E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
Il potere è la più grande e forte delle droghe e Bakunin lo sapeva bene...
Forse ci salverà un governante computerizzato sperando che anche le menti di silicio non siano sensibili al gusto del potere...
Forse ci salverà un governante computerizzato sperando che anche le menti di silicio non siano sensibili al gusto del potere...
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
Bakunin riteneva che lo stato doveva estinguersi subito, Marx dopo la dittatura del proletariato.
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
LA PARTITA PER LIBERARE IL FUTURO
di Stefano Fassina – 4 agosto 2015
Il decalogo di Norma Rangeri propone scenari fertili per la discussione e l’iniziativa politica. Sì, c’è vita a sinistra. Sono vive le donne e gli uomini spiaggiati dalla «cultura e dall’economia dello scarto» denunciata da Papa Francesco, colpiti, da ultimo, dalle “riforme” del mercato del lavoro, della scuola, delle regole della democrazia o affogati dall’egoismo ottuso dei benestanti e dalla paura disperata dei penultimi. Così come sono vive le donne e gli uomini, soprattutto i più giovani e più qualificati, costretti a svendere i loro talenti o a emigrare.
Come dare voce all’universo degli invisibili abbandonati e dei pionieri senza opportunità? Per rispondere, vogliamo costruire, ambiziosamente, un partito per la sfida del governo. L’ambizione deve poggiare, innanzitutto, su un’analisi condivisa del tornante storico nel quale siamo. Su queste pagine Revelli e Panagopoulos, Ferrero, Martone e Pizzuti confermano una larga sintonia tra di noi. Vediamo il trionfo insostenibile del capitale sul lavoro e l’euro-zona sulla rotta del Titanic. Inoltre, dopo la drammatica caduta delle speranze coraggiosamente alimentate da Syriza e dal Governo Tsipras, è anche diventato evidente a tutti che, nel quadro del mercantilismo liberista, la sinistra è senza spazio di manovra. Nell’area della moneta unica, la democrazia e la politica sono prigionieri di Tina: «There is no alternative». Pensiero unico e agenda unica. Oppure, l’apocalisse.
È, invece, oggetto di discussione la strada da percorrere per liberare il futuro. Da una parte, chi indica la strada della radicale correzione dei Trattati affinché l’euro, da fattore regressivo, diventi fattore progressivo. Dall’altra, chi, come il sottoscritto, ritiene che non vi siano le condizioni politiche per ribaltare i Trattati e individua il superamento concordato dell’euro come passaggio obbligato per salvare l’Unione europea e riaprire la partita della democrazia fondata sul lavoro.
Per avviare la costruzione di una forza politica ambiziosa, una comune carta di valori è insufficiente. Vanno fatti i conti con “l’europeismo reale”, come li abbiamo fatti, chi prima chi dopo, con il “socialismo reale”. Stavolta, non possiamo aspettare le schegge del Muro di Berlino. L’euro è stato un errore di prospettiva politica: nato per arginare lo svuotamento della sovranità nazionale e la svalutazione del lavoro determinati dai mercati globali de-regolati, è diventato potente fattore di aggravamento dello squilibrio nei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
Il dilemma «euro si/euro no» è la punta dell’iceberg. È da riscrivere l’intero impianto di marginalizzazione della politica contenuto nei Trattati, funzionali all’interesse nazionale tedesco. Ma invocare il coraggio delle élite per arrivare agli Stati Uniti d’Europa è retorica autoconsolatoria. Le condizioni politiche per le correzioni necessarie alla “costituzione” dell’euro-zona sono assenti per ragioni profonde: i caratteri morali e culturali dei popoli, gli interessi degli Stati nazionali e i rapporti di forza. La Germania lo incomincia a riconoscere: pur nel quadro di un approccio punitivo verso la Grecia, ha rotto il tabù dell’irreversibilità dell’euro. Il Ministro Schäuble, con il consenso della Cancelliera Merkel, all’Euro-summit del 12 Luglio scorso, propone una «Grexit assistita». Il German Council of the Economic Experts, qualche giorno fa, presenta l’euro-exit come soluzione sistemica in un rapporto ufficiale al governo di Berlino.
Per arrivare al superamento concordato dell’euro e negoziare condizioni di atterraggio sostenibili e, così, porre le basi per salvare l’Unione europea e, con essa, le democrazie delle classi medie va costruita un’alleanza tra fronti nazionali guidati da forze progressiste, aperti alla destra costituzionale e “sovranista”, come realizzato da Syriza in Grecia con Anel.
Su quali soggetti sociali e interessi economici far leva? Su quanti sono svalutati per competere nell’economia dell’export e su quanti subiscono il deficit cronico di domanda interna: il lavoro subordinato, dipendente privato e pubblico, o a Partita Iva, la micro impresa artigiana e commerciale, l’arcipelago delle professioni proletarizzate. Uniti, in un’alleanza sociale progressiva, con chi compete sull’innovazione e sulla qualità del lavoro.
La coalizione della domanda interna per il lavoro di cittadinanza è il compito difficile del partito nazionale e popolare da costruire insieme.
da il manifesto del 4 agosto 2015
di Stefano Fassina – 4 agosto 2015
Il decalogo di Norma Rangeri propone scenari fertili per la discussione e l’iniziativa politica. Sì, c’è vita a sinistra. Sono vive le donne e gli uomini spiaggiati dalla «cultura e dall’economia dello scarto» denunciata da Papa Francesco, colpiti, da ultimo, dalle “riforme” del mercato del lavoro, della scuola, delle regole della democrazia o affogati dall’egoismo ottuso dei benestanti e dalla paura disperata dei penultimi. Così come sono vive le donne e gli uomini, soprattutto i più giovani e più qualificati, costretti a svendere i loro talenti o a emigrare.
Come dare voce all’universo degli invisibili abbandonati e dei pionieri senza opportunità? Per rispondere, vogliamo costruire, ambiziosamente, un partito per la sfida del governo. L’ambizione deve poggiare, innanzitutto, su un’analisi condivisa del tornante storico nel quale siamo. Su queste pagine Revelli e Panagopoulos, Ferrero, Martone e Pizzuti confermano una larga sintonia tra di noi. Vediamo il trionfo insostenibile del capitale sul lavoro e l’euro-zona sulla rotta del Titanic. Inoltre, dopo la drammatica caduta delle speranze coraggiosamente alimentate da Syriza e dal Governo Tsipras, è anche diventato evidente a tutti che, nel quadro del mercantilismo liberista, la sinistra è senza spazio di manovra. Nell’area della moneta unica, la democrazia e la politica sono prigionieri di Tina: «There is no alternative». Pensiero unico e agenda unica. Oppure, l’apocalisse.
È, invece, oggetto di discussione la strada da percorrere per liberare il futuro. Da una parte, chi indica la strada della radicale correzione dei Trattati affinché l’euro, da fattore regressivo, diventi fattore progressivo. Dall’altra, chi, come il sottoscritto, ritiene che non vi siano le condizioni politiche per ribaltare i Trattati e individua il superamento concordato dell’euro come passaggio obbligato per salvare l’Unione europea e riaprire la partita della democrazia fondata sul lavoro.
Per avviare la costruzione di una forza politica ambiziosa, una comune carta di valori è insufficiente. Vanno fatti i conti con “l’europeismo reale”, come li abbiamo fatti, chi prima chi dopo, con il “socialismo reale”. Stavolta, non possiamo aspettare le schegge del Muro di Berlino. L’euro è stato un errore di prospettiva politica: nato per arginare lo svuotamento della sovranità nazionale e la svalutazione del lavoro determinati dai mercati globali de-regolati, è diventato potente fattore di aggravamento dello squilibrio nei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
Il dilemma «euro si/euro no» è la punta dell’iceberg. È da riscrivere l’intero impianto di marginalizzazione della politica contenuto nei Trattati, funzionali all’interesse nazionale tedesco. Ma invocare il coraggio delle élite per arrivare agli Stati Uniti d’Europa è retorica autoconsolatoria. Le condizioni politiche per le correzioni necessarie alla “costituzione” dell’euro-zona sono assenti per ragioni profonde: i caratteri morali e culturali dei popoli, gli interessi degli Stati nazionali e i rapporti di forza. La Germania lo incomincia a riconoscere: pur nel quadro di un approccio punitivo verso la Grecia, ha rotto il tabù dell’irreversibilità dell’euro. Il Ministro Schäuble, con il consenso della Cancelliera Merkel, all’Euro-summit del 12 Luglio scorso, propone una «Grexit assistita». Il German Council of the Economic Experts, qualche giorno fa, presenta l’euro-exit come soluzione sistemica in un rapporto ufficiale al governo di Berlino.
Per arrivare al superamento concordato dell’euro e negoziare condizioni di atterraggio sostenibili e, così, porre le basi per salvare l’Unione europea e, con essa, le democrazie delle classi medie va costruita un’alleanza tra fronti nazionali guidati da forze progressiste, aperti alla destra costituzionale e “sovranista”, come realizzato da Syriza in Grecia con Anel.
Su quali soggetti sociali e interessi economici far leva? Su quanti sono svalutati per competere nell’economia dell’export e su quanti subiscono il deficit cronico di domanda interna: il lavoro subordinato, dipendente privato e pubblico, o a Partita Iva, la micro impresa artigiana e commerciale, l’arcipelago delle professioni proletarizzate. Uniti, in un’alleanza sociale progressiva, con chi compete sull’innovazione e sulla qualità del lavoro.
La coalizione della domanda interna per il lavoro di cittadinanza è il compito difficile del partito nazionale e popolare da costruire insieme.
da il manifesto del 4 agosto 2015
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
SMS per iospero.
Posto appositamente in questo 3D questo intervento comparso stamani su LIBRE, certamente non per spirito polemico con iospero che si batte (giustamente) per una nuova sinistra, ma perché non sento mai accennare dai politici che vogliono fondare il nuovo, dai politologi e dai giornalisti al seguito, affrontare il tema di chi detiene veramente il potere in Italia e nel mondo.
Non sento mai come si deve convivere o ridimensionare nel concreto questi poteri.
La sinistra poltronifera dal dopo Occhetto in poi si è piegata a questi poteri per amor della poltrona.
Finalmente anche i sinistri si sono potuti sedere sulla poltrona di PdC, con il conte Max, che un tempo si faceva notare come il ragazzo delle molotov.
Oppure come Re Giorgio, che ha potuto vendicare il padre sedendosi sulla poltrona del Quirinale, ed esercitare malamente il potere de: "Il Re sono me"
^^^^^^^^^^
Monica Maggioni, ovvero: la Rai di Renzi formato Bilderberg
Scritto il 10/8/15 • nella Categoria: idee
Già da due giorni si era capito che la nomina del nuovo presidente del Consiglio di amministrazione della Rai sarebbe stato la “carta da spariglio” che Renzi si sarebbe giocato. «Mentre tutti si accanivano sulla nomina di un outsider competente come Freccero o di illustri ma sconosciuti portaborse dentro il nuovo Cda, il presidente del Consiglio aveva la sua carta in mano da giocare», scrive Sergio Cararo. «Questa carta si chiama Monica Maggioni, la ex corrispondente internazionale della Rai che in questi anni aveva “normalizzato” quella che era stata l’isola felice di RaiNews24, allineandola sempre più all’informazione embedded imposta dai poteri forti». Una funzione «a questo punto realizzata e suggerita da uno dei centri di potere più forti: il gruppo Bilderberg». La Maggioni ha partecipato agli incontri di questa organizzazione riservatissima dei potenti del mondo, «facendosi legittimare proprio dalla Rai di cui si apprestava a diventare presidente», come si evince dalla risposta destinata a Roberto Fico, del M5S: sì, la Maggioni è andata al meeting del Bilderberg e a noi va bene così.
La Rai era stata sollecitata da un’interrogazione del presidente grillino della Commissione Vigilanza in merito alla partecipazione della Maggioni alla riunione del Bilderberg del 29 maggio scorso. Roberto Fico si era sentito rispondere, testualmente: «Si conferma che la dottoressa Monica Maggioni ha partecipato a Copenaghen al meeting annuale di Bilderberg nel periodo compreso tra il 29 maggio e il 1° giugno. La Rai – ancorché la partecipazione citata sia avvenuta a titolo personale – ritiene assolutamente legittimo che, nell’ambito della propria attività professionale, un suo dipendente possa partecipare, se invitato, a prendere parte ad eventi organizzati da un think tank di tale rilevanza internazionale, e che tale partecipazione costituisca elemento di prestigio per l’azienda stessa». Per onestà, aggiunge Cararo su “Contropiano”, occorre sottolineare come la Maggioni non sia affatto l’unica giornalista di comando a partecipare alle riservate riunione del Bilderberg. «Negli anni passati, negli hotel di lusso che ospitavano gli incontri si potevano incontrare Lilli Gruber, Gianni Riotta, Ugo Stille, Arrigo Levi, Ferruccio de Bortoli, Lucio Caracciolo. Soprattutto quelli del “Corriere della Sera” erano di casa».
Sulla funzione del Bilderberg come “facilitatore” nel controllo dei punti strategici del comando, continua Cararo, è interessante il meccanismo descritto nel libro di Domenico Moro (“Club Bilderberg”), ossia quello delle “porte girevoli”, per cui un ministro (o, nel caso degli Usa, un segretario di Stato) si ritrova poi al vertice di una multinazionale, o magari ne aveva fatto parte prima. Mentre grandi manager pubblici come Romano Prodi, dopo aver portato avanti massicce privatizzazioni, si ritrovano presidenti del Consiglio o ai vertici dell’Unione Europea. O ancora, uomini come Mario Draghi, che passano da presidente del Comitato economico e finanziario del Consiglio della Ue a direttore generale del ministero del Tesoro italiano, per poi diventare vicepresidente della Goldman Sachs, dopo di che governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Banca centrale europea. «Insomma una vera e propria oligarchia esclusiva, che occupa sistematicamente tutti i posti rilevanti nell’economia, nella politica, nell’informazione e nella diplomazia internazionale». Chiosa Cararo: «Con un presidente del Consiglio in odore di grembiulini come Renzi (come aveva scritto l’ex direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio de Bortoli, immediatamente messo alla porta), la nomina di una partecipante al Gruppo Bilderberg a presidente del Consiglio di amministrazione della Rai è tutt’altro che una sorpresa, è una conferma».
Posto appositamente in questo 3D questo intervento comparso stamani su LIBRE, certamente non per spirito polemico con iospero che si batte (giustamente) per una nuova sinistra, ma perché non sento mai accennare dai politici che vogliono fondare il nuovo, dai politologi e dai giornalisti al seguito, affrontare il tema di chi detiene veramente il potere in Italia e nel mondo.
Non sento mai come si deve convivere o ridimensionare nel concreto questi poteri.
La sinistra poltronifera dal dopo Occhetto in poi si è piegata a questi poteri per amor della poltrona.
Finalmente anche i sinistri si sono potuti sedere sulla poltrona di PdC, con il conte Max, che un tempo si faceva notare come il ragazzo delle molotov.
Oppure come Re Giorgio, che ha potuto vendicare il padre sedendosi sulla poltrona del Quirinale, ed esercitare malamente il potere de: "Il Re sono me"
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Monica Maggioni, ovvero: la Rai di Renzi formato Bilderberg
Scritto il 10/8/15 • nella Categoria: idee
Già da due giorni si era capito che la nomina del nuovo presidente del Consiglio di amministrazione della Rai sarebbe stato la “carta da spariglio” che Renzi si sarebbe giocato. «Mentre tutti si accanivano sulla nomina di un outsider competente come Freccero o di illustri ma sconosciuti portaborse dentro il nuovo Cda, il presidente del Consiglio aveva la sua carta in mano da giocare», scrive Sergio Cararo. «Questa carta si chiama Monica Maggioni, la ex corrispondente internazionale della Rai che in questi anni aveva “normalizzato” quella che era stata l’isola felice di RaiNews24, allineandola sempre più all’informazione embedded imposta dai poteri forti». Una funzione «a questo punto realizzata e suggerita da uno dei centri di potere più forti: il gruppo Bilderberg». La Maggioni ha partecipato agli incontri di questa organizzazione riservatissima dei potenti del mondo, «facendosi legittimare proprio dalla Rai di cui si apprestava a diventare presidente», come si evince dalla risposta destinata a Roberto Fico, del M5S: sì, la Maggioni è andata al meeting del Bilderberg e a noi va bene così.
La Rai era stata sollecitata da un’interrogazione del presidente grillino della Commissione Vigilanza in merito alla partecipazione della Maggioni alla riunione del Bilderberg del 29 maggio scorso. Roberto Fico si era sentito rispondere, testualmente: «Si conferma che la dottoressa Monica Maggioni ha partecipato a Copenaghen al meeting annuale di Bilderberg nel periodo compreso tra il 29 maggio e il 1° giugno. La Rai – ancorché la partecipazione citata sia avvenuta a titolo personale – ritiene assolutamente legittimo che, nell’ambito della propria attività professionale, un suo dipendente possa partecipare, se invitato, a prendere parte ad eventi organizzati da un think tank di tale rilevanza internazionale, e che tale partecipazione costituisca elemento di prestigio per l’azienda stessa». Per onestà, aggiunge Cararo su “Contropiano”, occorre sottolineare come la Maggioni non sia affatto l’unica giornalista di comando a partecipare alle riservate riunione del Bilderberg. «Negli anni passati, negli hotel di lusso che ospitavano gli incontri si potevano incontrare Lilli Gruber, Gianni Riotta, Ugo Stille, Arrigo Levi, Ferruccio de Bortoli, Lucio Caracciolo. Soprattutto quelli del “Corriere della Sera” erano di casa».
Sulla funzione del Bilderberg come “facilitatore” nel controllo dei punti strategici del comando, continua Cararo, è interessante il meccanismo descritto nel libro di Domenico Moro (“Club Bilderberg”), ossia quello delle “porte girevoli”, per cui un ministro (o, nel caso degli Usa, un segretario di Stato) si ritrova poi al vertice di una multinazionale, o magari ne aveva fatto parte prima. Mentre grandi manager pubblici come Romano Prodi, dopo aver portato avanti massicce privatizzazioni, si ritrovano presidenti del Consiglio o ai vertici dell’Unione Europea. O ancora, uomini come Mario Draghi, che passano da presidente del Comitato economico e finanziario del Consiglio della Ue a direttore generale del ministero del Tesoro italiano, per poi diventare vicepresidente della Goldman Sachs, dopo di che governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Banca centrale europea. «Insomma una vera e propria oligarchia esclusiva, che occupa sistematicamente tutti i posti rilevanti nell’economia, nella politica, nell’informazione e nella diplomazia internazionale». Chiosa Cararo: «Con un presidente del Consiglio in odore di grembiulini come Renzi (come aveva scritto l’ex direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio de Bortoli, immediatamente messo alla porta), la nomina di una partecipante al Gruppo Bilderberg a presidente del Consiglio di amministrazione della Rai è tutt’altro che una sorpresa, è una conferma».
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
LO SCISSONISMO DELLA SINISTRA
SINDROME EUROPEA NON SOLO TRICOLORE
Zonaeuro
Tsipras: con o contro, per la sinistra una scelta difficile
di Salvatore Cannavò | 21 agosto 2015
Syriza come l’abbiamo conosciuta non esiste più.
Con la scelta di andare a elezioni anticipate, sulla base del consenso o meno al Memorandum con l’Europa da 86 miliardi, Alexis Tsipras imprime una svolta al suo partito.
La nascita di Unità popolare, la scissione a sinistra di Panagiotis Lafazanis e Koe Konstantopolou che raggruppa 25 deputati, al di là della sua efficacia – i sondaggi la danno intorno al 5% ma sono stati fatti quando ancora la decisione non era stata formalizzata – esprime questa realtà.
Il piccolo evento non mancherà di far sentire i suoi effetti sul resto della sinistra europea.
In prossimità delle elezioni greche, infatti, come si schiererà la sinistra e il suo “popolo”?
A fianco di Tsipras in nome del “meno peggio” e, in fondo, della bontà del suo tentativo di limitare i danni e di tenere aperta la strada della riformabilità dell’euro?
Oppure, contro i contenuti fondamentali del Memorandum, quindi contro Syriza? Si potrebbe assistere anche all’effetto paradossale di un sostegno a Tsipras dato sia dalle forze più moderate del socialismo europeo, compreso il Pd che da quelle che invece si collocano all’opposizione. Vedremo.
La scelta di Tsipras ha certo il merito di restituire la parola al popolo e quindi di offrire una nuova occasione democratica ai greci anche se non è detto che questa venga pienamente raccolta.
Potrebbero prevalere, infatti, la stanchezza e la disillusione.
In ogni caso costituisce un giro di boa nella sua traiettoria politica. Chiedere il voto in nome dell’accordo siglato a luglio – 86 miliardi per un piano di tagli allo stato sociale e privatizzazioni mai viste prime – significa cambiare la base programmatica di Syriza e quindi la sua natura.
La sensazione è che il partito della sinistra greca abbia finito per occupare lo spazio lasciato libero dal Pasok e di averne introiettato la linea politica.
Più per necessità che per scelta perché è vero che Tsipras è rimasto solo – ma quale sinistra consistente sarebbe dovuta correre in suo aiuto? Matteo Renzi? – e alla fine i rapporti di forza, sociali, istituzionali, hanno pesato contro il suo tentativo di piegare l’Unione europea.
Che invece ha piegato lui.
Il limite del tentativo, però, è stato proprio quello di sottovalutare quei rapporti di forza.
Limite che, del resto, in scala minore, ha prodotto la crisi verticale della sinistra radicale italiana.
Tsipras ha pensato di potercela fare a strappare un risultato sul tavolo della trattativa europea, ha sperato che coloro che, a parole, parlano di fine della dittatura dell’euro e dei mercati battessero un colpo, ma si è sbagliato.
Con tutte le conseguenze che ormai sono note.
Così, le elezioni serviranno, come ha spiegato lo stesso Tsipras nel suo discorso in televisione, ad approvare o meno l’accordo con l’Eurogruppo, a ratificare quel Memorandum che rappresenta “il miglior accordo possibile”.
Lo fa anche perché, come spiegano i suoi oppositori, “il tempo gioca contro di lui”.
Il voto, infatti, arriverà prima che le misure di austerità facciano il loro corso e dispieghino i loro effetti.
E, intanto, cercherà di non dare il tempo a Panagiotis Lafazanis e compagni di prendere forza e impedirgli di rivincere le elezioni.
Gli ultimi sondaggi lo davano lo scorso mese ancora intorno al 40%, una base che potrebbe dare fiato, come spera la Commissione europea, a una nuova alleanza politica con il Pasok o con Potami, le voci del progressismo europeista. Un nuovo governo basato anche sull’ipotesi, rilanciata ieri da Tsipras di un “quintetto” al posto della Troika, nella gestione del Memorandum.
Tsipras ha chiesto al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, un ruolo dell’europarlamento accanto a Fmi, Bce, Commissione europea e, all’ormai necessario Esm, per fornire una boccata di “democrazia” a un piano europeo in chiave progressista.
Resta la domanda per chi, fuori dalla Grecia, si sente o si dichiara di sinistra?
Bisogna fare il tifo per Tsipras e sperare che vinca le elezioni? Oppure sperare che alla sua sinistra ci sia una forte affermazione? O cos’altro?
E’ una domanda astratta, certo, ma la risposta aiuta a capire che tipo di politica si vuole perseguire e quali programmi si vogliono sostenere.
La vicenda non va liquidata con le solite battute sullo scissionismo compulsivo, perché stavolta c’è in ballo il destino di un popolo, quello greco.
Ma anche le sorti di quella sinistra che non vuole piegarsi ai compromessi del socialismo liberale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08 ... e/1973018/
SINDROME EUROPEA NON SOLO TRICOLORE
Zonaeuro
Tsipras: con o contro, per la sinistra una scelta difficile
di Salvatore Cannavò | 21 agosto 2015
Syriza come l’abbiamo conosciuta non esiste più.
Con la scelta di andare a elezioni anticipate, sulla base del consenso o meno al Memorandum con l’Europa da 86 miliardi, Alexis Tsipras imprime una svolta al suo partito.
La nascita di Unità popolare, la scissione a sinistra di Panagiotis Lafazanis e Koe Konstantopolou che raggruppa 25 deputati, al di là della sua efficacia – i sondaggi la danno intorno al 5% ma sono stati fatti quando ancora la decisione non era stata formalizzata – esprime questa realtà.
Il piccolo evento non mancherà di far sentire i suoi effetti sul resto della sinistra europea.
In prossimità delle elezioni greche, infatti, come si schiererà la sinistra e il suo “popolo”?
A fianco di Tsipras in nome del “meno peggio” e, in fondo, della bontà del suo tentativo di limitare i danni e di tenere aperta la strada della riformabilità dell’euro?
Oppure, contro i contenuti fondamentali del Memorandum, quindi contro Syriza? Si potrebbe assistere anche all’effetto paradossale di un sostegno a Tsipras dato sia dalle forze più moderate del socialismo europeo, compreso il Pd che da quelle che invece si collocano all’opposizione. Vedremo.
La scelta di Tsipras ha certo il merito di restituire la parola al popolo e quindi di offrire una nuova occasione democratica ai greci anche se non è detto che questa venga pienamente raccolta.
Potrebbero prevalere, infatti, la stanchezza e la disillusione.
In ogni caso costituisce un giro di boa nella sua traiettoria politica. Chiedere il voto in nome dell’accordo siglato a luglio – 86 miliardi per un piano di tagli allo stato sociale e privatizzazioni mai viste prime – significa cambiare la base programmatica di Syriza e quindi la sua natura.
La sensazione è che il partito della sinistra greca abbia finito per occupare lo spazio lasciato libero dal Pasok e di averne introiettato la linea politica.
Più per necessità che per scelta perché è vero che Tsipras è rimasto solo – ma quale sinistra consistente sarebbe dovuta correre in suo aiuto? Matteo Renzi? – e alla fine i rapporti di forza, sociali, istituzionali, hanno pesato contro il suo tentativo di piegare l’Unione europea.
Che invece ha piegato lui.
Il limite del tentativo, però, è stato proprio quello di sottovalutare quei rapporti di forza.
Limite che, del resto, in scala minore, ha prodotto la crisi verticale della sinistra radicale italiana.
Tsipras ha pensato di potercela fare a strappare un risultato sul tavolo della trattativa europea, ha sperato che coloro che, a parole, parlano di fine della dittatura dell’euro e dei mercati battessero un colpo, ma si è sbagliato.
Con tutte le conseguenze che ormai sono note.
Così, le elezioni serviranno, come ha spiegato lo stesso Tsipras nel suo discorso in televisione, ad approvare o meno l’accordo con l’Eurogruppo, a ratificare quel Memorandum che rappresenta “il miglior accordo possibile”.
Lo fa anche perché, come spiegano i suoi oppositori, “il tempo gioca contro di lui”.
Il voto, infatti, arriverà prima che le misure di austerità facciano il loro corso e dispieghino i loro effetti.
E, intanto, cercherà di non dare il tempo a Panagiotis Lafazanis e compagni di prendere forza e impedirgli di rivincere le elezioni.
Gli ultimi sondaggi lo davano lo scorso mese ancora intorno al 40%, una base che potrebbe dare fiato, come spera la Commissione europea, a una nuova alleanza politica con il Pasok o con Potami, le voci del progressismo europeista. Un nuovo governo basato anche sull’ipotesi, rilanciata ieri da Tsipras di un “quintetto” al posto della Troika, nella gestione del Memorandum.
Tsipras ha chiesto al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, un ruolo dell’europarlamento accanto a Fmi, Bce, Commissione europea e, all’ormai necessario Esm, per fornire una boccata di “democrazia” a un piano europeo in chiave progressista.
Resta la domanda per chi, fuori dalla Grecia, si sente o si dichiara di sinistra?
Bisogna fare il tifo per Tsipras e sperare che vinca le elezioni? Oppure sperare che alla sua sinistra ci sia una forte affermazione? O cos’altro?
E’ una domanda astratta, certo, ma la risposta aiuta a capire che tipo di politica si vuole perseguire e quali programmi si vogliono sostenere.
La vicenda non va liquidata con le solite battute sullo scissionismo compulsivo, perché stavolta c’è in ballo il destino di un popolo, quello greco.
Ma anche le sorti di quella sinistra che non vuole piegarsi ai compromessi del socialismo liberale.
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
La vox populi
traurig • 32 minuti fa
"...quella sinistra che non vuole piegarsi ai compromessi del SOCIALISMO LIBERALE." ???
L'uso e l'abuso di neologismi servono solo a confondere le idee.
Corbyn sta riportando il discorso della sinistra sui binari corretti della socialdemocrazia, che pragmaticamente si adatta alle esigenze del mondo reale, senza perdere di vista gli interessi della maggioranza dei cittadini.
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LE STRANEZZE DELLA VITA
Durante la Prima Repubblica, osservando l'operato dei socialdemocratici di Sarà gat o Sarà kan, ti veniva voglia di sputargli in un occhio.
I vecchietti come pancho e Paolo11, (non conosco l'età di erding, di iospero, di aaaa42) se lo ricorderanno.
Da queste parti ne hanno fatte di cotte e di crude come ricattare il Psi preparando una cambiale da 2 milioni di lire di 40 anni fa, pronta da mandare all'incasso se i socialisti non facevano quello che volevano loro.
ADESSO SIAMO TUTTI SOCIALDEMOCRATICI.
Alla faccia del bicarbonato di sodio (totò).
traurig • 32 minuti fa
"...quella sinistra che non vuole piegarsi ai compromessi del SOCIALISMO LIBERALE." ???
L'uso e l'abuso di neologismi servono solo a confondere le idee.
Corbyn sta riportando il discorso della sinistra sui binari corretti della socialdemocrazia, che pragmaticamente si adatta alle esigenze del mondo reale, senza perdere di vista gli interessi della maggioranza dei cittadini.
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LE STRANEZZE DELLA VITA
Durante la Prima Repubblica, osservando l'operato dei socialdemocratici di Sarà gat o Sarà kan, ti veniva voglia di sputargli in un occhio.
I vecchietti come pancho e Paolo11, (non conosco l'età di erding, di iospero, di aaaa42) se lo ricorderanno.
Da queste parti ne hanno fatte di cotte e di crude come ricattare il Psi preparando una cambiale da 2 milioni di lire di 40 anni fa, pronta da mandare all'incasso se i socialisti non facevano quello che volevano loro.
ADESSO SIAMO TUTTI SOCIALDEMOCRATICI.
Alla faccia del bicarbonato di sodio (totò).
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