La crisi dell'Europa

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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matteo
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da matteo »

E' veramente ridicolo come ognuno voglia vedere nel risultato referendario in uk quello che gli piace di più.

Politiche di austerità, aumento delle disuguaglianze, mancanza di politiche sociali ecc.

Ma gli inglesi hanno deciso a maggioranza di uscire per nulla di tutto questo!

I temi più battuti dalla propaganda per l'uscita sono stati quelli relativi alla difesa dei confini, al rifiuto degli immigrati fino a punte parossistiche di razzismo, alla sovranità nazionale ed a tutti i temi classici del nazionalismo di destra.

Contrariamente alla Grecia, in Uk la maggioranza è dei conservatori che porta avanti una politica di tagli allo stato sociale ed alla spesa pubblica. E non sembra per il momento che politiche diverse raccolgano più consensi.

Sarebbe il caso di smetterla con queste analisi di comodo, che cercano conferme alle proprie opinioni, anche se legittime, là dove non ci sono.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

L'articolo completo pubblicato da Barbara Spinelli su Il Fatto Quotidiano.


I leader di paglia
dell’Unione: così
sono falliti i sogni


» BARBARA SPINELLI
Nel Parlamento europeo di cui sono membro, quel che innanzitutto colpisce, osservando la reazione alla Brexit,è la diffusa assenza di autocritica, di memoria storica, di allarme profondo – e anche di qualsiasi curiosità – di fronte
al manifestarsi delle volontà elettorali di un Paese membro.

(Perché non va dimenticato che stiamo parlando di un Paese ancora membro dell’Unione).

Una rimozione collettiva che si rivela quanto mai grottesca e catastrofica, ma che dura da decenni.

Meriterebbe studi molto accurati; mi limiterò a menzionare alcuni punti essenziali.

1. Quel che manca è l’ammissione delle responsabilità, il riconoscimento esplicito del fallimento monumentale delle
istituzioni europee e dei dirigenti nazionali: tutti.

La cecità è totale, devastante e volontaria.

Da anni, e in particolare dall’inizio della crisi del 2007-2008, istituzioni e governi conducono politiche di austerità che hanno prodotto solo povertà e recessione.

Da anni disprezzano e soffocano uno scontento popolare crescente.

Non hanno memoria del passato –né quello lontano né quello vicino.

Sono come gli uomini vuoti di Eliot: “Uomini impagliati che s’appoggiano l’un all’altro, la testa riempita di paglia”.

La loro ignoranza si combina con una supponenza senza limiti.

Il suffragio universale ha tutte le colpe e le classi dirigenti nessuna.

È come se costoro, trovandosi a dover affrontare un esame di storia al primo anno d’università, dicessero che le cause dell’avvento del nazismo sono addebitabili solo a chi votò Hitler, senza mai menzionare le istituzioni di Weimar.

Sarebbero bocciati senza esitazione; qui invece continuano a dare lezioni magistrali.


2. Nessun legame viene stabilito tra la Brexit e l’evento disgregante che fu l’esperimento con la Grecia.

Nulla hanno contato le elezioni greche, nulla il referendum che ha respinto il memorandum della troika.

Dopo i negoziati del luglio scorso il divario tra volontà popolare ed élite europea si è fatto più che mai vasto, tangibile e diffuso.

Con più peso evidentemente della Grecia, il Regno Unito ha posto a suo modo la questione centrale della sovranità democratica, anche se con nefaste connotazioni nazionalistiche: il suo qvoto è rispettato, quello greco no.

Le lacerazioni prodotte dal dibattito sulla Grexit hanno contribuito a produrre il Brexit, e il ruolo svolto nella campagna
dal fallito esperimento Tsipras è stato ripetutamente ostentato.

Ma nelle classi politiche ormai la memoria dura meno di un anno; di questo passo tra poco usciranno di casa
la mattina dimenticandosi di essere ancora in mutande.

È per colpa loro che la realtà ha infine fatto irruzione: Trump negli Usa è la realtà, l’uscita inglese
è la realtà.

Il voto britannico è la vendetta della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati di Bruxelles.

3. La via d’uscita prospettata dalle forze politiche consiste in una falsa nuova Unione, a più velocità e costituita da un
“nucleo centrale” più coeso e interamente dominato dalla Germania.

Le parole d’ordine restano immutate: austerità, smantellamento dello Stato sociale e dei diritti, e per quanto
riguarda il commercio internazionale –Ttip, Tisa, Ceta –piena libertà alle grandi corporazioni e ai mercati, distruzione
delle norme europee, neutralizzazione di contrappesi delle democrazie costituzionali come giustizia,

Parlamenti e volontà popolari.

Lo status quo è difeso con accanimento: nei rapporti che sto seguendo come relatore ombra per il Gue mi è stato impossibile inserire paragrafi sulla questione sociale, sul Welfare, sulla sovranità cittadina, sui fallimenti delle terapie
di austerità.

4. Migrazione e rifugiati. Èstato un elemento centrale della campagna per il Leave – che ha puntato il dito sia su rifugiati e migranti extraeuropei, sia sull’immigrazione interna all’Ue –, ma le politiche dell ’Unione già hanno incorporato le idee delle destre estreme, negoziando accordi di rimpatrio con la Turchia (e in prospettiva con 16 paesi africani, dittature comprese come Eritrea e Sudan) e non hanno quindi una visione alternativa a quella dell’Ukip.

La Brexit su questo punto è un disastro: rafforzerà, ovunque, la paura dello straniero e le estreme destre che invocano respingimenti collettivi vietati espressamente dalla legge internazionale e dalla Carta europea dei diritti fondamentali.

Quanto ai migranti dell’Unione che vivono in Inghilterra, erano già a rischio in seguito all ’accordo dello scorso febbraio tra Ue e Cameron.

Le politiche dell’Unione sui rifugiati sono un cumulo di rovine che ha dato le ali alla xenofobia.

5. Il ritorno alla sovranità che la maggioranza degli inglesi ha detto di voler recuperare mette in luce un ulteriore e più
vasto fallimento.

L’Unione doveva esser un baluardo per i cittadini contro l’arbitrio dei mercati globalizzati.

La scommessa è perduta: le sovranità nazionali escono ancora più indebolite e l’Unione non protegge
in alcun modo.

Non è uno scudo ma il semplice portavoce dei mercati.

La globalizzazione ha dato vita a una sorta di costituzione non scritta dell’Unione, avversa a ogni riforma-controllo del capitalismo e a ogni espressione di scontento popolare, e in cui tutti i poteri sono affidati a un’oligarchia che non intende rispondere a nessuno delle proprie scelte.

Sarà ricordata come esemplare la risposta ata dal Commissario Malmström nell’ottobre 2015 a chi l’interrogava sui movimenti contrari a Ttip e Tisa:

“Non ricevo il mio mandato dal popolo europeo”.

Questa costituzione non scritta si chiama governance e poggia su un concetto caro alle élitef in dagli anni
70 (il vero inizio della crisi economica e democratica): obiettivo non è il governo democratico
ma la governabilità.

Il cittadino “governabile ” è per definizione passivo.


6. L’intera discussione sulla Brexitsi sta svolgendo come se l’alternativa si riducesse esclusivamente a due visioni
competitive: quella distruttiva dell’exit e quella auto compiaciuta e immutata del Remain.

Le cose non stanno così.

C’è una terza via, rappresentata dalla critica radicale della presente costruzione europea, dalla denuncia delle sue
azioni e dalla ricerca di un’alternativa.

Era la linea di Tsipras prima che Syriza andasse al governo.

È la linea di Unidos Podemos, che purtroppo non è stata premiata.

Resta il fatto che questa tripolarità è del tutto assente dal dibattito.

7. La democrazia diretta, i referendum, la cosiddetta e-democracy.

Il gruppo centrale del Parlamento li guarda con un’ostilità che la Brexit accentuerà.

La democrazia diretta è certo rischiosa, ma quando il rischio si concretizza, quasi sempre la causa risiede nel fallimento
della democrazia rappresentativa.

Se per più legislature successive e indipendentemente dall’alternarsi delle maggioranze la sensazione è che sia venuta meno la rappresentatività e con essa la responsabilità di chi è stato incaricato di decidere al posto dei cittadini, i cittadini non ci stanno più.
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aaaa42
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da aaaa42 »

matteo ha scritto:E' veramente ridicolo come ognuno voglia vedere nel risultato referendario in uk quello che gli piace di più.

Politiche di austerità, aumento delle disuguaglianze, mancanza di politiche sociali ecc.

Ma gli inglesi hanno deciso a maggioranza di uscire per nulla di tutto questo!

I temi più battuti dalla propaganda per l'uscita sono stati quelli relativi alla difesa dei confini, al rifiuto degli immigrati fino a punte parossistiche di razzismo, alla sovranità nazionale ed a tutti i temi classici del nazionalismo di destra.

Contrariamente alla Grecia, in Uk la maggioranza è dei conservatori che porta avanti una politica di tagli allo stato sociale ed alla spesa pubblica. E non sembra per il momento che politiche diverse raccolgano più consensi.

Sarebbe il caso di smetterla con queste analisi di comodo, che cercano conferme alle proprie opinioni, anche se legittime, là dove non ci sono.
dispiace che in questo forum l intervento del signor matteo pittibimbo sia passato inosservato.
si tratta di un intervento epocale . grazie signor presidente del consiglio per aver postato nel nostro umile forum

l uscita della gran bretagna è roba di nazisti e razzisti .

peccato che gli operai in inghilterra hanno votato per l uscita.
le zone popolari ha vinto il no.

una analisi da fare è il potere contro i senza poteri.
il potere è dato dalla classe politica intesa come elite, il potere del denaro e i poteri forti finanziari,
dall altra parte gli operai i camerieri i lavapiatti i disoccupati gli impiegati la classe media proletarizzata.

il risultato negativo della sinistra e il trionfo del movimento 5 stelle in italia dimostrano
l attualità dell' analisi storica delle classi sociali .
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

I nostri eroi: guai se il popolo decide da solo, come a Londra
Scritto il 30/6/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Dopo lo shock mattutino, che ha regalato al mondo una imprevista uscita della Gran Bretagna dall’Europa, tutti gli europeisti più convinti (in mala o buona fede che siano) hanno dedicato la giornata a metabolizzare questa fragorosa legnata sui denti. Il risultato di questa metabolizzazione si può riassumere in due diverse correnti di pensiero: la prima dice, sostanzialmente, che “l’Europa deve cambiare, se non vuole morire”. Questo ovviamente non significa nulla, perché l’Europa per come è stata costruita, con un Parlamento senza alcun reale potere esecutivo, non sarà mai in grado di modificare se stessa. E’ stata creata apposta come una gabbia per convogliare e controllare i consensi, e quello dell’“Europa che deve cambiare” è soltanto lo slogan disperato di coloro che si rendono conto che il loro “sogno europeo” ha ormai imboccato la china del tramonto. La seconda corrente di pensiero invece è molto più interessante, poiché era più difficile da prevedere: c’è infatti un diffuso senso di insoddisfazione – o quasi di rancore, si potrebbe dire – verso “le masse che non sono in grado di decidere”.Questo concetto è stato espresso, con diverse sfumature, da molti di coloro che hanno partecipato ieri alle varie trasmissioni televisive. Il capro espiatorio di questo presunto “errore” è naturalmente lo stesso Cameron, l’uomo che pur di essere rieletto aveva promesso al suo popolo un referendum sulla permanenza in Europa. Il rancore contro Cameron non è soltanto stato espresso da personaggi come Mario Monti (cosa più che prevedibile, nel suo caso), ma anche da semplici giornalisti come ad esempio Beppe Severgnini. Durante la trasmissione di Lilli Gruber, infatti, l’editorialista del “Corriere” ha gettato la maschera dell’imparzialità e ha dichiarato apertamente che il popolo inglese non andava lasciato votare «su una questione così complessa e delicata come l’uscita dall’Europa», perché il popolo non è pronto a fare scelte di tale importanza.Il popolo può fare i referendum – ha detto sostanzialmente Severgnini – finché si tratta di scegliere sull’acqua pubblica, oppure sull’abolizione di una certa legge, ma le cose più complicate, come appunto un’eventuale uscita dall’Europa, andrebbero lasciate «a chi se ne intende». Ovvero – secondo lui – agli stessi euro-tecnocrati che questo grande pasticcio l’hanno creato. Sulle stesse corde, anche se non ha parlato apertamente di “ignoranza popolare”, si è ritrovato anche Antonio Padellaro, ex-direttore del “Fatto Quotidiano”. Insomma, il sentimento diffuso, fra coloro che si sentono sconfitti dal risultato del referendum, è che “la prossima volta bisogna stare molto più attenti, prima di mettere in mano al ‘popolo bue’ scelte di radicale importanza come la struttura dell’Unione Europea”.Naturalmente, tutte queste persone accettano ben volentieri il voto del “popolo bue” quando questo si reca alle urne, chiude gli occhi e mette una crocetta su un partito a caso, lasciando poi a questo partito di decidere chi e come andrà a rappresentarlo nelle varie sedi parlamentari. Ma se per caso il popolo bue decide di prendere in mano direttamente le sorti del proprio destino, allora questo non va più bene, “perché il popolo non è preparato”. Insomma, a questi personaggi la democrazia va bene soltanto finché la gente vota come fa piacere a loro.

(Massimo Mazzucco, “La tentazione antidemocratica”, da “Luogo Comune” del 25 giugno 2016).
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

Brexit e voto responsabile: dai, rifacciamo anche il referendum del ’46
di Silvia Truzzi | 28 giugno 2016
| Commenti


Massì dai, rifacciamo il referendum. Non piace l’esito? Riprova, sarai più fortunato. Da giorni sentiamo parlare di una raccolta di firme con cui un milione, poi due, poi tre di cittadini inglesi chiedono di rivotare con nuove regole per la Brexit. La petizione (di cui già 77mila firme sarebbero state invalidate) era stata lanciata tempo fa – ironia della sorte – da un fautore del Leave che temeva un esito non in linea con le sue convinzioni. Ovviamente non si rifarà alcunché – ridicolo solo pensarlo – ma la notizia viene data con evidenza perché sarebbe inequivocabile segno di ravvedimento dopo le reprimende internazionali: hanno sbagliato, ma sono pronti a pentirsi e genuflettersi (dieci Pater e cinque Ave).

Passando in rassegna le articolesse degli inviati nelle famigerate zone rurali responsabili della “catastrofe” (contadini che solo ora si domandano sgomenti “ma cosa abbiamo combinato?”) e gli editoriali indignati di commentatori a cui pare abbiano assassinato un congiunto, lo scenario è quello di una guerra mondiale. Anzi siamo già al genocidio: un’intera generazione è stata uccisa nelle urne. È tutto un parlare straziato di fine del sogno, di vecchi vendicativi e nostalgici, giovani rovinati: addio Interrail, addio Erasmus. Quando la formula di viaggio riservata agli under 21 fu inventata nel 1972, si poteva viaggiare per l’Europa in Paesi che all’epoca non avevano ancora aderito alla Cee. E al programma di mobilità studentesca che consente di fare un periodo di studi legalmente riconosciuto all’estero aderiscono anche Turchia, Islanda e Norvegia che non fanno parte della Ue. Bisognerebbe poi chiedere a Romano Prodi come abbia fatto, all’alba degli anni Sessanta, a perfezionare i suoi studi alla London School of Economics. Si sarà imbarcato come mozzo su una nave? Avrà falsificato i documenti?

Al di là del folklore, è inaccettabile il tentativo di delegittimare il voto, con la scusa della presunta difficoltà del tema: argomento troppo complesso per darlo in pasto ai bifolchi delle contee che vanno alle urne con la vanga e imbrattano la scheda con le mani sporche di terra. Facciamo così: per evitare “l’abuso populistico della democrazia”, rifacciamo tutto da capo. E in cabina elettorale sono ammessi solo i lavoratori della City, i residenti a Myfair, i contribuenti con più di un milione di sterline di reddito, i certificati sostenitori del Remain.

Oppure torniamo ai vecchi tempi, quando in Italia (fino a un secolo fa) votavano solo i maschi abbienti e poi i maschi che sapevano leggere e scrivere. Il suffragio universale lo conosciamo da poco: nel ’46, al referendum istituzionale, andarono alle urne per la prima volta anche le donne. Potremmo rifare anche quello: l’organizzazione dello Stato è certamente materia troppo complessa per farla valutare a un popolo (ai tempi analfabeta al 60%). Chi erano quei poveracci dei nostri nonni per cacciare un Re (un Re, mica un usciere) e scegliere la Repubblica? Ora siamo chiamati (in ottobre, ma forse in novembre o forse in dicembre) a un altro referendum, piuttosto tecnico, che modifica 43 articoli della Costituzione su materie decisamente complesse. Che poi: se la Carta del ’47 fu scritta in maniera chiara apposta per essere compresa da tutti, quella nuova è scritta apposta perché le persone non capiscano. Tra una complessità e un tecnicismo, ci sarebbe un piccolo particolare: se passa non votiamo più al Senato. Pazienza, che vuoi che sia. Facciamo votare solo i laureati in Legge? Eh no perché “la riforma è problema troppo serio per essere affidato ai soli costituzionalisti”, come ha scritto Michele Salvati sul Corriere. Facciamo così: abilitati solo i giuristi della maggioranza Pd (giureconsulti del calibro del ministro Boschi).

I governi, dicono, esistono apposta per decidere sulle questioni complesse, che la plebe ignorante ignora. Dunque poniamo che due secoli di lotte sindacali e diritti sociali venissero (è una pura ipotesi, naturalmente) cancellati d’un tratto perché così decide, mettiamo, la finanza internazionale: la plebe non avrebbe diritto di parola. Se il lavoro, la salute, l’istruzione non fossero più diritti garantiti, i popoli dovrebbero educatamente soprassedere. Se hanno davvero fame, gli daremo delle brioche. Il vero punto però è prima del merito: è accettare o no i meccanismi democratici. Il passo successivo all’isteria cui stiamo assistendo è il governo degli ottimati, che oggi chiamiamo tecnici (ai quali dobbiamo capolavori tecnici come i 300mila esodati dimenticati dalla legge Fornero). È incredibile che a dare questa prova di razzismo contro i vecchi, retrogradi, inabili al voto (chi sono gli inglesi per decidere del loro destino? Mica vorranno dare lezioni di democrazia?) siano gli stessi a cui viene l’orticaria al solo nominare Salvini. Vuoi vedere che gli intellettuali illuminati e progressisti hanno scoperto che il governo del popolo puzza di popolo? Che schifo.

di Silvia Truzzi | 28 giugno 2016
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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L'Fmi fa tremare la Germania: "Deutsche Bank vulnerabile"
Alla base dell'esposizione delle banche e delle assicurazioni la scarsa trasparenza, l'ingerenza della politica e un modello di business non sempre al passo coi tempi


Ivan Francese - Gio, 30/06/2016 - 18:09
Banche o pallone? Lo scontro fra Italia e Germania in ambito europeo si gioca a molti livelli. Proprio mentre Angela Merkel fa la voce grossa con l'Italia e s'impunta a non voler rivedere le regole del bail-in, ecco che dal Fondo monetario internazionale parte un siluro che si dirige dritto dritto proprio contro le banche tedesche.

A partire da Deutsche Bank, definita fonte di rischi per l'intero sistema finanziario globale, che sarebbe "il più rilevante contribuente netto ai rischi sistemici tra le banche di rilevanza sistemica globale, seguita da Hsbc e Credit Suisse".

Le banche tedesche sarebbero, secondo l'analisi del sistema finanziario germanico pubblicata ieri dall'Fmi, particolarmente vulnerabili ai bassi tassi d'interesse, ponendo un serio problema di scarsa redditività. Il sistema bancario della Germania, rileva infatti Alessandro Merli per il Sole 24Ore, è infatti contraddistinto da un alto numero di casse di risparmio e banche cooperative, che in molti casi seguono un modello di business tradizionale, con un gran numero di filiali e costi assai alti. Il valore delle loro azioni è precipitato.

Il rischio è che, se i tassi d'interesse si manteranno bassi come è ragionevole aspettarsi, gli istituti di credito germanici possano esporsi a rischi pur di cercare rendimenti, in misura molto maggiore di quanto rilevato nelle valutazioni del 2011 dello stesso Fmi.

Le banche tedesche, insomma, dipendono in gran parte dai margini d'interesse e questo schema non verrà modificato a meno di profonde ristrutturazioni. Che però, almeno al momento, non sono in vista. Anche e soprattutto per volontà politica: l'Fmi sottolinea infatti come "i progressi nel limitare le influenze non commerciali siano ancora limitati".

Il problema della trasparenza
Un altro tema spinoso è poi quello posto dalla reazione che spesso le banche tedesche oppongono all'autorità di vigilanza. Sovente infatti gli istituti di credito non mettono a disposizione tutti i dati necessari e in alcuni casi non hanno nemmeno adottato gli standard contabili internazionali in vigore.

Le preoccupazioni riguardano anche le assicurazioni
A finire nel mirino dell'Fmi, però, non sarebbero solo le banche. Anche il settore assicurativo, infatti, sarebbe assai esposto: fondando il proprio business su polizze vita a rendimento garantito intorno al 3%-4%, le compagnie di assicurazione tedesche hanno sviluppato un modello di business che in tempi di bassi tassi d'interesse non è più sostenibile.

Non è un caso, d'altronde, che banche ed assicurazioni germaniche siano state fra le più negative contro la politica dei bassi tassi d'interesse orchestrata dalla Bce.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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DENTRO LA STORIA


Se la teoria di Thierry Meyssan è vera significa che la ruota della macina della storia sta subendo accelerazioni.

E' una teoria del tutto originale ma potrebbe averci visto giusto.

LIBRE news

Ciao Usa, meglio la Cina: ecco il Brexit. L’Ue? E’ già finita

Scritto il 01/7/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi Tweet


«Nessuno sembra capire le conseguenze della decisione britannica di lasciare l’Unione Europea: la separazione dei britannici dalla Ue non si farà affatto lentamente, perché l’Unione crollerà più velocemente rispetto al tempo necessario alle trattative burocratiche per l’uscita della Gran Bretagna». Così la vede il giornalista Thierry Meyssan, analista internazionale. Tesi: al netto del chiasso dei “populismi” alla Farage, il voto inglese è stato voluto da chi comanda a Londra, che ha ormai capito che il tempo del dominio Usa – di cui Bruxelles è una succursale – è ormai al tramonto. Meglio allora sbaraccare, tenendosi le mani libere per essere i primi, in Europa, a chiudere un accordo strategico col nuovo vincitore, la Cina. La posta in gioco non ha nulla a che fare con le polemiche sull’immigrazione: «Il divario tra la realtà e il discorso politico-mediatico illustra la malattia di cui soffrono le élites occidentali: la loro incompetenza». Ancora nel 1989, il Pcus non “vedeva” il crollo del Muro di Berlino. Poi vennero la fine del Comecon e del Patto di Varsavia, il collasso dell’Urss. «In un futuro assai prossimo assisteremo in modo identico alla dissoluzione dell’Unione Europea e della Nato e – se non staranno abbastanza attenti – allo smantellamento degli Stati Uniti».A differenza delle spacconate di Nigel Farage, l’Ukip non è all’origine del referendum che ha appena vinto, scrive Meyssan su “Megachip”. «Questa decisione è stata imposta a David Cameron da membri del partito conservatore: per loro, la politica di Londra deve essere un adattamento pragmatico al mondo che cambia. Questa “nazione di bottegai”, come la definiva Napoleone, osserva che gli Stati Uniti non sono più né la più grande economia del mondo, né la prima potenza militare. Non hanno dunque più motivo di essere i loro partner privilegiati». Proprio come Margaret Thatcher non ha esitato a distruggere l’industria britannica per trasformare il suo paese in un centro finanziario globale, continua Meyssan, allo stesso modo «questi conservatori non hanno esitato ad aprire la via all’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda del Nord, e quindi alla perdita del petrolio del Mare del Nord, per fare della City il primo centro finanziario “off shore” dello yuan».La campagna per il Brexit è stata ampiamente sostenuta dalla Gentry e da Buckingham Palace, che hanno mobilitato la stampa popolare per fare appello a ritornare all’indipendenza. E, contrariamente a quanto spiega la stampa europea, la separazione dei britannici da Bruxelles avverrà alla velocità della luce, cioè prima che possa crollare la stessa Unione Europea. Meyssan insiste con il paragone con l’Urss, che si afflosciò in un amen, una volta iniziato il movimento centrifugo. «Gli Stati membri della Ue che si aggrappano ai rami e continuano a salvare quel che resta dell’Unione non riusciranno ad adattarsi alla nuova situazione, con il rischio di sperimentare le convulsioni dolorose dei primi anni della nuova Russia: caduta vertiginosa del livello di vita e della speranza di vita». E ancora: «Tutti credono, a torto, che il Brexit apra una breccia in cui gli euroscettici andranno a introdursi». Ma il Brexit è solo «una risposta al declino degli Stati Uniti».Il Pentagono, che prepara il vertice Nato a Varsavia, «non ha capito che non era più in grado di imporre ai suoi alleati di sviluppare il loro bilancio della difesa e di sostenere le sue avventure militari». Il dominio di Washington nel mondo è terminato? «Quel che abbiamo è un cambiamento d’epoca».La caduta del blocco sovietico, continua Meyssan, è stata dapprima la morte di una visione del mondo: i sovietici e i loro alleati volevano costruire una società solidale in cui si mettessero quante più cose possibili in comune. Ma hanno avuto «una burocrazia titanica e dei dirigenti necrotizzati». Il Muro di Berlino? «Non è stato abbattuto da anti-comunisti, ma da una coalizione di giovani comunisti e di Chiese luterane. Intendevano rifondare l’ideale comunista liberato dalla tutela sovietica, dalla polizia politica e dalla burocrazia. Sono stati traditi dalle loro élites che, dopo aver servito gli interessi dei sovietici si sono precipitate con tanto ardore a servire quelli degli statunitensi». Oggi, gli elettori del Brexit più impegnati cercano in primo luogo di riguadagnare la loro sovranità nazionale e di far pagare ai leader dell’Europa occidentale l’arroganza di cui hanno dato ampia prova con l’imposizione del Trattato di Lisbona dopo il rifiuto popolare della Costituzione europea (2004- 07). Potrebbero anche essere delusi da ciò che seguirà, sostiene Meyssan. «Il Brexit segna la fine della dominazione ideologica degli Stati Uniti, quella della democrazia al ribasso delle “quattro libertà”», indicate da Roosevelt nel 1941: libertà di parola e di espressione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura di un’aggressione straniera. «Se gli inglesi risaliranno alle loro tradizioni, gli europei continentali ritroveranno gli interrogativi delle rivoluzioni francese e russa sulla legittimità del potere, e rovesceranno le loro istituzioni a rischio di veder risorgere il conflitto franco-tedesco».Qualcosa di tellurico sta già avvenendo in Francia, dove i sindacati rifiutano il disegno di legge sul lavoro redatto dal governo Valls sulla base di un rapporto dell’Unione Europea, a sua volta ispirato dalle istruzioni del Dipartimento di Stato Usa. «Se la mobilitazione della Cgt ha permesso ai francesi di scoprire il ruolo dell’Ue in questo caso, non hanno ancora colto in cosa consista l’articolazione Ue-Usa. Hanno capito che invertendo le norme e mettendo i contratti aziendali al di sopra dei contratti di settore, il governo rimetteva in realtà in questione la preminenza della legge sul contratto, ma ignorano la strategia di Joseph Korbel e dei suoi due figli, la sua figlia naturale democratica Madeleine Albright e la sua figlia adottiva repubblicana Condoleezza Rice. Il professor Korbel affermava che, per dominare il mondo, era sufficiente che Washington imponesse una riscrittura delle relazioni internazionali secondo termini giuridici anglosassoni. In effetti, nel porre il contratto al di sopra della legge, il diritto anglosassone privilegia nel lungo periodo i ricchi e i potenti in rapporto ai poveri e ai miserabili».È probabile che i francesi, gli olandesi, i danesi e altri ancora cercheranno di rompere con l’Unione europea, continua Meyssan. «Dovranno per tutto ciò affrontare la loro classe dirigente. Se la durata di questa lotta è imprevedibile, il risultato non lascia più dubbi». Quanto alla Gran Bretagna, potrebbe essere Boris Johnson a gestire la transizione, che sarà rapidissima: «Il Regno Unito non aspetterà la sua uscita definitiva dalla Ue per gestire la propria politica. A cominciare dal dissociarsi dalle sanzioni prese contro la Russia e la Siria». A differenza di quel che scrive la stampa europea, la City di Londra non è direttamente influenzata dal Brexit: «Dato il suo status speciale di Stato indipendente sotto l’autorità della Corona, non ha mai fatto parte dell’Unione Europea». E così «potrà utilizzare la sovranità di Londra per sviluppare il mercato dello yuan». Già ad aprile, annota Meyssan, la City ha ottenuto i privilegi necessari firmando un accordo con la Banca centrale della Cina. «Inoltre, dovrebbe sviluppare le sue attività di paradiso fiscale per gli europei».Se il Brexit disorganizzerà temporaneamente l’economia britannica in attesa di nuove regole, è probabile che il Regno Unito – o almeno l’Inghilterra – si riorganizzerà rapidamente ottenendo il massimo profitto. «La domanda è se chi ha concepito questo terremoto avrà la saggezza di far arrivare dei benefici al proprio popolo: il Brexit è un ritorno alla sovranità nazionale, non garantisce la sovranità popolare», conclude Meyssan. «Il panorama internazionale può evolvere in modi molto diversi a seconda delle reazioni che seguiranno. Anche se questo dovesse andare male per alcune persone, è sempre meglio attenersi alla realtà come fanno i britannici, anziché persistere a stare in un sogno fino a quando questo non va in pezzi».
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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LA CALDA ESTATE DEL 2016




Austria, la Corte costituzionale annulla il ballottaggio: da rifare la sfida tra il verde Van Der Bellen e il nazionalista Hofer
Mondo
Alle presidenziali il candidato ecologista aveva vinto per meno di 31mila voti. Il partito di estrema destra Fpö aveva fatto ricorso sollevando dubbi sull'irregolarità del voto, in particolare quello postale (che riguarda circa 700mila preferenze). I giudici: "La nostra sentenza deve rafforzare lo Stato di diritto". Sono stati ascoltati circa 90 testimoni
di F. Q. | 1 luglio 2016
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La Corte costituzionale dell’Austria ha accolto il ricorso del partito di estrema destra Fpö sulle elezioni presidenziali del 22 maggio, stabilendo che il secondo turno debba essere ripetuto a causa di irregolarità. Al voto vinse l’ecologista Alexander Van Der Bellen, che sconfisse il candidato del partito Fpö, Norbert Hofer con uno scarto di poco meno di 31mila voti (49,7 per cento contro il 50,3). E’ la prima volta che viene annullato un ballottaggio in Austria. “Le elezioni sono il fondamento della nostra democrazia e il nostro compito è di garantirne la regolarità. La nostra sentenza deve rafforzare il nostro Stato di diritto e la nostra democrazia”, ha detto a Vienna il presidente della Corte Gehrart Holzinger prima di pronunciare la sentenza. Irregolarità sono state riscontrate in 14 su 20 dei distretti presi in esame in seguito al ricorso. Secondo quanto riferisce Der Standard, la sentenza della Consulta austriaca non ha detto che ci siano stati brogli o manipolazioni del voto, ma ha semplicemente evidenziato errori nel procedimento elettorale.

Nel corso delle due settimane di udienze pubbliche circa 90 testimoni sono stati chiamati a deporre. Molti di essi hanno ammesso che non sia stata rispettata appieno la legge elettorale, in particolare nei tempi e nei modi del conteggio dei voti per posta. E il Fpö sostiene che tra le irregolarità commesse c’è proprio la gestione dei 700mila voti per posta, decisivi per assegnare la vittoria. Proclamato vincitore all’indomani del voto, Van Der Bellen si sarebbe dovuto insediare ufficialmente la prossima settimana. Il nuovo voto si dovrebbe tenere tra settembre e ottobre. Non appena il presidente uscente Heinz Fischer lascerà l’incarico, l’8 luglio, la presidenza del Paese verrà assunta ad interim collegialmente dai presidenti delle Camere.

“Non ci devono essere dubbi sulla legittimità di nessuna elezione” ha dichiarato il cancelliere Christian Kern. La sentenza “non è qualcosa di cui rallegrarsi” ma “dimostra che la democrazia e lo Stato di diritto funzionano”. Kern, socialdemocratico, è diventato cancelliere nel maggio scorso, alla guida di un governo di grande coalizione, dopo le dimissioni del suo predecessore Werner Faymann proprio per effetto della sconfitta del suo partito e dei popolari, a beneficio proprio di verdi e nazionalisti. Il cancelliere ha sottolineato che il fatto che le elezioni siano state invalidate “per un errore formale e non per manipolazioni”. “Spero in una campagna elettorale breve e non emotiva – ha detto Kern – Siamo interessati a realizzare rapidamente le elezioni. Chiedo a tutti i cittadini a utilizzare il loro diritto di voto”.
matteo
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da matteo »

aaaa42 ha scritto:
matteo ha scritto:E' veramente ridicolo come ognuno voglia vedere nel risultato referendario in uk quello che gli piace di più.

Politiche di austerità, aumento delle disuguaglianze, mancanza di politiche sociali ecc.

Ma gli inglesi hanno deciso a maggioranza di uscire per nulla di tutto questo!

I temi più battuti dalla propaganda per l'uscita sono stati quelli relativi alla difesa dei confini, al rifiuto degli immigrati fino a punte parossistiche di razzismo, alla sovranità nazionale ed a tutti i temi classici del nazionalismo di destra.

Contrariamente alla Grecia, in Uk la maggioranza è dei conservatori che porta avanti una politica di tagli allo stato sociale ed alla spesa pubblica. E non sembra per il momento che politiche diverse raccolgano più consensi.

Sarebbe il caso di smetterla con queste analisi di comodo, che cercano conferme alle proprie opinioni, anche se legittime, là dove non ci sono.
dispiace che in questo forum l intervento del signor matteo pittibimbo sia passato inosservato.
si tratta di un intervento epocale . grazie signor presidente del consiglio per aver postato nel nostro umile forum

l uscita della gran bretagna è roba di nazisti e razzisti .

peccato che gli operai in inghilterra hanno votato per l uscita.
le zone popolari ha vinto il no.

una analisi da fare è il potere contro i senza poteri.
il potere è dato dalla classe politica intesa come elite, il potere del denaro e i poteri forti finanziari,
dall altra parte gli operai i camerieri i lavapiatti i disoccupati gli impiegati la classe media proletarizzata.

il risultato negativo della sinistra e il trionfo del movimento 5 stelle in italia dimostrano
l attualità dell' analisi storica delle classi sociali .
Eccellente l'analisi del voto di Vladimir Il'ič Ul'janov, basata sull'assioma che operai e zone popolari sono immuni da xenofobia e nazionalismo.

Fascismi e nazismi vari infatti non hanno mai avuto il consenso popolare anche degli strati più poveri.

La riprova è che in uk da oggi, con l'uscita dalla Ue, gli operai i camerieri i lavapiatti i disoccupati gli impiegati la classe media proletarizzata conteranno molto di più.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

LA CALDA ESTATE DEL 2016





Austria, le elezioni furono irregolari: la Corte Costituzionale ordina di ripeterle

I nazionalisti austriaci avevano da subito denunciato le irregolarità nel voto del 22 maggio: ora la suprema corte austriaca ha acclarato che dicevano la verità


Giovanni Masini - Ven, 01/07/2016 - 17:31
Il ballottaggio per le elezioni presidenziali austriache tenutesi il 22 maggio scorso va ripetuto.





Ecco perché il voto è stato irregolare
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale del Paese alpino, accogliendo il ricorso del partito di estrema destra Fpo, che aveva visto perdere al ballottaggio il proprio candidato Norbert Hofer, ma solo di strettissima misura. La Corte spiega di aver riscontrato un "impropria gestione" delle schede in 78mila casi. È la prima volta che in Austria si ripete un ballottaggio per le presidenziali.

Il supremo tribunale austriaco ha ascoltato in questi giorni oltre novanta testimoni, in molti casi presenti ai seggi: diverse persone hanno ammesso irregolarità ed episodi di mancato rispetto della legge elettorale, soprattutto nel conteggio dei voti arrivati per posta, che alla fine si sono rivelati decisivi nell'assegnare la vittoria.

"Le elezioni sono il fondamento della nostra democrazia e il nostro compito è di garantirne la regolarità - ha dichiarato il presidente della Corte Costituzionale Gehrart Holzinger appena prima di leggere la decisione della Corte - La sentenza deve rafforzare il nostro stato di diritto".

Sul tema ha parlato anche il presidente in carica Alexander Van Der Bellen, che si è detto "molto fiducioso" nell'esito del nuovo voto: "Vincerò una seconda volta", ha dichiarato.

Il risultato di maggio
Poco più di un mese fa gli austriaci avevano eletto Presidente della Repubblica - un ruolo, come del resto in Italia, largamente cerimoniale e rappresentativo - il candidato dei verdi Alexander Van der Bellen, in un combattutissimo ballottaggio con i nazionalisti dell'Fpo. La differenza finale era stata di appena 31mila voti, lo 0,7%. Un'inezia, se si pensa che i voti arrivati per posta erano stati ben settecentomila.

In quell'occasione con Van Der Bellen si erano schierati tutti i maggiori partiti tradizionali, in una sorta di "patto repubblicano" in salsa austriaca volto a impedire l'elezione di un candidato fortemente euroscettico, nazionalista e da più parti accusato di populismo e xenofobia.

I sospetti di brogli
Da subito i risultati del voto sollevarono parecchi dubbi per le numerose irregolarità riscontrate in diversi seggi nelle varie zone del Paese: in alcuni collegi l'affluenza è stata del 146,9%, con più votanti che aventi diritto.

L'Fpo ha così annunciato un ricorso per irregolarità, che oggi è stato accolto. Il nuovo voto per decidere chi sarà il presidente si terrà con ogni probabilità a fine settembre o ad ottobre.
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