Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
HANNO CINICAMENTE VOTATO A FAVORE DI CALDEROLI E CONTRO CECILE KYENGE
ANCHE MIGUEL GOTOR CORRADINO MINEO WALTER TOCCI VANNINO CHITI, UGO SPOSETTI!
ESSERE CONTRO I RAZZISTI CI PARE PROPRIO IL MINIMO!
CON NOI QUESTI SIGNORI CHE AMANO DIRSI "DI SINISTRA" HANNO CHIUSO: SI SONO INFATTI GIOCATI QUALSIASI CREDIBILITÀ
Anpi News n. 174 - 22/29 settembre 2015
L’assoluzione di Calderoli in Parlamento, con voto compatto delle opposizioni e della maggioranza (con poche eccezioni)
Ricordate l’episodio: in un comizio, Calderoli insulta l’allora Ministra Kyenge, che ha il torto di essere donna e di colore, paragonandola ad un “orango“.
Ne nasce un processo (anche se la Kyenge non sporge querela, quando c’è di mezzo il razzismo, il procedimento penale nasce e prosegue d’ufficio ). L’imputazione è diffamazione, con la speciale aggravante prevista dalla legge “Mancino“ ( art. 3, comma 1 ) che prevede l’aumento della pena per i reati puniti con pena diversa da quella dell’ergastolo, con finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. La stessa legge “Mancino“ (art. 6) prevede che per i reati aggravati dalla circostanza di cui all’art.3, si proceda d’ufficio.
Peraltro, Calderoli è parlamentare; e dunque occorre, non l’autorizzazione a procedere, come hanno scritto molti superficiali, ma un giudizio del Parlamento (art. 68 della Costituzione ), limitato alla valutazione se si tratti di “ opinioni espresse o voti dati nell’esercizio delle loro funzioni “. Se il giudizio è positivo, scatta la cosiddetta insindacabilità e quindi il processo non può andare avanti.
Sui limiti dell’insindacabilità, si è pronunciata numerosissime volte la Corte Costituzionale, con rigore e precisione, spesso contro il parere del Parlamento, che ha una certa tendenza a dichiarare tutti (o quasi tutti) insindacabili. Il rigore è necessario perché è in gioco un altro diritto, che spetta ad ogni cittadino, quello cioè di avere un giudice ed un processo, insomma di chiedere, possibilmente, di ottenere giustizia (art. 24 della Costituzione ).
Nel caso specifico, che cosa ha fatto il Senato? Invece di limitarsi a valutare se si trattasse di opinioni espresse “in servizio“, è entrata nel merito, ha separato l’aggravante dalla diffamazione, ha votato sull’aggravante escludendola, così facendo cadere la procedibilità d’ufficio, per la diffamazione. Insomma, niente più processo.
Si tratta di uno straripamento di potere, rispetto a quanto previsto dall’art. 68. Il giudizio se ci fosse o meno l’aggravante spettava al Magistrato e solo a lui, ma il Senato si è fatto giudice, ben sapendo che così sarebbe finito tutto, perché – come ho detto – manca la querela, che la Kyenge, a suo tempo non aveva presentato.
E’ avvenuto, in sostanza, un fatto molto grave, proprio da parte dei rappresentanti del popolo.
La cosa ancora più grave è che questo comportamento riguarda l’aggravante: i parlamentari hanno escluso, in pratica, che la frase pronunciata da Calderoli avesse un contenuto razzista. Lo capirebbe anche un bambino che dire ad una donna che assomiglia ad un orango non è un complimento; ma dirlo ad una donna “nera“ è assai più di un insulto, è la manifestazione di una volontà di denigrazione, con profondi connotati di razzismo.
Essere indulgenti su queste cose è gravissimo, perché in Parlamento si dovrebbe essere particolarmente severi in una materia così delicata e così puntigliosamente regolata dall’art. 3 della Costituzione.
Come si fa a sostenere che dare dell’orango ad una Ministra, è insindacabile in quanto la frase è stata detta nell’esercizio delle proprie funzioni? E non è pensabile che questo avvenga, quando dovremmo essere tutti (a cominciare proprio dal Parlamento) ad essere impegnati a fondo contro ogni forma di razzismo o di xenofobia.
Naturalmente, non voglio neppure chiedermi perché sia stato fatto questo “favore“ a Calderoli; se – come alcuni giornali insinuano – ci sia stata una “captatio benevolentiae“ per non farlo insistere sugli emendamenti che ha presentato sulla riforma del Senato. Queste sono ipotesi e supposizioni, che tali restano. A me interessa il fatto oggettivo, che il Vicepresidente del Senato si renda protagonista di un episodio vergognoso e che i suoi colleghi lo assolvano, impedendo alla persona così gravemente offesa, di ottenere giustizia. Povera Italia!
ANCHE MIGUEL GOTOR CORRADINO MINEO WALTER TOCCI VANNINO CHITI, UGO SPOSETTI!
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CON NOI QUESTI SIGNORI CHE AMANO DIRSI "DI SINISTRA" HANNO CHIUSO: SI SONO INFATTI GIOCATI QUALSIASI CREDIBILITÀ
Anpi News n. 174 - 22/29 settembre 2015
L’assoluzione di Calderoli in Parlamento, con voto compatto delle opposizioni e della maggioranza (con poche eccezioni)
Ricordate l’episodio: in un comizio, Calderoli insulta l’allora Ministra Kyenge, che ha il torto di essere donna e di colore, paragonandola ad un “orango“.
Ne nasce un processo (anche se la Kyenge non sporge querela, quando c’è di mezzo il razzismo, il procedimento penale nasce e prosegue d’ufficio ). L’imputazione è diffamazione, con la speciale aggravante prevista dalla legge “Mancino“ ( art. 3, comma 1 ) che prevede l’aumento della pena per i reati puniti con pena diversa da quella dell’ergastolo, con finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. La stessa legge “Mancino“ (art. 6) prevede che per i reati aggravati dalla circostanza di cui all’art.3, si proceda d’ufficio.
Peraltro, Calderoli è parlamentare; e dunque occorre, non l’autorizzazione a procedere, come hanno scritto molti superficiali, ma un giudizio del Parlamento (art. 68 della Costituzione ), limitato alla valutazione se si tratti di “ opinioni espresse o voti dati nell’esercizio delle loro funzioni “. Se il giudizio è positivo, scatta la cosiddetta insindacabilità e quindi il processo non può andare avanti.
Sui limiti dell’insindacabilità, si è pronunciata numerosissime volte la Corte Costituzionale, con rigore e precisione, spesso contro il parere del Parlamento, che ha una certa tendenza a dichiarare tutti (o quasi tutti) insindacabili. Il rigore è necessario perché è in gioco un altro diritto, che spetta ad ogni cittadino, quello cioè di avere un giudice ed un processo, insomma di chiedere, possibilmente, di ottenere giustizia (art. 24 della Costituzione ).
Nel caso specifico, che cosa ha fatto il Senato? Invece di limitarsi a valutare se si trattasse di opinioni espresse “in servizio“, è entrata nel merito, ha separato l’aggravante dalla diffamazione, ha votato sull’aggravante escludendola, così facendo cadere la procedibilità d’ufficio, per la diffamazione. Insomma, niente più processo.
Si tratta di uno straripamento di potere, rispetto a quanto previsto dall’art. 68. Il giudizio se ci fosse o meno l’aggravante spettava al Magistrato e solo a lui, ma il Senato si è fatto giudice, ben sapendo che così sarebbe finito tutto, perché – come ho detto – manca la querela, che la Kyenge, a suo tempo non aveva presentato.
E’ avvenuto, in sostanza, un fatto molto grave, proprio da parte dei rappresentanti del popolo.
La cosa ancora più grave è che questo comportamento riguarda l’aggravante: i parlamentari hanno escluso, in pratica, che la frase pronunciata da Calderoli avesse un contenuto razzista. Lo capirebbe anche un bambino che dire ad una donna che assomiglia ad un orango non è un complimento; ma dirlo ad una donna “nera“ è assai più di un insulto, è la manifestazione di una volontà di denigrazione, con profondi connotati di razzismo.
Essere indulgenti su queste cose è gravissimo, perché in Parlamento si dovrebbe essere particolarmente severi in una materia così delicata e così puntigliosamente regolata dall’art. 3 della Costituzione.
Come si fa a sostenere che dare dell’orango ad una Ministra, è insindacabile in quanto la frase è stata detta nell’esercizio delle proprie funzioni? E non è pensabile che questo avvenga, quando dovremmo essere tutti (a cominciare proprio dal Parlamento) ad essere impegnati a fondo contro ogni forma di razzismo o di xenofobia.
Naturalmente, non voglio neppure chiedermi perché sia stato fatto questo “favore“ a Calderoli; se – come alcuni giornali insinuano – ci sia stata una “captatio benevolentiae“ per non farlo insistere sugli emendamenti che ha presentato sulla riforma del Senato. Queste sono ipotesi e supposizioni, che tali restano. A me interessa il fatto oggettivo, che il Vicepresidente del Senato si renda protagonista di un episodio vergognoso e che i suoi colleghi lo assolvano, impedendo alla persona così gravemente offesa, di ottenere giustizia. Povera Italia!
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
CHI HA PAURA DI UN NUOVO INIZIO IN GRECIA
di Marco Revelli – 22 settembre 2015
Con la netta vittoria elettorale di domenica, Syriza e Alexis Tsipras si affermano saldamente alla guida della Grecia e al centro della politica europea. E’ un risultato straordinario per tutti noi, in primo luogo perché dimostra che il piano degli oligarchi, greci ed europei, perseguito con ottusa arroganza fin dal 25 di gennaio, è fallito. Volevano liberarsi dell’anomalia greca. Dell’unico governo di sinistra che si opponeva al loro modello fallimentare. E se lo ritrovano più vivo che mai nelle urne, legittimato da un nuovo, testardo, indiscutibile consenso elettorale.
Dopo una via crucis che avrebbe logorato qualunque altro governo nel mondo e che qui, invece, l’ha rafforzato. Volevano sterilizzare i loro lindi tavoli europei dalla presenza fastidiosa di un capo di governo non allineato ai loro voleri, e se lo ritrovano ora davanti, in questi stessi giorni, a quegli stessi tavoli, sopravvissuto al fuoco, a lottare per quello che ha sempre chiesto e che a luglio gli è stato negato: ristrutturazione del debito, abbandono delle folli politiche d’austerità, radicale riscrittura dei trattati, politiche redistributive, continuando a battersi lì per cambiare i termini del diktat «insostenibile» impostogli col ricatto e la minaccia a luglio. E insieme offrendo un punto di riferimento a tutte le forze che nello spazio europeo si battono per quegli obbiettivi.
Ed è questa la seconda ragione per gioire del risultato di Atene. Perché lì è nata, non più in embrione, ma ormai allo stato visibile, una sinistra europea, transnazionale e post-nazionale, dichiaratamente determinata a battersi nello spazio continentale della politica che viene, tendenzialmente maggioritaria perché impegnata a rappresentare l’enorme disagio che le politiche di questa Europa producono e a sfidare la «pratica del disumano» che le istituzioni europee contrappongono alla moltitudine sofferente che preme ai propri confini blindati. Sinistra nuova, diversa dai residui logori della vecchie social-democrazie, miseramente naufragate nella battaglia di luglio, fisicamente visibile sul palco di Piazza Syntagma dove si sono schierati i leader e le leader di Podemos e della Linke, dei Verdi tedeschi e del Partito della sinistra europea, stretti intorno a Tsipras in un patto che va al di là della tradizionale solidarietà internazionale, e che segna in potenza un «nuovo inizio».
Preoccupa, certo, nel quadro altrimenti confortante delle elezioni greche, l’alto livello dell’astensione. È, potremmo dire, il lato oscuro della forza, che i commentatori maligni di casa nostra non hanno mancato di sottolineare per tentare di ridimensionare il valore del risultato, pur essendo gli stessi che in ogni altra occasione ci avevano spiegato (ricordiamo l’Emilia Romagna, o le ultime regionali?) che è cosa normale, che le democrazie moderne funzionano bene così. Noi continuiamo a considerarlo, a differenza di loro, un grave problema, ovunque si manifesti, sapendo bene che, in particolare in questo caso, esso è sintomo di un fallimento, non certo dei greci (per i quali la notizia è tutt’al più l’altra, che abbiano continuato a votare a milioni e a crederci), ma dell’Europa. Della gabbia di ferro in cui ha chiuso i popoli, facendo di tutto per convincerli che la loro volontà (la «volontà popolare», appunto), non conta nulla. Che le regole che nessuno ha votato sono dogmi immodificabili. E funzionando così come una gigantesca macchina che erode e riduce ai minimi termini la democrazia, svuotandola di significato.
Indigna, d’altra parte, lo spettacolo, davvero indecente, della nostra stampa quotidiana. I commenti a caldo degli editorialisti embedded, impegnati in acrobazie spericolate per sostenere – sulla scia delle veline renziane — che la vittoria di Syriza e la sconfitta secca dei fuoriusciti di Unità popolare dimostrerebbe nientemeno che «non c’è spazio alla sinistra del Pd», come se Tsipras fosse Renzi (si sa benissimo che quel 12 luglio feroce Renzi era tra i ricattatori e Tsipras il ricattato, e nessuno può permettersi di nascondere la distanza abissale tra le politiche dei due, si tratti dei diritti del lavoro o dei rapporti con la Merkel). E come se, che ne so, Bersani e Cuperlo fossero Varoufakis (!). O Civati, Fratoianni e Ferrero Lafazanis. Sono, quei commenti senza pudore, la misura di quanto sgangherato sia il nostro sistema dell’informazione. Quanto servile, piegato ai voleri dei suoi tanti padroni, politici o economici. Ma soprattutto sono il frutto di una grande paura. Del timore che l’esempio greco possa diffondersi per contagio, e che cresca in Europa un’alternativa al sistema di privilegio di cui anche quel démi monde è parte.
Da quella «grande paura» dovremmo trarre uno stimolo. E una conferma della nostra possibile forza. Ad Atene, su quel palco europeo, la sinistra italiana non era rappresentata. Per il fatto che non c’è. O meglio: «non c’è ancora». Resta la grande attesa, sempre in costruzione, mai nella realtà. Non la si faccia prolungare troppo quell’attesa. C’è un grande lavorio, dal basso e non solo. Si discute di date, di eventi, di processi costituenti. Non facciamone un eterno Godot. Facciamo subito quello che dobbiamo fare: una sinistra capace di andare oltre i propri frammenti e di prendere in Italia e in Europa il posto vuoto che in tanti si aspettano che occupi. Chiunque rallentasse o ostacolasse questo processo, tanto più ora, si assumerebbe una responsabilità tremenda.
da il manifesto del 22 settembre 2015
di Marco Revelli – 22 settembre 2015
Con la netta vittoria elettorale di domenica, Syriza e Alexis Tsipras si affermano saldamente alla guida della Grecia e al centro della politica europea. E’ un risultato straordinario per tutti noi, in primo luogo perché dimostra che il piano degli oligarchi, greci ed europei, perseguito con ottusa arroganza fin dal 25 di gennaio, è fallito. Volevano liberarsi dell’anomalia greca. Dell’unico governo di sinistra che si opponeva al loro modello fallimentare. E se lo ritrovano più vivo che mai nelle urne, legittimato da un nuovo, testardo, indiscutibile consenso elettorale.
Dopo una via crucis che avrebbe logorato qualunque altro governo nel mondo e che qui, invece, l’ha rafforzato. Volevano sterilizzare i loro lindi tavoli europei dalla presenza fastidiosa di un capo di governo non allineato ai loro voleri, e se lo ritrovano ora davanti, in questi stessi giorni, a quegli stessi tavoli, sopravvissuto al fuoco, a lottare per quello che ha sempre chiesto e che a luglio gli è stato negato: ristrutturazione del debito, abbandono delle folli politiche d’austerità, radicale riscrittura dei trattati, politiche redistributive, continuando a battersi lì per cambiare i termini del diktat «insostenibile» impostogli col ricatto e la minaccia a luglio. E insieme offrendo un punto di riferimento a tutte le forze che nello spazio europeo si battono per quegli obbiettivi.
Ed è questa la seconda ragione per gioire del risultato di Atene. Perché lì è nata, non più in embrione, ma ormai allo stato visibile, una sinistra europea, transnazionale e post-nazionale, dichiaratamente determinata a battersi nello spazio continentale della politica che viene, tendenzialmente maggioritaria perché impegnata a rappresentare l’enorme disagio che le politiche di questa Europa producono e a sfidare la «pratica del disumano» che le istituzioni europee contrappongono alla moltitudine sofferente che preme ai propri confini blindati. Sinistra nuova, diversa dai residui logori della vecchie social-democrazie, miseramente naufragate nella battaglia di luglio, fisicamente visibile sul palco di Piazza Syntagma dove si sono schierati i leader e le leader di Podemos e della Linke, dei Verdi tedeschi e del Partito della sinistra europea, stretti intorno a Tsipras in un patto che va al di là della tradizionale solidarietà internazionale, e che segna in potenza un «nuovo inizio».
Preoccupa, certo, nel quadro altrimenti confortante delle elezioni greche, l’alto livello dell’astensione. È, potremmo dire, il lato oscuro della forza, che i commentatori maligni di casa nostra non hanno mancato di sottolineare per tentare di ridimensionare il valore del risultato, pur essendo gli stessi che in ogni altra occasione ci avevano spiegato (ricordiamo l’Emilia Romagna, o le ultime regionali?) che è cosa normale, che le democrazie moderne funzionano bene così. Noi continuiamo a considerarlo, a differenza di loro, un grave problema, ovunque si manifesti, sapendo bene che, in particolare in questo caso, esso è sintomo di un fallimento, non certo dei greci (per i quali la notizia è tutt’al più l’altra, che abbiano continuato a votare a milioni e a crederci), ma dell’Europa. Della gabbia di ferro in cui ha chiuso i popoli, facendo di tutto per convincerli che la loro volontà (la «volontà popolare», appunto), non conta nulla. Che le regole che nessuno ha votato sono dogmi immodificabili. E funzionando così come una gigantesca macchina che erode e riduce ai minimi termini la democrazia, svuotandola di significato.
Indigna, d’altra parte, lo spettacolo, davvero indecente, della nostra stampa quotidiana. I commenti a caldo degli editorialisti embedded, impegnati in acrobazie spericolate per sostenere – sulla scia delle veline renziane — che la vittoria di Syriza e la sconfitta secca dei fuoriusciti di Unità popolare dimostrerebbe nientemeno che «non c’è spazio alla sinistra del Pd», come se Tsipras fosse Renzi (si sa benissimo che quel 12 luglio feroce Renzi era tra i ricattatori e Tsipras il ricattato, e nessuno può permettersi di nascondere la distanza abissale tra le politiche dei due, si tratti dei diritti del lavoro o dei rapporti con la Merkel). E come se, che ne so, Bersani e Cuperlo fossero Varoufakis (!). O Civati, Fratoianni e Ferrero Lafazanis. Sono, quei commenti senza pudore, la misura di quanto sgangherato sia il nostro sistema dell’informazione. Quanto servile, piegato ai voleri dei suoi tanti padroni, politici o economici. Ma soprattutto sono il frutto di una grande paura. Del timore che l’esempio greco possa diffondersi per contagio, e che cresca in Europa un’alternativa al sistema di privilegio di cui anche quel démi monde è parte.
Da quella «grande paura» dovremmo trarre uno stimolo. E una conferma della nostra possibile forza. Ad Atene, su quel palco europeo, la sinistra italiana non era rappresentata. Per il fatto che non c’è. O meglio: «non c’è ancora». Resta la grande attesa, sempre in costruzione, mai nella realtà. Non la si faccia prolungare troppo quell’attesa. C’è un grande lavorio, dal basso e non solo. Si discute di date, di eventi, di processi costituenti. Non facciamone un eterno Godot. Facciamo subito quello che dobbiamo fare: una sinistra capace di andare oltre i propri frammenti e di prendere in Italia e in Europa il posto vuoto che in tanti si aspettano che occupi. Chiunque rallentasse o ostacolasse questo processo, tanto più ora, si assumerebbe una responsabilità tremenda.
da il manifesto del 22 settembre 2015
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
“Carriere appese a Renzi Perciò stanno tutti zitti”
(MARIO PORTANOVA)
27/09/2015 di triskel182
Paul Ginsborg Lo storico che animò i Girotondi e il “sonno” dell’opinione pubblica italiana.
Renzi non è Berlusconi, “non è percepito come una minaccia alla democrazia” neppure su provvedimenti come la legge sulle intercettazioni o la riforma del Senato,che dieci anni fa avrebbero portato migliaia di persone in piazza. Magari con la benedizione di intellettuali e gente di spettacolo, che invece oggi “dipendono dal Pd e dalla politica per finanziamenti, approvazione di progetti, incarichi”. Avvinghiati in una rete di “clientelismo”,il grande ostacolo al cambiamento in Italia. Lo storico Paul Ginsborg è un padre nobile dei Girotondi, il movim e n t o c h e n e l 2002 accese la scintilla dell’opposizione al berlusconismo, dando la scossa a una sinistra frastornata e sconfitta. In centinaia di migliaia scesero in piazza contro le leggi ad personam, contro la Rai di regime, a difesa della magistratura.
Oggi,il nulla.Anche le partite più controverse si giocano tutte dentro il Palazzo, in quello che sembra un generale torpore dell’opinione pubblica. Professor Ginsborg, a che cosa è dovuto questo “sonno”? Attenzione,la storia dei movimenti insegna che anche in una situazione che pare pacificata le cose possono cambiare rapidamente. Oggi il clima è simile a quello che precedette l’esplosione dei Girotondi nel 2002. Ci si lamentava, si diceva che nessuno poteva fare nulla. Poi, improvvisamente, le piazze si riempirono. Chi ci dice che non accada di nuovo, fra qualche mese? Rispetto a Renzi, però, Berlusconi divideva più nettamente l’opinione pubblica. L’opinione pubblica è lenta nel cogliere gli atti lesivi della democrazia, come appunto la legge bavaglio o certe riforme istituzionali. Berlusconi era immediatamente percepito come una minaccia, Renzi è più ambiguo e gode di consenso a sinistra, cioè l’area in cui nacquero i Girotondi. Se poi riuscirà ad agganciare la ripresa economica trainata dagli Usa,la gente avrà qualche soldo in più, potrà andare di nuovo in vacanza, e legherà questi miglioramenti al presidente del Consiglio. Gli intellettuali non dovrebbero essere più pronti a cogliere certi segnali? Perché oggi non c’è un Nanni Moretti che grida la sua indignazione in piazza? Gli intellettuali che si schierarono all’epoca furono comunque pochi , Moretti fu l’eccezione più che la regola, come prima di lui Pasolini. Molti sono dipendenti dal Pd – più che da Berlusconi a suo tempo – e in generale dipendono dalla politica per i loro progetti e le loro carriere. Così diventano servi volenterosi e l’autonomia intellettuale viene cancellata dal clientelismo. Renzi si trova quindi al centro di un sistema di favori. Questo blocca davvero il cambiamento nel Paese. Quando 23 anni fa arrivai all’Università di Firenze, certi colleghi mi chiedevano: ‘Tu chi porti al concorso?’. All’inizio non capivo neanche che cosa volessero dire. Dunque torniamo alla piazza. Lei vede qualche soggetto che potrebbe d i ve n t a re u n n u ovo m ov i-mento “per la democrazia”, come recitava il “sottotitolo” dei Girotondi? La mia generazione, quella del ‘68, sta uscendo di scena e deve per forza di cose farsi da parte. È stata l’ossatura di molti movimenti degli ultimi decenni.Ora mi domando se quelli che erano giovani negli anni Ottanta, molto influenzati dal neoliberismo e dal thatcherismo, possano prendere il nostro posto. Confesso che sono scettico. Vedo però delle esperienze interessanti in Europa. Quali? Podemos in Spagna, Tsipras in Grecia. E Corbyn in Gran Bretagna , in modo del tutto inaspettato: il Labour era a terra, i giovani si sono riconosciuti nell’antiliberismo e dopo la sua vittoria come leader del partito, pochi giorni fa, 15 mila persone hanno fatto la tessera. In Italia, invece, non si muove nulla.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 27/09/2015.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Da Tsipras a Corbyn: purezza ideologica e governo
Si possono coniugare estremismo e potere, purezza ideologica e governo? Questa domanda ci induce a rivisitare in modo organico le vicende, diverse ma simili, dei principali partiti della sinistra europea. Il tema ha da un lato una connotazione di "revisionismo storico" rispetto ai cambiamenti dell'ultimo ventennio (l'evoluzione della sinistra verso il mercato), ma dall'altro lato è anche una questione di strategia. Ci interroghiamo cioè su quali siano i reali obiettivi dei leader attualmente al potere. In questo, l'esperienza italiana del Pd renziano sembra scollarsi nettamente da quanto sta accadendo in altri paesi.
Non si tratta più solo della vittoria di Tsipras in Grecia a gennaio (riconfermata domenica scorsa), né dell'avanzata di una forza antisistema come Podemos in Spagna. In un certo senso, l'elezione di Jeremy Corbyn a capo del Labour Party rappresenta, simbolicamente e per la portata dell'evento, un vero e proprio spartiacque. Perfino l'Economist, che normalmente usa termini assai più misurati, è giunto a definirla "una grave sventura" per la Gran Bretagna. La vicenda di Corbyn, dunque, merita particolare attenzione, per le sue conseguenze anche al di fuori dei confini inglesi.
Per capire quali possano essere queste conseguenze, bisogna anzitutto guardare nel campo avverso. I Tory da un lato preconizzano scenari apocalittici ("una minaccia per la sicurezza nazionale ed economica", ha twittato Cameron) e dall'altro ostentano un grande ottimismo per i propri futuri successi elettorali ("abbiamo la vittoria elettorale garantita anche nel 2020"). A sinistra, invece, si oscilla tra il senso di rivincita per il ritorno di una "sinistra sinistra", proprio nel paese che più di tutti sembrava aver rotto con la "vecchia scuola" per abbracciare la Terza Via, e la preoccupazione dei labouristi più moderati di restare esclusi dalle stanze del potere ancora più a lungo.
E' presto per dire come andranno realmente le cose. Al momento i segnali sono contrastanti. Corbyn - che sarà pure estremista ma è anche un politico esperto - ha subito lanciato segnali distensivi e di moderazione: per esempio garantendo che il Labour non giocherà nel campo degli euroscettici nel referendum sull'uscita dall'Unione, a dispetto delle sue precedenti posizioni anti-Bruxelles. Eppure, è indubbia la profondità della virata a sinistra tanto in politica interna quanto in quella estera (per quest'ultima con alcune prese di posizione contro Nato, Israele e USA che paiono difficili da concepire in un paese che ha storicamente fatto della "special reationship" con questi ultimi il perno della propria politica).
La questione che Corbyn si troverà ad affrontare è insomma quella tipica di tutti i leader che esprimono posizioni "forti": radicalizzare il proprio messaggio per galvanizzare la propria tribù, oppure spostarsi verso il centro per vincere le elezioni? In altre parole: l'obiettivo è dare voce a una posizione estrema, oppure governare? Le due cose molto raramente coincidono. Che le elezioni si giochino al centro è del resto un fatto ben noto agli studiosi. Gli economisti lo chiamano "teorema dell'elettore mediano" e lo fanno risalire a un paper di Harold Hotelling addirittura del 1929.
Naturalmente vi sono eccezioni: l'ascesa di Margaret Thatcher nel 1979 ne è una clamorosa. Ma Thatcher deve la propria vittoria anche al contesto del tutto peculiare in cui si affermò. L'Inghilterra di allora era il "malato d'Europa", e quella da lei proposta era l'unica terapia possibile, come i fatti avrebbero dimostrato. In un certo senso, e da posizioni opposte, Tsipras segue un percorso analogo: per un verso si è confermato come un leader indiscusso, ma per l'altro è dovuto venire a miti consigli con la Troika per evitare una disastrosa uscita dall'euro.
Oggi Corbyn parla a un paese molto diverso, che si è ripreso da una dura recessione e che viaggia con tassi di crescita sostenuti e bassa disoccupazione. Intendiamoci: tutto dipende dagli obiettivi del leader laburista. Se vuole prendere il posto di Cameron, dovrà risciacquare i suoi panni nel Tamigi, costruendo un non facile dialogo con l' "elettore mediano" inglese. Se viceversa ha un obiettivo puramente ideologico, allora fa bene a prendere posizioni sempre più estreme, perché in tal modo contribuisce a spostare verso sinistra l'asse della discussione. Al tempo stesso, così contribuisce a fare dei conservatori il "partito della nazione", un partito cioè che forse annacqua le sue posizioni, ma che occupando stabilmente il centro diventa pressoché imprescindibile dal punto di vista elettorale. Se questa fosse l'evoluzione del quadro politico britannico, a farne le spese non sarebbero solo gli elettori laburisti, che si vedrebbero relegati all'irrilevanza politica (pur potendo contare su un ampio spazio nel dibattito intellettuale). L'assenza di un'opposizione potenzialmente in grado di vincere farebbe male soprattutto a Cameron, perché farebbe venire meno quegli equilibri e contrappesi che fanno della democrazia "il peggior sistema di governo tranne tutti gli altri".
Da questo punto di vista, l'Italia ha molto da imparare - e qualcosa da insegnare. Anche in casa nostra, infatti, la tentazione gruppettara è fortissima: ma non sempre sembra essere chiarissimo che tale tentazione è pressoché incompatibile con l'aspirazione al governo. Così come negli anni di Berlusconi è stata anche l'assenza di una sinistra con le carte in regola per vincere a determinare l'inefficacia dei suoi governi, oggi tale minaccia è ancora più forte. Infatti non solo la destra e il M5S non riescono a declinare una credibile offerta di governo, ma anche l'opposizione interna a Renzi pare più impegnata nella retorica del "pochi ma buoni (e perdenti)" che non nella costruzione di una reale alternativa. E, a lungo andare, tutto questo non può che riflettersi negativamente sull'efficacia dell'azione di governo. Renzi, in tutto questo, si sta muovendo esattamente come l' "anti-Corbyn": la sua strategia di governo è mossa dal pragmatismo, la sua azione come capo del Pd è invece orientata alla "cattura" di elettori tradizionalmente ostili alle forze del centrosinistra. Solo il tempo potrà dire se il suo sforzo avrà successo e quale strada sia più conveniente (e convincente) per le sinistre europee.
Di certo, il mito romantico del duro e puro, ancorché perdente ha prodotto molti danni. La politica è diversa dalle Olimpiadi: non basta partecipare, per cambiare il paese occorre vincere.
Segui Carlo Stagnaro su Twitter: www.twitter.com/CarloStagnaro
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La questione che Corbyn si troverà ad affrontare è insomma quella tipica di tutti i leader che esprimono posizioni "forti": radicalizzare il proprio messaggio per galvanizzare la propria tribù, oppure spostarsi verso il centro per vincere le elezioni? In altre parole: l'obiettivo è dare voce a una posizione estrema, oppure governare? Le due cose molto raramente coincidono. Che le elezioni si giochino al centro è del resto un fatto ben noto agli studiosi. Gli economisti lo chiamano "teorema dell'elettore mediano"
C'è un pò di verità nell'affermazione citata sopra però si tratta di portrare al centro dell'attenzione dei cittadini il futuro
panorama a cui si va incontro restando in posizioni ambigue dove non si distingue più il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, dove le differenze e le disuguaglianze aumentano e possono portare a situazioni non più controllabili
Si possono coniugare estremismo e potere, purezza ideologica e governo? Questa domanda ci induce a rivisitare in modo organico le vicende, diverse ma simili, dei principali partiti della sinistra europea. Il tema ha da un lato una connotazione di "revisionismo storico" rispetto ai cambiamenti dell'ultimo ventennio (l'evoluzione della sinistra verso il mercato), ma dall'altro lato è anche una questione di strategia. Ci interroghiamo cioè su quali siano i reali obiettivi dei leader attualmente al potere. In questo, l'esperienza italiana del Pd renziano sembra scollarsi nettamente da quanto sta accadendo in altri paesi.
Non si tratta più solo della vittoria di Tsipras in Grecia a gennaio (riconfermata domenica scorsa), né dell'avanzata di una forza antisistema come Podemos in Spagna. In un certo senso, l'elezione di Jeremy Corbyn a capo del Labour Party rappresenta, simbolicamente e per la portata dell'evento, un vero e proprio spartiacque. Perfino l'Economist, che normalmente usa termini assai più misurati, è giunto a definirla "una grave sventura" per la Gran Bretagna. La vicenda di Corbyn, dunque, merita particolare attenzione, per le sue conseguenze anche al di fuori dei confini inglesi.
Per capire quali possano essere queste conseguenze, bisogna anzitutto guardare nel campo avverso. I Tory da un lato preconizzano scenari apocalittici ("una minaccia per la sicurezza nazionale ed economica", ha twittato Cameron) e dall'altro ostentano un grande ottimismo per i propri futuri successi elettorali ("abbiamo la vittoria elettorale garantita anche nel 2020"). A sinistra, invece, si oscilla tra il senso di rivincita per il ritorno di una "sinistra sinistra", proprio nel paese che più di tutti sembrava aver rotto con la "vecchia scuola" per abbracciare la Terza Via, e la preoccupazione dei labouristi più moderati di restare esclusi dalle stanze del potere ancora più a lungo.
E' presto per dire come andranno realmente le cose. Al momento i segnali sono contrastanti. Corbyn - che sarà pure estremista ma è anche un politico esperto - ha subito lanciato segnali distensivi e di moderazione: per esempio garantendo che il Labour non giocherà nel campo degli euroscettici nel referendum sull'uscita dall'Unione, a dispetto delle sue precedenti posizioni anti-Bruxelles. Eppure, è indubbia la profondità della virata a sinistra tanto in politica interna quanto in quella estera (per quest'ultima con alcune prese di posizione contro Nato, Israele e USA che paiono difficili da concepire in un paese che ha storicamente fatto della "special reationship" con questi ultimi il perno della propria politica).
La questione che Corbyn si troverà ad affrontare è insomma quella tipica di tutti i leader che esprimono posizioni "forti": radicalizzare il proprio messaggio per galvanizzare la propria tribù, oppure spostarsi verso il centro per vincere le elezioni? In altre parole: l'obiettivo è dare voce a una posizione estrema, oppure governare? Le due cose molto raramente coincidono. Che le elezioni si giochino al centro è del resto un fatto ben noto agli studiosi. Gli economisti lo chiamano "teorema dell'elettore mediano" e lo fanno risalire a un paper di Harold Hotelling addirittura del 1929.
Naturalmente vi sono eccezioni: l'ascesa di Margaret Thatcher nel 1979 ne è una clamorosa. Ma Thatcher deve la propria vittoria anche al contesto del tutto peculiare in cui si affermò. L'Inghilterra di allora era il "malato d'Europa", e quella da lei proposta era l'unica terapia possibile, come i fatti avrebbero dimostrato. In un certo senso, e da posizioni opposte, Tsipras segue un percorso analogo: per un verso si è confermato come un leader indiscusso, ma per l'altro è dovuto venire a miti consigli con la Troika per evitare una disastrosa uscita dall'euro.
Oggi Corbyn parla a un paese molto diverso, che si è ripreso da una dura recessione e che viaggia con tassi di crescita sostenuti e bassa disoccupazione. Intendiamoci: tutto dipende dagli obiettivi del leader laburista. Se vuole prendere il posto di Cameron, dovrà risciacquare i suoi panni nel Tamigi, costruendo un non facile dialogo con l' "elettore mediano" inglese. Se viceversa ha un obiettivo puramente ideologico, allora fa bene a prendere posizioni sempre più estreme, perché in tal modo contribuisce a spostare verso sinistra l'asse della discussione. Al tempo stesso, così contribuisce a fare dei conservatori il "partito della nazione", un partito cioè che forse annacqua le sue posizioni, ma che occupando stabilmente il centro diventa pressoché imprescindibile dal punto di vista elettorale. Se questa fosse l'evoluzione del quadro politico britannico, a farne le spese non sarebbero solo gli elettori laburisti, che si vedrebbero relegati all'irrilevanza politica (pur potendo contare su un ampio spazio nel dibattito intellettuale). L'assenza di un'opposizione potenzialmente in grado di vincere farebbe male soprattutto a Cameron, perché farebbe venire meno quegli equilibri e contrappesi che fanno della democrazia "il peggior sistema di governo tranne tutti gli altri".
Da questo punto di vista, l'Italia ha molto da imparare - e qualcosa da insegnare. Anche in casa nostra, infatti, la tentazione gruppettara è fortissima: ma non sempre sembra essere chiarissimo che tale tentazione è pressoché incompatibile con l'aspirazione al governo. Così come negli anni di Berlusconi è stata anche l'assenza di una sinistra con le carte in regola per vincere a determinare l'inefficacia dei suoi governi, oggi tale minaccia è ancora più forte. Infatti non solo la destra e il M5S non riescono a declinare una credibile offerta di governo, ma anche l'opposizione interna a Renzi pare più impegnata nella retorica del "pochi ma buoni (e perdenti)" che non nella costruzione di una reale alternativa. E, a lungo andare, tutto questo non può che riflettersi negativamente sull'efficacia dell'azione di governo. Renzi, in tutto questo, si sta muovendo esattamente come l' "anti-Corbyn": la sua strategia di governo è mossa dal pragmatismo, la sua azione come capo del Pd è invece orientata alla "cattura" di elettori tradizionalmente ostili alle forze del centrosinistra. Solo il tempo potrà dire se il suo sforzo avrà successo e quale strada sia più conveniente (e convincente) per le sinistre europee.
Di certo, il mito romantico del duro e puro, ancorché perdente ha prodotto molti danni. La politica è diversa dalle Olimpiadi: non basta partecipare, per cambiare il paese occorre vincere.
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La questione che Corbyn si troverà ad affrontare è insomma quella tipica di tutti i leader che esprimono posizioni "forti": radicalizzare il proprio messaggio per galvanizzare la propria tribù, oppure spostarsi verso il centro per vincere le elezioni? In altre parole: l'obiettivo è dare voce a una posizione estrema, oppure governare? Le due cose molto raramente coincidono. Che le elezioni si giochino al centro è del resto un fatto ben noto agli studiosi. Gli economisti lo chiamano "teorema dell'elettore mediano"
C'è un pò di verità nell'affermazione citata sopra però si tratta di portrare al centro dell'attenzione dei cittadini il futuro
panorama a cui si va incontro restando in posizioni ambigue dove non si distingue più il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, dove le differenze e le disuguaglianze aumentano e possono portare a situazioni non più controllabili
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
In Italia, invece, non si muove nulla scrive lo storico Paul Ginsborg .
Aspettiamo i risultati della raccolta firme di "POSSIBILE"
SCRIVE CIVATI
Stiamo contando
Siamo alle prese con la raccolta e la conta delle decine di migliaia di firme arrivate nelle ultime ore.
Nella testa abbiamo ancora le code ai banchetti di ieri, le persone che firmavano e chiedevano e si informavano e discutevano.
Ora, dopo una sequenza di notti quasi in bianco, stiamo contando le firme, recuperando i certificati, attendendo l’arrivo dei moduli dai Comuni: è molto difficile fare una stima ora, perché gran parte delle firme sono state raccolte negli ultimi dieci giorni.
Forse i giornali non ne parleranno, forse non tutti lo sapranno, ma ieri e ieri l’altro è successo qualcosa, che fa pensare che la politica abbia ancora qualche possibilità.
Da elettore, prima ancora che da promotore della campagna più incredibile degli ultimi tempi, questa è un’ottima notizia.
Aspettiamo i risultati della raccolta firme di "POSSIBILE"
SCRIVE CIVATI
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Siamo alle prese con la raccolta e la conta delle decine di migliaia di firme arrivate nelle ultime ore.
Nella testa abbiamo ancora le code ai banchetti di ieri, le persone che firmavano e chiedevano e si informavano e discutevano.
Ora, dopo una sequenza di notti quasi in bianco, stiamo contando le firme, recuperando i certificati, attendendo l’arrivo dei moduli dai Comuni: è molto difficile fare una stima ora, perché gran parte delle firme sono state raccolte negli ultimi dieci giorni.
Forse i giornali non ne parleranno, forse non tutti lo sapranno, ma ieri e ieri l’altro è successo qualcosa, che fa pensare che la politica abbia ancora qualche possibilità.
Da elettore, prima ancora che da promotore della campagna più incredibile degli ultimi tempi, questa è un’ottima notizia.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Sì,.....ma non basta. Ci vuole molto di più.
Repubblica 29.9.15
Jeremy Corbyn. Compagno economista
Canta Bandiera Rossa e legge Marx? Sì, ma non solo. Perché per rendere credibile la sua prossima candidatura a guidare la Gran Bretagna, il neo leader laburista Jeremy Corbyn ha reclutato una squadra di influenti professori e intellettuali
Obiettivo: dimostrare che si può dare battaglia, da sinistra, all’austerity alle banche e al dominio del liberismo
Redistribuendo la ricchezza. “Così faremo una politica per il 99% della gente e non per l’1% di privilegiati”
di Enrico Franceschini
Bandiera Rossa e legge Marx? Sì, ma non solo. Perché per rendere credibile la sua prossima candidatura a guidare la Gran Bretagna, il neo leader laburista Jeremy Corbyn ha reclutato una squadra di influenti professori e intellettuali
Obiettivo: dimostrare che si può dare battaglia, da sinistra, all’austerity alle banche e al dominio del liberismo
Redistribuendo la ricchezza. “Così faremo una politica per il 99% della gente e non per l’1% di privilegiati”[/i][/color]
di Enrico Franceschini
BRIGHTON FINORA i conservatori lo ridicolizzavano perché legge Marx, canta Bandiera Rossa e non mette mai la cravatta: “Affidereste l’economia della Gran Bretagna a uno così?”, tuona il Sun, organo ufficioso della destra anglosassone. Ma adesso Jeremy Corbyn ha colto l’occasione del congresso annuale del partito per annunciare l’arruolamento di un “all star team” di economisti di sinistra, anzi molto di sinistra, e di colpo l’establishment sembra prendere più seriamente il nuovo leader laburista. È una squadra che comprende un premio Nobel americano, Joseph Stiglitz, un intellettuale francese della rive (decisamente) gauche, Thomas Piketty, un’italiana che ha fatto gli studi negli Usa e insegna nel Regno Unito, Mariana Mazzucato, una russa trapiantata a Londra, un inglese docente a Oxford e un ex-analista della Banca d’Inghilterra. Si riuniranno quattro volte l’anno per dare consigli e vere e proprie “lezioni” a Corbyn, al ministro del Tesoro del suo governo ombra John McDonnell e a qualunque parlamentare laburista affetto da scetticismo sulla possibilità di adottare una formula anti-austerità, se non anti-capitalismo. «Aiuteranno il Labour a scrivere un programma di sinistra», afferma il Financial Times. E la bibbia della City, davanti a mezza dozzina di “compagni economisti” di questo peso, non ironizza.
La notizia piomba sul congresso laburista riunito a Brighton, allietato da un sole non necessariamente “dell’avvenire” ma insolito a fine settembre a queste latitudini, come la prima autentica sorpresa tirata fuori dal cappello dallo “Tsipras inglese”, come qualcuno ha ribattezzato Corbyn: eterna primula rossa, eletto leader contro tutti i pronostici nelle primarie di due settimane fa grazie al sostegno di giovani, donne e sindacati, determinato a spazzare via il riformismo blairista e a fare una politica «per il 99 per cento della gente, non per l’1 per cento di privilegiati». Ma mentre i vignettisti lo dipingono come un barbudo alla Fidel Castro, il 68enne neo-capo del Labour rivela di non essere una macchietta o uno sprovveduto, scegliendo come consiglieri alcuni degli accademici e pensatori più autorevoli sulla scena internazionale. «Come dare lustro alla sinistra», riassume rispettosamente il concetto il pur filo-conservatore Sunday Times.
La celebrità del gruppo è attualmente Piketty, docente alla Ecole de Economie di Parigi, autore del best-seller dell’anno, “Il capitale nel ventunesimo secolo”, un j’accuse della crescente diseguaglianza che ha fatto di lui una stella citata praticamente ovunque, perfino alla Casa Bianca e da chi non è d’accordo. «Oggi la ricchezza è così concentrata nelle mani di pochi che una larga parte della società è praticamente ignara della sua esistenza», scrive nel libro. La sua ricetta base: ridistribuirla attraverso una tassa progressiva globale sul reddito. Non meno conosciuto è tuttavia Stiglitz, docente alla Columbia University di New York, vincitore del Nobel nel 2001, ex-capo economista della Banca Mondiale, dunque con un curriculum che non ne farebbe propriamente un rivoluzionario, ma diventato un accanito critico dell’ortodossia economica neoliberale e di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale dopo il collasso finanziario mondiale del 2008. La sua filosofia è centrata sul fatto che i mercati «non si auto-correggono da soli» e che serve una maggiore regulation del settore finanziario per mettere fine a speculazioni, rischi e corruzione. Nata in Italia ma cresciuta e laureata negli Stati Uniti, dove ha preso anche la cittadinanza americana, ora docente alla University of Sussex, Mariana Mazzucato è uno dei maggior esperti mondiali sull’intervento dello Stato nell’economia: il suo libro “Lo stato innovatore” (pubblicato nel nostro paese da Laterza) demolisce il mito che solo l’impresa privata sia una forza innovativa per la società, mettendo in rilievo, dati alla mano, il ruolo dinamico dell’economia pubblica in molti settori, dall’ambiente alle telecomunicazioni, dalle nanotecnologie alla farmaceutica. Sta ai governi fare investimenti ad alto potenziale in nuove industrie come la green technology, afferma, difendendo il diritto-dovere dello stato ad avere non solo una missione ma anche «a sognare». La professoressa Nesvetailova, direttore del centro ricerche della City University di Londra, viene dalla Russia ma nei suoi studi analizza proprio il contraddittorio rapporto con Mosca dell’Occidente, pronto a varare sanzioni contro il Cremlino e ad avere relazioni con paradisi fiscali usati dagli oligarchi dell’Est. Per questa economista “venuta dal freddo”, una più forte regulation finanziaria non sarà comunque sufficiente a evitare una nuova crisi bancaria. E la squadra è completata da Simon Wren- Lewis, docente di politica economica alla Oxford University, che accusa il governo Cameron di avere «ritardato la ripresa di due anni» insistendo sui tagli alla spesa pubblica, e David Blanchflower, ex-membro del comitato che decide la politica monetaria per la banca centrale inglese, secondo il quale i piani dei conservatori per altra austerità sono «lunatici».
I primi sondaggi su Corbyn sono stati disastrosi: nessun leader laburista aveva mai ottenuto un tale livello di sfiducia, provocata in larga misura dall’impressione che sia solo un socialista vecchia maniera, ancorato a un’ideologia sorpassata. L’“all star team” di economisti mira a smentire un simile giudizio, dimostrando che è stata una politica economica di destra a causare i problemi, le proteste, i disagi dell’ultimo decennio e che anche una politica di sinistra può avere una base teorica rispettabile. «Il partito laburista ha una fantastica opportunità di costruire una politica economica nuova e originale, che svelerà quanto l’austerità sia stata un fallimento in Gran Bretagna e in tutta Europa», proclama Piketty. L’obiettivo non sarà rovesciare il capitalismo, rassicura McDonnell, il braccio destro di Corbyn e il suo “ministro del Tesoro” nel governo ombra: «Ma il modello economico che abbiamo usato in questi anni non ha funzionato, per cui bisogna trasformarlo». A Brighton il Labour ha cominciato a spiegare come: McDonnell parla di una “Robin Hood tax”, una tassa sulle operazioni finanziarie delle banche, Corbyn riconosce che è giusto pareggiare il bilancio ma ingiusto farne pagare il prezzo ai poveri e alla classe media. Magari il nuovo leader del Labour non riuscirà a fare la rivoluzione che ha in mente, scrive Martin Wolf, principe degli editorialisti del Financial Times, «ma è presto per scommettere che non può vincere le prossime elezioni». Come minimo, con l’aiuto dei “compagni economisti”, cercherà di dare dignità a un pensiero diverso dal modello unico liberista che sembra avere accomunato destra e sinistra.
Repubblica 29.9.15
Jeremy Corbyn. Compagno economista
Canta Bandiera Rossa e legge Marx? Sì, ma non solo. Perché per rendere credibile la sua prossima candidatura a guidare la Gran Bretagna, il neo leader laburista Jeremy Corbyn ha reclutato una squadra di influenti professori e intellettuali
Obiettivo: dimostrare che si può dare battaglia, da sinistra, all’austerity alle banche e al dominio del liberismo
Redistribuendo la ricchezza. “Così faremo una politica per il 99% della gente e non per l’1% di privilegiati”
di Enrico Franceschini
Bandiera Rossa e legge Marx? Sì, ma non solo. Perché per rendere credibile la sua prossima candidatura a guidare la Gran Bretagna, il neo leader laburista Jeremy Corbyn ha reclutato una squadra di influenti professori e intellettuali
Obiettivo: dimostrare che si può dare battaglia, da sinistra, all’austerity alle banche e al dominio del liberismo
Redistribuendo la ricchezza. “Così faremo una politica per il 99% della gente e non per l’1% di privilegiati”[/i][/color]
di Enrico Franceschini
BRIGHTON FINORA i conservatori lo ridicolizzavano perché legge Marx, canta Bandiera Rossa e non mette mai la cravatta: “Affidereste l’economia della Gran Bretagna a uno così?”, tuona il Sun, organo ufficioso della destra anglosassone. Ma adesso Jeremy Corbyn ha colto l’occasione del congresso annuale del partito per annunciare l’arruolamento di un “all star team” di economisti di sinistra, anzi molto di sinistra, e di colpo l’establishment sembra prendere più seriamente il nuovo leader laburista. È una squadra che comprende un premio Nobel americano, Joseph Stiglitz, un intellettuale francese della rive (decisamente) gauche, Thomas Piketty, un’italiana che ha fatto gli studi negli Usa e insegna nel Regno Unito, Mariana Mazzucato, una russa trapiantata a Londra, un inglese docente a Oxford e un ex-analista della Banca d’Inghilterra. Si riuniranno quattro volte l’anno per dare consigli e vere e proprie “lezioni” a Corbyn, al ministro del Tesoro del suo governo ombra John McDonnell e a qualunque parlamentare laburista affetto da scetticismo sulla possibilità di adottare una formula anti-austerità, se non anti-capitalismo. «Aiuteranno il Labour a scrivere un programma di sinistra», afferma il Financial Times. E la bibbia della City, davanti a mezza dozzina di “compagni economisti” di questo peso, non ironizza.
La notizia piomba sul congresso laburista riunito a Brighton, allietato da un sole non necessariamente “dell’avvenire” ma insolito a fine settembre a queste latitudini, come la prima autentica sorpresa tirata fuori dal cappello dallo “Tsipras inglese”, come qualcuno ha ribattezzato Corbyn: eterna primula rossa, eletto leader contro tutti i pronostici nelle primarie di due settimane fa grazie al sostegno di giovani, donne e sindacati, determinato a spazzare via il riformismo blairista e a fare una politica «per il 99 per cento della gente, non per l’1 per cento di privilegiati». Ma mentre i vignettisti lo dipingono come un barbudo alla Fidel Castro, il 68enne neo-capo del Labour rivela di non essere una macchietta o uno sprovveduto, scegliendo come consiglieri alcuni degli accademici e pensatori più autorevoli sulla scena internazionale. «Come dare lustro alla sinistra», riassume rispettosamente il concetto il pur filo-conservatore Sunday Times.
La celebrità del gruppo è attualmente Piketty, docente alla Ecole de Economie di Parigi, autore del best-seller dell’anno, “Il capitale nel ventunesimo secolo”, un j’accuse della crescente diseguaglianza che ha fatto di lui una stella citata praticamente ovunque, perfino alla Casa Bianca e da chi non è d’accordo. «Oggi la ricchezza è così concentrata nelle mani di pochi che una larga parte della società è praticamente ignara della sua esistenza», scrive nel libro. La sua ricetta base: ridistribuirla attraverso una tassa progressiva globale sul reddito. Non meno conosciuto è tuttavia Stiglitz, docente alla Columbia University di New York, vincitore del Nobel nel 2001, ex-capo economista della Banca Mondiale, dunque con un curriculum che non ne farebbe propriamente un rivoluzionario, ma diventato un accanito critico dell’ortodossia economica neoliberale e di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale dopo il collasso finanziario mondiale del 2008. La sua filosofia è centrata sul fatto che i mercati «non si auto-correggono da soli» e che serve una maggiore regulation del settore finanziario per mettere fine a speculazioni, rischi e corruzione. Nata in Italia ma cresciuta e laureata negli Stati Uniti, dove ha preso anche la cittadinanza americana, ora docente alla University of Sussex, Mariana Mazzucato è uno dei maggior esperti mondiali sull’intervento dello Stato nell’economia: il suo libro “Lo stato innovatore” (pubblicato nel nostro paese da Laterza) demolisce il mito che solo l’impresa privata sia una forza innovativa per la società, mettendo in rilievo, dati alla mano, il ruolo dinamico dell’economia pubblica in molti settori, dall’ambiente alle telecomunicazioni, dalle nanotecnologie alla farmaceutica. Sta ai governi fare investimenti ad alto potenziale in nuove industrie come la green technology, afferma, difendendo il diritto-dovere dello stato ad avere non solo una missione ma anche «a sognare». La professoressa Nesvetailova, direttore del centro ricerche della City University di Londra, viene dalla Russia ma nei suoi studi analizza proprio il contraddittorio rapporto con Mosca dell’Occidente, pronto a varare sanzioni contro il Cremlino e ad avere relazioni con paradisi fiscali usati dagli oligarchi dell’Est. Per questa economista “venuta dal freddo”, una più forte regulation finanziaria non sarà comunque sufficiente a evitare una nuova crisi bancaria. E la squadra è completata da Simon Wren- Lewis, docente di politica economica alla Oxford University, che accusa il governo Cameron di avere «ritardato la ripresa di due anni» insistendo sui tagli alla spesa pubblica, e David Blanchflower, ex-membro del comitato che decide la politica monetaria per la banca centrale inglese, secondo il quale i piani dei conservatori per altra austerità sono «lunatici».
I primi sondaggi su Corbyn sono stati disastrosi: nessun leader laburista aveva mai ottenuto un tale livello di sfiducia, provocata in larga misura dall’impressione che sia solo un socialista vecchia maniera, ancorato a un’ideologia sorpassata. L’“all star team” di economisti mira a smentire un simile giudizio, dimostrando che è stata una politica economica di destra a causare i problemi, le proteste, i disagi dell’ultimo decennio e che anche una politica di sinistra può avere una base teorica rispettabile. «Il partito laburista ha una fantastica opportunità di costruire una politica economica nuova e originale, che svelerà quanto l’austerità sia stata un fallimento in Gran Bretagna e in tutta Europa», proclama Piketty. L’obiettivo non sarà rovesciare il capitalismo, rassicura McDonnell, il braccio destro di Corbyn e il suo “ministro del Tesoro” nel governo ombra: «Ma il modello economico che abbiamo usato in questi anni non ha funzionato, per cui bisogna trasformarlo». A Brighton il Labour ha cominciato a spiegare come: McDonnell parla di una “Robin Hood tax”, una tassa sulle operazioni finanziarie delle banche, Corbyn riconosce che è giusto pareggiare il bilancio ma ingiusto farne pagare il prezzo ai poveri e alla classe media. Magari il nuovo leader del Labour non riuscirà a fare la rivoluzione che ha in mente, scrive Martin Wolf, principe degli editorialisti del Financial Times, «ma è presto per scommettere che non può vincere le prossime elezioni». Come minimo, con l’aiuto dei “compagni economisti”, cercherà di dare dignità a un pensiero diverso dal modello unico liberista che sembra avere accomunato destra e sinistra.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
La Stampa 30.9.15
“Voglio eliminare le ingiustizie perché amo il Regno Unito”
Corbyn strega la platea Labour
di Alessandra Rizzo
Aveva promesso «politica, non spettacolo» e ha mantenuto la parola: Jeremy Corbyn, alla sua prima conferenza come leader laburista, è salito sul palco accolto da una standing ovation, ma senza musica. Ha invocato una «politica più gentile» e una «società più giusta», facendo appello a patriottismo e valori britannici in un discorso mirato a fugare i dubbi di quanti ritengono le sue idee pacifiste e anti-austerity troppo radicali per il Paese. «È perché amo il mio Paese che voglio eliminare le ingiustizie», ha detto a Brighton, sulla costa meridionale inglese.
Attacchi e passi falsi
Corbyn ha ripreso in mano l’iniziativa dopo settimane di attacchi e passi falsi, dal rifiuto di cantare l’inno nazionale alla faticosa composizione del governo ombra. Sfondo rosso, cravatta rossa, è apparso rilassato e sicuro di sè. Ha ribadito alcuni dei cavalli di battaglia, nazionalizzazione delle ferrovie, costruzione di case popolari, fino alla proposta, che sta spaccando il partito, di smantellare il deterrente nucleare. Ha attaccato le politiche di austerity di Cameron. «Vogliono farci credere che non c’è alternativa», ha detto tra gli applausi. Ma è incappato in una gaffe quando è emerso che brani del suo discorso, in particolare un passaggio anti-austerity molto citato dai media («Il popolo britannico non è costretto ad accettare ciò che gli viene dato») era stato scritto anni fa e respinto da generazioni di segretari laburisti. Un bell’imbarazzo per un politico che fa dell’essere genuino una delle sue doti principali.
Se la reazione in sala è stata generosa, non altrettanto tra i ranghi di un partito in cui sono in pochi a credere che Corbyn possa riportare il Labour al successo. Quasi tutti i big del partito si sono schierati contro il segretario e molti hanno rifiutato di entrare nel governo ombra. Per John McTernan, stratega già consigliere di Tony Blair, quello di Corbyn «è stato il peggior discorso politico che abbia mai sentito». Ma Corbyn, forte di una vittoria netta, si dice pronto a promuovere una politica che parta dal basso. Denuncia gli attacchi personali, cita Maya Angelou, poetessa Usa icona dei diritti civili, e accusa la stampa conservatrice di aver ingigantito i dissidi interni. Resta da vedere se i propositi di democrazia e tolleranza all’interno del partito sapranno tradursi in una linea politica chiara e una leadership forte.
“Voglio eliminare le ingiustizie perché amo il Regno Unito”
Corbyn strega la platea Labour
di Alessandra Rizzo
Aveva promesso «politica, non spettacolo» e ha mantenuto la parola: Jeremy Corbyn, alla sua prima conferenza come leader laburista, è salito sul palco accolto da una standing ovation, ma senza musica. Ha invocato una «politica più gentile» e una «società più giusta», facendo appello a patriottismo e valori britannici in un discorso mirato a fugare i dubbi di quanti ritengono le sue idee pacifiste e anti-austerity troppo radicali per il Paese. «È perché amo il mio Paese che voglio eliminare le ingiustizie», ha detto a Brighton, sulla costa meridionale inglese.
Attacchi e passi falsi
Corbyn ha ripreso in mano l’iniziativa dopo settimane di attacchi e passi falsi, dal rifiuto di cantare l’inno nazionale alla faticosa composizione del governo ombra. Sfondo rosso, cravatta rossa, è apparso rilassato e sicuro di sè. Ha ribadito alcuni dei cavalli di battaglia, nazionalizzazione delle ferrovie, costruzione di case popolari, fino alla proposta, che sta spaccando il partito, di smantellare il deterrente nucleare. Ha attaccato le politiche di austerity di Cameron. «Vogliono farci credere che non c’è alternativa», ha detto tra gli applausi. Ma è incappato in una gaffe quando è emerso che brani del suo discorso, in particolare un passaggio anti-austerity molto citato dai media («Il popolo britannico non è costretto ad accettare ciò che gli viene dato») era stato scritto anni fa e respinto da generazioni di segretari laburisti. Un bell’imbarazzo per un politico che fa dell’essere genuino una delle sue doti principali.
Se la reazione in sala è stata generosa, non altrettanto tra i ranghi di un partito in cui sono in pochi a credere che Corbyn possa riportare il Labour al successo. Quasi tutti i big del partito si sono schierati contro il segretario e molti hanno rifiutato di entrare nel governo ombra. Per John McTernan, stratega già consigliere di Tony Blair, quello di Corbyn «è stato il peggior discorso politico che abbia mai sentito». Ma Corbyn, forte di una vittoria netta, si dice pronto a promuovere una politica che parta dal basso. Denuncia gli attacchi personali, cita Maya Angelou, poetessa Usa icona dei diritti civili, e accusa la stampa conservatrice di aver ingigantito i dissidi interni. Resta da vedere se i propositi di democrazia e tolleranza all’interno del partito sapranno tradursi in una linea politica chiara e una leadership forte.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Caro Zione come mi rattrista questa sinistra se di sinistra si puo ancora parlare.
In mancanza di veri leader col pelo sullo stomaco siamo costretti amaramente ad aspettare quei Godot che probabilmente non verranno mai se continuiamo ad aspettare che siano gli altri a fare il primo passo quali Podemos, Syzira e ora anche Corbyn.
Ben vengano costoro e questo non puo che farmi piacere ma dobbiamo sapere che sono il frutto di storie/culture completamente diverse dalle ns. e quindi non possono essere trasferite pari pari. Ci possono insegnare tante cose ma dobbiamo trovare noi la nostra via giusta.
Ora, se la devo dire tutta, mi infastidiscono coloro che subito si affannano a fare le " fotografie" mettendo in evidenza questo o quest'altro comportamento fuoi dalla (loro) normalità, magari facendo il confronto con la ns. storia. Costoro non sono altro che nullità politiche e niente piu'. Pennivendoli al soldo di chi vede pericolose queste esperienze politiche
un salutone
In mancanza di veri leader col pelo sullo stomaco siamo costretti amaramente ad aspettare quei Godot che probabilmente non verranno mai se continuiamo ad aspettare che siano gli altri a fare il primo passo quali Podemos, Syzira e ora anche Corbyn.
Ben vengano costoro e questo non puo che farmi piacere ma dobbiamo sapere che sono il frutto di storie/culture completamente diverse dalle ns. e quindi non possono essere trasferite pari pari. Ci possono insegnare tante cose ma dobbiamo trovare noi la nostra via giusta.
Ora, se la devo dire tutta, mi infastidiscono coloro che subito si affannano a fare le " fotografie" mettendo in evidenza questo o quest'altro comportamento fuoi dalla (loro) normalità, magari facendo il confronto con la ns. storia. Costoro non sono altro che nullità politiche e niente piu'. Pennivendoli al soldo di chi vede pericolose queste esperienze politiche
un salutone
Ultima modifica di pancho il 01/10/2015, 14:20, modificato 1 volta in totale.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Caro pancho,
a parte le storie diverse penso che le nostre cosìdette sinistre qualcosa possono imparare da Corbyn , e cioè
essere coerenti con le proprie radici , non scimiottare le destre dicendo di fare cose di sinistra.
I cittadini dovrebbero giudicare i governi in base ai risultati, e cioè se da un lato nella distribuzione della ricchezza migliora il coefficiente di Gini e dall'altro se nei diritti migliorano le condizioni della maggior parte dei cittadini in particolare di quelli più svantaggiati , allora si potrà dire che un governo è di sinistra.
a parte le storie diverse penso che le nostre cosìdette sinistre qualcosa possono imparare da Corbyn , e cioè
essere coerenti con le proprie radici , non scimiottare le destre dicendo di fare cose di sinistra.
I cittadini dovrebbero giudicare i governi in base ai risultati, e cioè se da un lato nella distribuzione della ricchezza migliora il coefficiente di Gini e dall'altro se nei diritti migliorano le condizioni della maggior parte dei cittadini in particolare di quelli più svantaggiati , allora si potrà dire che un governo è di sinistra.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Qualcosa a Sinistra si muove ...
Invito tutti a leggere questa intervista ...
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... %E2%80%9D/
Invito tutti a leggere questa intervista ...
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... %E2%80%9D/
Civati: “Referendum? Occasione persa. Sel e altri hanno sbagliato”
Non raggiunte le firme necessarie per gli 8 quesiti promossi da Possibile ma per l’ex Pd: “È stato un successo, eravamo soli e oscurati dai media. La sinistra tradizionale ha commesso un errore”. Per il futuro non si arrende: “Ci saranno altre battaglie per contrastare governo Renzi”. E i rapporti col Pd? “Ci vuole un soggetto autonomo, per le amministrative mi piace il modello della sindaca di Barcellona”.
intervista a Pippo Civati di Giacomo Russo Spena
Ultimo giorno. Sono ore concitate. Entro stasera andrebbero consegnate le 500mila firme necessarie in Cassazione per indire il voto entro il 2017. Non una in meno. Pippo Civati è indaffaratissimo. Conta e riconta.
Onorevole, allora ce l’ha fatta?
Siamo sopra le 300mila e altre devono ancora arrivare ma temo non arriveremo a 500mila. Peccato, se ci avessero creduto tutti.
Una bella sconfitta per la sua Possibile…
Assolutamente no. È stato un successo considerando che eravamo soli e oscurati dai media. Nell’ultimo weekend c’è stato un grande sforzo organizzativo e ai gazebo si respirava aria da primarie, su proposte concrete. Grillo sull’euro ha raccolto solo 200mila firme, noi – in 3 settimane, praticamente – quasi il doppio.
A vincere è ancora il premier Renzi?
Diamo tempo al tempo. Dobbiamo fissare nelle nostre menti i volti delle centinaia di migliaia di persone che sono venute a firmare. Perché le rivedremo tutte nella prossima battaglia.
Lei ha denunciato il silenzio dei media e la scarsa dedizione degli altri partiti di sinistra alla raccolta delle firme. Ha voglia di togliersi qualche sassolino dalla scarpa?
La sinistra tradizionale ha scelto di non sostenere i nostri referendum, vuol dire che in piedi ci sono percorsi diversi. I referendum erano uno strumento per costruire qualcosa a sinistra e contrastare la deriva renziana del Paese, non è stato capito. Un’occasione persa per inserire un bel granello di sabbia nei meccanismi del Palazzo e promuovere una campagna che avrebbe costretto persino Grillo a pronunciarsi pubblicamente.
Sel, Rifondazione ed Altra Europa con Tsipras l’hanno criticata per la metodologia: senza un coinvolgimento orizzontale e soprattutto senza consultare i movimenti. Non trova sia stato un errore?
Tutto falso. Hanno campato mille motivi per defilarsi. L’idea dei referendum è stata partorita a maggio ed ho coinvolto da subito più soggetti possibili. Ho mandato mail urbi et orbi spiegando le ragioni dell’urgenza: nel 2017 l’Italicum sarà già in vigore, le trivelle avranno già cominciato a scavare, i primi licenziamenti staranno già arrivando. Per questo le consultazioni andavano svolte prima. Tra l’altro abbiamo già ottenuto una parziale vittoria perché il referendum abrogativo contro le trivelle si farà: dieci Regioni hanno finora approvato in consiglio la delibera per promuovere la consultazione.
Però, effettivamente, il movimento contro la “buona scuola” ha pubblicamente attaccato la sua campagna referendaria…
Sono stato contestato da una parte del movimento legata alla Cgil. Ho risposto che potevano tralasciare quel quesito e spendersi per gli altri sette. Perché non l’hanno fatto? Il referendum era un’intuizione per iniziare una collaborazione di scopo con gli altri soggetti della sinistra. Avevo messo a disposizione la rete di Possibile. Trovo autolesionistico e inspiegabile l’astensione su questioni, vedi la legge elettorale, che riguardano vita dei movimenti e partiti politici.
Otto quesiti referendari: due sulle trivelle, due sul jobs act (demansionamenti e licenziamenti illegittimi), due sull’Italicum. Poi il potere di nomina del preside nelle scuole e l’ultimo contro lo Sblocca Italia. Referendum “politici” per attaccare le riforme del governo e costruire un’opposizione di sinistra al premier Renzi?
Lo scopo era arrestare lo scivolamento a destra del Pd, e del nostro sistema, con una maggioranza larga: dagli elettori del Pd a quelli della sinistra storica e del M5S. La gente, alle elezioni, ha votato una cosa e se n’è trovata un’altra al governo: un esecutivo che ha snaturato il Pd e ha varato leggi ben distanti dal programma originario del partito. A Renzi contesto la svolta neocentrista e il paradigma dell’uomo solo al comando, che sia un trivellatore, un preside, un premier o un segretario di partito.
L’hanno additata come rappresentante dell’Italia del NO contro il governo del cambiamento. Come replica?
Propaganda renziana. Il cambiamento non è fattore da sposare a prescindere, dipende dalla direzione assunta. Se torniamo agli anni ’50 sui diritti del lavoro è, ad esempio, un cambiamento da contrastare.
Il Labour Party ha chiuso l’era del blairismo mentre, da noi, Matteo Renzi sembra non allontanarsi da quel modello tanto che ha dichiarato: “Le politiche di Corbyn sono una ricetta per la sconfitta”. È così?
Prima si muoveva con scioltezza tra destra e sinistra, ora ha scelto il campo nel quale si sente più a suo agio: la destra. La prossima volta in Inghilterra farà campagna per i conservatori e Cameron? Tra la new entry Verdini e gli attacchi a Corbyn e Tsipras, Renzi si schiera in maniera inequivocabile sull’altro versante. Ormai, sulle pensioni, persino la Fornero è a sinistra di Renzi.
Renzi è la prosecuzione di Berlusconi?
È il risultato, non la prosecuzione. La sinistra ha avuto un lungo periodo buio, i media hanno funzionato male, nel Paese si è persa la consapevolezza di essere comunità… qui Renzi, con intelligenza politica, ha saputo destreggiarsi arrivando a Palazzo Chigi. Evitando, tra l’altro, il voto popolare.
Nichi Vendola recentemente su Repubblica ha rilasciato un’intervista sul nodo delle elezioni amministrative. Se da un lato attacca frontalmente le politiche di Renzi, dall’altro non chiude al Pd a livello locale. Possibile questa distinzione?
Bisogna decidere in che campo operare. E ci vuole coerenza. Se davvero, come dice Vendola, Renzi è il campione del neoliberismo e le sue politiche la prosecuzione di quelle berlusconiane, trovo folle allearsi col Pd tutte le volte possibili. Conosco quel partito e al suo interno ci sono ottimi amministratori e persone per bene, ma il Pd è Renzi e non sostengo quella svolta che ha ucciso il centrosinistra in Italia. In nessun modo. Ho in mente un progetto che vada nella direzione opposta.
Quindi non parteciperà a novembre alla costituente di sinistra lanciata da Sel?
Sui referendum ci siamo divisi. Sul nodo delle amministrative ci sono divergenze. Mi pare ovvio che un progetto unitario sia, ad oggi, difficile. O comunque prematuro. Proviamo a capire se alle prossime amministrative almeno in tutte le grandi città si possa costruire insieme una lista unica e autonoma dal Pd.
In passato abbiamo avuto le esperienze della Sinistra Arcobaleno, lista Ingroia, Altra Europa. Come si fa ed evitare la nascita del solito partitino del 3-4 per cento alla sinistra del Pd?
Possibile è nato come uno strumento, avevo proposto di azzerare tutto e utilizzarlo semplicemente come spazio di confronto. Un punto di domanda per un processo largo. Rispetto al passato sono cambiate le condizioni e gli scenari, anche in Europa se pensiamo a Tsipras, Corbyn o Podemos. Il Pd era il centrosinistra adesso, con Renzi, non più. E a sinistra c’è un vuoto da colmare. Ma dobbiamo evitare le sommatorie del ceto politico ed innovare pratiche e linguaggi.
È ancora possibile collaborare con il movimento di Grillo?
È possibile dialogare con gli elettori, in molti hanno anche firmato per i referendum. Con i vertici ho perso ogni speranza, è impossibile, sono autoreferenziali. Il M5S ha commesso l’errore di non sostenere nel 2013 un governo senza Berlusconi: si poteva scegliere un premier diverso da Bersani e di rinnovamento, di alto profilo. Non si sono voluti mai mettere in discussione nella loro visione binaria del “noi contro tutti”. Come se non ci fossero differenze tra i partiti.
Lo spazio politico a sinistra del Pd non è stato occupato in parte dal M5S?
Non credo. Ho un impianto repubblicano. Bisogna ripartire dalle persone che credono in democrazia, istituzioni e nel principio di uguaglianza. Diritti civili e sociali. Nuovo welfare contro precarietà. Opportunità di vita e maggiori investimenti in ricerca e scuola.
Guarda con interesse all’esperienza spagnola di Podemos? Anche il nome Possibile sembra riecheggiare la forza di Pablo Iglesias.
Di Podemos mi piace la grande capacità di ridare un significato alle parole. Dovremmo farlo anche noi. La gente in fila ai gazebo dimostra che in molti si riconoscono ancora nei valori costituzionali, nel rispetto delle persone, nello sviluppo ecosostenibile. Temi come il reddito minimo o il diritto alla casa devono essere assunti e fatti propri. Possibile ha il simbolo dell’uguale, ovvero della redistribuzione delle ricchezze nell’era della crisi. Un’alternativa di governo contro il pensiero unico o, meglio, l’interesse unico.
Insiste su formule e pratiche innovative. Ma, nell’era della crisi della rappresentanza, non crede ci vogliano nuove facce e interpreti per rilanciare la sinistra?
Esiste una necessità di cambiamento e persone che abbiano un rapporto col Paese più diretto e forte. Se le troviamo ben vengano, le metteremo avanti.
La sua sinistra è “ambiziosa e di governo”. La stuzzica l’idea di candidarsi a sindaco di Milano?
Una voce che gira da tempo. Il tema non è il nome ma la formula: guardiamo all’esempio di Barcelona en Comù e alla sindaca Ada Colau. Dobbiamo costruire una candidatura con quel profilo, aperta a movimenti e società civile e che esca dai recinti della sinistra tradizionale e lasci il Pd solo nella sua alleanza con l’ipercentro, che poi è la destra milanese.
Il 17 ottobre ci sarà la manifestazione della Coalizione sociale di Maurizio Landini. Sarà in piazza?
La Coalizione sociale è un progetto che guardo con estremo interesse per la radicalità e la capacità di relazionarsi coi movimenti. Una importante risorsa per il Paese. Il 17 non so se andrò perché Landini non gradisce i politici nei suoi eventi ed ha anche avanzato dubbi sui referendum. Spiace. Vedremo nei prossimi giorni, se decidiamo di proseguire la campagna, magari andremo coi nostri banchetti a raccogliere le firme. No?
(30 settembre 2015)
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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