premier” Matteo Renzi. Tra i presenti ci sarebbero stati anche alcuni degli esponenti della minoranza dem che “formalmente hanno siglato la cosiddetta ‘pax renziana’, inclusi i “neo-componenti della segreteria ‘plurale e unitaria’, Enzo Amendola e Micaela Campana.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... i/1125062/
L'ex segretario Bersani: "Il governo chiarisca ciò che intende fare".
Il presidente del partito Orfini attacca via twitter: "I titoli sono convincenti, lo svolgimento meno. Servono modifiche importanti". M5S e Sel abbandonano la Commissione, ma il testo della legge delega è stato approvato
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 settembre 2014Commenti (615)
Non solo sindacati e opposizioni. La riforma del lavoro di Matteo Renzi spacca anche il Partito democratico. Il presidente del Consiglio l’ha detto al Parlamento durante la presentazione dei Millegiorni: “Pronti anche ai provvedimenti d’urgenza pur di far andare avanti il Jobs act“.
E mentre in commissione il testo ottiene il via libera (si astiene Forza Italia, abbandonano il voto M5S e Sel), a frenare ora sono i suoi: le correnti di sinistra, ma non solo. Parla su Twitter il presidente dem Matteo Orfini: “I titoli sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo”.
Più duro ancora l’ex segretario Pierluigi Bersani che parla di “intenzioni surreali“: “E’ assolutamente indispensabile che il governo dica al Parlamento cosa intende fare nel decreto delegato sul lavoro, perché si parla di cose serie”. Nel vertice di ieri sera, Berlusconi ha offerto il suo aiuto a Renzi anche sull’articolo 18.
Un’offerta che al premier pare sia piaciuta poco, convinto di essere appoggiato dal partito e deciso a non ricorrere al patto del Nazareno anche per i temi economici. La Fiom intanto annuncia che la mobilitazione prevista per il 25 ottobre potrebbe essere anticipata.
Le polemiche tra i democratici nascono dopo la presentazione in commissione Lavoro al Senato di un emendamento all’articolo 4 della legge delega sul mercato del lavoro. Il testo è stato approvato in queste ore e già la prossima settimana potrebbe finire al voto in Aula. M5S e Sel hanno abbandonato i lavori in segno di protesta, mentre Forza Italia si è astenuta. Di fatto nei contenuti si supera l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (sui licenziamenti senza giusta causa): si prevede infatti, tra le altre cose, che i nuovi contratti a tempo indeterminato vengano fatti con tutele crescenti a seconda dell’anzianità.
Per i nuovi assunti inoltre, in caso di licenziamento l’indennizzo è proporzionale alla durata del contratto di lavoro. E’ poi introdotto per la prima volta il demansionamento di un dipendentenei “limiti alla modifica dell’inquadramento“, il compenso orario minimo nei rapporti subordinati di collaborazione e il divieto al controllo a distanza dei dipendenti con impianti audiovisivi. “Via libera”, dice il relatore del provvedimento Maurizio Sacconi (Ncd), “alla delega sul lavoro a novembre, per consentire al governo di approvare alcuni decreti delegati già entro l’anno. L’approvazione della delega, da parte della commissione Lavoro del Senato, commenta Sacconi, “è una vittoria per tutti i riformisti”.
E’ Bersani oggi a chiedere tempo e riflessioni a Renzi: “Io mi ritengo una persona di sinistra liberale, penso ci sia assoluta necessità di modernizzare le regole del lavoro dal lato dei contratti e dei servizi. Ma leggo oggi sui giornali, come attribuite al governo, delle intenzioni ai miei occhi surreali. In alcuni casi si descrive un’Italia come vista da Marte. E’ ora di poter discutere con precisione cosa intendiamo quando diciamo che bisogna superare il dualismo e l’apartheid nel mercato del lavoro, quando diciamo che bisogna estendere le tutele universalistiche, quando diciamo che bisogna tenere, nella crisi, in equilibrio i rapporti di forza tra capitale e lavoro. Sono cose basiche per un Paese”. A far discutere soprattutto è l’eliminazione del diritto al reintegro: “Io vorrei ricordare – aggiunge l’ex segretario del Pd – che in tutta Europa, in Inghilterra, in Francia, in Germania, esiste, ancorché non obbligatoria, la reintegra. Quindi non raccontiamoci cose che non esistono”. A chi gli ha domandato se il governo debba smentire l’intenzione di voler abolire l’articolo 18 per decreto, Bersani ha risposo: “L’esecutivo deve chiarire quali sono i contenuti precisi, perché l’emendamento che è stato presentato, sulla carta, lascia aperta qualsiasi interpretazione. Leggo oggi sui giornali come attribuite al governo delle interpretazioni che secondo me vanno chiarite. L’abolizione della reintegra è uno degli aspetti, non è il solo”.
Sulla riforma del lavoro è intervenuto anche il segretario generale della Fiom Maurizio Landini che ha fatto sapere che la manifestazione annunciata dalla Fiom per protestare contro le politiche del lavoro e fissata per il 25 ottobre potrebbe essere anticipata. ”In questi anni”, ha detto davanti al direttivo dello Spi-Cgil, “abbiamo sottovalutato i segnali su quello che stava succedendo, a partire dalla Fiat: dietro all’articolo 18 c’è un riassetto del sistema di relazioni sindacali e industriali: il demansionamento, il controllo a distanza dei lavoratori, la possibilità di licenziare, il superamento del contratto nazionale” cose, ha concluso, che si sono forse “sottovalutate all’origine, dal caso di Pomigliano”.
Ha poi aggiunto: ”Il licenziamento è sempre un dramma per il lavoratore, per l’imprenditore può essere un capriccio: il diritto al reintegro è un fatto di civiltà che deve essere esteso. Dobbiamo mettere in campo azioni e proposte e non dobbiamo avere paura delle parole forti. Di cosa abbiamo paura? Cosa deve succedere ancora per dire che queste cose ci stanno mettendo a rischio?”.
Intanto i più critici dentro il Partito democratico cercano di ricompattarsi. Massimo D’Alema, secondo quanto riporta da il Corriere della sera, ha organizzato una cena con numerosi esponenti della minoranza Pd. Un incontro conviviale, lunedì 15 settembre, in cui si sarebbe parlato “di come arginare il segretario nonché premier” Matteo Renzi. Tra i presenti ci sarebbero stati anche alcuni degli esponenti della minoranza dem che “formalmente hanno siglato la cosiddetta ‘pax renziana’, inclusi i “neo-componenti della segreteria ‘plurale e unitaria’, Enzo Amendola e Micaela Campana.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... i/1125062/
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
La vox populi:
MiRiprendo LaLiberta • alcuni secondi fa
Persino i parlamentari di FI e PDL sembrano increduli di fronte a tanto...
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Qfwfq • 2 minuti fa
Cosa giusta ha detto Fassina richiamando il vitaiolo statista di Rignano al mandato elettorale che gli elettori del Pd hanno conferito loro, perché - a prescinedere dalle riforme costituzionali - una riforma del lavoro pensata in questo modo non era assolutamente nei piani né di Bersani né di Letta né di tutto il Pd.
La maggioranza continua ad abusare di leggi delega e fiduce (record assoluto http://blog.openpolis.it/2014/... mentre il fiorentino si riempie la bocca di partecipazione e democrazia, ormai svuotate di qualsiasi significato. Oggettivamente è un ossimoro, per non dire una presa per il c..o.
Mi domando dove sia il Capo dello Stato ora, lui che pochi mesi fa tuonava contro l'abuso del governo Letta nel legiferare imponendo al Parlamento voti di fiducia sull'esecutivo.
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Stefano Armanini • 6 minuti fa
Che schifo, 'sto PD.
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MiRiprendo LaLiberta • alcuni secondi fa
Persino i parlamentari di FI e PDL sembrano increduli di fronte a tanto...
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Qfwfq • 2 minuti fa
Cosa giusta ha detto Fassina richiamando il vitaiolo statista di Rignano al mandato elettorale che gli elettori del Pd hanno conferito loro, perché - a prescinedere dalle riforme costituzionali - una riforma del lavoro pensata in questo modo non era assolutamente nei piani né di Bersani né di Letta né di tutto il Pd.
La maggioranza continua ad abusare di leggi delega e fiduce (record assoluto http://blog.openpolis.it/2014/... mentre il fiorentino si riempie la bocca di partecipazione e democrazia, ormai svuotate di qualsiasi significato. Oggettivamente è un ossimoro, per non dire una presa per il c..o.
Mi domando dove sia il Capo dello Stato ora, lui che pochi mesi fa tuonava contro l'abuso del governo Letta nel legiferare imponendo al Parlamento voti di fiducia sull'esecutivo.
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Stefano Armanini • 6 minuti fa
Che schifo, 'sto PD.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
override • 14 minuti fa
Vedrete che stasera frottolo fará qualche apparizione mistica, dirá una delle sue esilaranti supercazzole, leccherá un altro gelato per sfottere tutti e con quel sorrisino demenziale fará spallucce. Tanto a lui cosa importa.
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Aless • 15 minuti fa
diritto del lavoro italiano: A) dipendenti pubblici inamovibili B) dipendenti privati tutelati dall'art. 18 C) precari e dipendenti privati di aziende piccole non tutelati dall'art 18 D) giovani non tutelati dall'art 18 che hanno come colleghi dipendenti privati tutelati dall'art. 18 ... ci rendiamo conto che è una FOLLIA?? e che esiste il principio di UGUAGLIANZA?? tutti i dipendenti, pubblici e privati che siano devono essere licenziabili ma solo laddove ciò avvenga nei limiti consentiti e se vi è discriminazione il reintegro deve essere sacrosanto per chiunque
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decoccio • 17 minuti fa
Che poi è sempre il metodo la cosa più imbarazzante. Dopo un compendio della retorica più populista, con totale autoreferenzialitá vengono poste le condizioni aut aut, un tanto per le precondizioni a interventi neo autoritari.
Nel frattempo, mi chiedo: non è che b. Ha fatto l'ambasciata agli sbirri (con relative promesse di privilegio- dopo che per 10 anni lui stesso ha tagliato fondi alle forze dell'ordine)per garantire supporto in caso di CASINI INEVITABILI il prossimo mese?
Perché scoppia un casino se frenzie cambia la normativa giuslavorisica nelle modalità espresse. Un tanto per le modalità ma principalmente perché NON HA LA MINIMA IDEA DI COSA STA PARLANDO.
Mi sa che si sta facendo curriculum pure lui per una carriera fuori dall'Italia, magari nelle istituzioni europee...e noi gli paghiamo la retta
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roberta baldrati • 18 minuti fa
svegliamoci e presto, anche. quante ne vogliamo ancora subire?
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aigor1 • 19 minuti fa
La riforma già funziona. Tutti i disoccupati di forza Italia potranno lavorare per il PD, tanto è lo stesso.
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Gianfranco Ceci • 26 minuti fa
Con l’ eliminazione delle preferenze la democrazia è
in agonia,la gabbia di acciaio di cui parlava Max Weber è compiuta,noi ci siamo
dentro come uccelli addomesticati in
cattività, e non c’è più niente da fare.
Coloro che sono complici in questo
misfatto hanno ancora il coraggio di definirsi di sinistra,sono soltanto dei
truffatori , dei pezzenti quaquaraqua che si sono venduti per una poltroncina con l’
assenso silente del Vaticano che raggiunge il suo scopo di annientare il
laicismo di questo Stato ridotto a brandelli dalla mafia,dagli evasori fiscali, dai ladri del denaro pubblico,dai
pregiudicati e da una giustizia che ha abdicato alla sua funzione. Buona notte
Roma !
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atreides67 • 29 minuti fa
e come volavasi dimostrare l'opposizione interna è tutta scena
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Vedrete che stasera frottolo fará qualche apparizione mistica, dirá una delle sue esilaranti supercazzole, leccherá un altro gelato per sfottere tutti e con quel sorrisino demenziale fará spallucce. Tanto a lui cosa importa.
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Aless • 15 minuti fa
diritto del lavoro italiano: A) dipendenti pubblici inamovibili B) dipendenti privati tutelati dall'art. 18 C) precari e dipendenti privati di aziende piccole non tutelati dall'art 18 D) giovani non tutelati dall'art 18 che hanno come colleghi dipendenti privati tutelati dall'art. 18 ... ci rendiamo conto che è una FOLLIA?? e che esiste il principio di UGUAGLIANZA?? tutti i dipendenti, pubblici e privati che siano devono essere licenziabili ma solo laddove ciò avvenga nei limiti consentiti e se vi è discriminazione il reintegro deve essere sacrosanto per chiunque
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decoccio • 17 minuti fa
Che poi è sempre il metodo la cosa più imbarazzante. Dopo un compendio della retorica più populista, con totale autoreferenzialitá vengono poste le condizioni aut aut, un tanto per le precondizioni a interventi neo autoritari.
Nel frattempo, mi chiedo: non è che b. Ha fatto l'ambasciata agli sbirri (con relative promesse di privilegio- dopo che per 10 anni lui stesso ha tagliato fondi alle forze dell'ordine)per garantire supporto in caso di CASINI INEVITABILI il prossimo mese?
Perché scoppia un casino se frenzie cambia la normativa giuslavorisica nelle modalità espresse. Un tanto per le modalità ma principalmente perché NON HA LA MINIMA IDEA DI COSA STA PARLANDO.
Mi sa che si sta facendo curriculum pure lui per una carriera fuori dall'Italia, magari nelle istituzioni europee...e noi gli paghiamo la retta
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roberta baldrati • 18 minuti fa
svegliamoci e presto, anche. quante ne vogliamo ancora subire?
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aigor1 • 19 minuti fa
La riforma già funziona. Tutti i disoccupati di forza Italia potranno lavorare per il PD, tanto è lo stesso.
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Gianfranco Ceci • 26 minuti fa
Con l’ eliminazione delle preferenze la democrazia è
in agonia,la gabbia di acciaio di cui parlava Max Weber è compiuta,noi ci siamo
dentro come uccelli addomesticati in
cattività, e non c’è più niente da fare.
Coloro che sono complici in questo
misfatto hanno ancora il coraggio di definirsi di sinistra,sono soltanto dei
truffatori , dei pezzenti quaquaraqua che si sono venduti per una poltroncina con l’
assenso silente del Vaticano che raggiunge il suo scopo di annientare il
laicismo di questo Stato ridotto a brandelli dalla mafia,dagli evasori fiscali, dai ladri del denaro pubblico,dai
pregiudicati e da una giustizia che ha abdicato alla sua funzione. Buona notte
Roma !
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atreides67 • 29 minuti fa
e come volavasi dimostrare l'opposizione interna è tutta scena
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