Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
lafontaine l euroo e chi e mario draghi
http://facciamosinistra.blogspot.it/201 ... l?spref=fb
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Asse sinistra Pd-Sel: “Basta sindaci renziani”
Il 19 il sindaco di Milano incontra Cuperlo, poi iniziativa con Zingaretti. Speranza: dobbiamo dialogare con il partito di Vendola Civati invece sceglie la corsa autonoma: "Il centrosinistra oggi non c'è, le amministrative sono un test prima di tutto politico"
di TOMMASO CIRIACO -repubblica.it
ROMA . Un patto di ferro tra i sindaci di Sel e la minoranza del Pd. Con due obiettivi ambiziosi: lanciare la volata ai candidati "non renziani" in occasione delle prossime amministrative, ricostruire l'alleanza di centrosinistra a livello nazionale. In barba alle tentazioni isolazioniste di uno spicchio del cantiere rosso. Per guidare il progetto delle colombe della "cosa di sinistra" esiste un leader in pectore: Giuliano Pisapia. E due appuntamenti sono già in agenda: un evento pubblico con il sindaco di Milano e Gianni Cuperlo il prossimo 19 settembre nel capoluogo lombardo, poi un grande happening a Roma il 2 ottobre. Con quale parterre? Sempre con Pisapia, Massimiliano Smeriglio - vicepresidente della Regione Lazio in quota Sel - e il governatore Nicola Zingaretti.
Come un fiume carsico, così il partito dei sindaci scava tunnel per stringere un'intesa con Pierluigi Bersani, Cuperlo e ovviamente Zingaretti, speranza dell'opposizione interna a Renzi. Il laboratorio dell'alleanza passa innanzitutto per la scelta del candidato sindaco di Milano. Strada sbarrata a Giuseppe Sala sponsorizzato invece dai renziani - e sostegno a Francesca Balzani o Pierfrancesco Majorino (preferito da Sel). Due figure, guarda caso, della minoranza dem. Se Matteo Renzi dovesse concedere le primarie, toccherebbe a loro affrontare la prova dei gazebo come candidati della sinistra pd e dei vendoliani. "Gli ultimi sondaggi - ricorda Roberto Speranza - dimostrano che l'alleanza di centrosinistra alle amministrative sarebbe premiante. Se noi ci presentiamo da soli, a petto in fuori - promettendo di radere al suolo tutto poi perdiamo. Se il Pd, tutto il Pd, dialoga con Sel e i movimenti civici, viene meno l'idea di un partito autoreferenziale".
Nel cantiere di sinistra Pisapia gioca un ruolo sempre più centrale. E il "partito dei sindaci" guadagna posizioni. Un big vendoliano come Smeriglio - da sempre durissimo verso il renzismo - sta per pubblicare un libro per spiegare le ragioni di un'intesa sui territori con il Pd "migliore". E rilancia: "Tra noi è in corso un dibattito, che durerà fino a fine anno. Giudico comprensibile il punto di vista di Massimo Zedda e Dario Stefàno. E non partecipo a una Rifondazione 2.0". Proprio Stefàno, con un'intervista a Repubblica , ha rimesso al centro del dibattito il nodo dell'alleanza con i democratici. E Zedda, primo cittadino a Cagliari, ha rilanciato sull'Unità di ieri: "Bisogna rinsaldare il rapporto con il Pd e le forze di sinistra, partendo dalle amministrative. E auspico una coalizione con una forza di sinistra alleata del Pd".
Reclamano un dialogo di centrosinistra anche Marco Doria, sindaco a Genova, e i suoi colleghi di Rieti e Molfetta. Sarà una battaglia lunga. "È chiaro - ammette Smeriglio - che quello di Renzi è il punto di maggiore distanza dal Pd. Ma se qualcuno pensa che il soggetto a sinistra prende voti contando i metri di distanza dai democratici, commette un errore tragico. In fondo, anche quando Bertinotti rompeva a livello nazionale, a Roma governava con Veltroni". La stoccata, implicita, è a chi nel cantiere di sinistra spinge nella direzione dell'autonomismo intransigente. Uno è Pippo Civati: "È necessaria una corsa autonoma, soprattutto a livello amministrativo. Il centrosinistra in questo momento non c'è e le elezioni nelle grandi città forniranno un dato prima di tutto politico". Pure il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni mostra cautela: "Sel non ha scelto l'isolamento, ma dialogare con Renzi è difficile se non c'è condivisione di programmi". In gioco c'è l'alleanza del domani.
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Alla fine chi deciderà se fare le primarie nel PD ?
Se la maggiiranza renziaNA deciderà di non fare le primarie ( nel caso che si preveda una vitoria della sinistra) allora i dissidenti farebbero bene ad assecondare Civati o il nuovo soggetto politico che dovrebbve formarsi nel prossimo autunno
Il 19 il sindaco di Milano incontra Cuperlo, poi iniziativa con Zingaretti. Speranza: dobbiamo dialogare con il partito di Vendola Civati invece sceglie la corsa autonoma: "Il centrosinistra oggi non c'è, le amministrative sono un test prima di tutto politico"
di TOMMASO CIRIACO -repubblica.it
ROMA . Un patto di ferro tra i sindaci di Sel e la minoranza del Pd. Con due obiettivi ambiziosi: lanciare la volata ai candidati "non renziani" in occasione delle prossime amministrative, ricostruire l'alleanza di centrosinistra a livello nazionale. In barba alle tentazioni isolazioniste di uno spicchio del cantiere rosso. Per guidare il progetto delle colombe della "cosa di sinistra" esiste un leader in pectore: Giuliano Pisapia. E due appuntamenti sono già in agenda: un evento pubblico con il sindaco di Milano e Gianni Cuperlo il prossimo 19 settembre nel capoluogo lombardo, poi un grande happening a Roma il 2 ottobre. Con quale parterre? Sempre con Pisapia, Massimiliano Smeriglio - vicepresidente della Regione Lazio in quota Sel - e il governatore Nicola Zingaretti.
Come un fiume carsico, così il partito dei sindaci scava tunnel per stringere un'intesa con Pierluigi Bersani, Cuperlo e ovviamente Zingaretti, speranza dell'opposizione interna a Renzi. Il laboratorio dell'alleanza passa innanzitutto per la scelta del candidato sindaco di Milano. Strada sbarrata a Giuseppe Sala sponsorizzato invece dai renziani - e sostegno a Francesca Balzani o Pierfrancesco Majorino (preferito da Sel). Due figure, guarda caso, della minoranza dem. Se Matteo Renzi dovesse concedere le primarie, toccherebbe a loro affrontare la prova dei gazebo come candidati della sinistra pd e dei vendoliani. "Gli ultimi sondaggi - ricorda Roberto Speranza - dimostrano che l'alleanza di centrosinistra alle amministrative sarebbe premiante. Se noi ci presentiamo da soli, a petto in fuori - promettendo di radere al suolo tutto poi perdiamo. Se il Pd, tutto il Pd, dialoga con Sel e i movimenti civici, viene meno l'idea di un partito autoreferenziale".
Nel cantiere di sinistra Pisapia gioca un ruolo sempre più centrale. E il "partito dei sindaci" guadagna posizioni. Un big vendoliano come Smeriglio - da sempre durissimo verso il renzismo - sta per pubblicare un libro per spiegare le ragioni di un'intesa sui territori con il Pd "migliore". E rilancia: "Tra noi è in corso un dibattito, che durerà fino a fine anno. Giudico comprensibile il punto di vista di Massimo Zedda e Dario Stefàno. E non partecipo a una Rifondazione 2.0". Proprio Stefàno, con un'intervista a Repubblica , ha rimesso al centro del dibattito il nodo dell'alleanza con i democratici. E Zedda, primo cittadino a Cagliari, ha rilanciato sull'Unità di ieri: "Bisogna rinsaldare il rapporto con il Pd e le forze di sinistra, partendo dalle amministrative. E auspico una coalizione con una forza di sinistra alleata del Pd".
Reclamano un dialogo di centrosinistra anche Marco Doria, sindaco a Genova, e i suoi colleghi di Rieti e Molfetta. Sarà una battaglia lunga. "È chiaro - ammette Smeriglio - che quello di Renzi è il punto di maggiore distanza dal Pd. Ma se qualcuno pensa che il soggetto a sinistra prende voti contando i metri di distanza dai democratici, commette un errore tragico. In fondo, anche quando Bertinotti rompeva a livello nazionale, a Roma governava con Veltroni". La stoccata, implicita, è a chi nel cantiere di sinistra spinge nella direzione dell'autonomismo intransigente. Uno è Pippo Civati: "È necessaria una corsa autonoma, soprattutto a livello amministrativo. Il centrosinistra in questo momento non c'è e le elezioni nelle grandi città forniranno un dato prima di tutto politico". Pure il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni mostra cautela: "Sel non ha scelto l'isolamento, ma dialogare con Renzi è difficile se non c'è condivisione di programmi". In gioco c'è l'alleanza del domani.
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Alla fine chi deciderà se fare le primarie nel PD ?
Se la maggiiranza renziaNA deciderà di non fare le primarie ( nel caso che si preveda una vitoria della sinistra) allora i dissidenti farebbero bene ad assecondare Civati o il nuovo soggetto politico che dovrebbve formarsi nel prossimo autunno
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
L'ISTITUTO PIEPOLI nei sondaggi prevede
Infine la sinistra-sinistra, un eventuale soggetto unico alla sinistra del Pd. Ad oggi non esiste e Sel più altri di centrosinistra non superano insieme il 5 per cento. Un nuovo partito prenderebbe – secondo l’istituto Piepoli – tra il 10 e il 13 per cento
Visto quanto sopra nel precedente intervento con IL PD di Renzi SEL non ha alcun interesse a fare una COALIZIONE per cui o da solo o con il Ncd il PD non riesce più a vincere e allora si dia vita a questo nuovo soggetto politico di sinistra , che secondo me potrebbe superare anche il 15% e a questo punto i programmi del M5S e quello del nuovo soggetto politico potrebbero convergere al 90%, spetterebbe al M5S ( che in questo caso credo perderebbe qlc punto %)
fare una proposta per unire le forze.
Infine la sinistra-sinistra, un eventuale soggetto unico alla sinistra del Pd. Ad oggi non esiste e Sel più altri di centrosinistra non superano insieme il 5 per cento. Un nuovo partito prenderebbe – secondo l’istituto Piepoli – tra il 10 e il 13 per cento
Visto quanto sopra nel precedente intervento con IL PD di Renzi SEL non ha alcun interesse a fare una COALIZIONE per cui o da solo o con il Ncd il PD non riesce più a vincere e allora si dia vita a questo nuovo soggetto politico di sinistra , che secondo me potrebbe superare anche il 15% e a questo punto i programmi del M5S e quello del nuovo soggetto politico potrebbero convergere al 90%, spetterebbe al M5S ( che in questo caso credo perderebbe qlc punto %)
fare una proposta per unire le forze.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
SETTEMBRE 2015
C’E’ VITA A SINISTRA – FUORI DALLE CONVERGENZE PARALLELE
di Vincenzo Vita – 4 settembre 2015
Il dibattito che ha raccolto gli importanti spunti di Norma Rangeri (Un decalogo per l’alternativa, il manifesto del 28 luglio) ha fornito argomenti e riflessioni utili. «Eppur non si muove», si potrebbe dire con disappunto.
L’evocato percorso unitario delle differenti anime che si muovono in quell’istmo posto tra Pd e 5Stelle stenta.
E alle giuste invocazioni-evocazioni di principio — un passo indietro dei vecchi gruppi dirigenti, il superamento di ogni tentazione federativa alla moda antica, salto di qualità culturale — non pare ancora seguire un percorso determinato.
Intendiamoci. Gli appuntamenti autunnali forse chiariranno. Speriamo bene. Tuttavia, è necessario proclamare che «Il re è nudo»: con un simile approccio è difficile che possa avvenire l’auspicata «rottura epistemologica», vale a dire il passaggio dalle speranze militanti alla ragion pura della Politica.
Per chi da tempo non crede più alla riformabilità dall’interno del Pd (che amarezza il dibattito Cuperlo-Staino; ma in bocca al lupo ai gufi e ai dissenzienti, alla vigilia del voto sulle «riforme»), ovviamente la ri-nascita di un soggetto di sinistra è attesa come la pioggia dopo la siccità. Però, guai all’ennesima falsa partenza. E chissà se il termine stesso «sinistra» (nome logorato, di ben scarsa efficacia semantica) può avere ancora corso.
Interessanti tanti spunti del Corso urgente di politica per la gente decente di Juan Carlos Monedero, che è stato responsabile del programma di Podemos.
Vi sono questioni da non rimuovere e che attengono al senso profondo dell’agire futuro, affinché la nuova miscela non contenga muffe e scorie precedenti.
Le immagini di morte che ci vengono rese quotidianamente dai media ci raccontano la tragedia di una migrazione storica, che ci interpella sulla geopolitica del mondo e sulle insufficienze abnormi anche di una sinistra tutta chiusa e nazionale. E poi. Perché non si fornisce — se non di sfuggita e spesso per dovere di ufficio — qualche risposta ai motivi che hanno ridotto la sinistra ai minimi termini? Complotti? Destino cinico? C’è da dubitarne.
L’origine sta nella debolezza analitica sui caratteri del Capitale nella versione contemporanea e, quindi, sulla morfologia sociale affermatasi dopo l’epoca del fordismo. Questione di lunga incubazione.
E’ dalla crisi seguita alla «svolta» del 1989 che si procede a vista, senza una visione e una strategia alternative. Non sarà un caso se l’intera nomenclatura dei progetti si è rivelata alla lunga inadeguata: sia sul versante moderato sia su quello cosiddetto radicale.
Il Pd guidato da Renzi, al di là degli improbabili richiami a Blair (altra stagione, altra società, ora finalmente pure altri protagonisti come Corbyn), ha ben poco a che fare con lo spirito dell’Ulivo o dello stesso partito all’atto della fondazione, essendosi ormai stabilmente collocato in un’area conservatrice (scuola, lavoro, Rai, trivellazioni, e così via) e ammiccando alle suggestioni autoritarie — il combinato disposto di Italicum e riduzione ad organismo senza poteri e rappresentanza del Senato.
E’ una deriva volta al peggio, essendo l’unica possibilità di sopravvivenza di una leadership che sa di poter «guadagnare» solo alla sua destra. E che si assicura il salvacondotto grazie a feudi locali intoccabili, talvolta al di sotto del minimo di moralità. Il patto del Nazareno è un mix di arroganza e impotenza. Una metafora della normalità del trasformismo. L’equiparazione di berlusconiani e antiberlusconiani non è un’intemperanza verbale, bensì il disvelamento della voglia di abrogare ogni conflitto.
La casa delle sinistre è in corso d’opera, ma la virata operata — tra gli altri — da Civati, Cofferati e Fassina non ha ancora portato a una compiuta rottura della continuità. Però è un passo.
Come è assolutamente significativa la disponibilità a rigenerarsi di Sinistra, ecologia e libertà; come quella delle anime che hanno costituito la Lista Tsipras. In zona contigua si muove la coalizione sociale promossa da Landini. E riappare talvolta proprio lo spirito dell’Ulivo. Nonché i movimenti, che poco piacciono al presidente-segretario.
Ma siamo alle «convergenze parallele»? Perché non fare del lancio degli 8 referendum da parte di Possibile un’occasione di confronto e di mobilitazione? Del resto, la «società liquida» e l’esaurimento delle gerarchie verticali rendono attuale e inevitabile lo strumento referendario, da praticare nella finestra giusta, non ex post. Per inciso: sui referendum è calato un silenzio mediatico inquietante. Vogliamo fare un paragone con la copertura accordata agli argomenti di destra e xenofobi della Lega?
Meno certezze, umiltà e disponibilità all’ascolto. Senza pre-concetti. Il rapporto con il M5S va praticato, in quanto lì si orienta un numero cospicuo di simpatizzanti ed elettori di ciò che chiamammo sinistra. E forse lì qualche disgelo è in atto. Le ambiguità — vedi innanzitutto il tema dei migranti — vanno contrastate, sapendo che la partita si può riaprire tessendo una tela complessa e tuttora fragile. Hic Rhodus, hic salta. Certamente, però, non basta.
Torniamo al cenno iniziale. Serve una cultura politica alternativa, creativa e consapevole dei linguaggi e della semantica dell’era della rete. Il capitalismo cognitivo prende il sopravvento e il monopolio dell’economia digitale è appannaggio di pochi gruppi come Google, nel cui forziere sta l’algoritmo della conoscenza.
Chi si occupa di queste cose? Qui dentro passa anche un’altra Europa, diversa dalla versione oligarchica che ha messo in ginocchio la Grecia. Troika cattiva, Tsipras va sostenuto. Se si perde là, di che vogliamo parlare? Insomma, una sinistra nuova — per usare ancora per un po’ il termine — ri-nasce se ha lo sguardo sul mondo (le guerre; e le alleanze, la Nato: tabù?) e se accetta la sfida globale della migrazioni divenendo essa stessa sovranazionale.
Ottima la proposta di Valentino Parlato di «coordinare» il mezzogiorno d’Europa (il manifesto, 23 luglio). Ed è lecito ragionare sul senso stesso dell’odierna Unione europea, il contrario esatto dell’ispirazione di Spinelli. Oltre tutto, l’attuale Pse è una controfigura pallida e sfuocata dell’esperienza socialista. E’ come uscito di scena. E tutto ciò che ha verve e futuro non passa nei luoghi della socialdemocrazia.
Pensiamo in grande, anche se siamo ancora piccoli. Solo così non ci estingueremo lentamente.
Del resto, la storia procede per salti. La borsa cinese ci ricorda che non ridono né Atene né Sparta. La crisi ha bisogno per la stessa ecologia del sistema di un raggio di sole. Estote parati.
da il manifesto del 4 settembre 2015
C’E’ VITA A SINISTRA – FUORI DALLE CONVERGENZE PARALLELE
di Vincenzo Vita – 4 settembre 2015
Il dibattito che ha raccolto gli importanti spunti di Norma Rangeri (Un decalogo per l’alternativa, il manifesto del 28 luglio) ha fornito argomenti e riflessioni utili. «Eppur non si muove», si potrebbe dire con disappunto.
L’evocato percorso unitario delle differenti anime che si muovono in quell’istmo posto tra Pd e 5Stelle stenta.
E alle giuste invocazioni-evocazioni di principio — un passo indietro dei vecchi gruppi dirigenti, il superamento di ogni tentazione federativa alla moda antica, salto di qualità culturale — non pare ancora seguire un percorso determinato.
Intendiamoci. Gli appuntamenti autunnali forse chiariranno. Speriamo bene. Tuttavia, è necessario proclamare che «Il re è nudo»: con un simile approccio è difficile che possa avvenire l’auspicata «rottura epistemologica», vale a dire il passaggio dalle speranze militanti alla ragion pura della Politica.
Per chi da tempo non crede più alla riformabilità dall’interno del Pd (che amarezza il dibattito Cuperlo-Staino; ma in bocca al lupo ai gufi e ai dissenzienti, alla vigilia del voto sulle «riforme»), ovviamente la ri-nascita di un soggetto di sinistra è attesa come la pioggia dopo la siccità. Però, guai all’ennesima falsa partenza. E chissà se il termine stesso «sinistra» (nome logorato, di ben scarsa efficacia semantica) può avere ancora corso.
Interessanti tanti spunti del Corso urgente di politica per la gente decente di Juan Carlos Monedero, che è stato responsabile del programma di Podemos.
Vi sono questioni da non rimuovere e che attengono al senso profondo dell’agire futuro, affinché la nuova miscela non contenga muffe e scorie precedenti.
Le immagini di morte che ci vengono rese quotidianamente dai media ci raccontano la tragedia di una migrazione storica, che ci interpella sulla geopolitica del mondo e sulle insufficienze abnormi anche di una sinistra tutta chiusa e nazionale. E poi. Perché non si fornisce — se non di sfuggita e spesso per dovere di ufficio — qualche risposta ai motivi che hanno ridotto la sinistra ai minimi termini? Complotti? Destino cinico? C’è da dubitarne.
L’origine sta nella debolezza analitica sui caratteri del Capitale nella versione contemporanea e, quindi, sulla morfologia sociale affermatasi dopo l’epoca del fordismo. Questione di lunga incubazione.
E’ dalla crisi seguita alla «svolta» del 1989 che si procede a vista, senza una visione e una strategia alternative. Non sarà un caso se l’intera nomenclatura dei progetti si è rivelata alla lunga inadeguata: sia sul versante moderato sia su quello cosiddetto radicale.
Il Pd guidato da Renzi, al di là degli improbabili richiami a Blair (altra stagione, altra società, ora finalmente pure altri protagonisti come Corbyn), ha ben poco a che fare con lo spirito dell’Ulivo o dello stesso partito all’atto della fondazione, essendosi ormai stabilmente collocato in un’area conservatrice (scuola, lavoro, Rai, trivellazioni, e così via) e ammiccando alle suggestioni autoritarie — il combinato disposto di Italicum e riduzione ad organismo senza poteri e rappresentanza del Senato.
E’ una deriva volta al peggio, essendo l’unica possibilità di sopravvivenza di una leadership che sa di poter «guadagnare» solo alla sua destra. E che si assicura il salvacondotto grazie a feudi locali intoccabili, talvolta al di sotto del minimo di moralità. Il patto del Nazareno è un mix di arroganza e impotenza. Una metafora della normalità del trasformismo. L’equiparazione di berlusconiani e antiberlusconiani non è un’intemperanza verbale, bensì il disvelamento della voglia di abrogare ogni conflitto.
La casa delle sinistre è in corso d’opera, ma la virata operata — tra gli altri — da Civati, Cofferati e Fassina non ha ancora portato a una compiuta rottura della continuità. Però è un passo.
Come è assolutamente significativa la disponibilità a rigenerarsi di Sinistra, ecologia e libertà; come quella delle anime che hanno costituito la Lista Tsipras. In zona contigua si muove la coalizione sociale promossa da Landini. E riappare talvolta proprio lo spirito dell’Ulivo. Nonché i movimenti, che poco piacciono al presidente-segretario.
Ma siamo alle «convergenze parallele»? Perché non fare del lancio degli 8 referendum da parte di Possibile un’occasione di confronto e di mobilitazione? Del resto, la «società liquida» e l’esaurimento delle gerarchie verticali rendono attuale e inevitabile lo strumento referendario, da praticare nella finestra giusta, non ex post. Per inciso: sui referendum è calato un silenzio mediatico inquietante. Vogliamo fare un paragone con la copertura accordata agli argomenti di destra e xenofobi della Lega?
Meno certezze, umiltà e disponibilità all’ascolto. Senza pre-concetti. Il rapporto con il M5S va praticato, in quanto lì si orienta un numero cospicuo di simpatizzanti ed elettori di ciò che chiamammo sinistra. E forse lì qualche disgelo è in atto. Le ambiguità — vedi innanzitutto il tema dei migranti — vanno contrastate, sapendo che la partita si può riaprire tessendo una tela complessa e tuttora fragile. Hic Rhodus, hic salta. Certamente, però, non basta.
Torniamo al cenno iniziale. Serve una cultura politica alternativa, creativa e consapevole dei linguaggi e della semantica dell’era della rete. Il capitalismo cognitivo prende il sopravvento e il monopolio dell’economia digitale è appannaggio di pochi gruppi come Google, nel cui forziere sta l’algoritmo della conoscenza.
Chi si occupa di queste cose? Qui dentro passa anche un’altra Europa, diversa dalla versione oligarchica che ha messo in ginocchio la Grecia. Troika cattiva, Tsipras va sostenuto. Se si perde là, di che vogliamo parlare? Insomma, una sinistra nuova — per usare ancora per un po’ il termine — ri-nasce se ha lo sguardo sul mondo (le guerre; e le alleanze, la Nato: tabù?) e se accetta la sfida globale della migrazioni divenendo essa stessa sovranazionale.
Ottima la proposta di Valentino Parlato di «coordinare» il mezzogiorno d’Europa (il manifesto, 23 luglio). Ed è lecito ragionare sul senso stesso dell’odierna Unione europea, il contrario esatto dell’ispirazione di Spinelli. Oltre tutto, l’attuale Pse è una controfigura pallida e sfuocata dell’esperienza socialista. E’ come uscito di scena. E tutto ciò che ha verve e futuro non passa nei luoghi della socialdemocrazia.
Pensiamo in grande, anche se siamo ancora piccoli. Solo così non ci estingueremo lentamente.
Del resto, la storia procede per salti. La borsa cinese ci ricorda che non ridono né Atene né Sparta. La crisi ha bisogno per la stessa ecologia del sistema di un raggio di sole. Estote parati.
da il manifesto del 4 settembre 2015
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
iospero ha scritto:SETTEMBRE 2015
C’E’ VITA A SINISTRA – FUORI DALLE CONVERGENZE PARALLELE
di Vincenzo Vita – 4 settembre 2015
Il dibattito che ha raccolto gli importanti spunti di Norma Rangeri (Un decalogo per l’alternativa, il manifesto del 28 luglio) ha fornito argomenti e riflessioni utili. «Eppur non si muove», si potrebbe dire con disappunto.
L’evocato percorso unitario delle differenti anime che si muovono in quell’istmo posto tra Pd e 5Stelle stenta.
E alle giuste invocazioni-evocazioni di principio — un passo indietro dei vecchi gruppi dirigenti, il superamento di ogni tentazione federativa alla moda antica, salto di qualità culturale — non pare ancora seguire un percorso determinato.
Intendiamoci. Gli appuntamenti autunnali forse chiariranno. Speriamo bene. Tuttavia, è necessario proclamare che «Il re è nudo»: con un simile approccio è difficile che possa avvenire l’auspicata «rottura epistemologica», vale a dire il passaggio dalle speranze militanti alla ragion pura della Politica.
Per chi da tempo non crede più alla riformabilità dall’interno del Pd (che amarezza il dibattito Cuperlo-Staino; ma in bocca al lupo ai gufi e ai dissenzienti, alla vigilia del voto sulle «riforme»), ovviamente la ri-nascita di un soggetto di sinistra è attesa come la pioggia dopo la siccità. Però, guai all’ennesima falsa partenza. E chissà se il termine stesso «sinistra» (nome logorato, di ben scarsa efficacia semantica) può avere ancora corso.
Interessanti tanti spunti del Corso urgente di politica per la gente decente di Juan Carlos Monedero, che è stato responsabile del programma di Podemos.
Vi sono questioni da non rimuovere e che attengono al senso profondo dell’agire futuro, affinché la nuova miscela non contenga muffe e scorie precedenti.
Le immagini di morte che ci vengono rese quotidianamente dai media ci raccontano la tragedia di una migrazione storica, che ci interpella sulla geopolitica del mondo e sulle insufficienze abnormi anche di una sinistra tutta chiusa e nazionale. E poi. Perché non si fornisce — se non di sfuggita e spesso per dovere di ufficio — qualche risposta ai motivi che hanno ridotto la sinistra ai minimi termini? Complotti? Destino cinico? C’è da dubitarne.
L’origine sta nella debolezza analitica sui caratteri del Capitale nella versione contemporanea e, quindi, sulla morfologia sociale affermatasi dopo l’epoca del fordismo. Questione di lunga incubazione.
E’ dalla crisi seguita alla «svolta» del 1989 che si procede a vista, senza una visione e una strategia alternative. Non sarà un caso se l’intera nomenclatura dei progetti si è rivelata alla lunga inadeguata: sia sul versante moderato sia su quello cosiddetto radicale.
Il Pd guidato da Renzi, al di là degli improbabili richiami a Blair (altra stagione, altra società, ora finalmente pure altri protagonisti come Corbyn), ha ben poco a che fare con lo spirito dell’Ulivo o dello stesso partito all’atto della fondazione, essendosi ormai stabilmente collocato in un’area conservatrice (scuola, lavoro, Rai, trivellazioni, e così via) e ammiccando alle suggestioni autoritarie — il combinato disposto di Italicum e riduzione ad organismo senza poteri e rappresentanza del Senato.
E’ una deriva volta al peggio, essendo l’unica possibilità di sopravvivenza di una leadership che sa di poter «guadagnare» solo alla sua destra. E che si assicura il salvacondotto grazie a feudi locali intoccabili, talvolta al di sotto del minimo di moralità. Il patto del Nazareno è un mix di arroganza e impotenza. Una metafora della normalità del trasformismo. L’equiparazione di berlusconiani e antiberlusconiani non è un’intemperanza verbale, bensì il disvelamento della voglia di abrogare ogni conflitto.
La casa delle sinistre è in corso d’opera, ma la virata operata — tra gli altri — da Civati, Cofferati e Fassina non ha ancora portato a una compiuta rottura della continuità. Però è un passo.
Come è assolutamente significativa la disponibilità a rigenerarsi di Sinistra, ecologia e libertà; come quella delle anime che hanno costituito la Lista Tsipras. In zona contigua si muove la coalizione sociale promossa da Landini. E riappare talvolta proprio lo spirito dell’Ulivo. Nonché i movimenti, che poco piacciono al presidente-segretario.
Ma siamo alle «convergenze parallele»? Perché non fare del lancio degli 8 referendum da parte di Possibile un’occasione di confronto e di mobilitazione? Del resto, la «società liquida» e l’esaurimento delle gerarchie verticali rendono attuale e inevitabile lo strumento referendario, da praticare nella finestra giusta, non ex post. Per inciso: sui referendum è calato un silenzio mediatico inquietante. Vogliamo fare un paragone con la copertura accordata agli argomenti di destra e xenofobi della Lega?
Meno certezze, umiltà e disponibilità all’ascolto. Senza pre-concetti. Il rapporto con il M5S va praticato, in quanto lì si orienta un numero cospicuo di simpatizzanti ed elettori di ciò che chiamammo sinistra. E forse lì qualche disgelo è in atto. Le ambiguità — vedi innanzitutto il tema dei migranti — vanno contrastate, sapendo che la partita si può riaprire tessendo una tela complessa e tuttora fragile. Hic Rhodus, hic salta. Certamente, però, non basta.
Torniamo al cenno iniziale. Serve una cultura politica alternativa, creativa e consapevole dei linguaggi e della semantica dell’era della rete. Il capitalismo cognitivo prende il sopravvento e il monopolio dell’economia digitale è appannaggio di pochi gruppi come Google, nel cui forziere sta l’algoritmo della conoscenza.
Chi si occupa di queste cose? Qui dentro passa anche un’altra Europa, diversa dalla versione oligarchica che ha messo in ginocchio la Grecia. Troika cattiva, Tsipras va sostenuto. Se si perde là, di che vogliamo parlare? Insomma, una sinistra nuova — per usare ancora per un po’ il termine — ri-nasce se ha lo sguardo sul mondo (le guerre; e le alleanze, la Nato: tabù?) e se accetta la sfida globale della migrazioni divenendo essa stessa sovranazionale.
Ottima la proposta di Valentino Parlato di «coordinare» il mezzogiorno d’Europa (il manifesto, 23 luglio). Ed è lecito ragionare sul senso stesso dell’odierna Unione europea, il contrario esatto dell’ispirazione di Spinelli. Oltre tutto, l’attuale Pse è una controfigura pallida e sfuocata dell’esperienza socialista. E’ come uscito di scena. E tutto ciò che ha verve e futuro non passa nei luoghi della socialdemocrazia.
Pensiamo in grande, anche se siamo ancora piccoli. Solo così non ci estingueremo lentamente.
Del resto, la storia procede per salti. La borsa cinese ci ricorda che non ridono né Atene né Sparta. La crisi ha bisogno per la stessa ecologia del sistema di un raggio di sole. Estote parati.
da il manifesto del 4 settembre 2015
1) C’E’ VITA A SINISTRA
Manca il punto interrogativo, che è d’obbligo vista la complessità della situazione.
C’E’ VITA A SINISTRA???
2) Intendiamoci. Gli appuntamenti autunnali forse chiariranno. Speriamo bene. Tuttavia, è necessario proclamare che «Il re è nudo»: con un simile approccio è difficile che possa avvenire l’auspicata «rottura epistemologica», vale a dire il passaggio dalle speranze militanti alla ragion pura della Politica.
Dubito fortemente che gli appuntamenti autunnali chiariranno alcunché.
L’articolo di Vincenzo Vita pone alcuni problemi, ma il problema principale della sinistra è che ha smesso da tempo immemore di fare la sinistra.
Ha smesso completamente di discutere, di confrontarsi.
Ha scritto Giorgio Bocca nella prefazione del libro di Gomez e Travaglio, L’inciucio, Rizzoli 2005:
“Il teorema del berlusconismo può essere questo: una società confusa e trasformistica si identifica nell’uomo che più gli somiglia, che meglio la rappresenta e ne fa un capo indiscutibile. Negli anni Venti è Mussolini, e siccome è un tribuno si può fare l’uomo del destino. E così nel contemporaneo con Berlusconi, che ha ripreso e rilanciato l’operazione politica anche da Craxi il cinghialone, l’uomo forte che va al potere, non importa se corrotto.
^
Dopo Berlusconi è la volta di Renzi. Solo un team di antropologi, di sociologi, di psicologi, potrebbe spiegare come sia possibile che chi ha odiato tanto Berlusconi fino a spingersi a dichiarare di essere disposti(a parole, aggiungo io) a farlo fuori fisicamente, sia disposto ad idolatrare il supercazzolaro rignanese.
A sinistra ci sono anche i pecoroni a cui basta vivere secondo le indicazioni del partito, come se fosse una grande mamma che gli dice cosa fare in ogni circostanza. Ma la maggior parte preferisce discutere e capire con la propria testa.
Un tempo c’erano le sezioni. Delle piccole Agorà dove confrontarsi. Oggi non ci sono più.
In compenso c’è internet, una grande Agorà di gran lunga superiore alle sezioni, perché mette in collegamento il mondo.
Ma i primi a rifiutare di discutere sono i Civati, i Coffferati, i Fassina.
Troppa fatica impegnarsi nel confronto quotidiano con gli elettori.
Un tempo bastava un pulpito per propagandare il solito “io t’imparo”.
Oggi che hanno praterie davanti a sé, possono racimolare solo un 13%.
Ai tempi del vecchio Ulivo.it avevano fatto capolino Rosy Bindi e Giovanna Melandri. Solo qualche sparuto intervento per un giorno o due. Poi sparite regolarmente.
Ma la prima almeno la poltrona della Commissione Antimafia l’ha raggiunta, e la seconda ha ottenuto la direzione del Maxxi.
Missione compiuta.
“Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto: chi ha dato, ha dato, ha dato,. scurdammoce 'o passato,……”
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
I SINDACI : IL MODELLO BARCELLONA
il problema non è non avere un sindaco renziano il problema è avere un SINDACO
della CRISI ECONOMICA.
quindi un sindaco disoccupato , un sindaco insegnate precario un sindaco lavoratore precario un operaio licenziato
UN SINDACO FIGLIO DI QUESTA CRISI ECONOMICA.
si tratta del sindaco modello Barcellona spagna.
un sindaco che sappia guardare al movimento 5 stelle come alleato politico e sociale.
un sindaco driver progettuale e programmatico della futura 'COALIZIONE SOCIALE'.
un sindaco che sia simbolo dell' AUTONOMIA SOCIALE' che sappia parlare al mondo cattolico sociale e alla destra sociale.
no ai dilettanti che vengono mandati allo sbaragliò per indebolire li stato comunità e solidaristico.
un sindaco che abbia una preparazione politica TEORICA che abbia e sappia studiare, senza preparazione teorica il SOCIALE non sa viaggiare guardare verso il futuro diventa dittatura del presente cioè status quo immobilismo.
questo purtroppo è la lezione che arriva dalla grecia e da parte della sinistra italiana.
il problema non è non avere un sindaco renziano il problema è avere un SINDACO
della CRISI ECONOMICA.
quindi un sindaco disoccupato , un sindaco insegnate precario un sindaco lavoratore precario un operaio licenziato
UN SINDACO FIGLIO DI QUESTA CRISI ECONOMICA.
si tratta del sindaco modello Barcellona spagna.
un sindaco che sappia guardare al movimento 5 stelle come alleato politico e sociale.
un sindaco driver progettuale e programmatico della futura 'COALIZIONE SOCIALE'.
un sindaco che sia simbolo dell' AUTONOMIA SOCIALE' che sappia parlare al mondo cattolico sociale e alla destra sociale.
no ai dilettanti che vengono mandati allo sbaragliò per indebolire li stato comunità e solidaristico.
un sindaco che abbia una preparazione politica TEORICA che abbia e sappia studiare, senza preparazione teorica il SOCIALE non sa viaggiare guardare verso il futuro diventa dittatura del presente cioè status quo immobilismo.
questo purtroppo è la lezione che arriva dalla grecia e da parte della sinistra italiana.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
e intabto in Inghilterra
G.B., il Labour vira a sinistra: Corbyn è il nuovo leader
12 settembre 2015
L'esponente pacifista e anti-austerity, vicino a Syriza e Podemos, ha sbaragliato gli altri tre candidati con il 59,5% dei consensi. Il suo primo atto sarà una manifestazione a sostegno dei rifugiati
LONDRA - Un radicale alla guida del Labour britannico. Jeremy Corbyn, 66 anni, il candidato della sinistra pacifista e anti-austerity, ha stravinto le primarie con il 59,5 per cento dei consensi. Un risultato netto con cui ha sbaragliato alla prima votazione i tre avversari di "establishment": Andy Burnham, Yvette Cooper e Liz Kendall. Il suo vice Tom Watson, "bestia nera" di Rupert Murdoch, eletto alla terza votazione alla conferenza del partito in corso a Westminster. Secondo la Bbc, l'affluenza per le elezioni interne è stata del 76,3% dei circa 500 mila iscritti e simpatizzanti registrati.
Corbyn "il rosso", parlamentare per il seggio londinese di Islington, succede a Ed Miliband, che si era dimesso dopo il disastroso risultato del Labour alle elezioni politiche dello scorso 7 maggio che avevano visto la conferma dei conservatori di David Cameron. Contro il 66enne Corbyn, vicino a Syriza e Podemos, nelle ultime settimane erano scesi in campo gli ex premier Tony Blair e Gordon Brown, preoccupati per l'eventuale sterzata a sinistra del partito.
Gb: Jeremy Corbyn, il candidato laburista alle primarie che divide il partito
Primo impegno per i rifugiati. Il nuovo leader laburista risponde in effetti molto poco ai dettami della politica tradizionale. I cardini del suo programma sono porre fine all'austerità, imporre più tasse ai più ricchi e rinazionalizzare alcune imprese, a cominciare dalle ferrovie. La svolta è evidente già nell'annuncio di quello che sarà il suo primo atto da capo del Labour: una manifestazione in favore dei rifugiati, e contro la linea dura del governo conservatore. "Vogliamo dimostrare come i rifugiati devono essere trattati" e accolti, ha detto Corbyn subito dopo la sua elezione.
Il discorso programmatico. Tra gli applausi ha poi chiarito che il suo obiettivo è dare "speranza alla gente comune che non ne può più di ingiustizie, disuguaglianza, povertà non inevitabile". E ha fatto un discorso denso di riferimenti espliciti a temi come ambiente, pace, welfare, parità e immigrazione. Ha rivendicato il legame "organico" con il sindacato e denunciato come un "attacco alla democrazia" la riforma messa in cantiere dal governo conservatore per limitare il diritto di sciopero.
Corbyn ha chiamato "il partito e il movimento" laburista all'unità per "una società migliore e quanto più decente per tutti". Il contrario di quello che accade con l'austerità introdotta dal governo Cameron, che "non è giusta, non è necessaria e deve cambiare" perché produce disuguaglianze "grottesche".
Il nuovo numero due. Dalla sinistra del partito viene anche il nuovo numero due del Labour, Tom Watson, classe 1967 e parlamentare per il seggio di West Bromwich East fin dal 2001. Molto amato dai sindacati, Watson si è scagliato più volte contro l'impero mediatico di Rupert Murdoch. Da qualche anno inoltre ha spinto le forze dell'ordine a indagare sul giro di pedofilia che ha interessato ambienti molto vicini al parlamento di Westminster nei decenni passati.
G.B., il Labour vira a sinistra: Corbyn è il nuovo leader
12 settembre 2015
L'esponente pacifista e anti-austerity, vicino a Syriza e Podemos, ha sbaragliato gli altri tre candidati con il 59,5% dei consensi. Il suo primo atto sarà una manifestazione a sostegno dei rifugiati
LONDRA - Un radicale alla guida del Labour britannico. Jeremy Corbyn, 66 anni, il candidato della sinistra pacifista e anti-austerity, ha stravinto le primarie con il 59,5 per cento dei consensi. Un risultato netto con cui ha sbaragliato alla prima votazione i tre avversari di "establishment": Andy Burnham, Yvette Cooper e Liz Kendall. Il suo vice Tom Watson, "bestia nera" di Rupert Murdoch, eletto alla terza votazione alla conferenza del partito in corso a Westminster. Secondo la Bbc, l'affluenza per le elezioni interne è stata del 76,3% dei circa 500 mila iscritti e simpatizzanti registrati.
Corbyn "il rosso", parlamentare per il seggio londinese di Islington, succede a Ed Miliband, che si era dimesso dopo il disastroso risultato del Labour alle elezioni politiche dello scorso 7 maggio che avevano visto la conferma dei conservatori di David Cameron. Contro il 66enne Corbyn, vicino a Syriza e Podemos, nelle ultime settimane erano scesi in campo gli ex premier Tony Blair e Gordon Brown, preoccupati per l'eventuale sterzata a sinistra del partito.
Gb: Jeremy Corbyn, il candidato laburista alle primarie che divide il partito
Primo impegno per i rifugiati. Il nuovo leader laburista risponde in effetti molto poco ai dettami della politica tradizionale. I cardini del suo programma sono porre fine all'austerità, imporre più tasse ai più ricchi e rinazionalizzare alcune imprese, a cominciare dalle ferrovie. La svolta è evidente già nell'annuncio di quello che sarà il suo primo atto da capo del Labour: una manifestazione in favore dei rifugiati, e contro la linea dura del governo conservatore. "Vogliamo dimostrare come i rifugiati devono essere trattati" e accolti, ha detto Corbyn subito dopo la sua elezione.
Il discorso programmatico. Tra gli applausi ha poi chiarito che il suo obiettivo è dare "speranza alla gente comune che non ne può più di ingiustizie, disuguaglianza, povertà non inevitabile". E ha fatto un discorso denso di riferimenti espliciti a temi come ambiente, pace, welfare, parità e immigrazione. Ha rivendicato il legame "organico" con il sindacato e denunciato come un "attacco alla democrazia" la riforma messa in cantiere dal governo conservatore per limitare il diritto di sciopero.
Corbyn ha chiamato "il partito e il movimento" laburista all'unità per "una società migliore e quanto più decente per tutti". Il contrario di quello che accade con l'austerità introdotta dal governo Cameron, che "non è giusta, non è necessaria e deve cambiare" perché produce disuguaglianze "grottesche".
Il nuovo numero due. Dalla sinistra del partito viene anche il nuovo numero due del Labour, Tom Watson, classe 1967 e parlamentare per il seggio di West Bromwich East fin dal 2001. Molto amato dai sindacati, Watson si è scagliato più volte contro l'impero mediatico di Rupert Murdoch. Da qualche anno inoltre ha spinto le forze dell'ordine a indagare sul giro di pedofilia che ha interessato ambienti molto vicini al parlamento di Westminster nei decenni passati.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Il punto di vista di Polito (El Drito - M.Travaglio).
IL COMMENTO
Con Corbyn si amplia il fronte populista
Il nuovo leader del partito laburista britannico ha simpatie per il greco Syriza e lo spagnolo Podemos, ma il suo programma ha punti in comune con le formazioni antisistema di destra, compreso il francese Front National
di Antonio Polito
Ora la Gran Bretagna non ha solo il Regno più vecchio, ma anche il Partito laburista più antico della sua storia.
A dire il vero Jeremy Corbyn, leader di questa nuova era elisabettiana della sinistra inglese, fosse per lui licenzierebbe la monarchia; farebbe anche uscire il Regno Unito dalla Nato, nazionalizzerebbe ferrovie, gas ed energia, aumenterebbe le tasse, e si alleerebbe agli «amici» di Hamas ed Hezbollah.
È difficile immaginare qualcosa di paragonabile nella pur variopinta sinistra italiana (anche se adesso diventeranno tutti corbyani).
È come se Gino Strada fosse stato eletto leader del Pd.
L’evento è così eccezionale che appena tre mesi fa i bookmaker lo davano 200 a 1.
Blair aveva consigliato un trapianto di cuore ai militanti il cui cuore batteva per Corbyn.
Detto fatto: da ieri il Labour si è davvero strappato dal petto il suo cuore blairiano.
Eppure, a pensarci bene, la svolta inglese è tutt’altro che sorprendente.
Il voto dei circa quattrocentomila iscritti e simpatizzanti che a grande maggioranza hanno scelto Corbyn si iscrive anzi alla perfezione nella lunga serie di tsunami che ha scosso gli elettorati di tutto l’Occidente dopo il trauma della Grande Crisi.
Lo stesso Corbyn si paragona a Bernie Sanders, il socialista del Vermont che sta dando nei sondaggi e nelle piazze filo da torcere alla moderata Hillary Clinton; o a Syriza, il rassemblement che ha letteralmente ucciso il partito socialista in Grecia e ha strappato il potere ai conservatori (anche se non è detto che lo conservi dopo le prossime elezioni); o a Podemos, il movimento che si candida in Spagna come discendente diretto delle piazze degli indignados .
Vi si potrebbe aggiungere un altro formidabile fenomeno analogo, l’ascesa improvvisa dei Cinque Stelle in Italia da zero al 25 per cento (e forse, al momento, di più).
Niente di tutto questo era prevedibile, eppure è successo.
Inutile scervellarsi su quale sia l’elemento programmatico comune alle forze che stanno letteralmente mandando in soffitta la tradizionale sinistra socialdemocratica, sbaragliata in Gran Bretagna, ansimante nei Paesi Nordici, minoritaria in Francia, gregaria in Germania.
Non sono i programmi il forte dei nuovi populismi.
Quello di Corbyn, poi, sembra del tutto irrealizzabile visto che dei 232 parlamentari laburisti il 90% lo considera un suicidio.
Ciò che spinge questi movimenti è piuttosto la voglia di dar voce a un sentimento: la rivolta dei piccoli e deboli contro l’ establishment , la rabbia contro l’uno per cento dei ricchi che l’hanno sempre vinta, l’insofferenza per una economia in cui, anche dopo la Crisi, c’è più ineguaglianza, meno lavori, e sempre più immigrati a contenderseli.
Nessuno di questi nuovi demagoghi sa davvero dire come cambiare, ma tutti sanno dire molto bene che va tutto male.
È un problema davvero serio per il socialismo democratico.
Ma attenzione, lo è anche per il capitalismo liberale.
Non è che a destra, infatti, le cose vadano molto diversamente.
Donald Trump tuona nel Partito Repubblicano contro i pescecani di Wall Street e gli sfruttatori degli hedge funds con argomenti non dissimili da quelli che usa Sanders nei Democratici.
Il Front National in Francia o la Lega in Italia sono contro l’austerità quanto Corbyn in Gran Bretagna.
E questo ampio fronte di nazionalisti e di socialisti (i due termini sommati possono diventare esplosivi, come la storia ci insegna) è unito da un forte ripudio dell’Unione europea e da una altrettanto forte simpatia per Putin e il suo autoritarismo.
Il Financial Times , che pure è la Bibbia della City, si è spinto a dire che se tutto questo accade è colpa del capitalismo finanziario, che mostra di voler proseguire sul cammino interrotto dalla Grande Crisi come se niente fosse accaduto e niente dovesse cambiare.
Di certo la socialdemocrazia europea è uscita dalla recessione senza un’idea nuova: non a caso i leader di maggior successo elettorale in Europa sono Merkel e Renzi, due democristiani.
E quando si apre un vuoto di futuro, la nostalgia dell’antico è uno sperimentato ed efficace balsamo.
13 settembre 2015 (modifica il 13 settembre 2015 | 07:26) © RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... c126.shtml
IL COMMENTO
Con Corbyn si amplia il fronte populista
Il nuovo leader del partito laburista britannico ha simpatie per il greco Syriza e lo spagnolo Podemos, ma il suo programma ha punti in comune con le formazioni antisistema di destra, compreso il francese Front National
di Antonio Polito
Ora la Gran Bretagna non ha solo il Regno più vecchio, ma anche il Partito laburista più antico della sua storia.
A dire il vero Jeremy Corbyn, leader di questa nuova era elisabettiana della sinistra inglese, fosse per lui licenzierebbe la monarchia; farebbe anche uscire il Regno Unito dalla Nato, nazionalizzerebbe ferrovie, gas ed energia, aumenterebbe le tasse, e si alleerebbe agli «amici» di Hamas ed Hezbollah.
È difficile immaginare qualcosa di paragonabile nella pur variopinta sinistra italiana (anche se adesso diventeranno tutti corbyani).
È come se Gino Strada fosse stato eletto leader del Pd.
L’evento è così eccezionale che appena tre mesi fa i bookmaker lo davano 200 a 1.
Blair aveva consigliato un trapianto di cuore ai militanti il cui cuore batteva per Corbyn.
Detto fatto: da ieri il Labour si è davvero strappato dal petto il suo cuore blairiano.
Eppure, a pensarci bene, la svolta inglese è tutt’altro che sorprendente.
Il voto dei circa quattrocentomila iscritti e simpatizzanti che a grande maggioranza hanno scelto Corbyn si iscrive anzi alla perfezione nella lunga serie di tsunami che ha scosso gli elettorati di tutto l’Occidente dopo il trauma della Grande Crisi.
Lo stesso Corbyn si paragona a Bernie Sanders, il socialista del Vermont che sta dando nei sondaggi e nelle piazze filo da torcere alla moderata Hillary Clinton; o a Syriza, il rassemblement che ha letteralmente ucciso il partito socialista in Grecia e ha strappato il potere ai conservatori (anche se non è detto che lo conservi dopo le prossime elezioni); o a Podemos, il movimento che si candida in Spagna come discendente diretto delle piazze degli indignados .
Vi si potrebbe aggiungere un altro formidabile fenomeno analogo, l’ascesa improvvisa dei Cinque Stelle in Italia da zero al 25 per cento (e forse, al momento, di più).
Niente di tutto questo era prevedibile, eppure è successo.
Inutile scervellarsi su quale sia l’elemento programmatico comune alle forze che stanno letteralmente mandando in soffitta la tradizionale sinistra socialdemocratica, sbaragliata in Gran Bretagna, ansimante nei Paesi Nordici, minoritaria in Francia, gregaria in Germania.
Non sono i programmi il forte dei nuovi populismi.
Quello di Corbyn, poi, sembra del tutto irrealizzabile visto che dei 232 parlamentari laburisti il 90% lo considera un suicidio.
Ciò che spinge questi movimenti è piuttosto la voglia di dar voce a un sentimento: la rivolta dei piccoli e deboli contro l’ establishment , la rabbia contro l’uno per cento dei ricchi che l’hanno sempre vinta, l’insofferenza per una economia in cui, anche dopo la Crisi, c’è più ineguaglianza, meno lavori, e sempre più immigrati a contenderseli.
Nessuno di questi nuovi demagoghi sa davvero dire come cambiare, ma tutti sanno dire molto bene che va tutto male.
È un problema davvero serio per il socialismo democratico.
Ma attenzione, lo è anche per il capitalismo liberale.
Non è che a destra, infatti, le cose vadano molto diversamente.
Donald Trump tuona nel Partito Repubblicano contro i pescecani di Wall Street e gli sfruttatori degli hedge funds con argomenti non dissimili da quelli che usa Sanders nei Democratici.
Il Front National in Francia o la Lega in Italia sono contro l’austerità quanto Corbyn in Gran Bretagna.
E questo ampio fronte di nazionalisti e di socialisti (i due termini sommati possono diventare esplosivi, come la storia ci insegna) è unito da un forte ripudio dell’Unione europea e da una altrettanto forte simpatia per Putin e il suo autoritarismo.
Il Financial Times , che pure è la Bibbia della City, si è spinto a dire che se tutto questo accade è colpa del capitalismo finanziario, che mostra di voler proseguire sul cammino interrotto dalla Grande Crisi come se niente fosse accaduto e niente dovesse cambiare.
Di certo la socialdemocrazia europea è uscita dalla recessione senza un’idea nuova: non a caso i leader di maggior successo elettorale in Europa sono Merkel e Renzi, due democristiani.
E quando si apre un vuoto di futuro, la nostalgia dell’antico è uno sperimentato ed efficace balsamo.
13 settembre 2015 (modifica il 13 settembre 2015 | 07:26) © RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... c126.shtml
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Politica
Jeremy Corbyn: hanno già chiesto le sue dimissioni?
di Beppe Giulietti | 13 settembre 2015
Commenti (57)
Jeremy Corbyn ha vinto, anzi stravinto le primarie dei laburisti. Ancor prima di conoscerlo e di leggere qualche riga su di lui, amici e nemici nostrani hanno cominciato a darsele di santa ragione, dentro e fuori la rete.
Gli uni già pronti a costruire liste in nome suo e della “rinascita socialista”, gli altri terrorizzati dalla sola idea che possa esistere altro dio all’infuori di…Renzi.
Lo chiamano “Jeremy il rosso“, anche se le cose che dice non sono più radicali di quelle scritte da Francesco nella sua enciclica “Laudato Si”.
Tony Blair, e i suoi imitatori, hanno già decretato la disfatta laburista alle prossime elezioni, ricordando i trionfi del passato, ma omettendo la conclusione di quella stagione e le bugie raccontate sull’Iraq e non solo.
Magari sarebbe stato il caso di interrogarsi sul perché migliaia e migliaia di laburisti non si siano fatti convincere dalla campagna politica e mediatica contro Corbyn e lo abbiano votato comunque; forse le ragioni stanno nel malessere sociale, nella paura per il futuro, nella insoddisfazione per le politiche di Cameron e dei conservatori.
Pubblicità
Prima di schierarsi pro o contro, forse sarebbe il caso di approfondire e di non ridurre tutto alle risse e agli interessi di casa nostra.
Sia come sia, tre cose abbiamo capito di questo Corbyn. La prima è che stava dalla parte di Mandela quando la signora Tatcher preferiva guardare altrove. La seconda è che non votò quella guerra all’Iraq che oggi, quasi tutti, ritengono essere stato un grave errore tattico e strategico, una delle cause della destabilizzazione internazionale e dello scatenamento di tanto odio e livore. La terza è che il suo primo gesto è stato quello di partecipare a una marcia per l’accoglienza verso i migranti e i rifugiati, questo mentre Cameron plaude ai muri e alla esclusione sociale.
Può darsi che i suoi meriti si fermeranno qui e che presto finirà nella soffitta delle delusioni, ma nel frattempo ha fatto almeno tre scelte giuste e civili, il che di questi tempi ci sembra davvero straordinario.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... i/2031375/
Jeremy Corbyn: hanno già chiesto le sue dimissioni?
di Beppe Giulietti | 13 settembre 2015
Commenti (57)
Jeremy Corbyn ha vinto, anzi stravinto le primarie dei laburisti. Ancor prima di conoscerlo e di leggere qualche riga su di lui, amici e nemici nostrani hanno cominciato a darsele di santa ragione, dentro e fuori la rete.
Gli uni già pronti a costruire liste in nome suo e della “rinascita socialista”, gli altri terrorizzati dalla sola idea che possa esistere altro dio all’infuori di…Renzi.
Lo chiamano “Jeremy il rosso“, anche se le cose che dice non sono più radicali di quelle scritte da Francesco nella sua enciclica “Laudato Si”.
Tony Blair, e i suoi imitatori, hanno già decretato la disfatta laburista alle prossime elezioni, ricordando i trionfi del passato, ma omettendo la conclusione di quella stagione e le bugie raccontate sull’Iraq e non solo.
Magari sarebbe stato il caso di interrogarsi sul perché migliaia e migliaia di laburisti non si siano fatti convincere dalla campagna politica e mediatica contro Corbyn e lo abbiano votato comunque; forse le ragioni stanno nel malessere sociale, nella paura per il futuro, nella insoddisfazione per le politiche di Cameron e dei conservatori.
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Prima di schierarsi pro o contro, forse sarebbe il caso di approfondire e di non ridurre tutto alle risse e agli interessi di casa nostra.
Sia come sia, tre cose abbiamo capito di questo Corbyn. La prima è che stava dalla parte di Mandela quando la signora Tatcher preferiva guardare altrove. La seconda è che non votò quella guerra all’Iraq che oggi, quasi tutti, ritengono essere stato un grave errore tattico e strategico, una delle cause della destabilizzazione internazionale e dello scatenamento di tanto odio e livore. La terza è che il suo primo gesto è stato quello di partecipare a una marcia per l’accoglienza verso i migranti e i rifugiati, questo mentre Cameron plaude ai muri e alla esclusione sociale.
Può darsi che i suoi meriti si fermeranno qui e che presto finirà nella soffitta delle delusioni, ma nel frattempo ha fatto almeno tre scelte giuste e civili, il che di questi tempi ci sembra davvero straordinario.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... i/2031375/
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Non conosco questo Corbyn.
Però Milliband l'avevo seguito... e tutto sembrava fuorchè un blairiano.
Prima di sperare chissà quale futuro brillante per o Labour a guida Corbyn,
dovremo capire perchè Milliband non ha avuto successo...
soloo42001
Però Milliband l'avevo seguito... e tutto sembrava fuorchè un blairiano.
Prima di sperare chissà quale futuro brillante per o Labour a guida Corbyn,
dovremo capire perchè Milliband non ha avuto successo...
soloo42001
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