Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
SINISTRA, L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS: SUBITO LA COSTITUENTE DEL NUOVO SOGGETTO POLITICO
QUI IL DOCUMENTO POLITICO APPROVATO DOMENICA DAL COORDINAMENTO NAZIONALE DE L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS
Domenica scorsa si è tenuta a Roma una riunione del Comitato nazionale de L’Altra Europa con Tsipras, conclusasi con l’approvazione di un documento in cui viene riproposto il tema dell’avvio di «un processo costituente» per la costruzione di una forza e di una soggettività politica nuova che «abbia l’ambizione di essere alternativa al quadro politico esistente, a quello delle larghe intese tra popolari e socialisti in Europa, e a quello italiano in cui il renzismo ha ormai cancellato non solo le figure ma il concetto stesso della tradizione di sinistra».
«Abbiamo detto già molte – troppe – volte che “il tempo è ora”. Dobbiamo dire oggi che “siamo già oltre”». Questa la convinzione dell’Altra Europa con Tsipras, che chiede a tutti i suoi interlocutori politici e sociali, anche ad importanti personalità, un «pubblico impegno», solenne, prima del mese di agosto, a dare concretamente inizio ad «un processo partecipato e democratico, ampio, includente, capace di coinvolgere la moltitudine estesa di chi non sopporta più lo stato di cose esistente e non vuole limitarsi alla testimonianza». Ciò, anche in considerazione del fatto che «l’unico antidoto in grado di resistere alla deriva fascistoide e alla mobilitazione del disumano dentro la crisi europea è l’esistenza di una sinistra forte, radicata e radicale, determinata e con chiarezza alternativa all’intero paradigma neo-liberista».
«L’adesione a tale processo di tutte le esperienze organizzate che si muovono alla sinistra del PD – prosegue il documento – ne è la condizione necessaria, perché senza un segnale di superamento dell’attuale frammentazione non c’è credibilità. Ma non sufficiente, perché senza la costruzione di una road map fatta soprattutto di lotte e mobilitazioni, e senza un radicamento sociale, non si uscirebbe dall’ambito penitenziale della irrilevanza. Per questo il “tavolo” con cui lavorare dovrà essere ampio, molto più esteso di noi, di quello costituito dalle sole forze politiche organizzate e dei nostri tradizionali interlocutori. E non dovrà stare nel chiuso di una stanza, ma estendersi ai “luoghi della vita” e ai territori. In quella sede si definiranno le tappe e le caratteristiche del processo costituente, che non potrà ricalcare le forme verticistiche e pattizie di esperienze come “Sinistra Arcobaleno” o “Rivoluzione civile”, ma riprendere l’ispirazione che ci ha unito nel progetto dell’Altra Europa con Tsipras».
In questo senso dovrà essere chiaro l’ancoraggio alla dimensione europea ed internazionale: «costruiamo questo processo in una cornice esplicitamente internazionale, nello spazio europeo in cui si muovono forze come Syriza e Podemos, con le quali giungere a esplicite dichiarazioni d’intenti comuni». Riguardo alla forma politica, l’idea è che «la casa comune dovrà tenere insieme forme diverse del fare politica, dell’agire sociale e culturale, della costruzione della rappresentanza, della democrazia diretta, della partecipazione e costruzione del conflitto e delle pratiche mutualistiche. Dunque non un partito unico ma una casa in cui stiano insieme molteplici forme di attivazione e di adesione».
«Spetta a noi – conclude il documento – che ci siamo posti fin dall’inizio il problema della rappresentanza politica come nodo cruciale della crisi di sistema italiana, la responsabilità, grande, di lavorare per superare l’ostacolo dei molteplici progetti concorrenziali a sinistra e creare le condizioni di una coalizione politica e sociale capace di competere – come in Grecia e in Spagna – per una reale alternativa di governo».
(L’articolo di commento è stato publicato su Scenari Globali)
QUI IL DOCUMENTO POLITICO APPROVATO DOMENICA DAL COORDINAMENTO NAZIONALE DE L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS
Domenica scorsa si è tenuta a Roma una riunione del Comitato nazionale de L’Altra Europa con Tsipras, conclusasi con l’approvazione di un documento in cui viene riproposto il tema dell’avvio di «un processo costituente» per la costruzione di una forza e di una soggettività politica nuova che «abbia l’ambizione di essere alternativa al quadro politico esistente, a quello delle larghe intese tra popolari e socialisti in Europa, e a quello italiano in cui il renzismo ha ormai cancellato non solo le figure ma il concetto stesso della tradizione di sinistra».
«Abbiamo detto già molte – troppe – volte che “il tempo è ora”. Dobbiamo dire oggi che “siamo già oltre”». Questa la convinzione dell’Altra Europa con Tsipras, che chiede a tutti i suoi interlocutori politici e sociali, anche ad importanti personalità, un «pubblico impegno», solenne, prima del mese di agosto, a dare concretamente inizio ad «un processo partecipato e democratico, ampio, includente, capace di coinvolgere la moltitudine estesa di chi non sopporta più lo stato di cose esistente e non vuole limitarsi alla testimonianza». Ciò, anche in considerazione del fatto che «l’unico antidoto in grado di resistere alla deriva fascistoide e alla mobilitazione del disumano dentro la crisi europea è l’esistenza di una sinistra forte, radicata e radicale, determinata e con chiarezza alternativa all’intero paradigma neo-liberista».
«L’adesione a tale processo di tutte le esperienze organizzate che si muovono alla sinistra del PD – prosegue il documento – ne è la condizione necessaria, perché senza un segnale di superamento dell’attuale frammentazione non c’è credibilità. Ma non sufficiente, perché senza la costruzione di una road map fatta soprattutto di lotte e mobilitazioni, e senza un radicamento sociale, non si uscirebbe dall’ambito penitenziale della irrilevanza. Per questo il “tavolo” con cui lavorare dovrà essere ampio, molto più esteso di noi, di quello costituito dalle sole forze politiche organizzate e dei nostri tradizionali interlocutori. E non dovrà stare nel chiuso di una stanza, ma estendersi ai “luoghi della vita” e ai territori. In quella sede si definiranno le tappe e le caratteristiche del processo costituente, che non potrà ricalcare le forme verticistiche e pattizie di esperienze come “Sinistra Arcobaleno” o “Rivoluzione civile”, ma riprendere l’ispirazione che ci ha unito nel progetto dell’Altra Europa con Tsipras».
In questo senso dovrà essere chiaro l’ancoraggio alla dimensione europea ed internazionale: «costruiamo questo processo in una cornice esplicitamente internazionale, nello spazio europeo in cui si muovono forze come Syriza e Podemos, con le quali giungere a esplicite dichiarazioni d’intenti comuni». Riguardo alla forma politica, l’idea è che «la casa comune dovrà tenere insieme forme diverse del fare politica, dell’agire sociale e culturale, della costruzione della rappresentanza, della democrazia diretta, della partecipazione e costruzione del conflitto e delle pratiche mutualistiche. Dunque non un partito unico ma una casa in cui stiano insieme molteplici forme di attivazione e di adesione».
«Spetta a noi – conclude il documento – che ci siamo posti fin dall’inizio il problema della rappresentanza politica come nodo cruciale della crisi di sistema italiana, la responsabilità, grande, di lavorare per superare l’ostacolo dei molteplici progetti concorrenziali a sinistra e creare le condizioni di una coalizione politica e sociale capace di competere – come in Grecia e in Spagna – per una reale alternativa di governo».
(L’articolo di commento è stato publicato su Scenari Globali)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LA COALIZIONE SOCIALE E IL SOCIALISMO
a mio avviso dobbiamo partire dal disastro grecia la piu grande sconfitta della sinistra a livello europeo. dobbiamo ragionare su una antropologia della politica.
la nuova politica la fa il sociale chi si batte per dare da mangiare agli affamati, andiamo in piazza e costruiamo mense sociali, diamo la sanità gratuita a tutti, organizziamo dopo scuola gratuiti, in questo senso nella area della sinistra socialista di ispirazione marxista in italia e evidente che ci sono gravi errori. e inutile nasconderlo. la politica la fanno i soggetti sociali. i soggetti sociali tutti compreso la destra sociale. la nuova classe politica deve essere espressione dei soggetti sociali, lo chef della mensa, l infermiere e il medico l insegnate l artigiano il commerciante l avvocato che assistono gratuitamente o semigratuitamente i nuovi proletari e la ex classe media
il disastro greco ci dice pero una cosa la sinistra non puo essere la caritas, la coscienza politica trasforma il presente tramite progettualita e programmi. in grecia e mancata la coscienza politica l elaborazione del progetto diaciamo l autonomia sociale non e diventata progetto politico. in grecia si e ripetuto il flop di autonomia operaia in italia con altri linguaggi e stili. in grecia e mancato il marxismo scientifico cioe e mancato il socialismo. la sinistra da subito deve porsi il problema del superamento dell euro non come moneta di conto ma come sistema di relazioni sociali tra stati, e qui la sconfitta greca rischia di portaci ad una sconfitta in spagna. quindi no all ideologismo no euro si alle politiche di superamento euro che vuol dire tante cose sperimentali, doppia moneta, moneta comunale, moneta fiscale, pagherò, buoni alimentari MA ANCHE UNA NUOVA MONETA EUROMED che escluda la germania. unita della sinistra si fa contro i sostenitori dell euro che sono i neoliberisti.
la questione fassina e una piccola questione e evidente che i alcuni compagni stanno sbagliando. noi socialisti dobbiamo costruire una grande alleanza di popolo anche con l destra sociale per un nuovo sistema economico sociale basato su teoria dei bisogni , programmazione economica e econometria. fassina e poi arriveranno bersani e d alema e tanti altri , fermiamoci a vladimiro lenin che si alleo con i borghesi repubblicani di destra per cacciare lo zar , e noi non possiamo che avere come compagni di strada fassina bersani d alema e tanti altri, detto questo mi sembra che alcuni compagni socialisti siano fuori strada , piu ministeriali di bettino craxi uomo di potere che prendeva a calci i socialisti ministeriali.
a mio avviso dobbiamo partire dal disastro grecia la piu grande sconfitta della sinistra a livello europeo. dobbiamo ragionare su una antropologia della politica.
la nuova politica la fa il sociale chi si batte per dare da mangiare agli affamati, andiamo in piazza e costruiamo mense sociali, diamo la sanità gratuita a tutti, organizziamo dopo scuola gratuiti, in questo senso nella area della sinistra socialista di ispirazione marxista in italia e evidente che ci sono gravi errori. e inutile nasconderlo. la politica la fanno i soggetti sociali. i soggetti sociali tutti compreso la destra sociale. la nuova classe politica deve essere espressione dei soggetti sociali, lo chef della mensa, l infermiere e il medico l insegnate l artigiano il commerciante l avvocato che assistono gratuitamente o semigratuitamente i nuovi proletari e la ex classe media
il disastro greco ci dice pero una cosa la sinistra non puo essere la caritas, la coscienza politica trasforma il presente tramite progettualita e programmi. in grecia e mancata la coscienza politica l elaborazione del progetto diaciamo l autonomia sociale non e diventata progetto politico. in grecia si e ripetuto il flop di autonomia operaia in italia con altri linguaggi e stili. in grecia e mancato il marxismo scientifico cioe e mancato il socialismo. la sinistra da subito deve porsi il problema del superamento dell euro non come moneta di conto ma come sistema di relazioni sociali tra stati, e qui la sconfitta greca rischia di portaci ad una sconfitta in spagna. quindi no all ideologismo no euro si alle politiche di superamento euro che vuol dire tante cose sperimentali, doppia moneta, moneta comunale, moneta fiscale, pagherò, buoni alimentari MA ANCHE UNA NUOVA MONETA EUROMED che escluda la germania. unita della sinistra si fa contro i sostenitori dell euro che sono i neoliberisti.
la questione fassina e una piccola questione e evidente che i alcuni compagni stanno sbagliando. noi socialisti dobbiamo costruire una grande alleanza di popolo anche con l destra sociale per un nuovo sistema economico sociale basato su teoria dei bisogni , programmazione economica e econometria. fassina e poi arriveranno bersani e d alema e tanti altri , fermiamoci a vladimiro lenin che si alleo con i borghesi repubblicani di destra per cacciare lo zar , e noi non possiamo che avere come compagni di strada fassina bersani d alema e tanti altri, detto questo mi sembra che alcuni compagni socialisti siano fuori strada , piu ministeriali di bettino craxi uomo di potere che prendeva a calci i socialisti ministeriali.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
aaaa42 ha scritto:LA COALIZIONE SOCIALE E IL SOCIALISMO
a mio avviso dobbiamo partire dal disastro grecia la piu grande sconfitta della sinistra a livello europeo. dobbiamo ragionare su una antropologia della politica.
la nuova politica la fa il sociale chi si batte per dare da mangiare agli affamati, andiamo in piazza e costruiamo mense sociali, diamo la sanità gratuita a tutti, organizziamo dopo scuola gratuiti, in questo senso nella area della sinistra socialista di ispirazione marxista in italia e evidente che ci sono gravi errori. e inutile nasconderlo. la politica la fanno i soggetti sociali. i soggetti sociali tutti compreso la destra sociale. la nuova classe politica deve essere espressione dei soggetti sociali, lo chef della mensa, l infermiere e il medico l insegnate l artigiano il commerciante l avvocato che assistono gratuitamente o semigratuitamente i nuovi proletari e la ex classe media
il disastro greco ci dice pero una cosa la sinistra non puo essere la caritas, la coscienza politica trasforma il presente tramite progettualita e programmi. in grecia e mancata la coscienza politica l elaborazione del progetto diaciamo l autonomia sociale non e diventata progetto politico. in grecia si e ripetuto il flop di autonomia operaia in italia con altri linguaggi e stili. in grecia e mancato il marxismo scientifico cioe e mancato il socialismo. la sinistra da subito deve porsi il problema del superamento dell euro non come moneta di conto ma come sistema di relazioni sociali tra stati, e qui la sconfitta greca rischia di portaci ad una sconfitta in spagna. quindi no all ideologismo no euro si alle politiche di superamento euro che vuol dire tante cose sperimentali, doppia moneta, moneta comunale, moneta fiscale, pagherò, buoni alimentari MA ANCHE UNA NUOVA MONETA EUROMED che escluda la germania. unita della sinistra si fa contro i sostenitori dell euro che sono i neoliberisti.
la questione fassina e una piccola questione e evidente che i alcuni compagni stanno sbagliando. noi socialisti dobbiamo costruire una grande alleanza di popolo anche con l destra sociale per un nuovo sistema economico sociale basato su teoria dei bisogni , programmazione economica e econometria. fassina e poi arriveranno bersani e d alema e tanti altri , fermiamoci a vladimiro lenin che si alleo con i borghesi repubblicani di destra per cacciare lo zar , e noi non possiamo che avere come compagni di strada fassina bersani d alema e tanti altri, detto questo mi sembra che alcuni compagni socialisti siano fuori strada , piu ministeriali di bettino craxi uomo di potere che prendeva a calci i socialisti ministeriali.
Antò, prova a leggere che dice Enzo Scandurra su Il Manifesto di oggi:
LA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA
Per ricostruire la sinistra
serve un popolo delle carriole
di Enzo Scandurra
Che ci sia (o meglio, che ci potrebbe essere) "vita a sinistra" è quasi "naturale" considerato come va il mondo, ovvero verso una rotta di collisione inevitabile con l’ambiente, la povertà diffusa, l’esodo inevitabile di masse enormi di popolazione dai territori devastati da guerre, carestie, siccità. Ma rimanendo alle disgraziate sorti italiche, se poco poco si ascoltano i rappresentanti delle giovani generazioni, si ha la sensazione che nessuno creda più a una qualche possibilità collettiva
di riscatto, di alternativa.
Circolano perfino mitologie antropologiche sulla dannazione della specie umana, come a dire: l’uomo è fatto così, le guerre sono inevitabili, la povertà di molti è necessaria al funzionamento dell’economia.
Basta osservare, per convincersi della diffusione di questo virus, l’atteggiamento di tante (troppe) persone qualunque
nei riguardi degli esodi di massa dai paesi che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo: non possiamo accoglierli
tutti - si dice nel migliore dei casi -,finiremmo col diventare come loro, ci rubano il lavoro (che non c’è).
E poi ancora, a me sgomenta il fatto che il Papa venga oscurato; i suoi messaggi compaiono come trafiletti nei media nazionale; quelli internazionali neppure lo citano: non era mai successo in passato.
C’è di che rassegnarsi a una estinzione di massa per asfissia culturale, per impotenza politica, per disperazione.
"Speriamo che io me la cavo" sembra essere il motto delle nuove generazioni.
Non può certo stupire il successo di Renzi: è pur sempre meglio credere alla befana che rassegnarsi alla cruda realtà
che costei non esista.
E a vedere i telegiornali il quadro si incupisce ancora di più: beghe condominiali, litigi personali, leaderismo occupano l’intero
spazio politico, quello dal quale dovrebbe nascere il progetto di futuro.
Ha ragione Bevilacqua a dire (il manifesto dell’8 agosto) che la sinistra è oggi una testa senza gambe.
Le gambe, quando ci sono, camminano da sole senza testa, e la testa ancora non si accorge di non avere le gambe, o forse più cinicamente pensa di non averne più bisogno come in quei romanzi di fantascienza dove si parla di immaginarie
menti senza l’ingombro del corpo che partoriscono pensieri e comandi.
Questo il punto cruciale all’ordine del giorno della politica.
Così come ha ragione Michele Prospero (il manifesto del 4 agosto) a dire che la minoranza Pd, piaccia o no, è molto utile al gioco del partito della nazione fornendo la sua maldestra stampella all’esercito dei vincenti.
Chi mai, tra i giovani (e anche tra i non giovani) può credere ad essa? Se vogliamo continuare con i tentativi di suicidio, facciamo pure un nuovo partito, inventiamoci un nuovo leader per avere l’illusione di esistere ancora.
Tutto ciò che resta dell’attuale sinistra non è più credibile agli occhi di nessuno, quando essa non viene addirittura ritenuta la responsabile degli attuali guai nostrani per averci illuso – e ingannato - che esisteva un altro mondo diverso da questo.
Per esperienza personale posso citare la questione drammatica dell’università.
Tra i vecchi docenti impegnati, molti hanno fatto domanda di pensionamento anticipato, altri, pur restando, vivono in solitudine
senza impegno a curare i propri (legittimi) interessi di ricerca.
Un’intera classe dirigente ha dato forfait: chi può scappa, chi rimane tace diffidando dell’impegno politico, mentre l’ideologia liberista meritocratica si diffonde alla velocità della luce attraverso il disbrigo quotidiano di schede da riempire e valutazioni da fare per dimostrare di essere i "migliori" e accedere alle graduatorie nazionali e internazionali.
Se vuoi avere successo parla pure in italiano (ancora è consentito) ma scrivi in inglese e su riviste che sono accreditate da improponibili agenzie di valutazione pagate a peso d’oro dalle istituzioni.
Un intero sistema formativo essenziale per lo sviluppo del paese è stato smantellato nel giro di pochi anni e ancor di più minaccia di esserlo prossimamente.
Servirebbe, come è successo a L’Aquila, un popolo delle carriole che cominci a raccogliere i cocci dello sviluppo e con quelle
macerie iniziare a costruire nuove architetture come si faceva con le cattedrali gotiche, quando ancora la figura dell’Architetto
non era nata.
C’erano però i Mastri che con la loro sapienza guidavano i lavori, inventando di volta in volta e collettivamente le forme e le soluzioni tecniche quando comparivano problemi.
Bisognerebbe che poi le carriole, con il loro corredo di rovine, confluissero verso una stessa direzione anziché andarsene a spasso ognuna per suo conto.
In un altro mondo, quello che noi vorremmo, a quello sconosciuto migrante che ha attraversato a piedi il tunnel sotto La Manica sfidando cavi ad alta tensione e treni ad alta velocità, avremmo attribuito una medaglia d’oro: è lui il vero maratoneta delle Olimpiadi greche.
La risposta di Francia e Inghilterra è stata: ma dov’è la falla nei nostri sistemi di sicurezza?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
TROPPO TARDI PER CAMBIARE IL PD DA DENTRO
(GIUSEPPE CIVATI)
13/08/2015 di triskel182
Ho letto con interesse il pezzo di Antonio Padellaro che invita tutti coloro (sempre meno) che esprimono una posizione non-renziana nel Pd a rimanere nel partito, costi quel che costi, per evitare di passare dalla Juventus a squadre di serieB. Il pericolo,per Padellaro,è la marginalità tipo Psiup. Mi pare forzato il paragone tra le sorti della galassia socialista (nel bel mezzo) della Prima Repubblica e quanto accade oggi nella politica italiana, priva di riferimenti valoriali,capace di superare destra e sinistra (sport nazionale) per non collocarsi da nessuna parte e non rappresentare più nessuno. Ma non è questo il punto: per me è fondamentale il richiamo di Alessandro Robecchi, nella stessa pagina del giornale, quando – rispetto alle polemiche estive stainiane – sostiene che si tratti del “modo migliore per parlare d’altro, per spostare la discussione dalle cose vere a un piano aleatorio e teorico, dove vale tutto”.
DA QUESTO punto di vista il problema di rimanere nel Pd per esercitare una funzione di contrasto e di moderazione rispetto al renzismo è già fuori tempo massimo:si è già votata due volte la riforma costituzionale, si è assistito all’approvazione con fiducia della legge elettorale, si è passati dal Jobs Act allo Sblocca Italia (votato da tutti, salvo ‘scoprire’ che si tratta di trivelle, inceneritori e autostrade), si è assistito senza colpo ferire a una serie di casi molto spiacevoli (da Alfano ad Azzollini), si è fatta un’alleanza con Berlusconi e poi il patto del Nazareno (e poi il ripatto ), si è discusso – senza cambiare impostazione – delle franchigie per chi evade o truffa il fisco, si è dato il voto favorevole alla legge non sulla ma contro la Pubblica amministrazione, si è premiato l’impegno ventennale di Gasparri rispetto alla non-riforma della Rai, si è dimenticato Tsipras e sprecato il semestre europeo. Certo, poi ci sono le note positive: una legge sulle unioni civili che se mai sarà approvata porterà l’Italia al livello degli altri Paesi europei di dieci anni fa e forse, grazie a l l ’ i m p e g n o d i parlamentari totalmente svincolati dal governo, si farà una legge liberale per la legalizzazione della cannabis. Certo, l’Expo non è stata un disastro, anche se si è perso il tema di fondo:la fame,il M e d i t e r r a n e o , l’Africa e tutto quello che farebbe pensare a un ruolo dell’Italia sulla scena internazionale. Però Michelle Obama ha fatto da mangiare. Son cose. Queste sono le questioni di cui parlare e tutte insieme rappresentano un’idea di società. Che chi sostiene,sostiene.Punto.E che piace a destra, tanto che il dibattito da quelle parti è come e quanto abbracciare il moderato Renzi per governare per sempre, nel partito della nazione centrista e centralista, tagliando le estreme e le articolazioni che ne conseguono. E non si tratta solo di Verdini, amico intimo, ma di molti altri. IN QUESTO dibattito sulla sinistra, insomma,c’è una parola di troppo: sinistra.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 13/08/2015.
(GIUSEPPE CIVATI)
13/08/2015 di triskel182
Ho letto con interesse il pezzo di Antonio Padellaro che invita tutti coloro (sempre meno) che esprimono una posizione non-renziana nel Pd a rimanere nel partito, costi quel che costi, per evitare di passare dalla Juventus a squadre di serieB. Il pericolo,per Padellaro,è la marginalità tipo Psiup. Mi pare forzato il paragone tra le sorti della galassia socialista (nel bel mezzo) della Prima Repubblica e quanto accade oggi nella politica italiana, priva di riferimenti valoriali,capace di superare destra e sinistra (sport nazionale) per non collocarsi da nessuna parte e non rappresentare più nessuno. Ma non è questo il punto: per me è fondamentale il richiamo di Alessandro Robecchi, nella stessa pagina del giornale, quando – rispetto alle polemiche estive stainiane – sostiene che si tratti del “modo migliore per parlare d’altro, per spostare la discussione dalle cose vere a un piano aleatorio e teorico, dove vale tutto”.
DA QUESTO punto di vista il problema di rimanere nel Pd per esercitare una funzione di contrasto e di moderazione rispetto al renzismo è già fuori tempo massimo:si è già votata due volte la riforma costituzionale, si è assistito all’approvazione con fiducia della legge elettorale, si è passati dal Jobs Act allo Sblocca Italia (votato da tutti, salvo ‘scoprire’ che si tratta di trivelle, inceneritori e autostrade), si è assistito senza colpo ferire a una serie di casi molto spiacevoli (da Alfano ad Azzollini), si è fatta un’alleanza con Berlusconi e poi il patto del Nazareno (e poi il ripatto ), si è discusso – senza cambiare impostazione – delle franchigie per chi evade o truffa il fisco, si è dato il voto favorevole alla legge non sulla ma contro la Pubblica amministrazione, si è premiato l’impegno ventennale di Gasparri rispetto alla non-riforma della Rai, si è dimenticato Tsipras e sprecato il semestre europeo. Certo, poi ci sono le note positive: una legge sulle unioni civili che se mai sarà approvata porterà l’Italia al livello degli altri Paesi europei di dieci anni fa e forse, grazie a l l ’ i m p e g n o d i parlamentari totalmente svincolati dal governo, si farà una legge liberale per la legalizzazione della cannabis. Certo, l’Expo non è stata un disastro, anche se si è perso il tema di fondo:la fame,il M e d i t e r r a n e o , l’Africa e tutto quello che farebbe pensare a un ruolo dell’Italia sulla scena internazionale. Però Michelle Obama ha fatto da mangiare. Son cose. Queste sono le questioni di cui parlare e tutte insieme rappresentano un’idea di società. Che chi sostiene,sostiene.Punto.E che piace a destra, tanto che il dibattito da quelle parti è come e quanto abbracciare il moderato Renzi per governare per sempre, nel partito della nazione centrista e centralista, tagliando le estreme e le articolazioni che ne conseguono. E non si tratta solo di Verdini, amico intimo, ma di molti altri. IN QUESTO dibattito sulla sinistra, insomma,c’è una parola di troppo: sinistra.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 13/08/2015.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Guardiamo a ciò che succede in Inghilterra
Il compagno Corbyn divide i laburisti. Blair: distrugge il partito
È in testa ai sondaggi per le primarie del 12 settembre. Per le sue posizioni radicali si rischia una scissione
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA. "Da Marx abbiamo molto da imparare". Pronunciata durante il più popolare talk-show politico della Bbc , la battuta di Jeremy Corbyn è finita sulle prime pagine di tutti i giornali del regno. L'omaggio al padre del comunismo non è solo un modo di dire: il 66enne deputato laburista propone di nazionalizzare le ferrovie, la posta e l'energia elettrica, reintrodurre nella costituzione del Labour la vecchia clausola del 1918 sul "possesso pubblico dei mezzi di produzione" (cancellata da Blair vent'anni fa), aumentare le tasse ai ricchi, abolire l'austerità e stringere alleanze con la Russia.
Esistono esponenti radicali, o estremisti come li chiamerebbe qualcuno, nella sinistra di tutti i grandi paesi europei. La differenza è che in Gran Bretagna, nel giro di un mese, Corbyn può diventare leader del proprio partito e dunque aspirare a essere eletto, nel 2020, primo ministro. Un sondaggio pubblicato dal Times sulle primarie laburiste che si concluderanno il 12 settembre gli assegna il 43 per cento dei consensi, con 16 punti di vantaggio sul parlamentare Andrew Burnham, che arriva al 26 per cento, e un margine anche maggiore sugli altri due candidati, le deputate Yvette Cooper (20%) e Liz Kendall (16).
Era lecito immaginare che il partito laburista, dopo avere perso due elezioni consecutive (con Gordon Brown nel 2010 e con Ed Miliband nel maggio scorso) su posizioni a sinistra del blairismo, tornasse a una linea più moderata per cercare di vincere alla prossima occasione. Invece ora si intravede la concreta possibilità che possa svoltare ancora più a sinistra. Quando è cominciata a emergere l'ipotesi di una vittoria di Corbyn, il quotidiano filo-conservatore Daily Telegraph ha incitato in modo semiserio i propri lettori a iscriversi al Labour, votare Corbyn "e così distruggere il partito": l'opinione dominante, infatti, è che i laburisti, guidati da un leader su posizioni di sinistra classiche e vecchio stampo, non vincerebbero mai un'elezione generale. Parere condiviso da Tony Blair, che ammonisce: "Il Labour è minacciato da un pericolo mortale. Se Corbyn diventa leader non andremo incontro soltanto a una sconfitta: verremo annientati. Vi prego, anche se detestate me non spingete il partito nel precipizio, fermate Corbyn prima che sia troppo tardi".
Ma la sua candidatura ha fatto crescere le iscrizioni tra i giovani, gli esperti di media gli riconoscono doti di autenticità e carisma che mancano ai suoi avversari, il Guardian scrive che "parla come un essere umano, di problemi reali" e il premio Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz lo difende: "Non c'è niente di strano nel fatto che piaccia, ovunque la gente è stanca di partiti di centrosinistra che mettono l'accento sulla parola "centro", facendo una politica che è la copia appena un po' meno liberista di quella conservatrice". Commenta l'Economist : "Dopo l'avvento di Tsipras in Grecia, sarà il Labour britannico a continuare l'ondata del populismo di sinistra in Europa?".
Una cosa è certa: il partito laburista è spaccato come e più che ai tempi della rivalità fra Blair e Brown. Circolano voci di una scissione nel caso che Corbyn vinca le primarie o di piani della dirigenza del Labour per orchestrare un "golpe" contro Corbyn dopo le primarie, in modo da togliergli la leadership prima delle elezioni del 2020, magari richiamando come salvatore della patria l'ex-ministro degli Esteri David Miliband, blairiano di ferro, fratello maggiore di Ed. E intanto Karl Marx, dal cimitero di Highgate su una collina di Londra, probabilmente sorride.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
Certamente lasciando da parte questi
Sentite...sentite. Spero che tutto dipenda da problemi di vecchiaia altrimenti non so che dire
Staino, Jovanotti e gli ‘intellettuali’ italiani
di Andrea Scanzi | 12 agosto 2015
Per colpa di Dagospia ho letto un articolo uscito ne L’Unità. E’ una responsabilità che Dago ha spesso: se non li pubblicasse non li leggerebbe nessuno. Neanche i giornalisti stessi de L’Unità, che – giustamente – sono quasi sempre i primi a vergognarsene.
Il delirio livido di Sergio Staino contro Gianni Cuperlo è già stato stigmatizzato da più parti. Frasi come “Renzi è quanto di più progressista si possa avere in Italia in questo momento storico” e la leggendaria “state uccidendo la sinistra” (rivolta a Cuperlo: mica a Renzi) sono un mix tra stalinismo e follia che renderebbe felice tanto Zdanov quanto Basaglia.
Travaglio ha ricordato che Staino era così anche prima: non è cambiato lui, ma il padrone a cui obbedire. Staino, se non altro, ha il merito di avere sempre esternato questo suo insopprimibile stalinismo. Merita solidarietà: per uno convinto di aver fatto satira fino a ieri, ridursi ultrà di Faraone e Orfini è un contrappasso oltremodo doloroso. Gli siamo vicini. Staino, del resto, è sempre stato un Altan con meno talento e contenutisticamente “catto-comunista”. Il suo Bobo, se potesse, si dissocerebbe dal suo stesso autore per chiedere a Vauro di farsi disegnare da lui.
Travaglio ha raccontato di quando, con fiero piglio dogmatico, Staino rampognò anni fa Sabina Guzzanti per avere osato imitare l’inattaccabile – e si presume sacro – D’Alema. Già questo dà la misura dell’apertura mentale del “satirico” Staino. C’è però un altro aspetto che, se possibile, mette ancora più tristezza. Più passa il tempo e più penso, da uomo di sinistra (e dunque in questo distante da Marco), che abbiamo avuto anche noi la colpa di sopravvalutare tanti “intellettuali”. Nanni Moretti, quello che ieri faceva i girotondi e oggi è più pigro, diceva che non si poteva pretendere molto da leader politici “cresciuti con Happy Days”. Si può però asserire lo stesso di larga parte dell’intellighenzia sinistrorsa. La quale, anche dieci e venti anni fa, era già – troppo spesso – fastidiosamente ortodossa, contenutisticamente banale e intellettualmente esangue.
Ho conosciuto Staino anch’io. Persona educata, garbata, piacevole. Avevamo appena visto, al Teatro Puccini di Firenze, uno spettacolo di Giulio Casale ispirato a Fernanda Pivano. Credo fosse il 2010. Andammo poi a cena. Quando Casale e io osammo palesare la nostra stima per Gaber, Staino ci crivellò definendo il Signor G “populista” e “qualunquista”. La solita accusa, bolsa e vile, con cui i polli di allevamento – e L’Unità stessa, con un articolo imbarazzante di Luca Canali – insultarono a più riprese uno dei più grandi pensatori italiani (con l’inseparabile Sandro Luporini) del Novecento. Per nulla stupito, chiesi allora al compagno Staino quali “intellettuali” lo stimolassero in quel periodo. La sua risposta, lungi di nuovo dallo stupirmi, fu emblematica: “Mi piace molto Jovanotti, la sua ultima canzone per il bel film di Muccino (Baciami ancora, NdA) è straordinaria”. Capito? Per Staino, uno dei tanti renziani prima ancora che arrivasse Renzi, gli intellettuali erano quelli: Jovanotti e Muccino. Di lì a poco, prima di lasciare nel 2011 La Stampa (che, per non farmi far danni, mi aveva nel frattempo spedito in giro per il mondo a scrivere di moto), Mario Calabresi mi fece lo stesso nome come grande intellettuale contemporaneo: “Jovanotti”. Mica Bobbio o Popper: Jovanotti. Sticazzi.
Ed ecco qual è forse il punto. Non tanto che gli Staino e i Lerner voterebbero Pd anche se inseguisse le stesse cose (anzi peggio) che inseguiva Berlusconi. Quello lo sapevamo già e lo vediamo ogni giorno. Il punto è che molti – non tutti – “intellettuali” e artisti cari alla sinistra italica, a conti fatti, erano culturalmente pavidi. Deboli. Anzitempo svuotati.
Qualche giorno fa ero in Calabria per un Premio Letterario a Caccuri. Posto, e contesto, meravigliosi. C’era anche Claudio Martelli, che – pur incarnando una sinistra da me assai distante – in confronto a questi pesci piccolissimi assurge come minimo a Churchill. Piccata oltremodo per le critiche al renzismo espresse da me e da lui, il sindaco (renziana) ha detto a tavola che “De Luca è il miglior sindaco d’Italia”. Poi è salita sul palco rivendicando di essere felicemente democristiana, scomunicando i reprobi (non usando questa parola perché non la conosce, ma il senso era quello) e dicendosi orgogliosa di appartenere al partito delle Boschi e delle Madia. Sperava di essere salutata da un’ovazione, ma ha ricevuto lo stesso apprezzamento del Principe Filiberto a Sanremo. Una scena meravigliosa. Qualcuno potrebbe pensare che, di fronte a cotanta smisurata pochezza politica, Staino e la sua claque di illuminati provino ora imbarazzo e si riducano a votarli quasi controvoglia. Al contrario: è la classe dirigente che si meritano. Si somigliano e dunque si pigliano. Staino non soffre nel votare la Boschi, non prova imbarazzo nel salvare Azzollini, non si vergogna all’idea di appoggiare chi sfascia la scuola pubblica: gli va bene così. E’ nell’ordine delle cose. Probabilmente, e sia pure in parte inconsciamente, ha sempre lavorato per uno scenario (asfittico) simile.
La colpa è anche nostra: credevamo che molti di loro fossero artisti, e addirittura “maestri”, quando spesso erano solo portaborse inconsapevoli. Di Pasolini e di Gaber, in Italia, ce ne son sempre stati pochi: gli Staino e i Jovanotti, al contrario, non sono mai mancati. Nel 1956 L’Unità (ancora lei) definì i ribelli ungheresi “teppisti”, “spregevoli provocatori” e “fascisti”. Alcuni, come Italo Calvino, si dimisero dal PCI. Altri, obbedendo al Lider Maximo Togliatti, appoggiarono la repressione sovietica. Ovviamente, di quella élite illuminata, faceva parte in prima fila anche Giorgio Napolitano. Così parlò Re Giorgio: “L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo”. Osiamo immaginare, e non è certo arduo supporlo, che quello stesso Napolitano sia uno dei presidenti della Repubblica preferiti dal compagno Staino (e dall’intellettuale Jovanotti). Tutto si tiene, tutto si spiega. E se la sinistra italiana, ancor più dalla morte di Enrico Berlinguer in poi, ha quasi sempre deluso – per non dire fatto schifo – è anche perché i “maestri” erano spesso colpevolmente fedeli alla linea e culturalmente labili. E noi ce ne siamo accorti troppo tardi. O troppo tardi lo abbiamo voluto ammettere.
di Andrea Scanzi | 12 agosto 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08 ... i/1954103/
Certamente lasciando da parte questi
Sentite...sentite. Spero che tutto dipenda da problemi di vecchiaia altrimenti non so che dire
Staino, Jovanotti e gli ‘intellettuali’ italiani
di Andrea Scanzi | 12 agosto 2015
Per colpa di Dagospia ho letto un articolo uscito ne L’Unità. E’ una responsabilità che Dago ha spesso: se non li pubblicasse non li leggerebbe nessuno. Neanche i giornalisti stessi de L’Unità, che – giustamente – sono quasi sempre i primi a vergognarsene.
Il delirio livido di Sergio Staino contro Gianni Cuperlo è già stato stigmatizzato da più parti. Frasi come “Renzi è quanto di più progressista si possa avere in Italia in questo momento storico” e la leggendaria “state uccidendo la sinistra” (rivolta a Cuperlo: mica a Renzi) sono un mix tra stalinismo e follia che renderebbe felice tanto Zdanov quanto Basaglia.
Travaglio ha ricordato che Staino era così anche prima: non è cambiato lui, ma il padrone a cui obbedire. Staino, se non altro, ha il merito di avere sempre esternato questo suo insopprimibile stalinismo. Merita solidarietà: per uno convinto di aver fatto satira fino a ieri, ridursi ultrà di Faraone e Orfini è un contrappasso oltremodo doloroso. Gli siamo vicini. Staino, del resto, è sempre stato un Altan con meno talento e contenutisticamente “catto-comunista”. Il suo Bobo, se potesse, si dissocerebbe dal suo stesso autore per chiedere a Vauro di farsi disegnare da lui.
Travaglio ha raccontato di quando, con fiero piglio dogmatico, Staino rampognò anni fa Sabina Guzzanti per avere osato imitare l’inattaccabile – e si presume sacro – D’Alema. Già questo dà la misura dell’apertura mentale del “satirico” Staino. C’è però un altro aspetto che, se possibile, mette ancora più tristezza. Più passa il tempo e più penso, da uomo di sinistra (e dunque in questo distante da Marco), che abbiamo avuto anche noi la colpa di sopravvalutare tanti “intellettuali”. Nanni Moretti, quello che ieri faceva i girotondi e oggi è più pigro, diceva che non si poteva pretendere molto da leader politici “cresciuti con Happy Days”. Si può però asserire lo stesso di larga parte dell’intellighenzia sinistrorsa. La quale, anche dieci e venti anni fa, era già – troppo spesso – fastidiosamente ortodossa, contenutisticamente banale e intellettualmente esangue.
Ho conosciuto Staino anch’io. Persona educata, garbata, piacevole. Avevamo appena visto, al Teatro Puccini di Firenze, uno spettacolo di Giulio Casale ispirato a Fernanda Pivano. Credo fosse il 2010. Andammo poi a cena. Quando Casale e io osammo palesare la nostra stima per Gaber, Staino ci crivellò definendo il Signor G “populista” e “qualunquista”. La solita accusa, bolsa e vile, con cui i polli di allevamento – e L’Unità stessa, con un articolo imbarazzante di Luca Canali – insultarono a più riprese uno dei più grandi pensatori italiani (con l’inseparabile Sandro Luporini) del Novecento. Per nulla stupito, chiesi allora al compagno Staino quali “intellettuali” lo stimolassero in quel periodo. La sua risposta, lungi di nuovo dallo stupirmi, fu emblematica: “Mi piace molto Jovanotti, la sua ultima canzone per il bel film di Muccino (Baciami ancora, NdA) è straordinaria”. Capito? Per Staino, uno dei tanti renziani prima ancora che arrivasse Renzi, gli intellettuali erano quelli: Jovanotti e Muccino. Di lì a poco, prima di lasciare nel 2011 La Stampa (che, per non farmi far danni, mi aveva nel frattempo spedito in giro per il mondo a scrivere di moto), Mario Calabresi mi fece lo stesso nome come grande intellettuale contemporaneo: “Jovanotti”. Mica Bobbio o Popper: Jovanotti. Sticazzi.
Ed ecco qual è forse il punto. Non tanto che gli Staino e i Lerner voterebbero Pd anche se inseguisse le stesse cose (anzi peggio) che inseguiva Berlusconi. Quello lo sapevamo già e lo vediamo ogni giorno. Il punto è che molti – non tutti – “intellettuali” e artisti cari alla sinistra italica, a conti fatti, erano culturalmente pavidi. Deboli. Anzitempo svuotati.
Qualche giorno fa ero in Calabria per un Premio Letterario a Caccuri. Posto, e contesto, meravigliosi. C’era anche Claudio Martelli, che – pur incarnando una sinistra da me assai distante – in confronto a questi pesci piccolissimi assurge come minimo a Churchill. Piccata oltremodo per le critiche al renzismo espresse da me e da lui, il sindaco (renziana) ha detto a tavola che “De Luca è il miglior sindaco d’Italia”. Poi è salita sul palco rivendicando di essere felicemente democristiana, scomunicando i reprobi (non usando questa parola perché non la conosce, ma il senso era quello) e dicendosi orgogliosa di appartenere al partito delle Boschi e delle Madia. Sperava di essere salutata da un’ovazione, ma ha ricevuto lo stesso apprezzamento del Principe Filiberto a Sanremo. Una scena meravigliosa. Qualcuno potrebbe pensare che, di fronte a cotanta smisurata pochezza politica, Staino e la sua claque di illuminati provino ora imbarazzo e si riducano a votarli quasi controvoglia. Al contrario: è la classe dirigente che si meritano. Si somigliano e dunque si pigliano. Staino non soffre nel votare la Boschi, non prova imbarazzo nel salvare Azzollini, non si vergogna all’idea di appoggiare chi sfascia la scuola pubblica: gli va bene così. E’ nell’ordine delle cose. Probabilmente, e sia pure in parte inconsciamente, ha sempre lavorato per uno scenario (asfittico) simile.
La colpa è anche nostra: credevamo che molti di loro fossero artisti, e addirittura “maestri”, quando spesso erano solo portaborse inconsapevoli. Di Pasolini e di Gaber, in Italia, ce ne son sempre stati pochi: gli Staino e i Jovanotti, al contrario, non sono mai mancati. Nel 1956 L’Unità (ancora lei) definì i ribelli ungheresi “teppisti”, “spregevoli provocatori” e “fascisti”. Alcuni, come Italo Calvino, si dimisero dal PCI. Altri, obbedendo al Lider Maximo Togliatti, appoggiarono la repressione sovietica. Ovviamente, di quella élite illuminata, faceva parte in prima fila anche Giorgio Napolitano. Così parlò Re Giorgio: “L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo”. Osiamo immaginare, e non è certo arduo supporlo, che quello stesso Napolitano sia uno dei presidenti della Repubblica preferiti dal compagno Staino (e dall’intellettuale Jovanotti). Tutto si tiene, tutto si spiega. E se la sinistra italiana, ancor più dalla morte di Enrico Berlinguer in poi, ha quasi sempre deluso – per non dire fatto schifo – è anche perché i “maestri” erano spesso colpevolmente fedeli alla linea e culturalmente labili. E noi ce ne siamo accorti troppo tardi. O troppo tardi lo abbiamo voluto ammettere.
di Andrea Scanzi | 12 agosto 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08 ... i/1954103/
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
l intellettuale staino e l intelletuale jovanotti e il suicidio dell intellettuale lucio magri .
da antonio gramsci a jovanotti.
forse qualcosa non ha funzionato.
cosa ?
da antonio gramsci a jovanotti.
forse qualcosa non ha funzionato.
cosa ?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
importante lettera di engels a Turati
la mancanza di una borghesia in Italia e quindi le difficoltà dello sviluppo delle forze produttive in Italia e quindi le difficoltà della classe operaia in Italia.
le differenze tra tattica politica e strategia politica . qui vediamo il generale come lo chiamava Marx sviluppare ragionamenti di derivazione militari.
poi il passaggio sui socialisti sentimentali e sugli errori dei pseudosocialisti francesi.
qui purtroppo il pensiero va al povero tsipras che dio e soprattutto Carlo Marx lo possa assistere .
https://esseresinistra.wordpress.com/20 ... di-syriza/
la mancanza di una borghesia in Italia e quindi le difficoltà dello sviluppo delle forze produttive in Italia e quindi le difficoltà della classe operaia in Italia.
le differenze tra tattica politica e strategia politica . qui vediamo il generale come lo chiamava Marx sviluppare ragionamenti di derivazione militari.
poi il passaggio sui socialisti sentimentali e sugli errori dei pseudosocialisti francesi.
qui purtroppo il pensiero va al povero tsipras che dio e soprattutto Carlo Marx lo possa assistere .
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
aaaa42 ha scritto:importante lettera di engels a Turati
la mancanza di una borghesia in Italia e quindi le difficoltà dello sviluppo delle forze produttive in Italia e quindi le difficoltà della classe operaia in Italia.
le differenze tra tattica politica e strategia politica . qui vediamo il generale come lo chiamava Marx sviluppare ragionamenti di derivazione militari.
poi il passaggio sui socialisti sentimentali e sugli errori dei pseudosocialisti francesi.
qui purtroppo il pensiero va al povero tsipras che dio e soprattutto Carlo Marx lo possa assistere .
https://esseresinistra.wordpress.com/20 ... di-syriza/
……..la mancanza di una borghesia in Italia e quindi le difficoltà dello sviluppo delle forze produttive in Italia e quindi le difficoltà della classe operaia in Italia.
La borghesia in Italia esiste ed è molto florida e potente.
E’ quella che si è affermata a metà degli anni ’70 avendo come riferimento Giulio Andreotti. E domina tutt’ora la scena politica italiana.
Naturalmente dietro le quinte.
Si tratta però della borghesia finanziario-speculativa e dei ceti burocratici-parassitari.
Che ha provveduto ad azzerare la borghesia nata dal basso ed anche la vecchia borghesia imprenditoriale che ha dominato il periodo repubblicano 1945- 1976.
…………qui purtroppo il pensiero va al povero tsipras che dio e soprattutto Carlo Marx lo possa assistere .
Per quanto riguarda Dio, Papa Giovanni Paolo II in visita a Auschwitz- Birkenau:
• Visita al Campo di Concentramento di Auschwitz-Birkenau
http://w2.vatican.va/content/benedict-x ... kenau.html 28 mag 2006 ... Edith Stein, Theresia Benedicta a Cruce, Stalin, ideologia comunista, ... Papa Giovanni Paolo II stava qui come figlio di quel popolo che, accanto al popolo ... Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni?
Per quanto riguarda Carletto ed il socialismo reale fino al 1989 e poi arrivando al 2015, deve rivedere molte cose.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Mazziati e contenti, come vuole l’industria della felicità
Scritto il 30/8/15 • LIBRE nella Categoria: idee
I padroni non vogliono dai loro subalterni solo quello che riescono a estorcere con il lavoro, ne pretendono anche l’anima. Poco importa se le condizioni lavorative stanno ormai retrocedendo a forme ottocentesche. Le scienze sociali, arruolate alle esigenze dell’impresa, da tempo rilevano come in tempi di crisi sia necessario che i lavoratori e i consumatori vendano la propria anima – e non solo la forza lavoro e i loro redditi – al mercato.
Si chiama Happyness Industry, l’industria della felicità. Diffondere ottimismo nella società e sentimenti positivi dentro le imprese sta diventando uno strumento indispensabile per far ripartire l’economia in quei paesi a capitalismo avanzato che hanno subìto più duramente le torsioni dell’ultima fase della crisi capitalistica.
E’ interessante quanto riporta su questo tema un ampio servizio de “La Repubblica”, che pure è un giornale di prima linea dentro questo meccanismo. Il saggio del sociologo britannico William Davis descrive come «le aziende oggi stanno investendo così tante risorse nel renderci felici che chi non si mostra entusiasta di tutto ciò viene visto come un sabotatore da tenere d’occhio».
In alcune selezioni aziendali, ad esempio, se ne colpisce uno per educarne nove a mostrarsi felici del lavoro chiamati a svolgere.
Chi fa il musone viene licenziato o non assunto. Non solo. E’ stata istituita la figura dirigenziale dell’addetto alla felicità dei dipendenti – lo Chief Happyness Officer – uno che deve saper fare squadra, mettere il naso nella loro vita privata e assicurare che il clima aziendale non accumuli in modo pericoloso focolai di malumore che possono diventare altro. Questa ennesima diavoleria di derivazione anglosassone è stata importata anche in Italia.
Prima come forma della pubblicità e adesso come modello di governance da parte di Renzi e del suo stuolo di ladylike e goldenboys. A fare dell’ottimismo un veicolo pubblicitario, non a caso, è uno dei “prenditori amici” più ascoltati da Renzi: Oscar Farinetti. Suo era stato l’uso dello scrittore romagnolo Tonino Guerra per la pubblicità della sua Unieuro all’insegna dell’ottimismo. Ereditata dal padre Paolo Farinetti, la catena di elettrodomestici Unieuro è stata gestita dal figlio, Oscar appunto, dal 1978 al 2003. Poi fu venduta ad una società britannica. Gli slogan e gli spot sull’ottimismo iniziano nel 2001.
Una volta che Renzi “è stato messo lì”, come ebbe a dire Marchionne, Farinetti è diventato quasi una musa ispiratrice del premier, il quale infatti se la prende con i gufi, i piagnoni, i pessimisti mentre lui ostenta con fare da piazzista risultati positivi smentiti dai fatti. In compenso realizza la tabella di marcia voluta da Confindustria e banche su ogni aspetto: dall’abolizione dell’articolo18 alla aziendalizzazione della scuola, dal decreto “Sblocca Italia” alla destrutturazione dell’amministrazione pubblica.
Declinare in ogni conferenza stampa, Twitter o dichiarazione che «le cose stanno andando bene, cieco è solo chi non le vede» – potendo contare su un servilismo dei mass media che fa rimpiangere Berlusconi – è un modo di “fare produttività”. O almeno di comunicare che la produttività c’è anche se non si può vedere. Ma se poi la gente non ci crede perchè non vede? Scatta allora la demonizzazione e la malevolenza pubblica che addita chi osa dire le cose come stanno: disfattista, gufo, antitaliano. Un linguaggio che somiglia sempre più a quello del regime fascista. La felicità e l’ottimismo non devono più essere categoria dell’anima, ma comportamenti da omologare. Il bicchiere deve essere sempre visto come mezzo pieno, anche quando è quasi completamente vuoto.
Vengono in mente le parole di una canzone resa nota da Dario Fo ed Enzo Jannacci: “E sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re; fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam!”. Oggi, purtroppo, molte lavoratrici e molti lavoratori resistono a questa arroganza padronale e governativa che non ha precedenti nel dopoguerra solo con lo “sciopero del cuore”. Accettano la situazione e, nella migliore delle ipotesi ricorrono alla “egreferenza”, cioè alla negazione della deferenza verso il padrone e i suoi pagliacci.
Questi ultimi se ne sono accorti e sanno bene che quando si accumulano sentimenti ostili, anche se non manifesti, prima o poi possono ridiventare odio di classe e allora finisce la (loro) festa. Per questo hanno messo in moto gli scienziati sociali per imprigionare anche l’anima e non solo le condizioni di vita delle classi subalterne. La felicità, quando diventa fenomeno genuino e collettivo, non può essere messa in vendita come una merce, neanche nei divertimentifici artificiali o nelle politiche aziendali. Il rumore di fondo che ancora non diventa rabbia organizzata tra la nostra gente va coltivato e ben orientato. Dilatare questa contraddizione, trasformare lo sciopero del cuore in conflitto sociale, connetterlo e coordinarlo, rimane la convinta ragione di esistenza di questo giornale.
(Sergio Cararo, “L’industria della felicità”, da “Contropiano” del 5 agosto 2015).
Scritto il 30/8/15 • LIBRE nella Categoria: idee
I padroni non vogliono dai loro subalterni solo quello che riescono a estorcere con il lavoro, ne pretendono anche l’anima. Poco importa se le condizioni lavorative stanno ormai retrocedendo a forme ottocentesche. Le scienze sociali, arruolate alle esigenze dell’impresa, da tempo rilevano come in tempi di crisi sia necessario che i lavoratori e i consumatori vendano la propria anima – e non solo la forza lavoro e i loro redditi – al mercato.
Si chiama Happyness Industry, l’industria della felicità. Diffondere ottimismo nella società e sentimenti positivi dentro le imprese sta diventando uno strumento indispensabile per far ripartire l’economia in quei paesi a capitalismo avanzato che hanno subìto più duramente le torsioni dell’ultima fase della crisi capitalistica.
E’ interessante quanto riporta su questo tema un ampio servizio de “La Repubblica”, che pure è un giornale di prima linea dentro questo meccanismo. Il saggio del sociologo britannico William Davis descrive come «le aziende oggi stanno investendo così tante risorse nel renderci felici che chi non si mostra entusiasta di tutto ciò viene visto come un sabotatore da tenere d’occhio».
In alcune selezioni aziendali, ad esempio, se ne colpisce uno per educarne nove a mostrarsi felici del lavoro chiamati a svolgere.
Chi fa il musone viene licenziato o non assunto. Non solo. E’ stata istituita la figura dirigenziale dell’addetto alla felicità dei dipendenti – lo Chief Happyness Officer – uno che deve saper fare squadra, mettere il naso nella loro vita privata e assicurare che il clima aziendale non accumuli in modo pericoloso focolai di malumore che possono diventare altro. Questa ennesima diavoleria di derivazione anglosassone è stata importata anche in Italia.
Prima come forma della pubblicità e adesso come modello di governance da parte di Renzi e del suo stuolo di ladylike e goldenboys. A fare dell’ottimismo un veicolo pubblicitario, non a caso, è uno dei “prenditori amici” più ascoltati da Renzi: Oscar Farinetti. Suo era stato l’uso dello scrittore romagnolo Tonino Guerra per la pubblicità della sua Unieuro all’insegna dell’ottimismo. Ereditata dal padre Paolo Farinetti, la catena di elettrodomestici Unieuro è stata gestita dal figlio, Oscar appunto, dal 1978 al 2003. Poi fu venduta ad una società britannica. Gli slogan e gli spot sull’ottimismo iniziano nel 2001.
Una volta che Renzi “è stato messo lì”, come ebbe a dire Marchionne, Farinetti è diventato quasi una musa ispiratrice del premier, il quale infatti se la prende con i gufi, i piagnoni, i pessimisti mentre lui ostenta con fare da piazzista risultati positivi smentiti dai fatti. In compenso realizza la tabella di marcia voluta da Confindustria e banche su ogni aspetto: dall’abolizione dell’articolo18 alla aziendalizzazione della scuola, dal decreto “Sblocca Italia” alla destrutturazione dell’amministrazione pubblica.
Declinare in ogni conferenza stampa, Twitter o dichiarazione che «le cose stanno andando bene, cieco è solo chi non le vede» – potendo contare su un servilismo dei mass media che fa rimpiangere Berlusconi – è un modo di “fare produttività”. O almeno di comunicare che la produttività c’è anche se non si può vedere. Ma se poi la gente non ci crede perchè non vede? Scatta allora la demonizzazione e la malevolenza pubblica che addita chi osa dire le cose come stanno: disfattista, gufo, antitaliano. Un linguaggio che somiglia sempre più a quello del regime fascista. La felicità e l’ottimismo non devono più essere categoria dell’anima, ma comportamenti da omologare. Il bicchiere deve essere sempre visto come mezzo pieno, anche quando è quasi completamente vuoto.
Vengono in mente le parole di una canzone resa nota da Dario Fo ed Enzo Jannacci: “E sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re; fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam!”. Oggi, purtroppo, molte lavoratrici e molti lavoratori resistono a questa arroganza padronale e governativa che non ha precedenti nel dopoguerra solo con lo “sciopero del cuore”. Accettano la situazione e, nella migliore delle ipotesi ricorrono alla “egreferenza”, cioè alla negazione della deferenza verso il padrone e i suoi pagliacci.
Questi ultimi se ne sono accorti e sanno bene che quando si accumulano sentimenti ostili, anche se non manifesti, prima o poi possono ridiventare odio di classe e allora finisce la (loro) festa. Per questo hanno messo in moto gli scienziati sociali per imprigionare anche l’anima e non solo le condizioni di vita delle classi subalterne. La felicità, quando diventa fenomeno genuino e collettivo, non può essere messa in vendita come una merce, neanche nei divertimentifici artificiali o nelle politiche aziendali. Il rumore di fondo che ancora non diventa rabbia organizzata tra la nostra gente va coltivato e ben orientato. Dilatare questa contraddizione, trasformare lo sciopero del cuore in conflitto sociale, connetterlo e coordinarlo, rimane la convinta ragione di esistenza di questo giornale.
(Sergio Cararo, “L’industria della felicità”, da “Contropiano” del 5 agosto 2015).
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