La crisi dell'Europa
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
Il Nobel Stiglitz processa l’euro: “Il futuro? Fuori Germania e Grecia”
La provocazione dell’economista amato dagli scettici: è l’ora del divorzio
Joseph Stiglitz è un economista britannico. Ha vinto il premio Nobel nel 2001
17/08/2016
STEFANO LEPRI
ROMA
Piacerà ai critici dell’euro, questo libro di uno degli economisti più noti del pianeta, Joseph Stiglitz, uscito ieri in inglese («The euro and its Threat to the Future of Europe»). Gli piacerà, benché il co-vincitore del Nobel 2001 offra un ventaglio di proposte, e sappia quanto a un Paese debole come il nostro sarebbe costoso uscirne.
I disastri nella gestione della moneta unica sono visibili a tutti. Stiglitz vuole convincerci che saremmo stati meglio senza, anche gli italiani, i cui redditi avevano smesso di crescere assai prima di abbandonare la lira. Ed è curioso che il suo ragionamento poggi su un assunto condiviso dagli avversari contro cui di continuo polemizza e inveisce, i neoliberisti.
Ovvero, nella sua interpretazione se ogni Paese europeo avesse conservato la propria valuta, grazie alla magia del mercato si sarebbe meglio adattato ai rapidi mutamenti imposti dalla globalizzazione. Credibile? Studi recentissimi fanno pensare di no. E comunque anche deprezzando la moneta nazionale un Paese si impoverisce; difficile stabilire a priori che cosa sia peggio.
Anche l’idea generale che l’euro fosse un progetto sbagliato fin dall’inizio era stata già espressa da altri economisti americani di svariate tendenze. Da entrambe le parti dell’Atlantico si concorda che, in linea di principio, per gestire bene una moneta comune occorrerebbero una autorità politica centrale, strumenti di solidarietà tra aree povere e ricche, un sistema bancario unificato.
Ma arrivati al punto in cui siamo, come procedere? Stiglitz offre tre alternative. La prima, salvare l’euro «seppur non a qualsiasi costo» comporta una lista di innovazioni tutte una volta o l’altra invocate dai governi italiani, e tutte respinte dalla Germania, più altre che a Berlino sarebbero accolte ancora peggio, come sanzioni contro i Paesi che esportano molto.
Ovvio che non ci speri. Anche perché a somiglianza di molti altri americani gli riesce difficile capire come mai gli europei – britannici a parte – vogliano stare insieme. A che scopo sognare una via di mezzo tra efficienza tedesca e sregolatezza latina? Se «diversi Paesi nutrono differenti credenze economiche», scrive, lasciamoli cercare ciascuno la propria strada.
Pur preferendo questa via dunque l’ex consigliere del presidente Clinton, ex capo economista della Banca mondiale, ne indica altre due: «divorzio amichevole» o regressione verso una limitata flessibilità dei tassi di cambio. Nel divorzio, non sarebbe necessario tornare a 19 monete nazionali; meglio se la Germania uscisse da sola o con altri Paesi nordici, in una scissione dell’euro in due.
La Grecia starebbe in ogni caso meglio fuori. Qui Stiglitz, molto popolare a sinistra, non riesce a spiegarsi la scelta dell’unico governante europeo di estrema sinistra, il premier Alexis Tsipras. Al suo posto, il salto fuori dall’euro l’avrebbe fatto, più o meno secondo il «piano X» preparato in segreto dal ministro Yanis Varoufakis poi licenziato.
Tsipras valutò nel luglio 2015 che le sofferenze imposte dall’accordo europeo, pur gravi, sarebbero state minori di quelle conseguenti a un ritorno alla dracma. E si può supporre che quando leggerà il libro di Stiglitz non ne rimarrà convinto: una delle misure consigliate è un ferreo controllo alle importazioni, penoso in un Paese che non ha petrolio e compra all’estero il 60% di ciò che mangia. Per l’Italia, il consiglio di Stiglitz è sorprendente. Se volessimo rilanciare la nostra economia senza correre troppi rischi per il debito, potremmo adottare il «balanced-budget multiplier»: ovvero, finanziare più investimenti pubblici con un aumento delle tasse. Siamo sicuri che agli elettori piacerebbe?
http://www.lastampa.it/2016/08/17/econo ... agina.html
La provocazione dell’economista amato dagli scettici: è l’ora del divorzio
Joseph Stiglitz è un economista britannico. Ha vinto il premio Nobel nel 2001
17/08/2016
STEFANO LEPRI
ROMA
Piacerà ai critici dell’euro, questo libro di uno degli economisti più noti del pianeta, Joseph Stiglitz, uscito ieri in inglese («The euro and its Threat to the Future of Europe»). Gli piacerà, benché il co-vincitore del Nobel 2001 offra un ventaglio di proposte, e sappia quanto a un Paese debole come il nostro sarebbe costoso uscirne.
I disastri nella gestione della moneta unica sono visibili a tutti. Stiglitz vuole convincerci che saremmo stati meglio senza, anche gli italiani, i cui redditi avevano smesso di crescere assai prima di abbandonare la lira. Ed è curioso che il suo ragionamento poggi su un assunto condiviso dagli avversari contro cui di continuo polemizza e inveisce, i neoliberisti.
Ovvero, nella sua interpretazione se ogni Paese europeo avesse conservato la propria valuta, grazie alla magia del mercato si sarebbe meglio adattato ai rapidi mutamenti imposti dalla globalizzazione. Credibile? Studi recentissimi fanno pensare di no. E comunque anche deprezzando la moneta nazionale un Paese si impoverisce; difficile stabilire a priori che cosa sia peggio.
Anche l’idea generale che l’euro fosse un progetto sbagliato fin dall’inizio era stata già espressa da altri economisti americani di svariate tendenze. Da entrambe le parti dell’Atlantico si concorda che, in linea di principio, per gestire bene una moneta comune occorrerebbero una autorità politica centrale, strumenti di solidarietà tra aree povere e ricche, un sistema bancario unificato.
Ma arrivati al punto in cui siamo, come procedere? Stiglitz offre tre alternative. La prima, salvare l’euro «seppur non a qualsiasi costo» comporta una lista di innovazioni tutte una volta o l’altra invocate dai governi italiani, e tutte respinte dalla Germania, più altre che a Berlino sarebbero accolte ancora peggio, come sanzioni contro i Paesi che esportano molto.
Ovvio che non ci speri. Anche perché a somiglianza di molti altri americani gli riesce difficile capire come mai gli europei – britannici a parte – vogliano stare insieme. A che scopo sognare una via di mezzo tra efficienza tedesca e sregolatezza latina? Se «diversi Paesi nutrono differenti credenze economiche», scrive, lasciamoli cercare ciascuno la propria strada.
Pur preferendo questa via dunque l’ex consigliere del presidente Clinton, ex capo economista della Banca mondiale, ne indica altre due: «divorzio amichevole» o regressione verso una limitata flessibilità dei tassi di cambio. Nel divorzio, non sarebbe necessario tornare a 19 monete nazionali; meglio se la Germania uscisse da sola o con altri Paesi nordici, in una scissione dell’euro in due.
La Grecia starebbe in ogni caso meglio fuori. Qui Stiglitz, molto popolare a sinistra, non riesce a spiegarsi la scelta dell’unico governante europeo di estrema sinistra, il premier Alexis Tsipras. Al suo posto, il salto fuori dall’euro l’avrebbe fatto, più o meno secondo il «piano X» preparato in segreto dal ministro Yanis Varoufakis poi licenziato.
Tsipras valutò nel luglio 2015 che le sofferenze imposte dall’accordo europeo, pur gravi, sarebbero state minori di quelle conseguenti a un ritorno alla dracma. E si può supporre che quando leggerà il libro di Stiglitz non ne rimarrà convinto: una delle misure consigliate è un ferreo controllo alle importazioni, penoso in un Paese che non ha petrolio e compra all’estero il 60% di ciò che mangia. Per l’Italia, il consiglio di Stiglitz è sorprendente. Se volessimo rilanciare la nostra economia senza correre troppi rischi per il debito, potremmo adottare il «balanced-budget multiplier»: ovvero, finanziare più investimenti pubblici con un aumento delle tasse. Siamo sicuri che agli elettori piacerebbe?
http://www.lastampa.it/2016/08/17/econo ... agina.html
-
- Messaggi: 1079
- Iscritto il: 19/04/2012, 12:04
Re: La crisi dell'Europa
A parte che Stiglitz è da sempre contrario all'Euro, comunque dal voto favorevole alla Brexit in poi (anche se i britannici la stanno spostando sempre più in là questa uscita che alla fine non si sa nemmeno se ci sarà) la stampa inglese non fa che sparare a zero sull'euro e l'Europa perché hanno il terrore di rimanere poi da soli col cerino in mano di una recessione con una moneta svalutata e con la fuga delle principali aziende della City. Se rallenta il terziario per l'UK che si è già quasi totalmente de industrializzato sarà la fine in pochi anni...
Ricordatevi che gli inglesi non fanno niente per niente...
Ricordatevi che gli inglesi non fanno niente per niente...
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
L’umanità sta attraversando un momento veramente difficile. Nostra signora la “STUPIDITA’” ha preso il sopravvento.
In Italia, con Mussoloni e la Banda del Buco, in Francia con Hollande e Valls, e ieri anche nella Crante Cermania del Kaiser Merkel.
Ci fanno concorrenza Trump dall’altra parte dell’Atlantico, e agli antipodi orientali Ciccio Kim Jong Un.
Nella vecchia Europa, oramai, si governa creando una distrazione di massa una dopo l’altra.
Così le popolazioni discutono di effimere cazzate e non dei problemi reali più urgenti per la sopravvivenza.
L’ultima che si sono inventati i governanti europei è il burkini.
Non a caso, Hollande, la Merkel e Mussoloni, si incontreranno il 22 agosto a Ventotene.
Terrorismo, il problema non è certo il burkini
di Bruno Tinti | 18 agosto 2016
•
•
•
| Commenti (313)
Fare il bagno con un bikini di due taglie più piccolo va bene; farlo con unleggero velo che copre tutto il corpo no; però se lo si fa con una muta da sub integrale completa di cappuccio, allora si può. La stupidità non ha limiti e i sindaci di Cannes e Villeneuve-Loubet ne (spalleggiati dal premier Valls) sono un esempio indiscutibile. Hanno vietato l’accesso alle spiagge e ai bagni “alle persone che non hanno una tenuta corretta, rispettosa del buon costume e della laicità, che rispetti le regole d’igiene e di sicurezza”. Si tratta del “burkini”, appunto, un costume da bagno inventato per le donne che non vogliono esibire il loro corpo. Che poi queste siano tutte musulmane dovrebbe essere irrilevante, anche perché una tenuta del genere potrebbe diventare di moda (vi immaginate il costo di un costume del genere fatto di stoffe preziose e sapientemente drappeggiate sul corpo?). Ma i sindaci in questione la considerano “una tenuta ostentata che fa riferimento a un’adesione a dei movimenti terroristi che ci fanno la guerra”. Puro Trump pensiero (per quanto incompatibile sia l’accostamento): i terroristi sono musulmani, i musulmani ci fanno la guerra; il burkini è musulmano, le donne che indossano il burkini ci fanno la guerra. Lo dicevo che erano stupidi.
Se si può parlare seriamente di cose non serie, questo episodio dimostraquanto grave sia il danno che ci stanno facendo i terroristi musulmani. La più grande conquista culturale e politica dell’Occidente è lo Stato laico. Che significa, tra l’altro, rispetto e tolleranza per tutte le religioni. Sempre che, naturalmente, siano professate nel rispetto e nella tolleranza delle altre. In effetti ciò è piuttosto difficile poiché ogni religione ha in sé i germi della violenza: “Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me”. Si capisce che, con un principio del genere, la tolleranza verso gli “infedeli” (quelli che non riconoscono e adorano il “vero e unico” Dio) è virtù difficile da praticare. Da qui i genocidi commessi dai cristiani in passato, dai musulmani oggi e da chissà quante altre religioni in futuro.
Lo Stato laico dovrebbe imporre la tolleranza. Anche con la forza; che, essendo forza della legge, dovrebbe essere esercitata verso chiunque, senza distinzione ideologica o religiosa. E qui nasce il problema poiché la reazione occidentale all’aggressione islamica si attesta sui due estremi: larepressione stupida, di cui la guerra al “burkini” è l’esempio, e l’auto flagellazione, il costante richiamo alla mancata integrazione dei migranti musulmani e alla colpevole indifferenza europea che li relega nellebanlieues, incubatrici di violenza che quasi viene giustificata come inevitabile reazione alla povertà e all’abbandono.
Lo Stato laico deve essere tollerante ma non imbelle. I musulmani hanno diritto a costruire le loro moschee (con i loro soldi e sui loro terreni), apregare il loro Dio e a vestirsi come vogliono, in città e al mare. Ma, considerato l’innegabile contesto di violenza che essi esprimono in questo momento storico (non ogni musulmano ma con l’acquiescenza e spesso il compiacimento di molti) devono anche essere oggetto di sorveglianza speciale. Per esempio, in ogni moschea o luogo di riunione, infiltrati di polizia documentino incitazioni all’odio e alla violenza; e l’imam o l’attivista troppo entusiasta lo si imprigioni (niente espulsione, non serve, tornano). Insomma le donne musulmane nuotino con il “burkini”, non ce ne importa niente. Ma i musulmani che fomentano il terrorismo siano messi in condizione di non fare danni.
di Bruno Tinti | 18 agosto 2016
In Italia, con Mussoloni e la Banda del Buco, in Francia con Hollande e Valls, e ieri anche nella Crante Cermania del Kaiser Merkel.
Ci fanno concorrenza Trump dall’altra parte dell’Atlantico, e agli antipodi orientali Ciccio Kim Jong Un.
Nella vecchia Europa, oramai, si governa creando una distrazione di massa una dopo l’altra.
Così le popolazioni discutono di effimere cazzate e non dei problemi reali più urgenti per la sopravvivenza.
L’ultima che si sono inventati i governanti europei è il burkini.
Non a caso, Hollande, la Merkel e Mussoloni, si incontreranno il 22 agosto a Ventotene.
Terrorismo, il problema non è certo il burkini
di Bruno Tinti | 18 agosto 2016
•
•
•
| Commenti (313)
Fare il bagno con un bikini di due taglie più piccolo va bene; farlo con unleggero velo che copre tutto il corpo no; però se lo si fa con una muta da sub integrale completa di cappuccio, allora si può. La stupidità non ha limiti e i sindaci di Cannes e Villeneuve-Loubet ne (spalleggiati dal premier Valls) sono un esempio indiscutibile. Hanno vietato l’accesso alle spiagge e ai bagni “alle persone che non hanno una tenuta corretta, rispettosa del buon costume e della laicità, che rispetti le regole d’igiene e di sicurezza”. Si tratta del “burkini”, appunto, un costume da bagno inventato per le donne che non vogliono esibire il loro corpo. Che poi queste siano tutte musulmane dovrebbe essere irrilevante, anche perché una tenuta del genere potrebbe diventare di moda (vi immaginate il costo di un costume del genere fatto di stoffe preziose e sapientemente drappeggiate sul corpo?). Ma i sindaci in questione la considerano “una tenuta ostentata che fa riferimento a un’adesione a dei movimenti terroristi che ci fanno la guerra”. Puro Trump pensiero (per quanto incompatibile sia l’accostamento): i terroristi sono musulmani, i musulmani ci fanno la guerra; il burkini è musulmano, le donne che indossano il burkini ci fanno la guerra. Lo dicevo che erano stupidi.
Se si può parlare seriamente di cose non serie, questo episodio dimostraquanto grave sia il danno che ci stanno facendo i terroristi musulmani. La più grande conquista culturale e politica dell’Occidente è lo Stato laico. Che significa, tra l’altro, rispetto e tolleranza per tutte le religioni. Sempre che, naturalmente, siano professate nel rispetto e nella tolleranza delle altre. In effetti ciò è piuttosto difficile poiché ogni religione ha in sé i germi della violenza: “Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me”. Si capisce che, con un principio del genere, la tolleranza verso gli “infedeli” (quelli che non riconoscono e adorano il “vero e unico” Dio) è virtù difficile da praticare. Da qui i genocidi commessi dai cristiani in passato, dai musulmani oggi e da chissà quante altre religioni in futuro.
Lo Stato laico dovrebbe imporre la tolleranza. Anche con la forza; che, essendo forza della legge, dovrebbe essere esercitata verso chiunque, senza distinzione ideologica o religiosa. E qui nasce il problema poiché la reazione occidentale all’aggressione islamica si attesta sui due estremi: larepressione stupida, di cui la guerra al “burkini” è l’esempio, e l’auto flagellazione, il costante richiamo alla mancata integrazione dei migranti musulmani e alla colpevole indifferenza europea che li relega nellebanlieues, incubatrici di violenza che quasi viene giustificata come inevitabile reazione alla povertà e all’abbandono.
Lo Stato laico deve essere tollerante ma non imbelle. I musulmani hanno diritto a costruire le loro moschee (con i loro soldi e sui loro terreni), apregare il loro Dio e a vestirsi come vogliono, in città e al mare. Ma, considerato l’innegabile contesto di violenza che essi esprimono in questo momento storico (non ogni musulmano ma con l’acquiescenza e spesso il compiacimento di molti) devono anche essere oggetto di sorveglianza speciale. Per esempio, in ogni moschea o luogo di riunione, infiltrati di polizia documentino incitazioni all’odio e alla violenza; e l’imam o l’attivista troppo entusiasta lo si imprigioni (niente espulsione, non serve, tornano). Insomma le donne musulmane nuotino con il “burkini”, non ce ne importa niente. Ma i musulmani che fomentano il terrorismo siano messi in condizione di non fare danni.
di Bruno Tinti | 18 agosto 2016
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
TUTTO QUELLO CHE VIENE PUBBLICATO DA LIBEROQUOTIDIANO VA' PRESO CON LE MOLLE SEMPRE.
SOPRATTUTTO ORA CHE A DIRIGERLO E' STATO CHIAMATO QUEL FURBO BERGAMASCO, NON SEMPRE CREDIBILE, LITTORIO FELTRI.
IN QUESTO ARTICOLO PERO' PASSA UN'INTERVISTA AL GRECO GEORGE PAPANDREU, E QUINDI ASSUME UN'ALTRA VALENZA.
ALLA VIGILIA DI VENTOTENE
La profezia dell'ex premier greco Papandreou: "L'Europa sta per disintegrarsi"
"L'Europa sta per disintegrarsi".
A dirlo è un politico che ha visto la terra crollargli sotto i piedi, una frana che ha travolto lui, il suo partito e un Paese intero.
Intervistato dal Corriere della Sera, l'ex premier greco George Papandreou lancia l'allarme alla vigilia del blindatissimo vertice a tre di lunedì a Ventotene tra Matteo Renzi, Angela Merkel e François Hollande.
Si parlerà di sicurezza e immigrazione, ma anche di economia.
Per l'attuale presidente dell'Internazionale socialista, che nel 2009 scoprendo i conti truccati dai suoi predecessori ha di fatto aperto la crisi greca e dell'Unione europea, è il momento di svoltare davvero.
"La Ue è al limite della frammentazione.
O facciamo la storia, o la storia ci distruggerà".
"Verso lo smantellamento" - L'incontro tra i leader di Germania, Francia e Italia, sottolinea, spera che "vada al di là delle pubbliche relazioni e diventi un momento di riflessione più profonda sul futuro dell'Europa, ma anche una chiamata all'azione". Papandreou sente aria di smantellamento dell'Unione europea: "Ci siamo, ma non so se uno smantellamento organizzato sia possibile.
La prospettiva è di guardare a un'ulteriore integrazione, che significa non semplicemente dare più potere a Bruxelles ma darne ai cittadini europei.
Dobbiamo democratizzare l'Unione e darci nuovi progetti oltre la moneta:investimenti comuni nell'energia, nelle telecomunicazioni, in uno sviluppo sostenibile per l'ambiente.
Sarebbero anche uno stimolo all'economia".
Secondo l'ex premier greco è questo l'unico momento possibile per investimenti comuni europei, che non piacciono a Berlino: "Con tassi zero o negativi, il momento per l'Europa di finanziarsi e preparare il futuro è ora.
Viviamo ancora con le infrastrutture della guerra fredda".
Merkel, Draghi e un tragico errore - L'Italia, come sostiene il guru della finanza George Soros, è davvero l'anello debole dell'Unione?
Papandreou è d'accordo a metà: "L'Italia e la Grecia hanno molte differenze. L'Italia ha una base industriale molto forte e un'economia diversificata.
Ma abbiamo anche somiglianze: l'inefficienza delle amministrazioni, il capitalismo di relazione, i cacciatori di rendite, i profittatori, il clientelismo.
Tutto ciò mina la produttività, la trasparenza, la capacità di governo.
Credo che l'Italia non sarebbe l'anello debole se la Ue avesse spinto per più riforme che austerità e se avesse seguito il consiglio diMario Draghi".
Vale a dire "andare verso uno stimolo di bilancio nella Ue", che si traduce in procedure di finanziamento comune come gli eurobond o nel completamento di una vera unione bancaria.
La Germania, però, si oppone: "In molti sensi è diventata la più forte e influente nel nostro club, ma negare che nell'area euro molto deve cambiare la rende, in definitiva, il vero anello debole".
http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... rore-.html
SOPRATTUTTO ORA CHE A DIRIGERLO E' STATO CHIAMATO QUEL FURBO BERGAMASCO, NON SEMPRE CREDIBILE, LITTORIO FELTRI.
IN QUESTO ARTICOLO PERO' PASSA UN'INTERVISTA AL GRECO GEORGE PAPANDREU, E QUINDI ASSUME UN'ALTRA VALENZA.
ALLA VIGILIA DI VENTOTENE
La profezia dell'ex premier greco Papandreou: "L'Europa sta per disintegrarsi"
"L'Europa sta per disintegrarsi".
A dirlo è un politico che ha visto la terra crollargli sotto i piedi, una frana che ha travolto lui, il suo partito e un Paese intero.
Intervistato dal Corriere della Sera, l'ex premier greco George Papandreou lancia l'allarme alla vigilia del blindatissimo vertice a tre di lunedì a Ventotene tra Matteo Renzi, Angela Merkel e François Hollande.
Si parlerà di sicurezza e immigrazione, ma anche di economia.
Per l'attuale presidente dell'Internazionale socialista, che nel 2009 scoprendo i conti truccati dai suoi predecessori ha di fatto aperto la crisi greca e dell'Unione europea, è il momento di svoltare davvero.
"La Ue è al limite della frammentazione.
O facciamo la storia, o la storia ci distruggerà".
"Verso lo smantellamento" - L'incontro tra i leader di Germania, Francia e Italia, sottolinea, spera che "vada al di là delle pubbliche relazioni e diventi un momento di riflessione più profonda sul futuro dell'Europa, ma anche una chiamata all'azione". Papandreou sente aria di smantellamento dell'Unione europea: "Ci siamo, ma non so se uno smantellamento organizzato sia possibile.
La prospettiva è di guardare a un'ulteriore integrazione, che significa non semplicemente dare più potere a Bruxelles ma darne ai cittadini europei.
Dobbiamo democratizzare l'Unione e darci nuovi progetti oltre la moneta:investimenti comuni nell'energia, nelle telecomunicazioni, in uno sviluppo sostenibile per l'ambiente.
Sarebbero anche uno stimolo all'economia".
Secondo l'ex premier greco è questo l'unico momento possibile per investimenti comuni europei, che non piacciono a Berlino: "Con tassi zero o negativi, il momento per l'Europa di finanziarsi e preparare il futuro è ora.
Viviamo ancora con le infrastrutture della guerra fredda".
Merkel, Draghi e un tragico errore - L'Italia, come sostiene il guru della finanza George Soros, è davvero l'anello debole dell'Unione?
Papandreou è d'accordo a metà: "L'Italia e la Grecia hanno molte differenze. L'Italia ha una base industriale molto forte e un'economia diversificata.
Ma abbiamo anche somiglianze: l'inefficienza delle amministrazioni, il capitalismo di relazione, i cacciatori di rendite, i profittatori, il clientelismo.
Tutto ciò mina la produttività, la trasparenza, la capacità di governo.
Credo che l'Italia non sarebbe l'anello debole se la Ue avesse spinto per più riforme che austerità e se avesse seguito il consiglio diMario Draghi".
Vale a dire "andare verso uno stimolo di bilancio nella Ue", che si traduce in procedure di finanziamento comune come gli eurobond o nel completamento di una vera unione bancaria.
La Germania, però, si oppone: "In molti sensi è diventata la più forte e influente nel nostro club, ma negare che nell'area euro molto deve cambiare la rende, in definitiva, il vero anello debole".
http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... rore-.html
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
21 AGO 2016 10:27
1. CARLO DE BENEDETTI AL QUOTIDIANO BELGA 'LE SOIR': ‘’TRA DUE MESI O TRA DUE ANNI’’, MA QUEL CHE È CERTO È CHE SIAMO “ALLA VIGILIA DI UNA NUOVA GRAVE CRISI STILE 2008 O PEGGIO”
2. "LA BREXIT E' L'INIZIO DI UN RIPIEGARSI SU DI SÉ COME LO SARÀ IL VOTO PER DONALD TRUMP"
3. RENZI? "NELLA UE OGGI NON ABBIAMO DIRIGENTI ALL'ALTEZZA. MERKEL E' LA SOLA LEADER"
4. IL "NEW YORK TIMES" SFERZA LE BANCHE ITALIANE. NONOSTANTE LE INIEZIONI DI LIQUIDITÀ, LE IMPRESE FATICANO A TENERE I CONTI IN ORDINE. FELTRINELLI, DAL 2012 A OGGI HA TOTALIZZATO 11 MILIONI DI PERDITE EPPURE HA CONTINUATO A ESSERE SOSTENUTA DA UNICREDIT E INTESA
5. ''IL 17% DEI PRESTITI A CHI NON LO MERITAVA. UNA SITUAZIONE CHE RICORDA QUELLA GRECA"
1. DE BENEDETTI "SORPRESO" DA BREXIT
La Repubblica - «Tra due mesi o tra due anni», ma quel che è certo per Carlo De Benedetti è che siamo «alla vigilia di una nuova grave crisi stile 2008 o peggio». In un' intervista al quotidiano belga Le Soir l' ingegnere si dice inoltre "sorpreso" dalla Brexit, definendola «l' inizio di un ripiegarsi su di sé come lo sarà il voto per Trump». Il presidente del Gruppo L' Espresso afferma inoltre che nella Ue «oggi non abbiamo dirigenti all' altezza», e definisce Merkel "la sola leader in Europa".
2. IL «NEW YORK TIMES» BACCHETTA LE BANCHE ITALIANE.
La Stampa - Il «New York Times» bacchetta le banche italiane. Nel mirino ci sono i prestiti concessi alle imprese che, nonostante le iniezioni di liquidità, faticano a tenere i conti in ordine. Tra gli esempi, il quotidiano cita Feltrinelli, che dal 2012 a oggi ha totalizzato quasi 11 milioni di perdite eppure ha continuato a essere sostenuta da Unicredit e Intesa Sanpaolo.
L'analisi parte da un report del «Center for economic policy research», e punta il dito contro gli istituti di credito che, nell' ultimo anno, in Borsa hanno perso il 70 per cento. Oltre alla casa editrice, finisce nella «lista dei cattivi» anche Benetton. Ma a preoccupare sono soprattutto le migliaia di piccole imprese che sono state colpite duramente dalla recessione: secondo i calcoli del centro ricerche, il 17% dei prestiti è finito a chi non lo meritava. Una situazione che, dice il «New York Times», ricorda quella greca. Non il più lusinghiero dei paragoni. [r. e.
1. CARLO DE BENEDETTI AL QUOTIDIANO BELGA 'LE SOIR': ‘’TRA DUE MESI O TRA DUE ANNI’’, MA QUEL CHE È CERTO È CHE SIAMO “ALLA VIGILIA DI UNA NUOVA GRAVE CRISI STILE 2008 O PEGGIO”
2. "LA BREXIT E' L'INIZIO DI UN RIPIEGARSI SU DI SÉ COME LO SARÀ IL VOTO PER DONALD TRUMP"
3. RENZI? "NELLA UE OGGI NON ABBIAMO DIRIGENTI ALL'ALTEZZA. MERKEL E' LA SOLA LEADER"
4. IL "NEW YORK TIMES" SFERZA LE BANCHE ITALIANE. NONOSTANTE LE INIEZIONI DI LIQUIDITÀ, LE IMPRESE FATICANO A TENERE I CONTI IN ORDINE. FELTRINELLI, DAL 2012 A OGGI HA TOTALIZZATO 11 MILIONI DI PERDITE EPPURE HA CONTINUATO A ESSERE SOSTENUTA DA UNICREDIT E INTESA
5. ''IL 17% DEI PRESTITI A CHI NON LO MERITAVA. UNA SITUAZIONE CHE RICORDA QUELLA GRECA"
1. DE BENEDETTI "SORPRESO" DA BREXIT
La Repubblica - «Tra due mesi o tra due anni», ma quel che è certo per Carlo De Benedetti è che siamo «alla vigilia di una nuova grave crisi stile 2008 o peggio». In un' intervista al quotidiano belga Le Soir l' ingegnere si dice inoltre "sorpreso" dalla Brexit, definendola «l' inizio di un ripiegarsi su di sé come lo sarà il voto per Trump». Il presidente del Gruppo L' Espresso afferma inoltre che nella Ue «oggi non abbiamo dirigenti all' altezza», e definisce Merkel "la sola leader in Europa".
2. IL «NEW YORK TIMES» BACCHETTA LE BANCHE ITALIANE.
La Stampa - Il «New York Times» bacchetta le banche italiane. Nel mirino ci sono i prestiti concessi alle imprese che, nonostante le iniezioni di liquidità, faticano a tenere i conti in ordine. Tra gli esempi, il quotidiano cita Feltrinelli, che dal 2012 a oggi ha totalizzato quasi 11 milioni di perdite eppure ha continuato a essere sostenuta da Unicredit e Intesa Sanpaolo.
L'analisi parte da un report del «Center for economic policy research», e punta il dito contro gli istituti di credito che, nell' ultimo anno, in Borsa hanno perso il 70 per cento. Oltre alla casa editrice, finisce nella «lista dei cattivi» anche Benetton. Ma a preoccupare sono soprattutto le migliaia di piccole imprese che sono state colpite duramente dalla recessione: secondo i calcoli del centro ricerche, il 17% dei prestiti è finito a chi non lo meritava. Una situazione che, dice il «New York Times», ricorda quella greca. Non il più lusinghiero dei paragoni. [r. e.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
21 AGO 2016 13:08
BISI E RISI
- L'AZZARDO DI RENZI CHE GIOCA LA CARTA DEI PROFUGHI BARRICANDO LA MERKEL E HOLLANDE SULL'INCROCIATORE GARIBALDI. IL SUO È UN PIANO DIABOLICO: SE MI AIUTATE SU FLESSIBILITÀ E BANCHE NON VI FACCIO ARRIVARE I PROFUGHI CHE DALL'ITALIA PUNTANO SU GERMANIA E FRANCIA, DOVE SI VOTA L'ANNO PROSSIMO. RICATTO? NO, 'REALPOLITIK' ALLA FACCIA DI TUTTE LE SEGHE SU VENTOTENE E SPINELLI. ERDOGAN INSEGNA
Luigi Bisignani per Il Tempo
Per la prima volta da quando è Premier, Renzi ha qualche freccia al proprio arco in un vertice internazionale. È però una partita azzardata quella che deve giocare con Angela Merkel e Francois Hollande. I tre da domani si barricano sull'incrociatore Garibaldi, al largo della simbolica Ventotene, sebbene da lì sarà difficile avvistare gommoni carichi di profughi, l'emergenza immigrazione è lo snodo del summit.
Pure temi di grande rilievo come il dossier inglese post Brexit scivoleranno in secondo piano. Ma se per Renzi il pensiero dell'autunno è un incubo, la Merkel e Hollande non dormono certo sonni tranquilli. Lo tsunami all'interno del Pd, dove va montando l'intrigante ipotesi Bianca Berlinguer, rende Renzi preoccupatissimo tanto quanto i drammatici dati economici.
Merkel e Hollande, dal canto loro, sono atterriti dall'onda dei migranti e sebbene si mostreranno tutti sorridenti, a parlar di valori europei, sono uno più inquieto dell'altra. Renzi aspetta senza più certezze il referendum e in Germania e Francia sono alle porte le difficili elezioni politiche del 2017, il cui responso delle urne dipenderà certamente dal disinnesco della bomba migranti. È per questo che, anche se a malincuore, meditano di assecondare Matteo su flessibilità e aiuti alle banche raffreddandogli così la patata bollente dell'economia.
Gli apparati di sicurezza di Berlino e Parigi sono infatti sotto pressione ma è fondamentale che gli italiani non sgarrino. Non sia mai che si lascino sgusciare tra le mani qualche migliaio di immigrati irregolari.
Basta vedere le frizioni ferragostane a Ventimiglia o quelle imminenti al Brennero (in Austria, ad ottobre, si torna al voto per le presidenziali) per capire la posta in palio. Renzi lo sa, ma farà bene a evitare di "ricattare" troppo Parigi e Berlino - flessibilità in cambio di frontiere sigillate - perché scherza con il fuoco e non è ignifugo come una salamandra. L'unico leader che ci è riuscito finora è Erdogan. Ed è tutto dire.
BISI E RISI
- L'AZZARDO DI RENZI CHE GIOCA LA CARTA DEI PROFUGHI BARRICANDO LA MERKEL E HOLLANDE SULL'INCROCIATORE GARIBALDI. IL SUO È UN PIANO DIABOLICO: SE MI AIUTATE SU FLESSIBILITÀ E BANCHE NON VI FACCIO ARRIVARE I PROFUGHI CHE DALL'ITALIA PUNTANO SU GERMANIA E FRANCIA, DOVE SI VOTA L'ANNO PROSSIMO. RICATTO? NO, 'REALPOLITIK' ALLA FACCIA DI TUTTE LE SEGHE SU VENTOTENE E SPINELLI. ERDOGAN INSEGNA
Luigi Bisignani per Il Tempo
Per la prima volta da quando è Premier, Renzi ha qualche freccia al proprio arco in un vertice internazionale. È però una partita azzardata quella che deve giocare con Angela Merkel e Francois Hollande. I tre da domani si barricano sull'incrociatore Garibaldi, al largo della simbolica Ventotene, sebbene da lì sarà difficile avvistare gommoni carichi di profughi, l'emergenza immigrazione è lo snodo del summit.
Pure temi di grande rilievo come il dossier inglese post Brexit scivoleranno in secondo piano. Ma se per Renzi il pensiero dell'autunno è un incubo, la Merkel e Hollande non dormono certo sonni tranquilli. Lo tsunami all'interno del Pd, dove va montando l'intrigante ipotesi Bianca Berlinguer, rende Renzi preoccupatissimo tanto quanto i drammatici dati economici.
Merkel e Hollande, dal canto loro, sono atterriti dall'onda dei migranti e sebbene si mostreranno tutti sorridenti, a parlar di valori europei, sono uno più inquieto dell'altra. Renzi aspetta senza più certezze il referendum e in Germania e Francia sono alle porte le difficili elezioni politiche del 2017, il cui responso delle urne dipenderà certamente dal disinnesco della bomba migranti. È per questo che, anche se a malincuore, meditano di assecondare Matteo su flessibilità e aiuti alle banche raffreddandogli così la patata bollente dell'economia.
Gli apparati di sicurezza di Berlino e Parigi sono infatti sotto pressione ma è fondamentale che gli italiani non sgarrino. Non sia mai che si lascino sgusciare tra le mani qualche migliaio di immigrati irregolari.
Basta vedere le frizioni ferragostane a Ventimiglia o quelle imminenti al Brennero (in Austria, ad ottobre, si torna al voto per le presidenziali) per capire la posta in palio. Renzi lo sa, ma farà bene a evitare di "ricattare" troppo Parigi e Berlino - flessibilità in cambio di frontiere sigillate - perché scherza con il fuoco e non è ignifugo come una salamandra. L'unico leader che ci è riuscito finora è Erdogan. Ed è tutto dire.
-
- Messaggi: 522
- Iscritto il: 18/03/2012, 10:43
Re: La crisi dell'Europa
Ritengo che abbiano perso quella rendita di posizione che avevano nello stare metà dentro e metà fuori.Maucat ha scritto:A parte che Stiglitz è da sempre contrario all'Euro, comunque dal voto favorevole alla Brexit in poi (anche se i britannici la stanno spostando sempre più in là questa uscita che alla fine non si sa nemmeno se ci sarà) la stampa inglese non fa che sparare a zero sull'euro e l'Europa perché hanno il terrore di rimanere poi da soli col cerino in mano di una recessione con una moneta svalutata e con la fuga delle principali aziende della City. Se rallenta il terziario per l'UK che si è già quasi totalmente de industrializzato sarà la fine in pochi anni...
Ricordatevi che gli inglesi non fanno niente per niente...
-
- Messaggi: 1079
- Iscritto il: 19/04/2012, 12:04
Re: La crisi dell'Europa
Lo spero anch'io nel frattempo, purtroppo, faranno di tutto per deviare l'attenzione della speculazione da loro a costo di distruggere altri Stati e l'UE stessa, quindi dobbiamo fare molta attenzione alle loro mosse e cercare di neutralizzarle anziché dar loro rilievo.cielo 70 ha scritto:Ritengo che abbiano perso quella rendita di posizione che avevano nello stare metà dentro e metà fuori.Maucat ha scritto:A parte che Stiglitz è da sempre contrario all'Euro, comunque dal voto favorevole alla Brexit in poi (anche se i britannici la stanno spostando sempre più in là questa uscita che alla fine non si sa nemmeno se ci sarà) la stampa inglese non fa che sparare a zero sull'euro e l'Europa perché hanno il terrore di rimanere poi da soli col cerino in mano di una recessione con una moneta svalutata e con la fuga delle principali aziende della City. Se rallenta il terziario per l'UK che si è già quasi totalmente de industrializzato sarà la fine in pochi anni...
Ricordatevi che gli inglesi non fanno niente per niente...
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
LIBRE idee
Ma quest’Europa è da cestinare: partiti, prendetene atto
Scritto il 25/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Non basta l’evocazione di Ventotene per resuscitare il sogno europeo, messo nero su bianco dall’antifascista Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, con prefazione di Eugenio Colorni. Doveva essere l’antidoto naturale contro gli opposti appetiti truccati da nazionalismi. Né basta una location tutt’altro che casuale – il ponte della portaerei Garibaldi, nave intitolata all’eroe cosmopolita dell’unificazione italiana – per dare credibilità alle promesse di Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. «Il meeting ha voluto provare al mondo che il “sogno europeo” non è morto e che andrà avanti, nonostante il Brexit». Eppure, scrive Marco Moiso, quelli che oggi si dicono protettori del progetto europeo «rischiano di diventare i carnefici del sogno europeo a causa della loro palesata incapacità di capire il significato, profondo, che quel sogno ha e potrebbe avere per il popolo europeo». Ovvero, il sogno di Spinelli: «Un’unione federale delle nazioni europee, gli Stati Uniti d’Europa, volta a creare una società libera dalla paura, dal bisogno e dalle costrizioni, in cui ci sia uguaglianza nelle opportunità di realizzazione personale e collettiva, e in cui sia diffuso un senso di fratellanza che vada oltre la diversità di razze, nazionalità e religioni».Vale a dire: l’esatto opposto del “mostro tecnocratico” rappresentato oggi dall’Ue, che per Moiso – esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi – va assolutamente archiviato e superato, varando una vera federazione paritaria da realizzare a qualsiasi costo, «tramite un’evoluzione dell’attuale Unione Europea o tramite la sua dissoluzione». Nulla di simile è in vista, però, stando alle velleitarie conversazioni che hanno avuto luogo a Ventotene, dove sono emerse soltanto proposte «contingenti al contesto politico attuale e completamente incapaci di ridisegnare il progetto europeo, per ridargli senso e finalità». Se infatti «è auspicabile identificare un gruppo di nazioni disposte a proseguire verso una federazione degli Stati europei», partendo quindi dai partner di maggior peso come appunto Francia, Italia e Germania, «non è certo con i temi dell’esercito, della difesa e del rigore finanziario che si possono riaccendere gli animi per far ripartire il processo di unificazione europea».L’unione federale delle nazione europee è un progetto ambizioso, insiste Moiso, «ed è con ambizione che bisogna affrontarlo, senza cedere a particolarismi nazionali e comprendendo la necessità e l’opportunità, nel 21° secolo, di un’unione politica, economica e sociale del vecchio continente». I futuribili Stati Uniti d’Europa? «Dovranno essere capaci di restituire dignità (economica e sociale) e sovranità (politica) al popolo europeo, rimettendo l’uomo al centro del confronto politico e ridando al Parlamento continentale – eletto tramite suffragio universale – il ruolo di legislatore, di fulcro del processo integrativo e della governance complessiva dell’Europa: ruolo oggi usurpato malamente dalla Commissione Europea e sciaguratamente da una Banca Centrale Europea asservita ad interessi privati». Soltanto attraverso una completa ridefinizione del ruolo e delle finalità degli “Stati Uniti d’Europa”, conclude Moiso, «il 21° secolo potrà vedere un’ulteriore evoluzione della società in senso democratico ed egualitario, su scala globale».Organismo meta-partitico sorto per sollecitare il “risveglio” dei partiti sui temi più strategici, il Movimento Roosevelt proprone «l’apertura di un cantiere, trasversale alle identità partitiche e movimentiste, che avrà la finalità di riscrivere la Costituzione Europea per rilanciare un progetto sinceramente democratico e social-liberale». Imposta come un approdo istituzionale necessario e non negoziabile, l’attuale Ue – rivelatasi un formidabile strumento di controllo geopolitico per ingabbiare l’Europa, bloccando lo sviluppo delle relazioni con Mosca dopo la caduta del Muro – è stata in realtà progettata come una struttura autoritaria e antidemocratica: un comitato d’affari dove migliaia di lobbisti condizionano la Commissione, le cui direttive – scritte sotto dettatura – esaudiscono i voleri delle maggiori multinazionali. Il capolavoro dell’Ue consiste nell’aver demolito la sovranità democratica neutralizzando l’autonomia finanziaria degli Stati, obbligati – con l’euro – a ricorrere al mercato anche per rifornirsi di moneta, strumento indispendabile per la pianificazione strategica dell’economia. E’ la morte dell’interesse pubblico, come spiega Paolo Barnard: lo Stato è costretto a ricorrere e prestiti, esattamente come fosse una famiglia o un’azienda.E senza più la minima capacità di investire, utilizzando lo strumento-chiave del deficit positivo (il debito pubblico che ha permesso lo sviluppo del dopoguerra, del quale stiamo ancora beneficiando – infrastrutture, servizi) lo Stato è costretto a tagliare e privatizzare i settori vitali del welfare e a super-tassare il settore privato, aggravando la crisi, come più volte sottolineato da economisti indipendenti del calibro di Nino Galloni: se persino la moneta è “privatizzata”, cioè non più a disposizione del bilancio in modo teoricamente illimitato, si innesca una spirale depressiva che si traduce nel disastro economico che stiamo vivendo, di cui – in ultima analisi – è vittima anche lo Stato, che vede costantemente diminuire il gettito fiscale, nonostante l’aumento esasperante delle imposte. L’Europa sta rischiando grosso: l’allarme viene dalla catastrofe della disoccupazione, dal Brexit, dall’emergere della protesta attraverso il crescente consenso popolare di cui godono i nuovi movimenti nazionalisti, ostili alla gestione monopolitica del potere da parte di Bruxelles. Riscrivere le regole, da zero: mission impossibile? L’ostacolo enorme è rappresentato dalla super-piramide del potere finanziario, il vero padrone dell’Ue. Primo passo, per il Movimento Roosevelt: cominciare almeno a “costringere” i partiti a prendere atto che, così, non si può più andare avanti.
Ma quest’Europa è da cestinare: partiti, prendetene atto
Scritto il 25/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Non basta l’evocazione di Ventotene per resuscitare il sogno europeo, messo nero su bianco dall’antifascista Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, con prefazione di Eugenio Colorni. Doveva essere l’antidoto naturale contro gli opposti appetiti truccati da nazionalismi. Né basta una location tutt’altro che casuale – il ponte della portaerei Garibaldi, nave intitolata all’eroe cosmopolita dell’unificazione italiana – per dare credibilità alle promesse di Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. «Il meeting ha voluto provare al mondo che il “sogno europeo” non è morto e che andrà avanti, nonostante il Brexit». Eppure, scrive Marco Moiso, quelli che oggi si dicono protettori del progetto europeo «rischiano di diventare i carnefici del sogno europeo a causa della loro palesata incapacità di capire il significato, profondo, che quel sogno ha e potrebbe avere per il popolo europeo». Ovvero, il sogno di Spinelli: «Un’unione federale delle nazioni europee, gli Stati Uniti d’Europa, volta a creare una società libera dalla paura, dal bisogno e dalle costrizioni, in cui ci sia uguaglianza nelle opportunità di realizzazione personale e collettiva, e in cui sia diffuso un senso di fratellanza che vada oltre la diversità di razze, nazionalità e religioni».Vale a dire: l’esatto opposto del “mostro tecnocratico” rappresentato oggi dall’Ue, che per Moiso – esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi – va assolutamente archiviato e superato, varando una vera federazione paritaria da realizzare a qualsiasi costo, «tramite un’evoluzione dell’attuale Unione Europea o tramite la sua dissoluzione». Nulla di simile è in vista, però, stando alle velleitarie conversazioni che hanno avuto luogo a Ventotene, dove sono emerse soltanto proposte «contingenti al contesto politico attuale e completamente incapaci di ridisegnare il progetto europeo, per ridargli senso e finalità». Se infatti «è auspicabile identificare un gruppo di nazioni disposte a proseguire verso una federazione degli Stati europei», partendo quindi dai partner di maggior peso come appunto Francia, Italia e Germania, «non è certo con i temi dell’esercito, della difesa e del rigore finanziario che si possono riaccendere gli animi per far ripartire il processo di unificazione europea».L’unione federale delle nazione europee è un progetto ambizioso, insiste Moiso, «ed è con ambizione che bisogna affrontarlo, senza cedere a particolarismi nazionali e comprendendo la necessità e l’opportunità, nel 21° secolo, di un’unione politica, economica e sociale del vecchio continente». I futuribili Stati Uniti d’Europa? «Dovranno essere capaci di restituire dignità (economica e sociale) e sovranità (politica) al popolo europeo, rimettendo l’uomo al centro del confronto politico e ridando al Parlamento continentale – eletto tramite suffragio universale – il ruolo di legislatore, di fulcro del processo integrativo e della governance complessiva dell’Europa: ruolo oggi usurpato malamente dalla Commissione Europea e sciaguratamente da una Banca Centrale Europea asservita ad interessi privati». Soltanto attraverso una completa ridefinizione del ruolo e delle finalità degli “Stati Uniti d’Europa”, conclude Moiso, «il 21° secolo potrà vedere un’ulteriore evoluzione della società in senso democratico ed egualitario, su scala globale».Organismo meta-partitico sorto per sollecitare il “risveglio” dei partiti sui temi più strategici, il Movimento Roosevelt proprone «l’apertura di un cantiere, trasversale alle identità partitiche e movimentiste, che avrà la finalità di riscrivere la Costituzione Europea per rilanciare un progetto sinceramente democratico e social-liberale». Imposta come un approdo istituzionale necessario e non negoziabile, l’attuale Ue – rivelatasi un formidabile strumento di controllo geopolitico per ingabbiare l’Europa, bloccando lo sviluppo delle relazioni con Mosca dopo la caduta del Muro – è stata in realtà progettata come una struttura autoritaria e antidemocratica: un comitato d’affari dove migliaia di lobbisti condizionano la Commissione, le cui direttive – scritte sotto dettatura – esaudiscono i voleri delle maggiori multinazionali. Il capolavoro dell’Ue consiste nell’aver demolito la sovranità democratica neutralizzando l’autonomia finanziaria degli Stati, obbligati – con l’euro – a ricorrere al mercato anche per rifornirsi di moneta, strumento indispendabile per la pianificazione strategica dell’economia. E’ la morte dell’interesse pubblico, come spiega Paolo Barnard: lo Stato è costretto a ricorrere e prestiti, esattamente come fosse una famiglia o un’azienda.E senza più la minima capacità di investire, utilizzando lo strumento-chiave del deficit positivo (il debito pubblico che ha permesso lo sviluppo del dopoguerra, del quale stiamo ancora beneficiando – infrastrutture, servizi) lo Stato è costretto a tagliare e privatizzare i settori vitali del welfare e a super-tassare il settore privato, aggravando la crisi, come più volte sottolineato da economisti indipendenti del calibro di Nino Galloni: se persino la moneta è “privatizzata”, cioè non più a disposizione del bilancio in modo teoricamente illimitato, si innesca una spirale depressiva che si traduce nel disastro economico che stiamo vivendo, di cui – in ultima analisi – è vittima anche lo Stato, che vede costantemente diminuire il gettito fiscale, nonostante l’aumento esasperante delle imposte. L’Europa sta rischiando grosso: l’allarme viene dalla catastrofe della disoccupazione, dal Brexit, dall’emergere della protesta attraverso il crescente consenso popolare di cui godono i nuovi movimenti nazionalisti, ostili alla gestione monopolitica del potere da parte di Bruxelles. Riscrivere le regole, da zero: mission impossibile? L’ostacolo enorme è rappresentato dalla super-piramide del potere finanziario, il vero padrone dell’Ue. Primo passo, per il Movimento Roosevelt: cominciare almeno a “costringere” i partiti a prendere atto che, così, non si può più andare avanti.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La crisi dell'Europa
LIBRE news
Financial Times: è l’euro a minacciare la pace in Europa
Scritto il 27/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Non illudetevi: l’Unione Europea non è affatto garanzia di pace. Quella, semmai, l’abbiamo vissuta – sappiamo a che prezzo – grazie alla pax nucleare della Guerra Fredda. Ma oggi, con l’Ue e in particolare l’Eurozona, l’Europa non è affatto un posto rassicurante. Lo afferma nientemeno che il “Financial Times”, in un editoriale firmato da John Plender. «Ora che la Gran Bretagna si distacca dall’Ue e il nazionalismo torna in voga in tutto il continente, il realismo ci chiede di affrontare un beneamato quanto esagerato mito su questa costruzione sovranazionale – vale a dire il mito secondo il quale il grandioso piano europeo avrebbe tenuto lontano i conflitti per decenni». Vero, i “padri fondatori” hanno imbrigliato gli Stati nazionali in una rete sempre più fitta di relazioni economiche «con l’obiettivo nascosto di garantire la pace», fino a spingere l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman, uno dei massimi architetti della neo-oligarchia europea, a dire che l’obiettivo era quello di rendere la guerra «non solo impensabile, ma anche materialmente impossibile». Ma fare le cose “di nascosto” ha un costo: «Questo modo di procedere ha ispirato nell’élite politica europea un atteggiamento di profonda irriverenza verso l’opinione pubblica e verso il processo democratico, non da ultimo verso i referendum che portano a risultati “sbagliati”».Questa, scrive Plender (la traduzione è di “Voci dall’Estero”) è una componente importante del risentimento che sta dietro l’ascesa dei partiti populisti di destra nell’Ue. E anche l’affermazione che la progressiva interdipendenza economica abbia fatto scomparire le antiche rivalità in Europa «non è solo fantasiosa ma si basa su un fraintendimento della relazione tra economia e sicurezza nazionale». L’idea che il commercio porti la pace risale almeno al 1700, quando Montesquieu, nel saggio “De L’Esprit Des Lois”, sosteneva che il desiderio di guadagno economico può frenare le passioni distruttive. «Questo pensiero attraversò la Manica e prese forma nell’internazionalismo liberale sostenuto da Richard Cobden, anti-imperialista e liberomercatista inglese del diciannovesimo secolo». Il culmine arrivò nel 1910 con la pubblicazione di “The Great Illusion” di Norman Angell, un politico britannico che sosteneva che i costi economici di una vittoria in guerra sono decisamente superiori ai guadagni. «Molti ne trassero la conseguenza che la guerra era futile e, in futuro, sarebbe diventata improbabile. Ma la disillusione arrivò nel 1914».L’idea che l’interdipendenza economica freni l’aggressione militare, continua l’analista del “Financial Times” si è dimostrata, nonostante questo, tenace. E’ presente anche nelle dichiarazioni ufficiali del Wto e convince ancora molti accademici, tra cui l’economista Robert Shiller di Yale, vincitore del Premio Nobel. «L’interdipendenza economica fa sicuramente aumentare i costi economici di un conflitto», ammette Plender. «Eppure ci sono altri fattori che spiegano meglio la pace post-bellica». Esempio: «Nel pericoloso contesto nucleare dell’immediato dopoguerra, l’esistenza di un nemico comune durante la Guerra Fredda ha aiutato a unire Francia e Germania. L’assopimento delle rivalità tra paesi è stata facilitata anche dall’egida militare statunitense. Soprattutto la Germania, che aveva sofferto due sconfitte impressionanti in due guerre mondiali di seguito, non aveva molta intenzione di tirarsi dentro una ulteriore catastrofe».Oggi in Europa la guerra non è ancora alle porte: «Per i partiti populisti, gli attuali nemici sono la globalizzazione, l’immigrazione, Bruxelles e altre minacce all’identità nazionale». Ma attenzione: «Nel duro mondo fuori dall’Ue, c’è ben poco che suggerisca che l’interdipendenza economica sia un potente freno all’aggressione militare». Inoltre, la più pesante interazione tra politica ed economia all’interno dell’Ue è quella che riguarda l’Eurozona, e con risultati catastrofici: «Qui l’interdipendenza economica si sta dimostrando la strada verso un attrito sempre maggiore. In effetti l’antico equilibrio del potere politico in Europa è stato incorporato all’interno di una unione monetaria instabile, con la differenza che la Germania è emersa come paese egemone, e ha insistito sull’austerità per tutta la durata della crisi dell’Eurozona, mentre continuava ad accumulare surplus da record delle partite correnti. In assenza di una vera infrastruttura – una politica fiscale comune, una vera unione bancaria, la mutualizzazione dei titoli del debito – una moneta unica è diventata solo un meccanismo per produrre squilibri». Oggi, l’unione monetaria è il problema numero uno. E l’élite che l’ha imposta «dovrebbe ricordarsi quanto spesso, nella storia europea, l’identità è venuta prima degli interessi».
Financial Times: è l’euro a minacciare la pace in Europa
Scritto il 27/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Non illudetevi: l’Unione Europea non è affatto garanzia di pace. Quella, semmai, l’abbiamo vissuta – sappiamo a che prezzo – grazie alla pax nucleare della Guerra Fredda. Ma oggi, con l’Ue e in particolare l’Eurozona, l’Europa non è affatto un posto rassicurante. Lo afferma nientemeno che il “Financial Times”, in un editoriale firmato da John Plender. «Ora che la Gran Bretagna si distacca dall’Ue e il nazionalismo torna in voga in tutto il continente, il realismo ci chiede di affrontare un beneamato quanto esagerato mito su questa costruzione sovranazionale – vale a dire il mito secondo il quale il grandioso piano europeo avrebbe tenuto lontano i conflitti per decenni». Vero, i “padri fondatori” hanno imbrigliato gli Stati nazionali in una rete sempre più fitta di relazioni economiche «con l’obiettivo nascosto di garantire la pace», fino a spingere l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman, uno dei massimi architetti della neo-oligarchia europea, a dire che l’obiettivo era quello di rendere la guerra «non solo impensabile, ma anche materialmente impossibile». Ma fare le cose “di nascosto” ha un costo: «Questo modo di procedere ha ispirato nell’élite politica europea un atteggiamento di profonda irriverenza verso l’opinione pubblica e verso il processo democratico, non da ultimo verso i referendum che portano a risultati “sbagliati”».Questa, scrive Plender (la traduzione è di “Voci dall’Estero”) è una componente importante del risentimento che sta dietro l’ascesa dei partiti populisti di destra nell’Ue. E anche l’affermazione che la progressiva interdipendenza economica abbia fatto scomparire le antiche rivalità in Europa «non è solo fantasiosa ma si basa su un fraintendimento della relazione tra economia e sicurezza nazionale». L’idea che il commercio porti la pace risale almeno al 1700, quando Montesquieu, nel saggio “De L’Esprit Des Lois”, sosteneva che il desiderio di guadagno economico può frenare le passioni distruttive. «Questo pensiero attraversò la Manica e prese forma nell’internazionalismo liberale sostenuto da Richard Cobden, anti-imperialista e liberomercatista inglese del diciannovesimo secolo». Il culmine arrivò nel 1910 con la pubblicazione di “The Great Illusion” di Norman Angell, un politico britannico che sosteneva che i costi economici di una vittoria in guerra sono decisamente superiori ai guadagni. «Molti ne trassero la conseguenza che la guerra era futile e, in futuro, sarebbe diventata improbabile. Ma la disillusione arrivò nel 1914».L’idea che l’interdipendenza economica freni l’aggressione militare, continua l’analista del “Financial Times” si è dimostrata, nonostante questo, tenace. E’ presente anche nelle dichiarazioni ufficiali del Wto e convince ancora molti accademici, tra cui l’economista Robert Shiller di Yale, vincitore del Premio Nobel. «L’interdipendenza economica fa sicuramente aumentare i costi economici di un conflitto», ammette Plender. «Eppure ci sono altri fattori che spiegano meglio la pace post-bellica». Esempio: «Nel pericoloso contesto nucleare dell’immediato dopoguerra, l’esistenza di un nemico comune durante la Guerra Fredda ha aiutato a unire Francia e Germania. L’assopimento delle rivalità tra paesi è stata facilitata anche dall’egida militare statunitense. Soprattutto la Germania, che aveva sofferto due sconfitte impressionanti in due guerre mondiali di seguito, non aveva molta intenzione di tirarsi dentro una ulteriore catastrofe».Oggi in Europa la guerra non è ancora alle porte: «Per i partiti populisti, gli attuali nemici sono la globalizzazione, l’immigrazione, Bruxelles e altre minacce all’identità nazionale». Ma attenzione: «Nel duro mondo fuori dall’Ue, c’è ben poco che suggerisca che l’interdipendenza economica sia un potente freno all’aggressione militare». Inoltre, la più pesante interazione tra politica ed economia all’interno dell’Ue è quella che riguarda l’Eurozona, e con risultati catastrofici: «Qui l’interdipendenza economica si sta dimostrando la strada verso un attrito sempre maggiore. In effetti l’antico equilibrio del potere politico in Europa è stato incorporato all’interno di una unione monetaria instabile, con la differenza che la Germania è emersa come paese egemone, e ha insistito sull’austerità per tutta la durata della crisi dell’Eurozona, mentre continuava ad accumulare surplus da record delle partite correnti. In assenza di una vera infrastruttura – una politica fiscale comune, una vera unione bancaria, la mutualizzazione dei titoli del debito – una moneta unica è diventata solo un meccanismo per produrre squilibri». Oggi, l’unione monetaria è il problema numero uno. E l’élite che l’ha imposta «dovrebbe ricordarsi quanto spesso, nella storia europea, l’identità è venuta prima degli interessi».
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite