Come se ne viene fuori ?

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Amadeus ha scritto:ampazzìu! :lol: :shock:
( è impazzito)
Secondo Giulianone non sa più cosa fare.....ne vedremo e sentiremo altre.

Sapeva del tracollo e ha voluto mettere migliaia di chilometri di distanza la sua augusta persona. Se ne è accorto anche Massimo Franco a Otto e mezzo.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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La rassegna stampa di oggi del Ministero dell'Interno

http://tweb.interno.it/news/daily/rasse ... STAMPA.pdf
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Alfano: E’ una sconfitta

Berlusconi: Non è vero,ora la casa dei moderati

**

Più che casa può aprire il casino dei moderati. A guidarlo potrebbe metterci Casini
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Marco Travaglio titola il suo fondo: Alfanitè, Bersanitè, Casinitè

Articolo leggibile sulla rassegna stampa del Ministero Dell’Interno

Il Pdl è estinto, la Lega rasa al suolo, il Terzo polo non pervenuto.


Eppure Dalemoni ha dichiarato a caldo ieri pomeriggio che ci dobbiamo alleare con i moderati per essere più forti.

A Dalemoni il premio Poltrone & Forchette d’oro della settimana.

Ci alleaimo con i desaparecidos?

Aspettiamo le decisioni di Bersani che devono essere rapidissime.


Fini è stato visto al Polo Sud in solitario a lanciare i pesciolini alla foche come si faceva un tempo allo Zoo di Milano di Porta Venezia.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Continua la purificazione nella pece bollente.

Sono d'accordo con Mario Sechi sulle dichiarazioni sulla vergogna dell'Europa nei riguardi della Grecia.

Il pompiere PG Battista si scaglia sui partiti che non hanno compreso la rabbia popolare sul finanziamento pubblico dei partiti: <<Un referendum li ha annullati>>

Tutti sotto shock?
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Italianitè

MT

…..Ce ne sarebbe per una dichiarazione congiunta dei Tre Tenori ABC, magari copiata da Sarcozy: “E’ tutta colpa mia mi ritiro dalla politica”.

Invece è tutto “siamo primi quasi ovunque” (Pd), “colpa dei candidati sbagliati” (Pdl), sostanziale tenuta del Terzo Polo, (Terzo Polo)…..
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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L'ANALISI
L'allontanamento dalla politica non si fermerà
Dal voto emergono tre tendenze legate L’alta astensione, il fenomeno Grillo e i bassi consensi ai partiti, specie al Pdl



Sulla base delle prime proiezioni, le caratteristiche principali del voto di queste amministrative sono almeno tre, diverse tra loro, ma tutte in qualche modo legate al fenomeno sociopolitico prevalente di questo periodo: la disaffezione degli elettori dalla politica e, in particolare, dai partiti.
C’è in primo luogo il considerevole incremento dell’astensione, di ben 7 punti, superiore quindi a quanto registrato domenica sera. In alcuni contesti, specialmente nelle regioni meridionali, l’erosione dal voto è stata frenata dalla dimensione locale della consultazione e dalla conseguente presenza di molte forze politiche e di candidati legati al territorio. Ma altrove, al Nord e al Centro, ciò non è bastato e si è registrata una più significativa diminuzione di votanti. Non si tratta di una sorpresa, poiché questa tendenza era stata ripetutamente annunciata nelle scorse settimane: ne abbiamo fatto più volte cenno anche su queste colonne. Basti ricordare che, secondo gli ultimi sondaggi, la percentuale di chi è orientato all’astensione e comunque indeciso se o cosa votare, supera il 55 per cento.

I voti dirottati verso l’astensione derivano da tutto lo schieramento politico, nessun partito escluso. Ma la parte più consistente proviene da opzioni in passato destinate al Popolo della libertà: secondo una ricerca realizzata a livello nazionale, più del 40 per cento dei votanti per il Pdl nel 2008 dichiara oggi un comportamento astensionista.
Di qui il secondo fenomeno caratterizzante di queste elezioni amministrative: il crollo, specie in alcuni contesti, del seguito della forza politica creata dal Cavaliere. Verso l’astensione si è dunque incanalata soprattutto la disaffezione proveniente dal centrodestra, in particolare da parte di chi è meno partecipe politicamente. Ma vi è stato—e si tratta della terza caratteristica di queste elezioni — un altro importante collettore della protesta: il Movimento Cinque Stelle. Anche verso Grillo si è diretto un elettorato connotato da sentimenti di ostilità verso la politica tradizionale, con caratteristiche tuttavia assai diverse dagli astenuti. Mentre questi ultimi sono più animati dall’antipolitica in generale e spesso dal disinteresse, il pubblico del comico genovese appare più specificatamente antipartitico: si tratta di elettori mediamente assai più giovani che, al contrario di chi si dice tentato dall’astensione, segue con attenzione e costanza gli avvenimenti politici.


Nell’insieme, è comunque il progressivo distacco dai partiti tradizionali ad avere caratterizzato questa tornata elettorale: si tratta di una tendenza spesso sottovalutata dalle forze politiche che, con tutta probabilità, connoterà — e forse anche in misura maggiore di oggi — lo scenario politico nei prossimi mesi

Renato Mannheimer
8 maggio 2012 | 7:24
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Corriere.it
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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IL COMMENTO
Un'altra politica
di MASSIMO GIANNINI

MAGGIO francese, autunno italiano. Se l'esito delle presidenziali d'Oltralpe testimonia la speranza di un cambiamento nella governabilità, il risultato delle amministrative tricolori certifica l'evidenza di un'offerta politica sempre più frammentata e di una proposta di governo sempre meno scontata. Nove milioni di cittadini alle urne non equivalgono a una consultazione nazionale, ma sono un buon test per misurare il polso di un Paese che arriva a questa tornata elettorale in debito di forze e di risorse.

I "numeri" degli oltre mille comuni in cui si è votato riflettono con coerenza lo stato d'animo degli italiani. Sale alta l'onda dell'anti-politica, che spesso è domanda di un'altra politica. C'è una sfiducia profonda verso i partiti tradizionali, di cui il sintomo è il successo delle formazioni "anti-sistema". C'è una disaffezione inquietante verso la stessa democrazia rappresentativa, di cui c'è traccia nell'aumento dell'astensionismo, per la prima volta più alto al Nord che al Sud. Ma sarebbe sbagliato sostenere che, a parte Beppe Grillo, non ha vinto nessuno e hanno perso tutti. C'è invece un primo dato politico che emerge, e che riguarda il centrodestra: è la disfatta totale del Pdl. L'eclissi finale del berlusconismo.

Il Partito del Popolo delle Libertà è quasi scomparso dalla geografia politica. Rispetto al 2007, di 157 comuni con oltre 15 mila abitanti il centrodestra ne governava 95, contro i 53 guidati dal centrosinistra. Oggi il rapporto
è più che invertito. Su 26 comuni capoluogo il Pdl ne governava 15, contro gli 8 del Pd. Oggi ne tiene solo 3 al primo turno (Lecce, Gorizia e Catanzaro). In altri 9 (da Asti a Monza, da Trani ad Agrigento) va ai ballottaggi in netto svantaggio. In quelli che restano è già fuorigioco. Non solo: nella maggioranza dei comuni, il partito del Cavaliere ha percentuali di consenso che non superano il 10%. A Genova ha l'8,4. A Verona il 5,6. A Parma il 4,4. Persino a L'Aquila, dove l'ex premier a suo tempo ha costruito il mirabolante set propagandistico del post-terremoto, oscilla intorno al 6%.

Berlusconi è riuscito in un capolavoro al contrario. In dieci anni aveva trasformato Forza Italia (il vecchio partito "di plastica", proprietario e plebiscitario) in un partito quasi vero, sempre leaderistico ma per lo meno strutturato e presente sul territorio. Aveva costruito non "il partito di massa dei moderati" che aveva promesso, senza averne il dna né l'identità; ma comunque un "blocco sociale", una destra ideologica e populista pur sempre diffusa e maggioritaria nel Paese. Il trionfo del 13 aprile 2008 lo aveva consacrato "padrone" della Repubblica, con una maggioranza parlamentare senza precedenti nella storia. Oggi, nel Paese profondo, di quel patrimonio non resta quasi più nulla. Con la fine dell'avventura di governo, vissuta come puro esercizio del potere, la cifra politica del Cavaliere si è esaurita per sempre.

Proprio nel giorno in cui questa folle dissipazione si consuma, non può essere un caso che Berlusconi sia a Mosca, a incoronare per la terza volta l'amico Putin, zar di tutte le Russie. Un'assenza fisica, ma anche simbolica, che nessun Alfano può colmare. Persino il cantore Giuliano Ferrara è costretto ad ammettere che il Cavaliere "non parla perché non sa cosa dire", e che a questo punto "il Pdl è a rischio esistenziale". È vero: deve decidere se saprà e potrà sopravvivere alla fine del berlusconimo.

Ma non è solo questione del Popolo delle Libertà. L'intera metà campo della destra italiana esce a pezzi da queste amministrative. La Lega resiste, benché travolta dagli scandali come un qualsiasi Psdi della Prima Repubblica. Ma in Lombardia perde ovunque, da como a Monza, e perfino a Cassano Magnago, il comune di Umberto Bossi. L'exploit di Tosi che riconquista Verona al primo turno non deve ingannare: molto più che il Carroccio, stravince la lista civica che porta il nome del sindaco, e che dello stesso Carroccio bossiano è una spina nel fianco. Dunque, la destra anomala conosciuta in questi anni non è più spendibile né ricomponibile. Il collante che la teneva insieme erano gli interessi, non i valori. Esplosa la crisi, economica e politica, non è rimasto più niente.

Il secondo dato politico rilevante riguarda il centrosinistra. Il Pd conferma un discreto recupero rispetto al 2007. Si tiene 4 comuni capoluogo (Brindisi, Taranto, Pistoia e La Spezia) e va al ballottaggio con buone possibilità in altri 18 comuni (da Parma a Belluno, da Brindisi a Lucca). Ma a Genova sostiene Marco Doria, che non era il suo candidato alle primarie. E comunque, in generale, anche se vince non sfonda. Né dove si presenta con la sinistra radicale di Vendola (che incassa un risultato complessivo tutt'altro che entusiasmante) né dove sperimenta l'alleanza con l'Udc di Casini (autentico "desaparecido" di questa tornata amministrativa, ballottaggio di Genova a parte).

Dunque, Bersani fa bene a rivendicare i progressi del suo partito. Ma nella prospettiva del 2013, anche nel centrosinistra rimane un'incognita gigantesca: qual è il progetto politico per rilanciare il Pd come partito "a vocazione maggioritaria"? E se oggi la principale forza progressista e riformista non supera il 25%, con chi si deve alleare per offrire agli italiani una credibile alternativa di governo? La foto è quella del Terzo Polo, le cui ambizioni si rivelano quasi sempre illusioni? O è quella di Vasto, di cui Di Pietro, forte del boom del sempiterno Orlando a Palermo, già esige una rimessa a fuoco a suo favore? Mentre incassa il buon esito di questo voto, il leader del Pd ha il dovere di dare una risposta seria agli elettori. Un dovere che adesso è ancora più stringente, se il centrosinistra vuole davvero candidarsi non solo a vincere, ma a governare nel 2013.

I risultati di oggi allontanano la prospettiva della governabilità. Il terzo dato politico forte (oltre alla crescita dell'Idv) è infatti l'affermazione del Movimento 5 Stelle, che va al ballottaggio a Parma e lo sfiora a Genova, ottiene quasi ovunque (Verona compresa) consensi che oscillano intorno al 10%. In tempi di malaffare e di malapolitica, l'affermazione di una forza anti-sistema come quella di Grillo era da mettere in conto. Ma l'entità va oltre le aspettative. Ha ragione Ilvo Diamanti a teorizzare che, almeno nelle amministrative, questo non si possa considerare un voto "anti-politico", visto che i candidati grillini nelle città (da Putti a Genova a Pizzarotti a Parma) sono portatori di proposte molto concrete e per niente qualunquistiche a livello locale. Ma se questo risultato dovesse essere bissato a livello nazionale, la situazione sarebbe ben diversa. Il comico genovese e i suoi elettori vanno rispettati. Ma finora l'inventore del Movimento 5 Stelle si è impegnato di più a incarnare il modello dell'Uomo Qualunque, che non a offrire una proposta convincente di governo del Paese.

Questo, dunque, è il panorama italiano che si delinea dalle urne. Un assetto politico polarizzato intorno a due ex "grandi partiti" che oscillano tra il 18 e il 25%, e polverizzato in una congerie di formazioni minori, per lo più antagoniste, anti-europee e difficilmente riconducibili a una logica di coalizione. In questo quadro, è persino difficile immaginare una riforma della legge elettorale che possa migliorare o semplificare l'offerta politica. Il voto, in altre parole, fotografa una crisi di sistema dalla quale è assai complicato immaginare una via d'uscita. Una crisi che ha riflessi importanti non solo sulla legislatura che verrà, ma anche su quella ancora in corso.
Questo risultato non aiuta affatto il governo Monti.

Sul Professore rischia di chiudersi una morsa. Da un lato Berlusconi, che potrebbe essere tentato ancora una volta dalla "scorciatoia populista", come lasciano intendere le parole di Alfano: poiché quel che resta del Pdl sta pagando "un prezzo troppo alto" al governo dei tecnici, incline a somministrare al Paese sacrifici e tasse che la vecchia destra non proporrebbe mai, allora meglio optare per l'appoggio esterno, o addirittura per la rottura definitiva della "strana maggioranza" tripartita. Una scelta irresponsabile, e biecamente peggiorista, ma in fondo del tutto coerente con le pulsioni berlusconiane più estreme e disperate.

Dall'altro lato i mercati, che potrebbero essere indotti dalla strategia delle mani libere della destra e dall'incertezza crescente sul dopo-Monti a punire l'Italia e il suo debito sovrano. Sarebbe la bancarotta definitiva, politica e finanziaria. Non il maggio francese, ma la sindrome ateniese.

m.giannini@repubblica.it
peanuts
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da peanuts »

maroni ha vinto a verona ed è convinto di aver vinto dappertutto.
Altro che Grillo, qua di comici veri ne abbiamo a valanga.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
mariok

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da mariok »

Prodi: "L'Ue diventi più forte. Altrimenti salta tutto"

Intervista a Romano Prodi di Fabio Martini - La Stampa
di Romano Prodi, pubblicato il 8 maggio 2012

Per temperamento Romano Prodi non ha mai coltivato allarmismi, ma stavolta proprio lui, il cultore dell'«adagio adagio», dice che «siamo ad un bivio della storia europea», non c'è più tempo da perdere, perché gli spiriti antieuropei emersi in Grecia accelerano una svolta in «tempi brevi», senza la quale l'Europa rischia «l'implosione». La diagnosi è cruda e chiara: «Poiché gli Stati nazionali hanno perso sovranità e non hanno la forza di opporsi da soli all'aggressività dei mercati», devono «riacquistare la sovranità persa, conferendola ad una Unione più forte» e finalmente dotata delle armi per spegnere l'incendio. Sempre in giro per il mondo - reduce da un convegno internazionale ad Addis Abeba sul futuro dell'Africa e pronto a ripartire per la Cina e gli Usa - l'ex presidente della Commissione europea si tiene sempre aggiornato sulle cose dell'Europa, conosce da vicino i leader, le loro virtù, i loro limiti.

Nell'autunno del 2005 Hollande la invitò al congresso socialista di Le Mans, lei spiegò ai francesi le virtù delle Primarie appena vinte in Italia, loro ascoltarono e poi sei anni dopo vi hanno imitato: si sono ricordati?

«Il Ps, che era un partito chiuso, è rinato attorno alle Primarie che loro stessi hanno definito "à l'italienne". Si può dire che abbiamo fatto scuola. Poi bisogna vedere se noi abbiamo imparato da noi stessi».

Hollande non sembra avere il carisma di Mitterrand e neppure le rigidità del socialista protestante Jospin: le sembrano tempi propizi per un leader normale?

«Di questi tempi essere "Monsieur Normal" aiuta. Certo, può esserci un interrogativo legato alla mancanza di esperienze di governo ma proprio per questo aspettiamolo alla prova. Siamo in una fase storica nella quale ad un leader di governo è richiesta la capacità di far sinergia, piuttosto che solitarie doti messianiche. E' il momento delle leadership cooperative poi magari, se li vorranno, torneranno i leader solitari».

In tutta Europa non si è creata un'attesa eccessiva su Hollande, quasi avesse chissà quali qualità taumaturgiche?

«Quelle qualità non le ha nessuno. La Francia deve tornare a fare la Francia e tutte le dichiarazioni del nuovo Presidente dimostrano una maggiore libertà nella scelte delle alleanza e dei contenuti rispetto al predecessore. Spero che Hollande capisca quanto sia utile stringere rapporti più stretti con Spagna e Italia, superando, la politica del rapporto solitario con la Germania. Assieme alla quale la Francia continuerebbe a fare la parte del parente povero».

I capisaldi dell'Italia di Monti sono disciplina di bilancio e più concorrenza nel mercato unico: da questi orecchi la Francia non ci sente, anzi non bisognerebbe richiamarla ad una maggiore reciprocità?

«Sì, è vero servirebbe più reciprocità, ma da questo punto di vista non penso ci potranno essere grandi novità. Ma sicuramente servono piattaforme comuni tra Italia, Spagna e Francia, accettate dalla Germania».

Oramai tutti parlano di crescita: come si fa a riempire questa parola di significato e di fatti?

«La crisi che stiamo vivendo è la più grave dal 1929 e va ben oltre l'euro. E' il concetto stesso di sovranità ad essere entrato in crisi. La politica interna ed economica oramai è determinata dallo spread, dall'aggressività dei mercati. Ma tutto questo segna la fine di un'epoca e richiede contromosse adeguate».

La sua cura?

«La cura europea è molto semplice. Siccome nel mondo nessuno, salvo Cina e Stati Uniti, è immune da questi attacchi, per riacquistare la sovranità persa bisogna conferirne ad una Unione abbastanza grande che sia capace di resistere, l'Unione europea. Non c'è mica scelta: sei grandi o non resisti. Non si attaccano gli Stati Uniti perché sono un cane grande? Bene anche l'Europa deve diventarlo».

Facile a dirsi, ma come si diventa un cane che fa paura?

«Eurobond, rafforzamento della Banca centrale, politica energetica comune e poi potremmo - continuare ancora a lungo. Il problema è volerle queste cose».

In fondo le elezioni regionali sono andate malino ma non malissimo per la Merkel: perché dovrebbe cambiare la sua politica europea?

«Perché anche la Germania da qualche mese è in crisi anche lei, sostanzialmente va a zero. Certo, la Merkel ragiona sui tempi brevi, ma ora è arrivato il tempo di guardare oltre l'angolo».

Quando ha ascoltato il commiato di Sarkozy, le è tornato alla mente la violenta contestazione della legittimità della vittoria dell'Unione nel 2006 da parte di Berlusconi?

«Non amo sprofondarmi in ricordi, ma certo quello resta un capitolo tristissimo. Lo fecero per iniziare ad indebolire il governo. Berlusconi se ne avvantaggiò, incurante di danneggiare il Paese».

Fonte: La Stampa
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