La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
Il personaggio
“Angela Merkel? Un ciclone senza carisma"
Lo storico Gabriele D'Ottavio spiega in un libro il successo della Cancelliera. E svela qual è il segreto che l'ha resa una delle donne più potenti al mondo. Fino agli ultimi eventi: la crisi dei profughi siriani e il caso Volkswagen
di Luca Steinmann
Angela Merkel è uno dei capi di governo più longevi nella storia della Repubblica federale tedesca. Leader del Partito Cristiano-Democratico (Cdu) è diventata Cancelliera nel 2005. Da allora è stata sempre riconfermata e nel 2014 è stata dichiarata il politico più amato di sempre dai tedeschi .
La sua affermazione politica è avvenuta all’ombra della crisi europea iniziata nel 2008, la più grave dal 1929 e, in parte, ne è stata condizionata.
Sullo sfondo di un’apparente stabilità, la Germania sta attraversando una fase di importanti cambiamenti che potrebbero avere implicazioni sia sul funzionamento del suo sistema politico, sia sul ruolo del Paese in Europa e nel mondo.
E' partendo da questo punto di vista che Gabriele d'Ottavio, insieme a Thomas Saalfeld, ha analizzato la situazione tedesca nel saggio “La Germania della Cancelliera” (Il Mulino).
D'Ottavio è ricercatore presso l'Istituto Storico Italo-Germanico e professore di Storia internazionale all'Università di Trento.
Nel suo libro parla della Cancelliera come di una persona estremamente abile e preparata, che ha saputo fare carriera politica alle spalle dei suoi predecessori. Per poi superarli e prenderne il posto.
E racconta di come la Germania stia progressivamente assumendo un ruolo di forza nell'Unione europea.
Dottor D'Ottavio Angela Merkel viene spesso definita come una delle donne più influenti del mondo. Al contempo, però, viene descritta come una persona non dotata di un particolare carisma. A cosa è dovuta questa sua forza?
«Angela Merkel è un personaggio di rottura rispetto alla politica tradizionale tedesca ed europea. Innanzitutto perché è la prima leader e Cancelliera donna. Poi perché non è nata politicamente nelle gerarchie di partito ma viene da un percorso accademico (è una ricercatrice di fisica). Infine perché proviene dalla Germania dell'Est. La sua affermazione politica coincide con il percorso di riunificazione del Paese. Helmut Kohl la elesse a sua delfina proprio perché voleva lanciare un importante segnale simbolico: che anche le donne e le persone della ex Germania dell'Est potevano avere un ruolo politico determinante. Fu un'operazione mediatica vincente, che portò la giovane Merkel ad assumere cariche governative di primo piano (fu Ministro della gioventù e dell'ambiente) e che la fece identificare dall'opinione pubblica come un personaggio di estrema rottura e innovazione».
Tanto che nel 2000 divenne la leader della Cdu.
«Lo fece scaricando il suo predecessore Kohl, dal quale prese pubblicamente le distanze con un articolo pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung in cui si dissociava dagli scandali che avevano coinvolto Kohl (era accusato in quei mesi di appropriazione illecita di fondi pubblici ndr). Da quel momento si mise alla testa del partito promettendo di rinnovarlo, ma in realtà la sua azione politica fu ed è tuttora di continuità rispetto a quella tradizionale tedesca: mette sempre al primo posto la sicurezza dei propri cittadini. Al contempo però la sua popolarità è cresciuta molto perché, pur non essendo dotata di grande carisma e avendo delle evidenti lacune comunicative, ha costruito il suo personaggio sulla competenza e l'autorevolezza. Queste due caratteristiche sono fondamentali nella società tedesca. Per ovvie ragioni storiche i tedeschi hanno sviluppato una forte avversione nei confronti dei demagoghi. L'immagine pacata e professionale della Merkel ha infuso in loro un senso di fiducia che le ha permesso di esercitare una grande leadership interna e di dettare le linee politiche sia del suo partito che di tutta la vita politica nazionale».
Quella della leadership tedesca è una questione molto sentita sia internamente che a livello europeo. Come mai?
«La Germania è già stata un leader internazionale nel passato e ciò ha assunto i connotati estremamente negativi che tutti conoscono. Di conseguenza i tedeschi sono molto restii ad assumere responsabilità politiche sullo scacchiere europeo e mondiale. Spesso sentiamo parlare di egemonia tedesca in Europa, quando in realtà la storia della Germania degli ultimi sessant'anni è una storia di fuga da questa etichetta. La stessa parola 'leadership' in lingua tedesca si traduce con 'Fuehrerschaft', termine che evoca immagini alle quali i tedeschi non vogliono più essere associati».
La tanto dibattuta questione della leadership tedesca in Europa è dunque legata a doppio filo alla storia della Germania.
«Certamente. Dopo il 1945 la Germania è stata oggetto di un'operazione politica e culturale di rielaborazione del proprio passato che ha portato al terrore di assumere un ruolo egemone in Europa. Nell'opinione pubblica tedesca c'è il rifiuto. Per questo oggi la leadership tedesca è quasi sempre limitata a fattispecie economiche e non politiche. La Germania detta la linea economica della Ue (lo vediamo nel caso dei negoziati con la Grecia) , ma rifiuta di occuparsi di sicurezza e politica estera (come si vede nella questione ucraina). Forse però stiamo intravedendo la fine di questa fase storica. Con la crisi la Germania potrebbe dovere o quasi essere costretta ad assumersi delle responsabilità politiche maggiori».
Quali sono i segnali in questo senso?
«Ci sono tre episodi significativi. Innanzitutto il negoziato del primo pacchetto di aiuti alla Grecia nel 2010: in quel caso si trattava di una questione economica in cui il Paese economicamente più virtuoso, cioè la Germania, ha dettato la sua linea, cioè quella dell'austerità. Cosa che comportò delle forti reazioni anti-tedesche in tutto il continente. Il secondo episodio è stata la trattativa per il terzo pacchetto di aiuti alla Grecia avvenuto la scorsa estate, che vedeva Merkel e Schaeuble discutere con Tsipras e Varoufakis. Come nel 2010 i tedeschi hanno imposto la loro linea, ma a differenza di allora essi hanno riscontato l'appoggio di tutti i governi europei, anche di coloro come Italia, Spagna e Portogallo la cui situazione è più simile a quella di Atene che di Berlino. Ciò mostra come in Europa sia maggiormente accettata l'idea che sia giusto che la Germania detti le linee guida. L'ultimo è stato l'annuncio della Merkel di aprire le frontiere ai profughi siriani».
Che effetto ha avuto quest'ultima decisione al livello internazionale?
«Il guadagno di popolarità lo abbiamo visto bene in Italia, dove fino al giorno prima la Germania veniva rappresentata come un paese egoista, attento ai suoi interessi economici e sordo alle istanze degli altri Paesi. D’un tratto Angela Merkel non era più la "Cancelliera di ferro", ma l’erede della Germania cosmopolita figlia di Kant.
In effetti, con questa mossa a sorpresa la Germania si è proposta come riferimento per gli altri Paesi membri dell’Unione europea, candidandosi all’esercizio di un ruolo di leadership anche sul piano politico e morale.
Il terreno però è scivoloso e a lungo andare la questione dell’emergenza profughi potrebbe soffiare sul fuoco del nazionalismo e della xenofobia. Già di fronte alle prime resistenze dei Bundesländer (le autonomie locali ndr) il governo tedesco ha dovuto correggere il tiro.
Più importante della deroga alla cosiddetta norma di Dublino per i profughi siriani è stata la richiesta di Berlino di aggiornare la mappa dei Paesi "sicuri" nei Balcani per gestire l’emergenza dando priorità a quei richiedenti asilo che fuggono da situazioni più critiche dal punto di vista delle violazioni dei diritti umani e delle persecuzioni».
Cosa possiamo aspettarci dunque per il futuro?
«La Germania potrebbe trasformare il suo potere negoziale in una leadership politica in Europa dalla quale fino ad oggi è fuggita. Si tratterebbe di un inedito protagonismo tedesco che confermerebbe un nuovo corso nella politica estera tedesca post 1945, di cui la Merkel potrebbe essere l'artefice.
Non c'è da sottovalutare però l'effetto opposto che si verificherebbe in due casi.
In primis in caso di grossi scandali, come la truffa della Volkswagen.
Il fatto che ciò sia stato smascherato negli Stati Uniti, cioè fuori dai confini nazionali, ha sicuramente danneggiato l'immagine internazionale della Germania.
Secondo quanto ha riportato "Die Welt" sembrerebbe che il governo tedesco non fosse del tutto all'oscuro del malfunzionamento dei test sulle emissioni delle auto tedesche.
Tuttavia, ritengo che sia ancora presto per fare delle valutazioni sulle possibili implicazioni politiche della vicenda. Aspettiamo che la commissione d'inchiesta incaricata chiarisca tutto "nella massima trasparenza", come è stato chiesto dalla Cancelliera tedesca.
Il rischio più concreto per la Merkel si verificherebbe se la situazione economica cambiasse.
In tal caso la Germania dovrebbe rivalutare la propria forza. L'economia tedesca deve una parte importante del suo successo all'esportazione verso la Cina, se dunque lo scoppio della bolla cinese avvenuto la scorsa estate si trasformasse in una crisi più profonda non è da escludere che i movimenti euroscettici e anti-sistema, che in Germania già esistono ma sono marginali, prendano pesantemente piede.
E mettano fine agli anticorpi anti-demagogici che i tedeschi hanno dal 1945».
http://espresso.repubblica.it/plus/arti ... l-1.230637
“Angela Merkel? Un ciclone senza carisma"
Lo storico Gabriele D'Ottavio spiega in un libro il successo della Cancelliera. E svela qual è il segreto che l'ha resa una delle donne più potenti al mondo. Fino agli ultimi eventi: la crisi dei profughi siriani e il caso Volkswagen
di Luca Steinmann
Angela Merkel è uno dei capi di governo più longevi nella storia della Repubblica federale tedesca. Leader del Partito Cristiano-Democratico (Cdu) è diventata Cancelliera nel 2005. Da allora è stata sempre riconfermata e nel 2014 è stata dichiarata il politico più amato di sempre dai tedeschi .
La sua affermazione politica è avvenuta all’ombra della crisi europea iniziata nel 2008, la più grave dal 1929 e, in parte, ne è stata condizionata.
Sullo sfondo di un’apparente stabilità, la Germania sta attraversando una fase di importanti cambiamenti che potrebbero avere implicazioni sia sul funzionamento del suo sistema politico, sia sul ruolo del Paese in Europa e nel mondo.
E' partendo da questo punto di vista che Gabriele d'Ottavio, insieme a Thomas Saalfeld, ha analizzato la situazione tedesca nel saggio “La Germania della Cancelliera” (Il Mulino).
D'Ottavio è ricercatore presso l'Istituto Storico Italo-Germanico e professore di Storia internazionale all'Università di Trento.
Nel suo libro parla della Cancelliera come di una persona estremamente abile e preparata, che ha saputo fare carriera politica alle spalle dei suoi predecessori. Per poi superarli e prenderne il posto.
E racconta di come la Germania stia progressivamente assumendo un ruolo di forza nell'Unione europea.
Dottor D'Ottavio Angela Merkel viene spesso definita come una delle donne più influenti del mondo. Al contempo, però, viene descritta come una persona non dotata di un particolare carisma. A cosa è dovuta questa sua forza?
«Angela Merkel è un personaggio di rottura rispetto alla politica tradizionale tedesca ed europea. Innanzitutto perché è la prima leader e Cancelliera donna. Poi perché non è nata politicamente nelle gerarchie di partito ma viene da un percorso accademico (è una ricercatrice di fisica). Infine perché proviene dalla Germania dell'Est. La sua affermazione politica coincide con il percorso di riunificazione del Paese. Helmut Kohl la elesse a sua delfina proprio perché voleva lanciare un importante segnale simbolico: che anche le donne e le persone della ex Germania dell'Est potevano avere un ruolo politico determinante. Fu un'operazione mediatica vincente, che portò la giovane Merkel ad assumere cariche governative di primo piano (fu Ministro della gioventù e dell'ambiente) e che la fece identificare dall'opinione pubblica come un personaggio di estrema rottura e innovazione».
Tanto che nel 2000 divenne la leader della Cdu.
«Lo fece scaricando il suo predecessore Kohl, dal quale prese pubblicamente le distanze con un articolo pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung in cui si dissociava dagli scandali che avevano coinvolto Kohl (era accusato in quei mesi di appropriazione illecita di fondi pubblici ndr). Da quel momento si mise alla testa del partito promettendo di rinnovarlo, ma in realtà la sua azione politica fu ed è tuttora di continuità rispetto a quella tradizionale tedesca: mette sempre al primo posto la sicurezza dei propri cittadini. Al contempo però la sua popolarità è cresciuta molto perché, pur non essendo dotata di grande carisma e avendo delle evidenti lacune comunicative, ha costruito il suo personaggio sulla competenza e l'autorevolezza. Queste due caratteristiche sono fondamentali nella società tedesca. Per ovvie ragioni storiche i tedeschi hanno sviluppato una forte avversione nei confronti dei demagoghi. L'immagine pacata e professionale della Merkel ha infuso in loro un senso di fiducia che le ha permesso di esercitare una grande leadership interna e di dettare le linee politiche sia del suo partito che di tutta la vita politica nazionale».
Quella della leadership tedesca è una questione molto sentita sia internamente che a livello europeo. Come mai?
«La Germania è già stata un leader internazionale nel passato e ciò ha assunto i connotati estremamente negativi che tutti conoscono. Di conseguenza i tedeschi sono molto restii ad assumere responsabilità politiche sullo scacchiere europeo e mondiale. Spesso sentiamo parlare di egemonia tedesca in Europa, quando in realtà la storia della Germania degli ultimi sessant'anni è una storia di fuga da questa etichetta. La stessa parola 'leadership' in lingua tedesca si traduce con 'Fuehrerschaft', termine che evoca immagini alle quali i tedeschi non vogliono più essere associati».
La tanto dibattuta questione della leadership tedesca in Europa è dunque legata a doppio filo alla storia della Germania.
«Certamente. Dopo il 1945 la Germania è stata oggetto di un'operazione politica e culturale di rielaborazione del proprio passato che ha portato al terrore di assumere un ruolo egemone in Europa. Nell'opinione pubblica tedesca c'è il rifiuto. Per questo oggi la leadership tedesca è quasi sempre limitata a fattispecie economiche e non politiche. La Germania detta la linea economica della Ue (lo vediamo nel caso dei negoziati con la Grecia) , ma rifiuta di occuparsi di sicurezza e politica estera (come si vede nella questione ucraina). Forse però stiamo intravedendo la fine di questa fase storica. Con la crisi la Germania potrebbe dovere o quasi essere costretta ad assumersi delle responsabilità politiche maggiori».
Quali sono i segnali in questo senso?
«Ci sono tre episodi significativi. Innanzitutto il negoziato del primo pacchetto di aiuti alla Grecia nel 2010: in quel caso si trattava di una questione economica in cui il Paese economicamente più virtuoso, cioè la Germania, ha dettato la sua linea, cioè quella dell'austerità. Cosa che comportò delle forti reazioni anti-tedesche in tutto il continente. Il secondo episodio è stata la trattativa per il terzo pacchetto di aiuti alla Grecia avvenuto la scorsa estate, che vedeva Merkel e Schaeuble discutere con Tsipras e Varoufakis. Come nel 2010 i tedeschi hanno imposto la loro linea, ma a differenza di allora essi hanno riscontato l'appoggio di tutti i governi europei, anche di coloro come Italia, Spagna e Portogallo la cui situazione è più simile a quella di Atene che di Berlino. Ciò mostra come in Europa sia maggiormente accettata l'idea che sia giusto che la Germania detti le linee guida. L'ultimo è stato l'annuncio della Merkel di aprire le frontiere ai profughi siriani».
Che effetto ha avuto quest'ultima decisione al livello internazionale?
«Il guadagno di popolarità lo abbiamo visto bene in Italia, dove fino al giorno prima la Germania veniva rappresentata come un paese egoista, attento ai suoi interessi economici e sordo alle istanze degli altri Paesi. D’un tratto Angela Merkel non era più la "Cancelliera di ferro", ma l’erede della Germania cosmopolita figlia di Kant.
In effetti, con questa mossa a sorpresa la Germania si è proposta come riferimento per gli altri Paesi membri dell’Unione europea, candidandosi all’esercizio di un ruolo di leadership anche sul piano politico e morale.
Il terreno però è scivoloso e a lungo andare la questione dell’emergenza profughi potrebbe soffiare sul fuoco del nazionalismo e della xenofobia. Già di fronte alle prime resistenze dei Bundesländer (le autonomie locali ndr) il governo tedesco ha dovuto correggere il tiro.
Più importante della deroga alla cosiddetta norma di Dublino per i profughi siriani è stata la richiesta di Berlino di aggiornare la mappa dei Paesi "sicuri" nei Balcani per gestire l’emergenza dando priorità a quei richiedenti asilo che fuggono da situazioni più critiche dal punto di vista delle violazioni dei diritti umani e delle persecuzioni».
Cosa possiamo aspettarci dunque per il futuro?
«La Germania potrebbe trasformare il suo potere negoziale in una leadership politica in Europa dalla quale fino ad oggi è fuggita. Si tratterebbe di un inedito protagonismo tedesco che confermerebbe un nuovo corso nella politica estera tedesca post 1945, di cui la Merkel potrebbe essere l'artefice.
Non c'è da sottovalutare però l'effetto opposto che si verificherebbe in due casi.
In primis in caso di grossi scandali, come la truffa della Volkswagen.
Il fatto che ciò sia stato smascherato negli Stati Uniti, cioè fuori dai confini nazionali, ha sicuramente danneggiato l'immagine internazionale della Germania.
Secondo quanto ha riportato "Die Welt" sembrerebbe che il governo tedesco non fosse del tutto all'oscuro del malfunzionamento dei test sulle emissioni delle auto tedesche.
Tuttavia, ritengo che sia ancora presto per fare delle valutazioni sulle possibili implicazioni politiche della vicenda. Aspettiamo che la commissione d'inchiesta incaricata chiarisca tutto "nella massima trasparenza", come è stato chiesto dalla Cancelliera tedesca.
Il rischio più concreto per la Merkel si verificherebbe se la situazione economica cambiasse.
In tal caso la Germania dovrebbe rivalutare la propria forza. L'economia tedesca deve una parte importante del suo successo all'esportazione verso la Cina, se dunque lo scoppio della bolla cinese avvenuto la scorsa estate si trasformasse in una crisi più profonda non è da escludere che i movimenti euroscettici e anti-sistema, che in Germania già esistono ma sono marginali, prendano pesantemente piede.
E mettano fine agli anticorpi anti-demagogici che i tedeschi hanno dal 1945».
http://espresso.repubblica.it/plus/arti ... l-1.230637
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Re: La crisi dell'Europa
il manifesto 6.11.15
Berlino ammette la crisi: «arrivi ingovernabili»
Germania. Il collasso del sistema di accoglienza dei migranti rimanda la rottura all’interno della Koalition
di Sebastiano Canetta
BERLINO Oscurato dalla baruffa tra Cdu e Spd sugli hot-spot per i migranti, offuscato dalla crisi bavarese e dalla rivolta sassone, congelato perfino nell’agenda dell’opposizione. Eppure il collasso del sistema dell’accoglienza in Germania è più che conclamato, e il default tedesco, non solo organizzativo, misurabile anche dai non addetti ai lavori.
Sarà per questo che, per ora, nessuno nella Koalition ha (davvero) intenzione di aprire la crisi di governo e neppure i falchi della minoranza, al di là delle dichiarazioni, possono permettersi di sparare politicamente ad alzo zero. Di fatto il crollo della «struttura» — tutt’altro che imprevedibile — è il vero incubo di tutti i partiti e fa più paura delle elezioni nei Land (a marzo 2016 si vota in tre Stati) e a livello federale (2017). Così, nella capitale si naviga a vista, nell’incapacità di gestire, sul serio, il milione di profughi presenti nel Paese entro la fine dell’anno.
Flusso impossibile da controllare, a Berlino «arrestato» a fatica perfino dalla Bundespolizei che il 26 ottobre ha fermato «casualmente» 65 tra siriani, eritrei e arabi sfuggiti alla registrazione nel Brandeburgo. Aspettavano sui binari della stazione di Südkreuz un treno diretto in Svezia, senza le carte e i bolli giusti. Gli agenti li hanno rispediti subito oltre confine, girando la «pratica» al Land di provenienza. Finora il «federalismo reale» ha funzionato così: facendo rimbalzare il problema qualche decina di chilometri più in là.
Un tampone, in tutti i sensi, spinto ben oltre la capacità di assorbimento del sistema e anche del buon senso, come a Sumte, borgo di 102 abitanti nella Bassa Sassonia, destinato a ospitare il… quintuplo di rifugiati. I primi 50 sono arrivati tre giorni fa a bordo di un bus, accolti dal comitato di residenti e dai 4 poliziotti di stanza nel comune. Ora l’«integrazione» è affare loro e il caso, anche se solo sotto il profilo della competenza, è risolto.
Del resto, non ci sono alternative: i centri riservati all’accoglienza dei migranti sono letteralmente implosi, soprattutto nella capitale che si scopre impreparata a ricevere i 20.000 profughi previsti nei prossimi due mesi. A Berlino la situazione è già insostenibile: basta fare un giro nel quartiere di Moabit, a tre fermate di metropolitana dalla cancelleria di Angela Merkel, davanti alla sede del Lageso, l’ufficio socio-sanitario predisposto alla registrazione dei richiedenti asilo. Qui da agosto la situazione è fuori controllo, anche se il livello di guardia viene superato ufficialmente solo il 24 ottobre: a passare il limite è un addetto della security (privata) che «stende» violentemente a terra due profughi usciti dalla fila. E’«la legge del più forte» che rimbalza fin sulla stampa, la gestione «pratica» dell’emergenza, la norma quotidiana che affonda ogni regola.
Un disastro, peggio «una catastrofe» per dirla con le parole dei volontari dell’associazione Moabit Hilft dal 2013 in prima linea sul fronte dell’aiuto ai rifugiati. Appena «tollerati dalle autorità», puntano l’indice contro le istituzioni che «non collaborano» e denunciano l’imbarazzante stato del principale hub della città.
«Il Senato è politicamente responsabile della situazione catastrofica del Lageso» riassumono, prima di elencare i buchi neri dell’accoglienza di Stato: «L’ufficio sociale non assicura le cure sanitarie: nelle strutture ci sono solo i medici volontari, l’assistenza ufficiale non esiste». Si somma ai disservizi igienici forniti ai 500 profughi che ogni giorno affollano il Lageso (un wc chimico, costo: 50 cent a seduta) e alla sospensione dei diritti stabiliti dalla legge sull’asilo «con turni di attesa per il rilascio del primo documento fino a 57 giorni».
In più «chi arriva nel fine settimana non può accedere ai rifugi, le famiglie trovano tetto e cibo solo negli alloggi privati». Fallisce la prova dei fatti pure la distribuzione dei profughi negli ostelli: a Berlino anche chi è dotato del voucher garantito dal Land viene messo alla porta «a causa di ingenti arretrati o di modalità di pagamento non accettate». Il risultato è che «i rifugi stabiliti dal Senato respingono gli sfollati» rimarca chi li assiste sul campo.
Fa il paio con l’implosione burocratica confermata dallo stesso personale del Lageso: «Negli uffici mancano 200 impiegati fra traduttori, mediatori, addetti alle registrazioni» mentre il reclutamento dei pensionati, richiamati per tappare le falle in organico, al massimo serve a guadagnare tempo.
Quello che manca però è soprattutto lo spazio. Non si trova nei quartieri «sovietici» di Berlino est come Marzahn dove l’opposizione frontale dell’ultradestra e dei populisti filo-Pegida appare scontata, ma nemmeno a Reinickendorf, nel nord-ovest, dove gli abitanti «resistono» alla trasformazione dell’ex fabbrica di Tetrapak in un Asylheim per 1.000 migranti. Procede più o meno secondo i piani solo il riallestimento del vecchio aeroporto di Tempelhof (quello del «ponte-aereo») con il montaggio dei letti a castello per circa 2.000 persone affidato all’esercito. Da solo però non basta, al punto che il Senato da una settimana è costretto a scandagliare gli annunci immobiliari su internet, come qualsiasi privato cittadino.
Forse, avvertono i volontari di Moabit, per risolvere il problema «le autorità aspettano che congeli il primo bambino o il gesto di disperazione di qualche profugo». Poco importa se il dramma a Berlino si è già consumato e per qualcuno la coda infinita davanti al Lageso è diventata davvero infernale: è il caso di Mohamed Januzi, bosniaco, 4 anni, perso di vista dalla madre il 1 ottobre nel caos delle registrazioni, ritrovato cadavere un mese dopo nel bagagliaio dell’auto di una guardia giurata (tedesca) con segni di abusi e tortura. Tutto mentre al Bundestag si discuteva dei controlli, per gli stranieri.
Berlino ammette la crisi: «arrivi ingovernabili»
Germania. Il collasso del sistema di accoglienza dei migranti rimanda la rottura all’interno della Koalition
di Sebastiano Canetta
BERLINO Oscurato dalla baruffa tra Cdu e Spd sugli hot-spot per i migranti, offuscato dalla crisi bavarese e dalla rivolta sassone, congelato perfino nell’agenda dell’opposizione. Eppure il collasso del sistema dell’accoglienza in Germania è più che conclamato, e il default tedesco, non solo organizzativo, misurabile anche dai non addetti ai lavori.
Sarà per questo che, per ora, nessuno nella Koalition ha (davvero) intenzione di aprire la crisi di governo e neppure i falchi della minoranza, al di là delle dichiarazioni, possono permettersi di sparare politicamente ad alzo zero. Di fatto il crollo della «struttura» — tutt’altro che imprevedibile — è il vero incubo di tutti i partiti e fa più paura delle elezioni nei Land (a marzo 2016 si vota in tre Stati) e a livello federale (2017). Così, nella capitale si naviga a vista, nell’incapacità di gestire, sul serio, il milione di profughi presenti nel Paese entro la fine dell’anno.
Flusso impossibile da controllare, a Berlino «arrestato» a fatica perfino dalla Bundespolizei che il 26 ottobre ha fermato «casualmente» 65 tra siriani, eritrei e arabi sfuggiti alla registrazione nel Brandeburgo. Aspettavano sui binari della stazione di Südkreuz un treno diretto in Svezia, senza le carte e i bolli giusti. Gli agenti li hanno rispediti subito oltre confine, girando la «pratica» al Land di provenienza. Finora il «federalismo reale» ha funzionato così: facendo rimbalzare il problema qualche decina di chilometri più in là.
Un tampone, in tutti i sensi, spinto ben oltre la capacità di assorbimento del sistema e anche del buon senso, come a Sumte, borgo di 102 abitanti nella Bassa Sassonia, destinato a ospitare il… quintuplo di rifugiati. I primi 50 sono arrivati tre giorni fa a bordo di un bus, accolti dal comitato di residenti e dai 4 poliziotti di stanza nel comune. Ora l’«integrazione» è affare loro e il caso, anche se solo sotto il profilo della competenza, è risolto.
Del resto, non ci sono alternative: i centri riservati all’accoglienza dei migranti sono letteralmente implosi, soprattutto nella capitale che si scopre impreparata a ricevere i 20.000 profughi previsti nei prossimi due mesi. A Berlino la situazione è già insostenibile: basta fare un giro nel quartiere di Moabit, a tre fermate di metropolitana dalla cancelleria di Angela Merkel, davanti alla sede del Lageso, l’ufficio socio-sanitario predisposto alla registrazione dei richiedenti asilo. Qui da agosto la situazione è fuori controllo, anche se il livello di guardia viene superato ufficialmente solo il 24 ottobre: a passare il limite è un addetto della security (privata) che «stende» violentemente a terra due profughi usciti dalla fila. E’«la legge del più forte» che rimbalza fin sulla stampa, la gestione «pratica» dell’emergenza, la norma quotidiana che affonda ogni regola.
Un disastro, peggio «una catastrofe» per dirla con le parole dei volontari dell’associazione Moabit Hilft dal 2013 in prima linea sul fronte dell’aiuto ai rifugiati. Appena «tollerati dalle autorità», puntano l’indice contro le istituzioni che «non collaborano» e denunciano l’imbarazzante stato del principale hub della città.
«Il Senato è politicamente responsabile della situazione catastrofica del Lageso» riassumono, prima di elencare i buchi neri dell’accoglienza di Stato: «L’ufficio sociale non assicura le cure sanitarie: nelle strutture ci sono solo i medici volontari, l’assistenza ufficiale non esiste». Si somma ai disservizi igienici forniti ai 500 profughi che ogni giorno affollano il Lageso (un wc chimico, costo: 50 cent a seduta) e alla sospensione dei diritti stabiliti dalla legge sull’asilo «con turni di attesa per il rilascio del primo documento fino a 57 giorni».
In più «chi arriva nel fine settimana non può accedere ai rifugi, le famiglie trovano tetto e cibo solo negli alloggi privati». Fallisce la prova dei fatti pure la distribuzione dei profughi negli ostelli: a Berlino anche chi è dotato del voucher garantito dal Land viene messo alla porta «a causa di ingenti arretrati o di modalità di pagamento non accettate». Il risultato è che «i rifugi stabiliti dal Senato respingono gli sfollati» rimarca chi li assiste sul campo.
Fa il paio con l’implosione burocratica confermata dallo stesso personale del Lageso: «Negli uffici mancano 200 impiegati fra traduttori, mediatori, addetti alle registrazioni» mentre il reclutamento dei pensionati, richiamati per tappare le falle in organico, al massimo serve a guadagnare tempo.
Quello che manca però è soprattutto lo spazio. Non si trova nei quartieri «sovietici» di Berlino est come Marzahn dove l’opposizione frontale dell’ultradestra e dei populisti filo-Pegida appare scontata, ma nemmeno a Reinickendorf, nel nord-ovest, dove gli abitanti «resistono» alla trasformazione dell’ex fabbrica di Tetrapak in un Asylheim per 1.000 migranti. Procede più o meno secondo i piani solo il riallestimento del vecchio aeroporto di Tempelhof (quello del «ponte-aereo») con il montaggio dei letti a castello per circa 2.000 persone affidato all’esercito. Da solo però non basta, al punto che il Senato da una settimana è costretto a scandagliare gli annunci immobiliari su internet, come qualsiasi privato cittadino.
Forse, avvertono i volontari di Moabit, per risolvere il problema «le autorità aspettano che congeli il primo bambino o il gesto di disperazione di qualche profugo». Poco importa se il dramma a Berlino si è già consumato e per qualcuno la coda infinita davanti al Lageso è diventata davvero infernale: è il caso di Mohamed Januzi, bosniaco, 4 anni, perso di vista dalla madre il 1 ottobre nel caos delle registrazioni, ritrovato cadavere un mese dopo nel bagagliaio dell’auto di una guardia giurata (tedesca) con segni di abusi e tortura. Tutto mentre al Bundestag si discuteva dei controlli, per gli stranieri.
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
Allons enfants de la Patrie
Le jour de gloire est arrivé !
Marine & Marion
ha scritto sull'Espresso Alessandra Bianchi(In rete è disponibile solo questo spezzone)
Intervista
Rachida Dati: "Un disastro se vince Marine"
I partiti tradizionali hanno deluso i francesi, anche sulla sicurezza. Ecco perché rischiano alle regionali. Ma il Front National conosce solo la protesta
di Alessandra Bianchi
04 dicembre 2015
"I francesi si aspettano molto da noi politici. E noi li abbiamo delusi, sia a destra che a sinistra. Così alcuni pensano di votare Front National perché si dicono 'non li abbiamo provati, vediamo che succede'. Ma non bisogna permettere che la collera ci porti al caos. La capisco la collera, i cittadini sono esasperati. Ci sono problemi di sicurezza, di scuola, di disoccupazione. Quando hai più del 10 per cento di disoccupati, significa che il problema riguarda tutti.
Fino alle 20,00 non verranno forniti dati di sorta.
Ma dalle solite indiscrezioni (Antonio Di Bella Tg3) Marine & Marion dovrebbero stare al 40 % mentre il 50 % sembra aver rifiutato il voto.
Tra poco al TG7 dovremmo disporre di maggiori informazioni.
Comunque la Francia va a destra seguendo la linea europea.
Le jour de gloire est arrivé !
Marine & Marion
ha scritto sull'Espresso Alessandra Bianchi(In rete è disponibile solo questo spezzone)
Intervista
Rachida Dati: "Un disastro se vince Marine"
I partiti tradizionali hanno deluso i francesi, anche sulla sicurezza. Ecco perché rischiano alle regionali. Ma il Front National conosce solo la protesta
di Alessandra Bianchi
04 dicembre 2015
"I francesi si aspettano molto da noi politici. E noi li abbiamo delusi, sia a destra che a sinistra. Così alcuni pensano di votare Front National perché si dicono 'non li abbiamo provati, vediamo che succede'. Ma non bisogna permettere che la collera ci porti al caos. La capisco la collera, i cittadini sono esasperati. Ci sono problemi di sicurezza, di scuola, di disoccupazione. Quando hai più del 10 per cento di disoccupati, significa che il problema riguarda tutti.
Fino alle 20,00 non verranno forniti dati di sorta.
Ma dalle solite indiscrezioni (Antonio Di Bella Tg3) Marine & Marion dovrebbero stare al 40 % mentre il 50 % sembra aver rifiutato il voto.
Tra poco al TG7 dovremmo disporre di maggiori informazioni.
Comunque la Francia va a destra seguendo la linea europea.
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Re: La crisi dell'Europa
camillobenso ha scritto:Allons enfants de la Patrie
Le jour de gloire est arrivé !
Marine & Marion
ha scritto sull'Espresso Alessandra Bianchi(In rete è disponibile solo questo spezzone)
Intervista
Rachida Dati: "Un disastro se vince Marine"
I partiti tradizionali hanno deluso i francesi, anche sulla sicurezza. Ecco perché rischiano alle regionali. Ma il Front National conosce solo la protesta
di Alessandra Bianchi
04 dicembre 2015
"I francesi si aspettano molto da noi politici. E noi li abbiamo delusi, sia a destra che a sinistra. Così alcuni pensano di votare Front National perché si dicono 'non li abbiamo provati, vediamo che succede'. Ma non bisogna permettere che la collera ci porti al caos. La capisco la collera, i cittadini sono esasperati. Ci sono problemi di sicurezza, di scuola, di disoccupazione. Quando hai più del 10 per cento di disoccupati, significa che il problema riguarda tutti.
Fino alle 20,00 non verranno forniti dati di sorta.
Ma dalle solite indiscrezioni (Antonio Di Bella Tg3) Marine & Marion dovrebbero stare al 40 % mentre il 50 % sembra aver rifiutato il voto.
Tra poco al TG7 dovremmo disporre di maggiori informazioni.
Comunque la Francia va a destra seguendo la linea europea.
Primi dati exit pool:
29, Marine & Marion
23, I socialisti
Il Front National diventa primo partito, ma la forbice è più ristretta da quella comunicata da Di Bella.
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Re: La crisi dell'Europa
Il Front National è primo partito in Francia
Marine Le Pen conquista sei regioni su 13
Secondo gli exit poll il movimento di estrema destra tra il 29,5 e 30,8% dei voti. Superati i Repubblicani
Sarkozy: “E’ un pericolo per tutto il Paese”. La leader nazionalista: “Siamo gli unici a difendere la nazione”
Mondo
La figlia di Jean-Marie avrebbe il 40,3% delle preferenze nel Nord-Pas-Calais, 15 punti avanti rispetto al secondo classificato. La nipote Marion è data al 41,2% nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Sono un’accoppiata improbabile, con posizioni politiche che spesso divergono notevolmente: laica e “moderna” la prima, supercattolica e tradizionalista la seconda. Le differenze si sono per il momento trasformate in un vantaggio, la possibilità per il partito di attingere a elettorati complementari
di Leonardo Martinelli
http://www.ilfattoquotidiano.it/?refresh_ce
^^^^
Francia al voto, “Front National in testa in sei regioni”. Le Pen: “Siamo gli unici a difendere la nazione”
Mondo
Il partito di estrema destra ha preso oltre il 40% nel Nord-Pas-de-Calais-Picardie e nella regione meridionale di Provenza Alpi Costa Azzurra, dove corre per la presidenza la nipote Marion-Maréchal Le Pen. Sarkozy, leader dei Repubblicani: "Pericolo per tutto il Paese"
di F. Q. | 6 dicembre 2015
Il Front National di Marine Le Pen è il primo partito di Francia al primo turno delle regionali con il 29,5%, seguito dai Républicains di Nicolas Sarkozy con il 27% e dai socialisti al potere con il presidente François Hollande, che hanno il 23%. Questi i primi exit poll diffusi dalla tv francese, secondo cui il FN è in testa in sei regioni e ha più del 40% del Nord-Pas-de-Calais-Picardie e nella regione meridionale di Provenza Alpi Costa Azzurra. Dove sono date in testa per la corsa alla presidenza, rispettivamente con il 41% e il 41,2%, la Le Pen e la nipote Marion Marechal-Le Pen. Secondo gli exit poll Ipsos per France-Info Florian Philippot, il numero due del Front National, ha ottenuto poi oltre il 35% dei voti in Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorraine ed è in pole position per il secondo turno. Secondo il repubblicano Philippe Richert (26%), presidente uscente, davanti al socialista Jean-Pierre Masseret (16,7%)
“Siamo il primo partito di Francia. Siamo l’unico fronte che difende la nazione e la sovranità. Il solo che può riconquistare il territorio perduto di Calais”, ha detto Marine Le Pen. Nel salutare i suoi sostenitori nel quartier generale di Hénin Beaumont, la leader ha lanciato un appello a tutti gli elettori “che si sentono prima di tutto patrioti” a votare il Front National al secondo turno di domenica 13, “l’unico fronte veramente repubblicano perché l’unico a difendere la nazione e la sua sovranità”. “Li accoglieremo fraternamente”, ha aggiunto. Secondo Philippot “questi sono risultati storici per i patrioti della Francia”.
Sarkozy, leader dei Repubblicani, ha espresso preoccupazione: “Noi comprendiamo l’inquietudine” di chi ha votato il Front National, ma c’è il rischio che si creino “le condizioni di un disordine pericoloso nelle loro regioni e nel nostro paese”. “Questa arroganza che il partito rappresenta – ha aggiunto – si è espressa anche con l’astensione: più di 20 milioni di francesi non sono andati alle urne. A loro dico che il silenzio nelle urne non sarà mai una risposta alla loro angoscia e alla loro inquietudine”. Sarkozy ha detto di voler “rifiutare ogni fusione e ogni apparentamento di lista” perché “quello che i francesi meritano è una chiara alternanza in tutte le regioni. Questa è l’attitudine repubblicana”.
Il portavoce del governo francese, Stéphane Le Foll, ha al contrario gettato acqua sul fuoco dichiarando che la somma dei voti di tutta la sinistra – socialisti, Verdi e Fronte di Sinistra – la rende la prima forza in Francia. “Il totale della sinistra, che dicono essere in difficoltà, dovrebbe superare il 36%, cosa che la rende la prima forza politica in Francia”, ha spiegato a Tf1.
L’affluenza al voto alle 17 era del 43,01% contro il 16,27% delle 12: un tasso superiore a quello della stessa ora del 2010, quando l’affluenza fu del 39%. Hollande si è recato alle urne intorno alle nove e mezza a Tulle, in Correze, considerato il suo feudo elettorale. Il presidente della Repubblica ha votato prima rispetto alle sue abitudini e ha avuto anche un “incidente”: impegnato a sorridere ai fotografi, ha fatto cadere la scheda fuori dall’urna ed è stato richiamato indietro dagli scrutatori. Poi, come sua consuetudine, è ripartito subito per Parigi. Il premier Manuel Valls ai media locali presenti al seggio ha detto che “la scheda elettorale” è “un’arma” contro il terrorismo. Spero – ha aggiunto il politico socialista – che molti francesi vadano a votare, soprattutto dopo gli attacchi terroristici”.
Le Pen ha votato questa mattina a Henin-Beaumont, roccaforte del partito. “Siamo solo al primo round, ma speriamo di avere il più grande vantaggio possibile in modo che la spinta sia la più forte possibile” ha detto la leader del partito della destra radicale favorito nei sondaggi a Reuters tv. “Ho fiducia negli elettori perché ci hanno visti lavorare e questo è il motivo per cui si rivolgeranno verso di noi”
La grande novità di questa tornata elettorale è che il Paese è diviso in 13 regioni, anziché 22 come era stato finora, a causa della semplificazione amministrativa promossa dal presidente Hollande. Si vota fino alle 20 di stasera e sono chiamati alle urne 44,6 milioni di francesi. Gli elettori dovranno eleggere 1.757 consiglieri regionali e 153 consiglieri territoriali (Corsica, Guyana e Martinica) scegliendoli dai 21.456 candidati di 171 liste.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... i/2282341/
Marine Le Pen conquista sei regioni su 13
Secondo gli exit poll il movimento di estrema destra tra il 29,5 e 30,8% dei voti. Superati i Repubblicani
Sarkozy: “E’ un pericolo per tutto il Paese”. La leader nazionalista: “Siamo gli unici a difendere la nazione”
Mondo
La figlia di Jean-Marie avrebbe il 40,3% delle preferenze nel Nord-Pas-Calais, 15 punti avanti rispetto al secondo classificato. La nipote Marion è data al 41,2% nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Sono un’accoppiata improbabile, con posizioni politiche che spesso divergono notevolmente: laica e “moderna” la prima, supercattolica e tradizionalista la seconda. Le differenze si sono per il momento trasformate in un vantaggio, la possibilità per il partito di attingere a elettorati complementari
di Leonardo Martinelli
http://www.ilfattoquotidiano.it/?refresh_ce
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Francia al voto, “Front National in testa in sei regioni”. Le Pen: “Siamo gli unici a difendere la nazione”
Mondo
Il partito di estrema destra ha preso oltre il 40% nel Nord-Pas-de-Calais-Picardie e nella regione meridionale di Provenza Alpi Costa Azzurra, dove corre per la presidenza la nipote Marion-Maréchal Le Pen. Sarkozy, leader dei Repubblicani: "Pericolo per tutto il Paese"
di F. Q. | 6 dicembre 2015
Il Front National di Marine Le Pen è il primo partito di Francia al primo turno delle regionali con il 29,5%, seguito dai Républicains di Nicolas Sarkozy con il 27% e dai socialisti al potere con il presidente François Hollande, che hanno il 23%. Questi i primi exit poll diffusi dalla tv francese, secondo cui il FN è in testa in sei regioni e ha più del 40% del Nord-Pas-de-Calais-Picardie e nella regione meridionale di Provenza Alpi Costa Azzurra. Dove sono date in testa per la corsa alla presidenza, rispettivamente con il 41% e il 41,2%, la Le Pen e la nipote Marion Marechal-Le Pen. Secondo gli exit poll Ipsos per France-Info Florian Philippot, il numero due del Front National, ha ottenuto poi oltre il 35% dei voti in Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorraine ed è in pole position per il secondo turno. Secondo il repubblicano Philippe Richert (26%), presidente uscente, davanti al socialista Jean-Pierre Masseret (16,7%)
“Siamo il primo partito di Francia. Siamo l’unico fronte che difende la nazione e la sovranità. Il solo che può riconquistare il territorio perduto di Calais”, ha detto Marine Le Pen. Nel salutare i suoi sostenitori nel quartier generale di Hénin Beaumont, la leader ha lanciato un appello a tutti gli elettori “che si sentono prima di tutto patrioti” a votare il Front National al secondo turno di domenica 13, “l’unico fronte veramente repubblicano perché l’unico a difendere la nazione e la sua sovranità”. “Li accoglieremo fraternamente”, ha aggiunto. Secondo Philippot “questi sono risultati storici per i patrioti della Francia”.
Sarkozy, leader dei Repubblicani, ha espresso preoccupazione: “Noi comprendiamo l’inquietudine” di chi ha votato il Front National, ma c’è il rischio che si creino “le condizioni di un disordine pericoloso nelle loro regioni e nel nostro paese”. “Questa arroganza che il partito rappresenta – ha aggiunto – si è espressa anche con l’astensione: più di 20 milioni di francesi non sono andati alle urne. A loro dico che il silenzio nelle urne non sarà mai una risposta alla loro angoscia e alla loro inquietudine”. Sarkozy ha detto di voler “rifiutare ogni fusione e ogni apparentamento di lista” perché “quello che i francesi meritano è una chiara alternanza in tutte le regioni. Questa è l’attitudine repubblicana”.
Il portavoce del governo francese, Stéphane Le Foll, ha al contrario gettato acqua sul fuoco dichiarando che la somma dei voti di tutta la sinistra – socialisti, Verdi e Fronte di Sinistra – la rende la prima forza in Francia. “Il totale della sinistra, che dicono essere in difficoltà, dovrebbe superare il 36%, cosa che la rende la prima forza politica in Francia”, ha spiegato a Tf1.
L’affluenza al voto alle 17 era del 43,01% contro il 16,27% delle 12: un tasso superiore a quello della stessa ora del 2010, quando l’affluenza fu del 39%. Hollande si è recato alle urne intorno alle nove e mezza a Tulle, in Correze, considerato il suo feudo elettorale. Il presidente della Repubblica ha votato prima rispetto alle sue abitudini e ha avuto anche un “incidente”: impegnato a sorridere ai fotografi, ha fatto cadere la scheda fuori dall’urna ed è stato richiamato indietro dagli scrutatori. Poi, come sua consuetudine, è ripartito subito per Parigi. Il premier Manuel Valls ai media locali presenti al seggio ha detto che “la scheda elettorale” è “un’arma” contro il terrorismo. Spero – ha aggiunto il politico socialista – che molti francesi vadano a votare, soprattutto dopo gli attacchi terroristici”.
Le Pen ha votato questa mattina a Henin-Beaumont, roccaforte del partito. “Siamo solo al primo round, ma speriamo di avere il più grande vantaggio possibile in modo che la spinta sia la più forte possibile” ha detto la leader del partito della destra radicale favorito nei sondaggi a Reuters tv. “Ho fiducia negli elettori perché ci hanno visti lavorare e questo è il motivo per cui si rivolgeranno verso di noi”
La grande novità di questa tornata elettorale è che il Paese è diviso in 13 regioni, anziché 22 come era stato finora, a causa della semplificazione amministrativa promossa dal presidente Hollande. Si vota fino alle 20 di stasera e sono chiamati alle urne 44,6 milioni di francesi. Gli elettori dovranno eleggere 1.757 consiglieri regionali e 153 consiglieri territoriali (Corsica, Guyana e Martinica) scegliendoli dai 21.456 candidati di 171 liste.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... i/2282341/
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Re: La crisi dell'Europa
La vox populi italiana
roby49 • un'ora fa
gli alleati del m5stelle tra i quali spiccano i neo nazi di sweden democrats questa sera brinderanno per la vittoria dell'ultra destra francese
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holz • 3 ore fa
ma quindi mo che farà per difendere la nazione e riconquistare calais? a parole vanno forte ma nei fatti dubito che avrà il potere per realizzare quelle promesse.
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disqus_dq3UEVN2QW • 5 ore fa
Nel frattempo Sarkozy - quello dei bombardamenti in Libia le cui conseguenze pagheremo ancora per qualche decennio - dice che e' un pericolo per tutto il Paese. Se lo dice Lui che con i bombardamenti in Libia ha contribuito a portarci fino a qui'...
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vinz75mi • 5 ore fa
Aspettando gli Stati Uniti d'Europa. Solo così eviteremo la guerra
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RADEK • 5 ore fa
La falsa sinistra ipercapitalista dei diritti civili per qualcuno e povertà per tutti, mastica amaro.
Nonostante il clero giornalistico asservito che trasmette tutto il giorno l'immaginario globalizzato, il peso della realtà si fa sentire ed il voto lo manifesta.
Ma in problema della cosidetta destra è l'efficacia e la competenza che deriva da mediazioni culturali complesse che non possiede e non può possedere, perchè il pensiero unico ha drogato tutto il clero intellettuale che è al servizio babbo Nato e mamma UE ed è indifferente al popolo ed alla nazione.
Molti sovranisti vengono dal bar sport sotto casa e sono catapultati nella politica nazionale, come Salvini, che non capisce nulla...il problema è questo.
La Francia è messa meglio , ma non so se basterà.
rdk
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Mathias77 • 5 ore fa
Una bella mazzata sulla groppa del sistema!
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mikisix • 5 ore fa
mi fa specie vedere gente che festeggia per una vittoria figlia degli attentati...
dopo il 13 novembre i politici francesi sono stati responsabili, dovrebbero continuare...
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frei • 5 ore fa
C'era qualche dubbio? L'Europa va a destra. Esiste, d'altra parte, una sinistra? Diciamo meglio, esiste un pensiero alternativo sul piano economico, politico, culturale? Paradossalmente lo è quello di una destra che punta alla sovranità nazionale e a uscire dalle maglie del pensiero unico. Non avrebbe forse vinto se un pensiero alternativo e dirompente fosse stato espresso da quella che chiameremo (non sapendo più come chiamarla) sinistra, che non ha saputo resistere al fascino tentatore e assoluto del neoliberismo selvaggio e alla perdita di sovranità nazionale. Che non ha fatto una piega quando la Grecia è crollata sotto i colpi di artiglieria delle banche, che non sa esprimere vicinanza fattiva ai più deboli, che assiste silenziosa all'impoverimento di buona parte dei cittadini, che collabora alla disfatta dei diritti, che esegue gli ordine d'oltre oceano, che ama spudoratamente le banche e la finanza mondiale. La sinistra che ha perduto la sua visione per convertirsi al verbo unico e che non sa esprimere un'idea alternativa. La peggiore.
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Giuliano Caruso frei • 25 minuti fa
La sinistra è come l'operaio che diventa padrone: è il più cattivo di tutti i padroni.
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talia frei • 4 ore fa
Parole coraggiose e oneste quanto realistiche !
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roby49 • un'ora fa
gli alleati del m5stelle tra i quali spiccano i neo nazi di sweden democrats questa sera brinderanno per la vittoria dell'ultra destra francese
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holz • 3 ore fa
ma quindi mo che farà per difendere la nazione e riconquistare calais? a parole vanno forte ma nei fatti dubito che avrà il potere per realizzare quelle promesse.
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disqus_dq3UEVN2QW • 5 ore fa
Nel frattempo Sarkozy - quello dei bombardamenti in Libia le cui conseguenze pagheremo ancora per qualche decennio - dice che e' un pericolo per tutto il Paese. Se lo dice Lui che con i bombardamenti in Libia ha contribuito a portarci fino a qui'...
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vinz75mi • 5 ore fa
Aspettando gli Stati Uniti d'Europa. Solo così eviteremo la guerra
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RADEK • 5 ore fa
La falsa sinistra ipercapitalista dei diritti civili per qualcuno e povertà per tutti, mastica amaro.
Nonostante il clero giornalistico asservito che trasmette tutto il giorno l'immaginario globalizzato, il peso della realtà si fa sentire ed il voto lo manifesta.
Ma in problema della cosidetta destra è l'efficacia e la competenza che deriva da mediazioni culturali complesse che non possiede e non può possedere, perchè il pensiero unico ha drogato tutto il clero intellettuale che è al servizio babbo Nato e mamma UE ed è indifferente al popolo ed alla nazione.
Molti sovranisti vengono dal bar sport sotto casa e sono catapultati nella politica nazionale, come Salvini, che non capisce nulla...il problema è questo.
La Francia è messa meglio , ma non so se basterà.
rdk
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Mathias77 • 5 ore fa
Una bella mazzata sulla groppa del sistema!
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mikisix • 5 ore fa
mi fa specie vedere gente che festeggia per una vittoria figlia degli attentati...
dopo il 13 novembre i politici francesi sono stati responsabili, dovrebbero continuare...
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frei • 5 ore fa
C'era qualche dubbio? L'Europa va a destra. Esiste, d'altra parte, una sinistra? Diciamo meglio, esiste un pensiero alternativo sul piano economico, politico, culturale? Paradossalmente lo è quello di una destra che punta alla sovranità nazionale e a uscire dalle maglie del pensiero unico. Non avrebbe forse vinto se un pensiero alternativo e dirompente fosse stato espresso da quella che chiameremo (non sapendo più come chiamarla) sinistra, che non ha saputo resistere al fascino tentatore e assoluto del neoliberismo selvaggio e alla perdita di sovranità nazionale. Che non ha fatto una piega quando la Grecia è crollata sotto i colpi di artiglieria delle banche, che non sa esprimere vicinanza fattiva ai più deboli, che assiste silenziosa all'impoverimento di buona parte dei cittadini, che collabora alla disfatta dei diritti, che esegue gli ordine d'oltre oceano, che ama spudoratamente le banche e la finanza mondiale. La sinistra che ha perduto la sua visione per convertirsi al verbo unico e che non sa esprimere un'idea alternativa. La peggiore.
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Giuliano Caruso frei • 25 minuti fa
La sinistra è come l'operaio che diventa padrone: è il più cattivo di tutti i padroni.
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talia frei • 4 ore fa
Parole coraggiose e oneste quanto realistiche !
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Re: La crisi dell'Europa
il primo turno
Francia, elezioni regionali:
Front National primo partito, crollo dei socialisti. Le due Le Pen oltre 40%
L'ultradestra al 27,73% conquista sei regioni su 13. Républicains al 26,65 mentre il partito del presidente Hollande è al 23,12% e si ritira nelle regioni dove sono favorite Marine e Maréchal Le Pen, anche se un candidato ha deciso di non seguire la direttiva
di Redazione Online
http://www.corriere.it/esteri/15_dicemb ... e7c5.shtml
Francia, elezioni regionali:
Front National primo partito, crollo dei socialisti. Le due Le Pen oltre 40%
L'ultradestra al 27,73% conquista sei regioni su 13. Républicains al 26,65 mentre il partito del presidente Hollande è al 23,12% e si ritira nelle regioni dove sono favorite Marine e Maréchal Le Pen, anche se un candidato ha deciso di non seguire la direttiva
di Redazione Online
http://www.corriere.it/esteri/15_dicemb ... e7c5.shtml
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Re: La crisi dell'Europa
Il punto di vista di Massimo Nava
Svolta
La Francia ferita manda un segnale sul futuro dell’Europa
Il Front National è il prodotto delle esitazioni della destra gaullista e delle ambiguità di una sinistra che non ha saputo vedere la disgregazione sociale ed economica di un Paese in difficoltà
di Massimo Nava
Il successo del Front National è straordinario. Un terremoto politico, da nord a sud. È il primo partito di Francia. Era previsto, dai sondaggi e dai media, che si sarebbe votato pensando anche al Califfato e alla strage del Bataclan.
Non c’è da stupirsi.
Sorprende invece la ripetitività di analisi e reazioni tendenti ad attribuire a Marine Le Pen soltanto straordinarie capacità di cavalcare le grandi paure, dal terrorismo stragista all’immigrazione senza controllo.
E a consegnare alla voce «populismo» irrazionali inquietudini della popolazione che voterebbe con la pancia per il leader che fa il discorso più duro e il partito delle promesse semplificate.
Il Front National non è solo questo.
È anche il prodotto delle esitazioni e dell’involuzione della destra gaullista, che ha diluito i suoi valori (autorità, senso dello Stato, laicità repubblicana, identità della nazione) salvo il tentativo di Nicolas Sarkozy, di nuovo in corsa per l’Eliseo, di tornare alle origini, decomplessare il partito, costruire l’alleanza di tutti i moderati.
Ed è anche il prodotto delle ambiguità culturali e ideologiche di una sinistra che non ha saputo vedere né i pericoli di disgregazione sociale ed economica che minacciavano la società francese né interpretare la necessità di profonde riforme strutturali.
La Francia, da Chirac a Hollande, passando per Sarkozy, ha moltiplicato assistenzialismo improduttivo, ha tagliato risorse per la polizia, ha aumentato tasse e debito pubblico, ha portato la disoccupazione a livelli record, ha allargato disparità sociali, ha permesso che grandi aree periferiche diventassero off limits, per le forze dell’ordine e per le regole dello Stato laico.
Errori e ambiguità dei due maggiori partiti hanno lasciato senza punti di riferimento milioni di elettori, quelli più deboli, quelli che pagano sulla propria pelle il prezzo delle riforme mancate, della disoccupazione di massa e della contiguità urbana con le periferie, all’interno delle quali si allignano estremismo religioso, proselitismo, criminalità comune.
Molti non votano più, ma quelli che lo fanno sono stanchi di esorcismi sul valore morale o sulla inconsapevolezza delle loro scelte, sull’inganno del Fronte, sui pericoli per l’immagine del Paese nel mondo.
Sono operai, ceti medi decaduti, immigrati di prima generazione, giovani disoccupati, pensionati che chiedono sicurezza, controllo dell’immigrazione, frontiere meno permeabili, meno tasse e più crescita.
Sono domande che non riguardano solo la Francia e che ci facciamo tutti, sul crinale stretto fra sicurezza e libertà, tolleranza e buonismo, accoglienza e integrazione, welfare e produttività, mentre il terrorismo colpisce e i venti di guerra ci angosciano.
L’abilità di Marine Le Pen è fuori discussione.
Ha saputo rinnovare il partito, smussare i toni, assumere una statura «repubblicana», catturare personalità senza il marchio della destra lepenista.
Ma il Fronte attraversa la politica francese dai tempi di Mitterrand, è esploso con Chirac, si è radicato con Sarkozy e con Hollande.
Il fatto che il presidente in carica sia risalito nei sondaggi, senza arginare la rovinosa sconfitta della sinistra, non fa che confermare la sensibilità della Francia di oggi.
I francesi esasperati applaudono misure di emergenza, retate della polizia, controllo delle frontiere, sostanziale congelamento di Schengen.
Ossia un armamentario di misure che il Front chiedeva da tempo, almeno da dopo gli attentati a Charlie Hebdo.
Il copia incolla non paga. Adesso l’originale è Marine.
Adesso la corsa all’Eliseo, nel 2017, è più che mai una corsa a tre.
Adesso servono a poco gli appelli all’unione repubblicana e democratica, ad alzare barricate unitarie che gli elettori del Fronte non sembrano avere voglia di ascoltare.
Il risultato conferma la radicalizzazione sul territorio, dal Nord depresso al Sud ricco, la conquista di nuove aree, la penetrazione nelle grandi città.
È l’ennesimo segnale che un Paese in crisi, ferito dal terrorismo e ripiegato su se stesso, manda all’Europa, condizionandone il futuro, dopo averne complicato il passato.
Nell’Europa, «espressione» monetaria e non politica, questa Francia è parte del problema e sempre meno della soluzione.
Gli imitatori di Marine Le Pen crescono in tutti i Paesi dell’Unione, si colorano di destra e di sinistra, aspirano a governare e qualche volta ci sono già riusciti. Continuare soltanto a chiamarli populisti, con lo sprezzo del politicamente corretto o dello snobismo tecnocratico, è stupido e inutile. Passeggeranno sugli errori e travolgeranno gli ideali.
mnava@corriere.it 7 dicembre 2015 (modifica il 7 dicembre 2015 | 09:08) © RIPRODUZIONE RISERVATA]
mnava@corriere.it
Svolta
La Francia ferita manda un segnale sul futuro dell’Europa
Il Front National è il prodotto delle esitazioni della destra gaullista e delle ambiguità di una sinistra che non ha saputo vedere la disgregazione sociale ed economica di un Paese in difficoltà
di Massimo Nava
Il successo del Front National è straordinario. Un terremoto politico, da nord a sud. È il primo partito di Francia. Era previsto, dai sondaggi e dai media, che si sarebbe votato pensando anche al Califfato e alla strage del Bataclan.
Non c’è da stupirsi.
Sorprende invece la ripetitività di analisi e reazioni tendenti ad attribuire a Marine Le Pen soltanto straordinarie capacità di cavalcare le grandi paure, dal terrorismo stragista all’immigrazione senza controllo.
E a consegnare alla voce «populismo» irrazionali inquietudini della popolazione che voterebbe con la pancia per il leader che fa il discorso più duro e il partito delle promesse semplificate.
Il Front National non è solo questo.
È anche il prodotto delle esitazioni e dell’involuzione della destra gaullista, che ha diluito i suoi valori (autorità, senso dello Stato, laicità repubblicana, identità della nazione) salvo il tentativo di Nicolas Sarkozy, di nuovo in corsa per l’Eliseo, di tornare alle origini, decomplessare il partito, costruire l’alleanza di tutti i moderati.
Ed è anche il prodotto delle ambiguità culturali e ideologiche di una sinistra che non ha saputo vedere né i pericoli di disgregazione sociale ed economica che minacciavano la società francese né interpretare la necessità di profonde riforme strutturali.
La Francia, da Chirac a Hollande, passando per Sarkozy, ha moltiplicato assistenzialismo improduttivo, ha tagliato risorse per la polizia, ha aumentato tasse e debito pubblico, ha portato la disoccupazione a livelli record, ha allargato disparità sociali, ha permesso che grandi aree periferiche diventassero off limits, per le forze dell’ordine e per le regole dello Stato laico.
Errori e ambiguità dei due maggiori partiti hanno lasciato senza punti di riferimento milioni di elettori, quelli più deboli, quelli che pagano sulla propria pelle il prezzo delle riforme mancate, della disoccupazione di massa e della contiguità urbana con le periferie, all’interno delle quali si allignano estremismo religioso, proselitismo, criminalità comune.
Molti non votano più, ma quelli che lo fanno sono stanchi di esorcismi sul valore morale o sulla inconsapevolezza delle loro scelte, sull’inganno del Fronte, sui pericoli per l’immagine del Paese nel mondo.
Sono operai, ceti medi decaduti, immigrati di prima generazione, giovani disoccupati, pensionati che chiedono sicurezza, controllo dell’immigrazione, frontiere meno permeabili, meno tasse e più crescita.
Sono domande che non riguardano solo la Francia e che ci facciamo tutti, sul crinale stretto fra sicurezza e libertà, tolleranza e buonismo, accoglienza e integrazione, welfare e produttività, mentre il terrorismo colpisce e i venti di guerra ci angosciano.
L’abilità di Marine Le Pen è fuori discussione.
Ha saputo rinnovare il partito, smussare i toni, assumere una statura «repubblicana», catturare personalità senza il marchio della destra lepenista.
Ma il Fronte attraversa la politica francese dai tempi di Mitterrand, è esploso con Chirac, si è radicato con Sarkozy e con Hollande.
Il fatto che il presidente in carica sia risalito nei sondaggi, senza arginare la rovinosa sconfitta della sinistra, non fa che confermare la sensibilità della Francia di oggi.
I francesi esasperati applaudono misure di emergenza, retate della polizia, controllo delle frontiere, sostanziale congelamento di Schengen.
Ossia un armamentario di misure che il Front chiedeva da tempo, almeno da dopo gli attentati a Charlie Hebdo.
Il copia incolla non paga. Adesso l’originale è Marine.
Adesso la corsa all’Eliseo, nel 2017, è più che mai una corsa a tre.
Adesso servono a poco gli appelli all’unione repubblicana e democratica, ad alzare barricate unitarie che gli elettori del Fronte non sembrano avere voglia di ascoltare.
Il risultato conferma la radicalizzazione sul territorio, dal Nord depresso al Sud ricco, la conquista di nuove aree, la penetrazione nelle grandi città.
È l’ennesimo segnale che un Paese in crisi, ferito dal terrorismo e ripiegato su se stesso, manda all’Europa, condizionandone il futuro, dopo averne complicato il passato.
Nell’Europa, «espressione» monetaria e non politica, questa Francia è parte del problema e sempre meno della soluzione.
Gli imitatori di Marine Le Pen crescono in tutti i Paesi dell’Unione, si colorano di destra e di sinistra, aspirano a governare e qualche volta ci sono già riusciti. Continuare soltanto a chiamarli populisti, con lo sprezzo del politicamente corretto o dello snobismo tecnocratico, è stupido e inutile. Passeggeranno sugli errori e travolgeranno gli ideali.
mnava@corriere.it 7 dicembre 2015 (modifica il 7 dicembre 2015 | 09:08) © RIPRODUZIONE RISERVATA]
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Re: La crisi dell'Europa
Francia, trionfa Le Pen. E crollano i socialisti
L’effetto Isis trascina il Front. Ma non a Parigi
Al primo turno estrema destra al 28%. Repubblicani al 27. Hollande al 23. Sinistra vuole un fronte
comune ma Sarkozy: “No alleanze”. Nella capitale lepenisti fermi al 9%. Al 7% nel quartiere delle stragi
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... i/2283645/
L’effetto Isis trascina il Front. Ma non a Parigi
Al primo turno estrema destra al 28%. Repubblicani al 27. Hollande al 23. Sinistra vuole un fronte
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Re: La crisi dell'Europa
Una corrente di pensiero, abbastanza consistente la pensa come Limes:
http://www.limesonline.com/francia-elez ... 7?prv=true
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