Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
UNO DEI TANTI PUNTI DI VISTA
IL PIANO SEGRETO DELL'ESTABLISHMENT USA PER CONSEGNARE LA PRESIDENZA A TRUMP
Postato il 23/08/2016 di cdcnet
USA time 100 2016 Donald TrumpDI PEPE ESCOBAR
russia-insider.com
“Sotto tutto questo fracasso c’è qualcosa che (silenziosamente) si muove. Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria”.
Hillary Clinton, la Regina del Caos, Regina della Guerra, Donna di Goldman Sachs, in tutti i sensi è il candidato bipartisan dei neocon e dei neoliberalcon statunitensi.
È garantito che tra i suoi sostenitori ci siano Wall Street, i maggiori hedge fund, i tifosi del TPP, gli interventisti del CFR (Council on Foregin Relations), i tycoon dei media, i trafficoni delle multinazionali: di fatto tutti gli eccezionali statunitensi che fanno parte del bipartisan ed ultraricco 0,0001%.
Ciò lascia Donald J. Trump nella posizione di egocentrico outsider miliardario che in qualche modo sogna di poter gabbare l’intero sistema, con la sola spinta della propria sfrontatezza.
È per questa dinamica che Trump viene demonizzato con fervore medievale dai media statunitensi. Il suo continuo parlare – e tweettare – di sicuro non aiuta, dando l’impressione che questi sia contro tutti 24 ore su 24. Per l’establishment, i suoi miliardi non contano nulla, viene trattato come un reietto. Potrà essere indifferente all’empatia, ma d’altro canto i suoi modi lo portano nelle grazie di vaste schiere di popolazione bianca, infuriata, sulla soglia della povertà e dalla scarsa educazione.
Un rinascimento industriale statunitense?
Sotto tutto questo rumore e questa rabbia, qualcosa (lentamente) si muove. Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria. La domanda è se questi riuscirà a controllare il suo comportamento bizzarro fino a raggiungere l’obiettivo.
Il suo messaggio principale, secondo questi sostenitori, dovrebbe girare attorno alla distruzione del comparto industriale statunitense dalle valute manipolate e sulla “distruzione dei salari della popolazione statunitense dovuti all’importazione di lavoro illegalmente economico da nazioni dove gli stipendi valgono una manciata di dollari”.
Il tutto sostenuto da un importante punto di vista bellico. Come sottolineano i sostenitori di Trump “l’Oceano Pacifico non può essere utilizzato per trasportare i componenti fondamentali della nostra industria bellica, nell’eventualità di una guerra contro la Russia o contro la Cina i loro sottomarini silenziosi equipaggiati con siluri anti-nave bloccherebbero i nostri trasporti transoceanici, facendo collassare la nostra industria bellica con conseguenze catastrofiche. Queste industrie e quelle di intel vanno rimpatriate immediatamente, sfruttando i dazi o correttivi al valore della valuta”.
Quindi Trump dovrebbe sfruttare il messaggio che il credito bancario va legato alla ricostruzione della moribonda industria statunitense “che sia alzando i dazi o sfruttando i cambi di valuta”. I sostenitori di Trump opinano che il credito bancario “non dovrebbe essere utilizzato per facilitare la manipolazione dei valori delle borse. Non dovrebbe esserci credito per la speculazione e assolutamente per gli hedge fund. Bisogna sbarazzarsi di questi mezzi speculativi alzando le tasse sugli introiti a breve termine dati dal trading, interrompendo i vantaggi fiscali sui prestiti e bloccando il credito a favore della speculazione. Fare in modo che quella gente si trovi un vero lavoro”.
Tutto ciò, in breve, spiega l’avversione viscerale di Wall Street nei confronti di Trump – da Bloomberg a Lloyd Blankfeins. Chiunque conosca Wall Street sa bene che ogni mercato, ogni bene ed ogni indice viene manipolato da grossi movimenti di fondi. Per come la mettono i sostenitori di Trump di base a New York “Ciò non basta come unica ragione per sostenere Donald J. Trump. Dovremmo fare in modo che i Carl Icahan e i George Soros si trovino un vero lavoro ultratassando i loro profitti derivanti da speculazione. In questa nazione ci servono Henry Ford che creino industrie, non di saccheggiatori di Wall Street, che si arricchiscono come hanno fatto nel 2008, per poi ritrovarsi ad utilizzare il loro peso per far coprire i buchi alla politica, mentre milioni di cittadini venivano buttati fuori dalle loro case”.
Secondo questa tabella di marcia, già bene in vista sulla scrivania di Trump – anche se nessuno sa se lui l’abbia letta tutta, o lo stia facendo un po’ alla volta – la lotta all’immigrazione illegale e alle speculazioni finanziarie in combinazione creerebbe un rinascimento industriale negli USA, per ricostruire tutte le Detroit che stanno andando allo sfascio. Di base la strategia è sostituire milioni di lavoratori immigrati con milioni di disoccupati statunitensi: i sostenitori di Trump credono che il vero tasso di disoccupazione attuale dovrebbe essere un terribile 23%, secondo la Metodologia del Bureau of Labor Statistical del 1955 “a differenza di quanto dicono i falsi metodi moderni”.
Di base è necessario che Trump, se venisse eletto, creasse un partito trasversale, una sorta di coalizione – come già successo al Senato quando Jesse Helms da un lato e John Conyers e Chuck Schumer dall’altra hanno fatto accordi tra loro.
Trump dovrebbe diventare familiare alle idee di economia nazionale di Friedrich List – la cui Lega Zollverein di commercio senza dazi aveva permesso alla Prussia di dare vita alla nazione tedesca.
Alcune delle idee menzionate sono già entrate nel programma economico annunciato da Trump. Ora la parte difficile è che un uomo con un deficit di attenzione, che si muove a colpi di tweet e di frasi ad impatto, deve riuscire a vendere il piano all’elettorato senza distrarsi a litigare con qualcuno mentre lo fa.
In ogni caso Vlad ha già vinto
I sondaggi puntano alla Clinton, ma i sostenitori di Trump “non si fidano dei sondaggi, sono manipolati”.
D’altro canto c’è l’ “isteria russa” in continua evoluzione. Hillary ha paragonato il Presidente Putin ad Hitler. Trump continua a sostenere di essere disposto a fare affari con Mosca – cominciando con un’azione congiunta per sbarazzarsi di ISIS/ISIL/Daesh una volta per tutte.
Perché preoccuparsi? Lo stupidometro che monitora i media negli USA è già schizzato alle stelle, dato che il vincitore delle presidenziali è già stato individuato, e chi potrebbe mai essere se non l’onnisciente Vladimir Putin?.
Una fonte vicina ai piani dei Veri Padroni dell’Universo va dritta al punto “per quanto riguarda la Russia, la decisione viene dall’alto, dove è in corso la battaglia. La decisione viene presa sopra le teste di Hillary e Donald, se Hillary verrà eletta le verrà imposto di riprendere i contatti, in caso così venga deciso. Se vincerà Trump è semplice, in caso non venisse eletto allora la mancata elezione verrà utilizzata come catalizzatore per un cambio di politica nei confronti della Russia. La vera guerra è dietro le quinte”.
Così come per le manipolazioni sulle valute “verranno impedite, così come è stato visto Jack Lew dare l’ordine a Germania e Giappone”, la nuova mappa geo-economica – possibilmente sotto Trump punterebbe anche verso la fine della guerra ai prezzi per quanto riguarda il petrolio. Come dicono i sostenitori di Trump “è un obiettivo nazionale degli USA, perché un valore di mercato più alto renderebbe gli Stati Uniti stessi indipendenti dal punto di vista energetico. Ciò è parte significativa della rivoluzione di Trump”.
Secondo fonti vicine alla Casa di Saud, Sauditi e Russi sono già coinvolti in pre-negoziazioni complicatissime sulla possibilità di veicolare il prezzo del greggio fino ai 100$ al barile “ci dovrebbero essere abbastanza interessi reciproci tra i Sauditi traditi dagli USA governati dai neocon, e che da questi potrebbero essere distrutti, e i Russi che vogliono prevenire questa eventualità”.
Una fine della guerra sul prezzo del petrolio è qualcosa su cui il Pentagono non si potrebbe pronunciare. Come fa notare un sostenitore di Trump “è negli interessi del complesso militare/industriale raggiungere l’obiettivo di una totale indipendenza energetica e rimpatriare tutte le industrie belliche sul territorio nazionale”.
Se si paragona questa eventualità al match di wrestling 24 ore su 24 che viviamo sembra di essere Alice nel Paese delle Meraviglie. Non ci sono prove che questo programma tanto ambizioso – e controverso – possa essere venduto agli strateghi di JP Morgan o ai fratelli Koch. Trump che crea un partito trasversale o addirittura un movimento che trascenda i partiti potrà funzionare solo se membri di peso delle elite di potere lo sosterranno, altrimenti è impossibile che ciò accada.
Ciò che continua senza sosta è una campagna di disinformazione di massa – un bel remix delle valanghe antisovietiche della prima guerra fredda. La Macchina dei Media della Clinton sta addirittura attaccando Michael Flynn, ex capo della DIA, che supporta Trump. Di fondo Trump aveva ragione quando aveva sostenuto che Obama e la Clinton erano fondatore e co-fondatore dell’ISIS/ISIL/Daesh. Esattamente ciò che Flynn ha ammesso in quella famosa intervista in cui affermava che l’espansione del finto Califfato era stata una “decisione volontaria” presa a Washington.
Il succo, per come stanno le cose, è che Trump non sta raccogliendo abbastanza denaro per controbilanciare l’incredibile macchina dei soldi della Clinton. Ora arriva davvero il momento in cui questi non deve fare prigionieri per avere il massimo della visibilità – mentre spiega la tabella di marcia economica sopracitata, un tweet alla volta.
Ovviamente ci sarà una sorpresa – ad ottobre o anche in un altro momento. Nulla è stato deciso – per ora. Coningsby di Disraeli non avrebbe potuto essere più appropriato “Vedete, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto differenti da quelli che si immaginano quelli che non sono dietro le quinte”.
Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a pepeasia@yahoo.com.
Fonte: http://russia-insider.com/
Link: http://russia-insider.com/en/politics/c ... on/ri16057
IL PIANO SEGRETO DELL'ESTABLISHMENT USA PER CONSEGNARE LA PRESIDENZA A TRUMP
Postato il 23/08/2016 di cdcnet
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“Sotto tutto questo fracasso c’è qualcosa che (silenziosamente) si muove. Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria”.
Hillary Clinton, la Regina del Caos, Regina della Guerra, Donna di Goldman Sachs, in tutti i sensi è il candidato bipartisan dei neocon e dei neoliberalcon statunitensi.
È garantito che tra i suoi sostenitori ci siano Wall Street, i maggiori hedge fund, i tifosi del TPP, gli interventisti del CFR (Council on Foregin Relations), i tycoon dei media, i trafficoni delle multinazionali: di fatto tutti gli eccezionali statunitensi che fanno parte del bipartisan ed ultraricco 0,0001%.
Ciò lascia Donald J. Trump nella posizione di egocentrico outsider miliardario che in qualche modo sogna di poter gabbare l’intero sistema, con la sola spinta della propria sfrontatezza.
È per questa dinamica che Trump viene demonizzato con fervore medievale dai media statunitensi. Il suo continuo parlare – e tweettare – di sicuro non aiuta, dando l’impressione che questi sia contro tutti 24 ore su 24. Per l’establishment, i suoi miliardi non contano nulla, viene trattato come un reietto. Potrà essere indifferente all’empatia, ma d’altro canto i suoi modi lo portano nelle grazie di vaste schiere di popolazione bianca, infuriata, sulla soglia della povertà e dalla scarsa educazione.
Un rinascimento industriale statunitense?
Sotto tutto questo rumore e questa rabbia, qualcosa (lentamente) si muove. Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria. La domanda è se questi riuscirà a controllare il suo comportamento bizzarro fino a raggiungere l’obiettivo.
Il suo messaggio principale, secondo questi sostenitori, dovrebbe girare attorno alla distruzione del comparto industriale statunitense dalle valute manipolate e sulla “distruzione dei salari della popolazione statunitense dovuti all’importazione di lavoro illegalmente economico da nazioni dove gli stipendi valgono una manciata di dollari”.
Il tutto sostenuto da un importante punto di vista bellico. Come sottolineano i sostenitori di Trump “l’Oceano Pacifico non può essere utilizzato per trasportare i componenti fondamentali della nostra industria bellica, nell’eventualità di una guerra contro la Russia o contro la Cina i loro sottomarini silenziosi equipaggiati con siluri anti-nave bloccherebbero i nostri trasporti transoceanici, facendo collassare la nostra industria bellica con conseguenze catastrofiche. Queste industrie e quelle di intel vanno rimpatriate immediatamente, sfruttando i dazi o correttivi al valore della valuta”.
Quindi Trump dovrebbe sfruttare il messaggio che il credito bancario va legato alla ricostruzione della moribonda industria statunitense “che sia alzando i dazi o sfruttando i cambi di valuta”. I sostenitori di Trump opinano che il credito bancario “non dovrebbe essere utilizzato per facilitare la manipolazione dei valori delle borse. Non dovrebbe esserci credito per la speculazione e assolutamente per gli hedge fund. Bisogna sbarazzarsi di questi mezzi speculativi alzando le tasse sugli introiti a breve termine dati dal trading, interrompendo i vantaggi fiscali sui prestiti e bloccando il credito a favore della speculazione. Fare in modo che quella gente si trovi un vero lavoro”.
Tutto ciò, in breve, spiega l’avversione viscerale di Wall Street nei confronti di Trump – da Bloomberg a Lloyd Blankfeins. Chiunque conosca Wall Street sa bene che ogni mercato, ogni bene ed ogni indice viene manipolato da grossi movimenti di fondi. Per come la mettono i sostenitori di Trump di base a New York “Ciò non basta come unica ragione per sostenere Donald J. Trump. Dovremmo fare in modo che i Carl Icahan e i George Soros si trovino un vero lavoro ultratassando i loro profitti derivanti da speculazione. In questa nazione ci servono Henry Ford che creino industrie, non di saccheggiatori di Wall Street, che si arricchiscono come hanno fatto nel 2008, per poi ritrovarsi ad utilizzare il loro peso per far coprire i buchi alla politica, mentre milioni di cittadini venivano buttati fuori dalle loro case”.
Secondo questa tabella di marcia, già bene in vista sulla scrivania di Trump – anche se nessuno sa se lui l’abbia letta tutta, o lo stia facendo un po’ alla volta – la lotta all’immigrazione illegale e alle speculazioni finanziarie in combinazione creerebbe un rinascimento industriale negli USA, per ricostruire tutte le Detroit che stanno andando allo sfascio. Di base la strategia è sostituire milioni di lavoratori immigrati con milioni di disoccupati statunitensi: i sostenitori di Trump credono che il vero tasso di disoccupazione attuale dovrebbe essere un terribile 23%, secondo la Metodologia del Bureau of Labor Statistical del 1955 “a differenza di quanto dicono i falsi metodi moderni”.
Di base è necessario che Trump, se venisse eletto, creasse un partito trasversale, una sorta di coalizione – come già successo al Senato quando Jesse Helms da un lato e John Conyers e Chuck Schumer dall’altra hanno fatto accordi tra loro.
Trump dovrebbe diventare familiare alle idee di economia nazionale di Friedrich List – la cui Lega Zollverein di commercio senza dazi aveva permesso alla Prussia di dare vita alla nazione tedesca.
Alcune delle idee menzionate sono già entrate nel programma economico annunciato da Trump. Ora la parte difficile è che un uomo con un deficit di attenzione, che si muove a colpi di tweet e di frasi ad impatto, deve riuscire a vendere il piano all’elettorato senza distrarsi a litigare con qualcuno mentre lo fa.
In ogni caso Vlad ha già vinto
I sondaggi puntano alla Clinton, ma i sostenitori di Trump “non si fidano dei sondaggi, sono manipolati”.
D’altro canto c’è l’ “isteria russa” in continua evoluzione. Hillary ha paragonato il Presidente Putin ad Hitler. Trump continua a sostenere di essere disposto a fare affari con Mosca – cominciando con un’azione congiunta per sbarazzarsi di ISIS/ISIL/Daesh una volta per tutte.
Perché preoccuparsi? Lo stupidometro che monitora i media negli USA è già schizzato alle stelle, dato che il vincitore delle presidenziali è già stato individuato, e chi potrebbe mai essere se non l’onnisciente Vladimir Putin?.
Una fonte vicina ai piani dei Veri Padroni dell’Universo va dritta al punto “per quanto riguarda la Russia, la decisione viene dall’alto, dove è in corso la battaglia. La decisione viene presa sopra le teste di Hillary e Donald, se Hillary verrà eletta le verrà imposto di riprendere i contatti, in caso così venga deciso. Se vincerà Trump è semplice, in caso non venisse eletto allora la mancata elezione verrà utilizzata come catalizzatore per un cambio di politica nei confronti della Russia. La vera guerra è dietro le quinte”.
Così come per le manipolazioni sulle valute “verranno impedite, così come è stato visto Jack Lew dare l’ordine a Germania e Giappone”, la nuova mappa geo-economica – possibilmente sotto Trump punterebbe anche verso la fine della guerra ai prezzi per quanto riguarda il petrolio. Come dicono i sostenitori di Trump “è un obiettivo nazionale degli USA, perché un valore di mercato più alto renderebbe gli Stati Uniti stessi indipendenti dal punto di vista energetico. Ciò è parte significativa della rivoluzione di Trump”.
Secondo fonti vicine alla Casa di Saud, Sauditi e Russi sono già coinvolti in pre-negoziazioni complicatissime sulla possibilità di veicolare il prezzo del greggio fino ai 100$ al barile “ci dovrebbero essere abbastanza interessi reciproci tra i Sauditi traditi dagli USA governati dai neocon, e che da questi potrebbero essere distrutti, e i Russi che vogliono prevenire questa eventualità”.
Una fine della guerra sul prezzo del petrolio è qualcosa su cui il Pentagono non si potrebbe pronunciare. Come fa notare un sostenitore di Trump “è negli interessi del complesso militare/industriale raggiungere l’obiettivo di una totale indipendenza energetica e rimpatriare tutte le industrie belliche sul territorio nazionale”.
Se si paragona questa eventualità al match di wrestling 24 ore su 24 che viviamo sembra di essere Alice nel Paese delle Meraviglie. Non ci sono prove che questo programma tanto ambizioso – e controverso – possa essere venduto agli strateghi di JP Morgan o ai fratelli Koch. Trump che crea un partito trasversale o addirittura un movimento che trascenda i partiti potrà funzionare solo se membri di peso delle elite di potere lo sosterranno, altrimenti è impossibile che ciò accada.
Ciò che continua senza sosta è una campagna di disinformazione di massa – un bel remix delle valanghe antisovietiche della prima guerra fredda. La Macchina dei Media della Clinton sta addirittura attaccando Michael Flynn, ex capo della DIA, che supporta Trump. Di fondo Trump aveva ragione quando aveva sostenuto che Obama e la Clinton erano fondatore e co-fondatore dell’ISIS/ISIL/Daesh. Esattamente ciò che Flynn ha ammesso in quella famosa intervista in cui affermava che l’espansione del finto Califfato era stata una “decisione volontaria” presa a Washington.
Il succo, per come stanno le cose, è che Trump non sta raccogliendo abbastanza denaro per controbilanciare l’incredibile macchina dei soldi della Clinton. Ora arriva davvero il momento in cui questi non deve fare prigionieri per avere il massimo della visibilità – mentre spiega la tabella di marcia economica sopracitata, un tweet alla volta.
Ovviamente ci sarà una sorpresa – ad ottobre o anche in un altro momento. Nulla è stato deciso – per ora. Coningsby di Disraeli non avrebbe potuto essere più appropriato “Vedete, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto differenti da quelli che si immaginano quelli che non sono dietro le quinte”.
Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a pepeasia@yahoo.com.
Fonte: http://russia-insider.com/
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Re: Dove va l'America?
Uhe,.....ma che bella giurnata!!!!!!!!!!!!!!!!!!.................
LIBRE news
Hitlery Clinton, dalla guerra fredda all’ecatombe nucleare
Scritto il 26/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
La Guerra Fredda iniziò durante l’amministrazione Truman e durò durante le amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. Terminò col secondo mandato di Reagan, quando lui e Gorbachev trovarono un accordo sul fatto che il conflitto era pericoloso, costoso e inutile. La Guerra Fredda però non cessò per molto tempo – la tregua durò solo dal secondo mandato di Reagan al mandato di George H. W. Bush [padre]. Negli anni ’90 il presidente Clinton riavviò la Guerra Fredda infrangendo la promessa che l’America aveva fatto di non espandere la Nato nell’Europa dell’est. George W. Bush [figlio] riattizzò la nuova Guerra Fredda ritirando gli Stati Uniti dal Trattato Abm (anti missili balistici), e Obama proseguì su quella via con una retorica irresponsabile, posizionando i missili statunitensi a ridosso del confine russo e appoggiando il rovesciamento del governo ucraino.
La Guerra Fredda fu una creazione di Washington. È stato il lavoro dei fratelli Dulles. Allen era a capo della Cia, John Foster era Segretario di Stato, posizioni che essi detennero per lungo tempo.
I fratelli Dulles avevano degli interessi personali nella Guerra Fredda. Usarono la Guerra Fredda per difendere gli interessi dei clienti del loro studio legale e per aumentare il potere e il bilancio legato alle loro posizioni all’interno del governo.
È decisamente interessante essere gli incaricati della politica estera e delle attività segrete durante periodi pericolosi.
Ogni volta che un governo democratico riformista appariva in America Latina, i fratelli Dulles lo vedevano come una minaccia alle partecipazioni azionarie che i clienti del loro studio legale avevano in quel dato paese.
Queste partecipazioni, talvolta acquisite tramite tangenti versate a governi non democratici, dirottavano le ricchezze e le risorse dei diversi paesi verso mani americane, e l’obiettivo dei fratelli Dulles era proprio di continuare a fare in modo che fosse così.
Il governo riformista veniva a quel punto definito marxista o comunista, e la Cia e il Dipartimento di Stato collaboravano per rovesciarlo e riportare al potere qualche dittatore compiacente a Washington.
La Guerra Fredda era insensata, eccetto che per gli interessi dei Dulles e del complesso militare.
Il governo sovietico, al contrario del governo americano di oggi, non aveva aspirazioni all’egemonia globale. Stalin aveva dichiarato la dottrina del “socialismo in un solo paese” e si era liberato dei trotskysti, che volevano una rivoluzione a livello mondiale. Il comunismo in Cina e nell’Europa dell’est non erano prodotti dal comunismo internazionale sovietico. Mao era il padrone di se stesso, e l’Unione Sovietica mantenne l’Europa dell’est, che l’Armata Rossa aveva liberato dai nazisti, come zona cuscinetto contro un Occidente ostile.
A quei tempi il termine “red scare” [“paura rossa”] era usata un po’ come la “paura del terrorismo musulmano” oggi – per spingere l’opinione pubblica ad allinearsi a un certo programma che non capisce, e senza che ci sia un dibattito.
Considerate la costosa guerra in Vietnam, per esempio. Ho Chi Minh era un anticolonialista che guidava un movimento nazionalista.
Non era un agente del comunismo internazionale, ma John Foster Dulles lo rese tale e disse che Ho Chi Minh doveva essere fermato o ci sarebbe stato un “effetto domino” che avrebbe portato alla caduta di tutto il sud-est asiatico verso il comunismo.
Il Vietnam vinse la guerra e non lanciò affatto l’aggressione al sud-est asiatico che Dulles aveva previsto.
Ho Chi Minh aveva implorato sostegno dal governo Usa contro il potere coloniale francese che dominava l’Indocina.
Di fronte ad un rifiuto, Ho Chi Minh si rivolse alla Russia. Se Washington avesse semplicemente fatto presente al governo francese che il tempo del colonialismo era finito e la Francia doveva andarsene dall’Indocina, si sarebbe evitato il disastro della guerra in Vietnam.
Ma gli spauracchi delle minacce inventate servivano ai gruppi d’interesse ieri come oggi, e Washington, come molti altri, fu succube dei propri mostri immaginari.
La Nato non serviva perché non c’era nessun pericolo di un’invasione dell’Armata Rossa verso l’Europa occidentale. Il governo sovietico aveva già abbastanza problemi ad occuparsi dell’Europa dell’est e delle sue popolazioni ribelli. L’Unione Sovietica si trovò alle prese con una sollevazione nella Germania dell’Est nel 1953, poi in Polonia e Ungheria nel 1956, e poi da parte dello stesso partito comunista in Cecoslovacchia nel 1968. L’Unione Sovietica aveva sofferto un’enorme perdita demografica nella Seconda Guerra Mondiale e aveva bisogno di tutta la forza lavoro che le restava per la ricostruzione post-bellica. Era ben oltre le capacità sovietiche occupare l’Europa occidentale dopo avere occupato quella orientale.I partiti comunisti in Francia e in Italia erano forti nel periodo post-bellico, e Stalin poteva sperare che un governo comunista in Francia o in Italia spezzasse l’impero europeo stabilito da Washington.
Questa speranza fu cancellata dalla Operazione Gladio. La Guerra Fredda ci fu perché serviva agli interessi dei fratelli Dulles e al potere e ai profitti del complesso militare.
Non c’erano altre ragioni per la Guerra Fredda. La nuova Guerra Fredda è ancora più insensata della precedente.
La Russia stava cooperando con l’Occidente, l’economia russa è integrata con quella occidentale come fornitore di materie prime. La politica economica neoliberale che Washington è riuscita a far implementare al governo russo era orientata a mantenere l’economia russa nel ruolo di fornitore di materie prime verso l’Occidente. La Russia non aveva espresso alcuna ambizione di ampliamento territoriale e aveva investito molto poco in spese militari.
La nuova Guerra Fredda è il prodotto di una manciata di fanatici neoconservatori che credono che la storia abbia scelto gli Stati Uniti come potere egemone sul mondo intero.
Alcuni di questi neocon sono figli di ex-trotskysti che hanno la stessa idea romantica di rivoluzione mondiale, solo che questa volta sarebbe una rivoluzione “democratico-capitalista” e non comunista.
La nuova Guerra Fredda è ben più pericolosa della precedente, perché le rispettive dottrine di guerra delle potenze nucleari sono cambiate.
La funzione delle armi nucleari non è più quella di rappresaglia.
La certezza di una distruzione reciproca era la garanzia che quelle armi non sarebbero state usate. Nella nuova dottriva di guerra, le armi nucleari sono state elevate a strumento di attacco preventivo. Washington ha fatto questo passo per prima, costringendo la Russia e la Cina a seguirla.
La nuova Guerra Fredda è ancora più pericolosa per un altro motivo. Durante la prima Guerra Fredda, i presidenti americani si concentravano sulla riduzione delle tensioni tra le potenze nucleari. Ma oggi Clinton, George W. Bush e Obama hanno fatto aumentare drammaticamente le tensioni. William Perry, segretario alla Difesa nell’amministrazione Clinton, ha parlato recentemente di pericoli di guerre nucleari lanciate per errore a causa di difetti nei circuiti dei computer.
Per fortuna, quando situazioni di questo genere si sono verificate in passato, l’assenza di tensioni nelle relazioni tra potenze nucleari ha fatto in modo che le autorità delle due parti riconoscessero i falsi allarmi. Oggi però, con le continue accuse di imminenti invasioni russe, la demonizzazione di Putin come “nuovo Hitler”, e l’incremento delle forze militari Usa e Nato attorno ai confini russi, i falsi allarmi rischiano di essere creduti.
La Nato ha cessato il suo scopo quando è crollata l’Unione Sovietica. Però ormai troppe carriere, troppi soldi a bilancio e troppi profitti sugli armamenti dipendenvano dalla Nato. I neoconservatori allora presero la Nato come un pretesto politico e un ausilio militare per le proprie ambizioni egemoniche.
Lo scopo della Nato oggi è di coinvolgere tutta l’Europa nei crimini di guerra statunitensi. Dato che sono tutti colpevoli, i governi europei non possono più rivoltarsi contro Washington e accusare gli americani di crimini di guerra.
Le altre voci in campo sono troppo deboli per avere delle conseguenze. Nonostante i suoi tanti crimini contro l’umanità, l’Occidente è ancora nella posizione di “luce del mondo”, difensore della verità, della giustizia, dei diritti umani, della democrazia e delle libertà individuali. Questa reputazione resiste nonostante la distruzione della Dichiarazione dei Diritti Usa e la repressione dello stato di polizia. L’Occidente non rappresenta affatto i valori che il mondo è stato forzato (col lavaggio del cervello) a credere che siano associati all’Occidente.
Per dirne una, non c’era alcun motivo di attaccare con le armi atomiche i civili nelle città giapponesi, nel 1945. Il Giappone stava cercando di arrendersi e stava solo resistendo alla richiesta Usa di una resa incondizionata al fine di salvare il proprio imperatore dall’esecuzione per crimini di guerra, sui quali egli non aveva controllo.
Come i sovrani britannici oggi, l’imperatore del Giappone non aveva potere politico ed era solo simbolo di unità nazionale. I condottieri giapponesi avevano paura che l’unità giapponese si sarebbe dissolta se l’imperatore, simbolo di quell’unità, fosse stato deposto.
Certo, gli americani erano troppo ignoranti per capire la situazione, e così il piccolo Truman, che per tutta la vita era stato canzonato come una nullità, si glorificò del proprio potere e fece sganciare le bombe.
Le bombe atomiche gettate sul Giappone erano potenti. Ma le bombe all’idrogeno che sono venute dopo sono ancora più potenti. L’uso di tali armi potrebbe distruggere la vita sulla Terra.
Donald Trump ha detto ha detto l’unica cosa su cui sperare in tutta la campagna presidenziale.
Ha messo in discussione la Nato e il conflitto orchestrato con la Russia. Non sappiamo se possiamo credergli e se un suo eventuale governo seguirebbe questa direzione.
Ma sappiamo che “Hitlery” [neologismo che unisce il nome di Hillary Clinton a Hitler, NdT] è una guerrafondaia, un agente dei neoconservatori, del complesso militare, della lobby israeliana, delle banche “troppo grandi per fallire”, di Wall Street, e di qualsiasi interesse estero che dà mega-milioni di dollari di donazioni alla fondazione Clinton o un quarto di milione di dollari per un suo discorso.
“Hitlery” ha dichiarato che il presidente russo è la più grande minaccia – il “nuovo Hitler”. Si potrebbe essere più chiari di così? Un voto a “Hitlery” è un voto per la guerra. Nonostante questo sia più che ovvio, i media statunitensi, a reti unificate, stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per abbattere Trump e far eleggere “Hitlery”. Tutto ciò cosa ci dice sull’intelligenza del “Unipower”, “l’unica superpotenza del mondo”, il “popolo indispensabile”, la “nazione eccezionale”? Ci dice che sono scemi come la m**da. Gli americani, creature della “Matrix” creata dai loro propagandisti, vedono minacce immaginarie e non vedono quelle reali. Ciò che i russi e i cinesi vedono è un popolo troppo indottrinato e ignorante per essere di alcun aiuto nella pace. Vedono la guerra che arriva e si stanno preparando.
(Paul Craig Roberts, “Ripensare la guerra fredda”, dal blog di Craig Roberts dell’11 agosto 2016, tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”. Economista e autorevole editorialista statunitense, Roberts è stato sottosegretario al Tesoro di Ronald Reagan).
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Hitlery Clinton, dalla guerra fredda all’ecatombe nucleare
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La Guerra Fredda iniziò durante l’amministrazione Truman e durò durante le amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. Terminò col secondo mandato di Reagan, quando lui e Gorbachev trovarono un accordo sul fatto che il conflitto era pericoloso, costoso e inutile. La Guerra Fredda però non cessò per molto tempo – la tregua durò solo dal secondo mandato di Reagan al mandato di George H. W. Bush [padre]. Negli anni ’90 il presidente Clinton riavviò la Guerra Fredda infrangendo la promessa che l’America aveva fatto di non espandere la Nato nell’Europa dell’est. George W. Bush [figlio] riattizzò la nuova Guerra Fredda ritirando gli Stati Uniti dal Trattato Abm (anti missili balistici), e Obama proseguì su quella via con una retorica irresponsabile, posizionando i missili statunitensi a ridosso del confine russo e appoggiando il rovesciamento del governo ucraino.
La Guerra Fredda fu una creazione di Washington. È stato il lavoro dei fratelli Dulles. Allen era a capo della Cia, John Foster era Segretario di Stato, posizioni che essi detennero per lungo tempo.
I fratelli Dulles avevano degli interessi personali nella Guerra Fredda. Usarono la Guerra Fredda per difendere gli interessi dei clienti del loro studio legale e per aumentare il potere e il bilancio legato alle loro posizioni all’interno del governo.
È decisamente interessante essere gli incaricati della politica estera e delle attività segrete durante periodi pericolosi.
Ogni volta che un governo democratico riformista appariva in America Latina, i fratelli Dulles lo vedevano come una minaccia alle partecipazioni azionarie che i clienti del loro studio legale avevano in quel dato paese.
Queste partecipazioni, talvolta acquisite tramite tangenti versate a governi non democratici, dirottavano le ricchezze e le risorse dei diversi paesi verso mani americane, e l’obiettivo dei fratelli Dulles era proprio di continuare a fare in modo che fosse così.
Il governo riformista veniva a quel punto definito marxista o comunista, e la Cia e il Dipartimento di Stato collaboravano per rovesciarlo e riportare al potere qualche dittatore compiacente a Washington.
La Guerra Fredda era insensata, eccetto che per gli interessi dei Dulles e del complesso militare.
Il governo sovietico, al contrario del governo americano di oggi, non aveva aspirazioni all’egemonia globale. Stalin aveva dichiarato la dottrina del “socialismo in un solo paese” e si era liberato dei trotskysti, che volevano una rivoluzione a livello mondiale. Il comunismo in Cina e nell’Europa dell’est non erano prodotti dal comunismo internazionale sovietico. Mao era il padrone di se stesso, e l’Unione Sovietica mantenne l’Europa dell’est, che l’Armata Rossa aveva liberato dai nazisti, come zona cuscinetto contro un Occidente ostile.
A quei tempi il termine “red scare” [“paura rossa”] era usata un po’ come la “paura del terrorismo musulmano” oggi – per spingere l’opinione pubblica ad allinearsi a un certo programma che non capisce, e senza che ci sia un dibattito.
Considerate la costosa guerra in Vietnam, per esempio. Ho Chi Minh era un anticolonialista che guidava un movimento nazionalista.
Non era un agente del comunismo internazionale, ma John Foster Dulles lo rese tale e disse che Ho Chi Minh doveva essere fermato o ci sarebbe stato un “effetto domino” che avrebbe portato alla caduta di tutto il sud-est asiatico verso il comunismo.
Il Vietnam vinse la guerra e non lanciò affatto l’aggressione al sud-est asiatico che Dulles aveva previsto.
Ho Chi Minh aveva implorato sostegno dal governo Usa contro il potere coloniale francese che dominava l’Indocina.
Di fronte ad un rifiuto, Ho Chi Minh si rivolse alla Russia. Se Washington avesse semplicemente fatto presente al governo francese che il tempo del colonialismo era finito e la Francia doveva andarsene dall’Indocina, si sarebbe evitato il disastro della guerra in Vietnam.
Ma gli spauracchi delle minacce inventate servivano ai gruppi d’interesse ieri come oggi, e Washington, come molti altri, fu succube dei propri mostri immaginari.
La Nato non serviva perché non c’era nessun pericolo di un’invasione dell’Armata Rossa verso l’Europa occidentale. Il governo sovietico aveva già abbastanza problemi ad occuparsi dell’Europa dell’est e delle sue popolazioni ribelli. L’Unione Sovietica si trovò alle prese con una sollevazione nella Germania dell’Est nel 1953, poi in Polonia e Ungheria nel 1956, e poi da parte dello stesso partito comunista in Cecoslovacchia nel 1968. L’Unione Sovietica aveva sofferto un’enorme perdita demografica nella Seconda Guerra Mondiale e aveva bisogno di tutta la forza lavoro che le restava per la ricostruzione post-bellica. Era ben oltre le capacità sovietiche occupare l’Europa occidentale dopo avere occupato quella orientale.I partiti comunisti in Francia e in Italia erano forti nel periodo post-bellico, e Stalin poteva sperare che un governo comunista in Francia o in Italia spezzasse l’impero europeo stabilito da Washington.
Questa speranza fu cancellata dalla Operazione Gladio. La Guerra Fredda ci fu perché serviva agli interessi dei fratelli Dulles e al potere e ai profitti del complesso militare.
Non c’erano altre ragioni per la Guerra Fredda. La nuova Guerra Fredda è ancora più insensata della precedente.
La Russia stava cooperando con l’Occidente, l’economia russa è integrata con quella occidentale come fornitore di materie prime. La politica economica neoliberale che Washington è riuscita a far implementare al governo russo era orientata a mantenere l’economia russa nel ruolo di fornitore di materie prime verso l’Occidente. La Russia non aveva espresso alcuna ambizione di ampliamento territoriale e aveva investito molto poco in spese militari.
La nuova Guerra Fredda è il prodotto di una manciata di fanatici neoconservatori che credono che la storia abbia scelto gli Stati Uniti come potere egemone sul mondo intero.
Alcuni di questi neocon sono figli di ex-trotskysti che hanno la stessa idea romantica di rivoluzione mondiale, solo che questa volta sarebbe una rivoluzione “democratico-capitalista” e non comunista.
La nuova Guerra Fredda è ben più pericolosa della precedente, perché le rispettive dottrine di guerra delle potenze nucleari sono cambiate.
La funzione delle armi nucleari non è più quella di rappresaglia.
La certezza di una distruzione reciproca era la garanzia che quelle armi non sarebbero state usate. Nella nuova dottriva di guerra, le armi nucleari sono state elevate a strumento di attacco preventivo. Washington ha fatto questo passo per prima, costringendo la Russia e la Cina a seguirla.
La nuova Guerra Fredda è ancora più pericolosa per un altro motivo. Durante la prima Guerra Fredda, i presidenti americani si concentravano sulla riduzione delle tensioni tra le potenze nucleari. Ma oggi Clinton, George W. Bush e Obama hanno fatto aumentare drammaticamente le tensioni. William Perry, segretario alla Difesa nell’amministrazione Clinton, ha parlato recentemente di pericoli di guerre nucleari lanciate per errore a causa di difetti nei circuiti dei computer.
Per fortuna, quando situazioni di questo genere si sono verificate in passato, l’assenza di tensioni nelle relazioni tra potenze nucleari ha fatto in modo che le autorità delle due parti riconoscessero i falsi allarmi. Oggi però, con le continue accuse di imminenti invasioni russe, la demonizzazione di Putin come “nuovo Hitler”, e l’incremento delle forze militari Usa e Nato attorno ai confini russi, i falsi allarmi rischiano di essere creduti.
La Nato ha cessato il suo scopo quando è crollata l’Unione Sovietica. Però ormai troppe carriere, troppi soldi a bilancio e troppi profitti sugli armamenti dipendenvano dalla Nato. I neoconservatori allora presero la Nato come un pretesto politico e un ausilio militare per le proprie ambizioni egemoniche.
Lo scopo della Nato oggi è di coinvolgere tutta l’Europa nei crimini di guerra statunitensi. Dato che sono tutti colpevoli, i governi europei non possono più rivoltarsi contro Washington e accusare gli americani di crimini di guerra.
Le altre voci in campo sono troppo deboli per avere delle conseguenze. Nonostante i suoi tanti crimini contro l’umanità, l’Occidente è ancora nella posizione di “luce del mondo”, difensore della verità, della giustizia, dei diritti umani, della democrazia e delle libertà individuali. Questa reputazione resiste nonostante la distruzione della Dichiarazione dei Diritti Usa e la repressione dello stato di polizia. L’Occidente non rappresenta affatto i valori che il mondo è stato forzato (col lavaggio del cervello) a credere che siano associati all’Occidente.
Per dirne una, non c’era alcun motivo di attaccare con le armi atomiche i civili nelle città giapponesi, nel 1945. Il Giappone stava cercando di arrendersi e stava solo resistendo alla richiesta Usa di una resa incondizionata al fine di salvare il proprio imperatore dall’esecuzione per crimini di guerra, sui quali egli non aveva controllo.
Come i sovrani britannici oggi, l’imperatore del Giappone non aveva potere politico ed era solo simbolo di unità nazionale. I condottieri giapponesi avevano paura che l’unità giapponese si sarebbe dissolta se l’imperatore, simbolo di quell’unità, fosse stato deposto.
Certo, gli americani erano troppo ignoranti per capire la situazione, e così il piccolo Truman, che per tutta la vita era stato canzonato come una nullità, si glorificò del proprio potere e fece sganciare le bombe.
Le bombe atomiche gettate sul Giappone erano potenti. Ma le bombe all’idrogeno che sono venute dopo sono ancora più potenti. L’uso di tali armi potrebbe distruggere la vita sulla Terra.
Donald Trump ha detto ha detto l’unica cosa su cui sperare in tutta la campagna presidenziale.
Ha messo in discussione la Nato e il conflitto orchestrato con la Russia. Non sappiamo se possiamo credergli e se un suo eventuale governo seguirebbe questa direzione.
Ma sappiamo che “Hitlery” [neologismo che unisce il nome di Hillary Clinton a Hitler, NdT] è una guerrafondaia, un agente dei neoconservatori, del complesso militare, della lobby israeliana, delle banche “troppo grandi per fallire”, di Wall Street, e di qualsiasi interesse estero che dà mega-milioni di dollari di donazioni alla fondazione Clinton o un quarto di milione di dollari per un suo discorso.
“Hitlery” ha dichiarato che il presidente russo è la più grande minaccia – il “nuovo Hitler”. Si potrebbe essere più chiari di così? Un voto a “Hitlery” è un voto per la guerra. Nonostante questo sia più che ovvio, i media statunitensi, a reti unificate, stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per abbattere Trump e far eleggere “Hitlery”. Tutto ciò cosa ci dice sull’intelligenza del “Unipower”, “l’unica superpotenza del mondo”, il “popolo indispensabile”, la “nazione eccezionale”? Ci dice che sono scemi come la m**da. Gli americani, creature della “Matrix” creata dai loro propagandisti, vedono minacce immaginarie e non vedono quelle reali. Ciò che i russi e i cinesi vedono è un popolo troppo indottrinato e ignorante per essere di alcun aiuto nella pace. Vedono la guerra che arriva e si stanno preparando.
(Paul Craig Roberts, “Ripensare la guerra fredda”, dal blog di Craig Roberts dell’11 agosto 2016, tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”. Economista e autorevole editorialista statunitense, Roberts è stato sottosegretario al Tesoro di Ronald Reagan).
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Re: Dove va l'America?
LIBRE news
Hillary o Trump, l’agenda del dopo-Obama la detta l’élite
Scritto il 30/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Sta’ a vedere che alla fine vince Trump.
Ma non “da solo contro tutti”, bensì appoggiato da una poderosa quota di establishment, in base a un piano preciso: la rinascita industriale degli Usa, rimpatriando le imprese delocalizzate, e il patto con la Russia di Putin per il rialzo del prezzo del petrolio, che converrebbe a entrambi e ai loro alleati, a cominciare dai sauditi.
Lo scrive Pepe Escobar, cogliendo informazioni riservate provenienti dallo staff elettorale di Trump.
Punto di partenza, la crescente insofferenza (anche di parte dell’élite) nei confronti della Clinton, vista come “protesi” di Wall Street.
«Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria», scrive Escobar.
Il messaggio vincente?
La denuncia della distruzione del comparto industriale statunitense e il crollo dei salari dovuto all’importazione illegale di lavoro «da nazioni dove gli stipendi valgono una manciata di dollari».
Di mezzo c’è anche l’industria bellica, esportata oltre il Pacifico, cioè in zone controllate da russi e cinesi.
Industrie che «vanno rimpatriate immediatamente».
Quindi, scrive Escobar in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, Trump dovrebbe sfruttare il messaggio che il credito bancario vada legato alla ricostruzione della moribonda industria statunitense, «alzando i dazi o sfruttando i cambi di valuta».
I sostenitori di Trump puntano il dito contro il credito bancario: «Non dovrebbe essere utilizzato per facilitare la manipolazione dei valori delle Borse.
Non dovrebbe esserci credito per la speculazione e assolutamente per gli hedge fund.
Bisogna sbarazzarsi di questi mezzi speculativi alzando le tasse sugli introiti a breve termine dati dal trading, interrompendo i vantaggi fiscali sui prestiti e bloccando il credito a favore della speculazione».
Questo spiega bene l’avversione viscerale di Wall Street nei confronti di Trump, da Bloomberg a Lloyd Blankfein, il boss di Goldman Sachs.
«Chiunque conosca Wall Street – scrive Escobar – sa bene che ogni mercato, ogni bene e ogni indice viene manipolato da grossi movimenti di fondi».
I sostenitori di Trump insediati a New York indicano i veri avversari da abbattere: «Dovremmo fare in modo che i Carl Icahan e i George Soros si trovino un vero lavoro, ultratassando i loro profitti derivanti da speculazione».
E insistono: «In questa nazione ci servono gli Henry Ford che creino industrie, non i saccheggiatori di Wall Street che si arricchiscono come hanno fatto nel 2008, per poi ritrovarsi a utilizzare il loro peso per far coprire i buchi alla politica, mentre milioni di cittadini venivano buttati fuori dalle loro case».
Secondo questa tabella di marcia, la lotta all’immigrazione illegale e alle speculazioni finanziarie creerebbe un “rinascimento industriale” negli Usa, per ricostruire tutte le Detroit che stanno andando allo sfascio.
La strategia: «Sostituire milioni di lavoratori immigrati con milioni di disoccupati statunitensi», che sarebbero almeno il 23% della popolazione adulta.
Alcune di queste idee sono già entrate nel programma economico annunciato da Trump, aggiunge Escobar.
Ce la farà? I sondaggi puntano ancora alla Clinton, ma i sostenitori di Trump non si fidano, dicono che sono manipolati.
E poi c’è l’isteria anti-russa che ormai galoppa.
Hillary ha paragonato Putin a Hitler, mentre Trump ripete di essere pronto a fare affari con Mosca, cominciando con un’azione congiunta per sbarazzarsi dell’Isis.
Falso problema, la Russia: chiunque sarà alla Casa Bianca dopo Obama, farà davvero un accordo strategico coi russi.
Lo afferma «una fonte vicina ai piani dei Veri Padroni dell’Universo», riferisce Escobar.
Fonte che va dritta al punto: «Per quanto riguarda la Russia, la decisione viene dall’alto, dove è in corso la battaglia.
La decisione viene presa sopra le teste di Hillary e Donald: se Hillary verrà eletta le verrà imposto di riprendere i contatti, in caso così venga deciso.
Se vincerà Trump è semplice.
In caso non venisse eletto, allora la mancata elezione verrà comunque utilizzata come catalizzatore per un cambio di politica nei confronti della Russia.
La vera guerra è dietro le quinte».
Così come per le manipolazioni sulle valute, che «verranno impedite», e per la fine della “guerra del petrolio”, venduto finora a prezzi stracciati per colpire la Russia.
Come dicono i sostenitori di Trump, «è un obiettivo nazionale degli Usa, perché un valore di mercato più alto renderebbe gli Stati Uniti stessi indipendenti dal punto di vista energetico.
Ciò è parte significativa della rivoluzione di Trump».
Secondo fonti vicine alla leadership dell’Arabia Saudita, aggiunge Escobar, sauditi e russi hanno già avviato un pre-negoziato sulla crescita del prezzo del greggio fino ai 100 dollari al barile.
Il Pentagono non potrebbe opporsi, perché, dice un sostenitore di Trump, «è negli interessi del complesso militare-industriale raggiungere l’obiettivo di una totale indipendenza energetica e rimpatriare tutte le industrie belliche sul territorio nazionale».
Escobar non si sbilancia: «Non ci sono prove che questo programma tanto ambizioso e controverso possa essere venduto agli strateghi di Jp Morgan o ai fratelli Koch.
Trump che crea un partito trasversale o addirittura un movimento che trascenda i partiti potrà funzionare solo se membri di peso delle élite di potere lo sosterranno, altrimenti è impossibile che ciò accada».
Quello che invece continua senza sosta è «una campagna di disinformazione di massa, un bel remix delle valanghe antisovietiche della prima guerra fredda: la Macchina dei Media della Clinton sta addirittura attaccando Michael Flynn, ex capo della Dia, che supporta Trump», dopo aver sostenuto che Obama e la Clinton erano fondatore e co-fondatrice dell’Isis.
La situazione, oggi: «Trump non sta raccogliendo abbastanza denaro per controbilanciare l’incredibile macchina dei soldi della Clinton».
Se invece vincerà “The Donald”, vorrà dire che “qualcuno” l’avrà aiutato in modo determinante.
Il vero potere, quello a cui il premier britannico Benjamin Disraeli alluse parlando con il nipote: «Vedi, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto differenti da quelli che si immagina chi non sta dietro le quinte».
Hillary o Trump, l’agenda del dopo-Obama la detta l’élite
Scritto il 30/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Sta’ a vedere che alla fine vince Trump.
Ma non “da solo contro tutti”, bensì appoggiato da una poderosa quota di establishment, in base a un piano preciso: la rinascita industriale degli Usa, rimpatriando le imprese delocalizzate, e il patto con la Russia di Putin per il rialzo del prezzo del petrolio, che converrebbe a entrambi e ai loro alleati, a cominciare dai sauditi.
Lo scrive Pepe Escobar, cogliendo informazioni riservate provenienti dallo staff elettorale di Trump.
Punto di partenza, la crescente insofferenza (anche di parte dell’élite) nei confronti della Clinton, vista come “protesi” di Wall Street.
«Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria», scrive Escobar.
Il messaggio vincente?
La denuncia della distruzione del comparto industriale statunitense e il crollo dei salari dovuto all’importazione illegale di lavoro «da nazioni dove gli stipendi valgono una manciata di dollari».
Di mezzo c’è anche l’industria bellica, esportata oltre il Pacifico, cioè in zone controllate da russi e cinesi.
Industrie che «vanno rimpatriate immediatamente».
Quindi, scrive Escobar in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, Trump dovrebbe sfruttare il messaggio che il credito bancario vada legato alla ricostruzione della moribonda industria statunitense, «alzando i dazi o sfruttando i cambi di valuta».
I sostenitori di Trump puntano il dito contro il credito bancario: «Non dovrebbe essere utilizzato per facilitare la manipolazione dei valori delle Borse.
Non dovrebbe esserci credito per la speculazione e assolutamente per gli hedge fund.
Bisogna sbarazzarsi di questi mezzi speculativi alzando le tasse sugli introiti a breve termine dati dal trading, interrompendo i vantaggi fiscali sui prestiti e bloccando il credito a favore della speculazione».
Questo spiega bene l’avversione viscerale di Wall Street nei confronti di Trump, da Bloomberg a Lloyd Blankfein, il boss di Goldman Sachs.
«Chiunque conosca Wall Street – scrive Escobar – sa bene che ogni mercato, ogni bene e ogni indice viene manipolato da grossi movimenti di fondi».
I sostenitori di Trump insediati a New York indicano i veri avversari da abbattere: «Dovremmo fare in modo che i Carl Icahan e i George Soros si trovino un vero lavoro, ultratassando i loro profitti derivanti da speculazione».
E insistono: «In questa nazione ci servono gli Henry Ford che creino industrie, non i saccheggiatori di Wall Street che si arricchiscono come hanno fatto nel 2008, per poi ritrovarsi a utilizzare il loro peso per far coprire i buchi alla politica, mentre milioni di cittadini venivano buttati fuori dalle loro case».
Secondo questa tabella di marcia, la lotta all’immigrazione illegale e alle speculazioni finanziarie creerebbe un “rinascimento industriale” negli Usa, per ricostruire tutte le Detroit che stanno andando allo sfascio.
La strategia: «Sostituire milioni di lavoratori immigrati con milioni di disoccupati statunitensi», che sarebbero almeno il 23% della popolazione adulta.
Alcune di queste idee sono già entrate nel programma economico annunciato da Trump, aggiunge Escobar.
Ce la farà? I sondaggi puntano ancora alla Clinton, ma i sostenitori di Trump non si fidano, dicono che sono manipolati.
E poi c’è l’isteria anti-russa che ormai galoppa.
Hillary ha paragonato Putin a Hitler, mentre Trump ripete di essere pronto a fare affari con Mosca, cominciando con un’azione congiunta per sbarazzarsi dell’Isis.
Falso problema, la Russia: chiunque sarà alla Casa Bianca dopo Obama, farà davvero un accordo strategico coi russi.
Lo afferma «una fonte vicina ai piani dei Veri Padroni dell’Universo», riferisce Escobar.
Fonte che va dritta al punto: «Per quanto riguarda la Russia, la decisione viene dall’alto, dove è in corso la battaglia.
La decisione viene presa sopra le teste di Hillary e Donald: se Hillary verrà eletta le verrà imposto di riprendere i contatti, in caso così venga deciso.
Se vincerà Trump è semplice.
In caso non venisse eletto, allora la mancata elezione verrà comunque utilizzata come catalizzatore per un cambio di politica nei confronti della Russia.
La vera guerra è dietro le quinte».
Così come per le manipolazioni sulle valute, che «verranno impedite», e per la fine della “guerra del petrolio”, venduto finora a prezzi stracciati per colpire la Russia.
Come dicono i sostenitori di Trump, «è un obiettivo nazionale degli Usa, perché un valore di mercato più alto renderebbe gli Stati Uniti stessi indipendenti dal punto di vista energetico.
Ciò è parte significativa della rivoluzione di Trump».
Secondo fonti vicine alla leadership dell’Arabia Saudita, aggiunge Escobar, sauditi e russi hanno già avviato un pre-negoziato sulla crescita del prezzo del greggio fino ai 100 dollari al barile.
Il Pentagono non potrebbe opporsi, perché, dice un sostenitore di Trump, «è negli interessi del complesso militare-industriale raggiungere l’obiettivo di una totale indipendenza energetica e rimpatriare tutte le industrie belliche sul territorio nazionale».
Escobar non si sbilancia: «Non ci sono prove che questo programma tanto ambizioso e controverso possa essere venduto agli strateghi di Jp Morgan o ai fratelli Koch.
Trump che crea un partito trasversale o addirittura un movimento che trascenda i partiti potrà funzionare solo se membri di peso delle élite di potere lo sosterranno, altrimenti è impossibile che ciò accada».
Quello che invece continua senza sosta è «una campagna di disinformazione di massa, un bel remix delle valanghe antisovietiche della prima guerra fredda: la Macchina dei Media della Clinton sta addirittura attaccando Michael Flynn, ex capo della Dia, che supporta Trump», dopo aver sostenuto che Obama e la Clinton erano fondatore e co-fondatrice dell’Isis.
La situazione, oggi: «Trump non sta raccogliendo abbastanza denaro per controbilanciare l’incredibile macchina dei soldi della Clinton».
Se invece vincerà “The Donald”, vorrà dire che “qualcuno” l’avrà aiutato in modo determinante.
Il vero potere, quello a cui il premier britannico Benjamin Disraeli alluse parlando con il nipote: «Vedi, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto differenti da quelli che si immagina chi non sta dietro le quinte».
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Re: Dove va l'America?
LIBRE news
Dal ‘45, Usa e Occidente hanno ucciso 55 milioni di persone
Scritto il 16/9/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».La prima Guerra del Golfo ebbe inizio grazie ad un inganno: Saddam venne portato a credere che l’occupazione del Kuwait, che era stato un protettorato inglese ma che era rivendicato dall’Iraq fin dal 1961 come appartenente al suo territorio, sarebbe avvenuta senza l’interessamento degli Usa. «Fu una trappola tesa da April Gaspie, ambasciatrice Usa a Baghdad dell’epoca, che fece intendere che gli Usa non avrebbero interferito». Poi, l’11 settembre 2001, «l’abbattimento delle Torri Gemelle fornì il pretesto per terminare il lavoro». Dei 19 presunti attentatori nessuno era iracheno e nessuno era afghano: ben 15 di loro erano sauditi. Ma ad essere colpita non fu l’Arabia Saudita, bensì l’Afghanistan. «La sfortuna degli afghani – dice Ferrara – fu che in quel territorio doveva transitare un oleodotto, che i Talebani non volevano». Una condotta lunga 1.680 chilometri per portare il gas turkmeno di Dauletabad fino in Pakistan attraverso l’Afghanistan occidentale, cioè le province di Herat e Kandahar.Il progetto venne avviato nel 1996 dalla compagnia petrolifera statunitense Unocal, per la quale lavoravano sia Hamid Karzai che Zalmay Khalizad, in cooperazione con il regime talebano. Nel 1996, la Unocal apre una sede a Kandahar. E l’anno dopo, esponenti del governo talebano vengono ricevuti negli Usa. Ma il piano viene poi accantonato per le difficoltà politiche imputabili ai Talebani. «La seconda sfortuna era che gli anni ’70 avevano visto il boom della produzione di oppio e di eroina in Afghanistan. Era il cosiddetto triangolo d’oro», formato da Laos, Birmania e Cambogia. Triangolo «controllato dalla Cia, che in questo modo finanziava le operazioni anticomuniste nel sud-est dell’Asia». I Talebani negli anni ’90 «continuarono il business della droga con la Cia, ma nel 2000 il Mullah Omar lo mise al bando, allo scopo di guadagnarsi un consenso internazionale». L’anno dopo, la produzione di oppio crollò a valori prossimi allo zero. «Grazie alla conquista dell’Afghanistan, la produzione di eroina afghana (che gli Usa si rifiutarono di combattere, sostenendo che non era compito loro) tornò presto a soddisfare il 93% del fabbisogno mondiale».Gli Stati Uniti non combattono mai una guerra inseguendo un solo obiettivo, continua Ferrara: secondo l’Unicef, i 10 anni di embargo all’Iraq hanno causato la morte di un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini. Il segretario di Stato Usa Madeleine Albright, quando le fu chiesto di commentare la morte di questi 500 mila bambini, rispose che la scelta era stata difficile, ma che ne era valsa la pena. «La balla sesquipedale delle armi di distruzione di massa, che sarebbero state in mano a Saddam, fu la scusa per impadronirsi definitivamente dell’Iraq, nel quadro della strategia economico-commerciale “Pivot to Asia”, che mirava a cinturare la Cina per impedirle un’espansione a ovest». Ma le uniche armi di distruzione di massa in mano a Saddam «erano quelle che proprio gli Stati Uniti gli avevano venduto, perché fossero usate per lo sterminio dei curdi».Un genocidio, quello del Kurdistan iracheno, al quale abbiamo contribuito anche noi italiani, con la vendita a Saddam di ben 9 milioni di mine antiuomo: «Del resto ancora adesso Matteo Renzi ritiene doveroso fare affari con chi finanzia l’Isis». Ma anche supponendo che l’Iraq avesse posseduto quelle armi, aggiunge Ferrara, i 7.000 ordigni nucleari di cui gli Stati Uniti d’America sono dotati non sono forse “armi di distruzione di massa”? Bisognerebbe chiederlo all’allora vice di Bush, Dick Cheney, che «per pura coincidenza era anche a capo della grande azienda petrolifera Halliburton, che si avvantaggiò successivamente dell’occupazione dei pozzi petroliferi iracheni». Ma, chiusa la partita con l’Iraq, il processo di colonizzazione prevedeva l’invasione della Siria. «Senza dimostrare molta fantasia, gli Stati Uniti cercarono di convincere il mondo che Assad usava armi chimiche contro i suoi cittadini». Solo la ferma opposizione di Putin riuscì a bloccare Obama, che nel 2013 era a un passo dall’attacco.Serviva allora un’altra strategia: così si inventarono la guerra per procura. «Bisognava finanziare i gruppi che si opponevano ad Assad: Al Nusra e l’Isis. Così, arrivarono piogge di dollari statunitensi sugli jihadisti, come rivelarono in tanti, tra cui ex dipendenti della Cia, ex ufficiali». Michael Flynn: «Sostenere Isis fu una nostra decisione deliberata». Tra le ammissioni persino quelle di un senatore, Rand Paul, e di una deputata, Tulsi Gabbard. Per non parlare del vicepresidente Joe Biden, che nell’ottobre del 2014 rivelò che sugli jihadisti impegnati in Siria erano arrivate piogge di dollari statunitensi. «La vera ragione per cui Assad è stato attaccato – afferma Ferrara – è che nel 2009 si era rifiutato di far transitare sul proprio territorio un gasdotto, proposto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, che doveva passare per la Turchia e avere come destinazione l’Europa, per togliere alla Russia di Putin il monopolio». Non solo: «Assad si era accordato con l’Iraq per accogliere un gasdotto alternativo, ed era dalla parte dei palestinesi contro le aggressioni dello Stato di Israele».Poco prima, il “trattamento” era toccato alla Libia, che possiede le riserve di petrolio africane più importanti: 48.000 miliardi di barili, più 1.500 miliardi di metri cubi di gas. «Ma in realtà Gheddafi fu fatto fuori anche per un’altra ragione: proprio come Saddam, aveva deciso di non vendere più il petrolio in dollari, bensì attraverso un’altra moneta sovrana che stava creando: il dinaro libico». Dalla Libia alla Siria, fino all’attuale terrorismo internazionale: i recenti attentati in Francia, Belgio e Germania «hanno delle analogie con quello che accadde in Italia negli anni ’90, dopo la rottura del patto Stato-mafia, quando Roma e Milano furono duramente colpite dalle ritorsioni di Cosa Nostra». Dietro ai kamikaze ci sono «veri professionisti del terrore, che da sempre hanno usato mercenari, criminali, fondamentalisti e perfino squilibrati per seminare la paura e instaurare, sotto la copertura di una finta democrazia, una dittatura economico-militare». I jihadisti, poi, svolgono anche un altro ruolo importante: «Sono un eccellente concime per far germogliare il seme della paura in Occidente: più abbiamo paura, più cerchiamo protezione». Con buona pace del grande Tiziano Terzani, secondo cui «il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».
Dal ‘45, Usa e Occidente hanno ucciso 55 milioni di persone
Scritto il 16/9/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».La prima Guerra del Golfo ebbe inizio grazie ad un inganno: Saddam venne portato a credere che l’occupazione del Kuwait, che era stato un protettorato inglese ma che era rivendicato dall’Iraq fin dal 1961 come appartenente al suo territorio, sarebbe avvenuta senza l’interessamento degli Usa. «Fu una trappola tesa da April Gaspie, ambasciatrice Usa a Baghdad dell’epoca, che fece intendere che gli Usa non avrebbero interferito». Poi, l’11 settembre 2001, «l’abbattimento delle Torri Gemelle fornì il pretesto per terminare il lavoro». Dei 19 presunti attentatori nessuno era iracheno e nessuno era afghano: ben 15 di loro erano sauditi. Ma ad essere colpita non fu l’Arabia Saudita, bensì l’Afghanistan. «La sfortuna degli afghani – dice Ferrara – fu che in quel territorio doveva transitare un oleodotto, che i Talebani non volevano». Una condotta lunga 1.680 chilometri per portare il gas turkmeno di Dauletabad fino in Pakistan attraverso l’Afghanistan occidentale, cioè le province di Herat e Kandahar.Il progetto venne avviato nel 1996 dalla compagnia petrolifera statunitense Unocal, per la quale lavoravano sia Hamid Karzai che Zalmay Khalizad, in cooperazione con il regime talebano. Nel 1996, la Unocal apre una sede a Kandahar. E l’anno dopo, esponenti del governo talebano vengono ricevuti negli Usa. Ma il piano viene poi accantonato per le difficoltà politiche imputabili ai Talebani. «La seconda sfortuna era che gli anni ’70 avevano visto il boom della produzione di oppio e di eroina in Afghanistan. Era il cosiddetto triangolo d’oro», formato da Laos, Birmania e Cambogia. Triangolo «controllato dalla Cia, che in questo modo finanziava le operazioni anticomuniste nel sud-est dell’Asia». I Talebani negli anni ’90 «continuarono il business della droga con la Cia, ma nel 2000 il Mullah Omar lo mise al bando, allo scopo di guadagnarsi un consenso internazionale». L’anno dopo, la produzione di oppio crollò a valori prossimi allo zero. «Grazie alla conquista dell’Afghanistan, la produzione di eroina afghana (che gli Usa si rifiutarono di combattere, sostenendo che non era compito loro) tornò presto a soddisfare il 93% del fabbisogno mondiale».Gli Stati Uniti non combattono mai una guerra inseguendo un solo obiettivo, continua Ferrara: secondo l’Unicef, i 10 anni di embargo all’Iraq hanno causato la morte di un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini. Il segretario di Stato Usa Madeleine Albright, quando le fu chiesto di commentare la morte di questi 500 mila bambini, rispose che la scelta era stata difficile, ma che ne era valsa la pena. «La balla sesquipedale delle armi di distruzione di massa, che sarebbero state in mano a Saddam, fu la scusa per impadronirsi definitivamente dell’Iraq, nel quadro della strategia economico-commerciale “Pivot to Asia”, che mirava a cinturare la Cina per impedirle un’espansione a ovest». Ma le uniche armi di distruzione di massa in mano a Saddam «erano quelle che proprio gli Stati Uniti gli avevano venduto, perché fossero usate per lo sterminio dei curdi».Un genocidio, quello del Kurdistan iracheno, al quale abbiamo contribuito anche noi italiani, con la vendita a Saddam di ben 9 milioni di mine antiuomo: «Del resto ancora adesso Matteo Renzi ritiene doveroso fare affari con chi finanzia l’Isis». Ma anche supponendo che l’Iraq avesse posseduto quelle armi, aggiunge Ferrara, i 7.000 ordigni nucleari di cui gli Stati Uniti d’America sono dotati non sono forse “armi di distruzione di massa”? Bisognerebbe chiederlo all’allora vice di Bush, Dick Cheney, che «per pura coincidenza era anche a capo della grande azienda petrolifera Halliburton, che si avvantaggiò successivamente dell’occupazione dei pozzi petroliferi iracheni». Ma, chiusa la partita con l’Iraq, il processo di colonizzazione prevedeva l’invasione della Siria. «Senza dimostrare molta fantasia, gli Stati Uniti cercarono di convincere il mondo che Assad usava armi chimiche contro i suoi cittadini». Solo la ferma opposizione di Putin riuscì a bloccare Obama, che nel 2013 era a un passo dall’attacco.Serviva allora un’altra strategia: così si inventarono la guerra per procura. «Bisognava finanziare i gruppi che si opponevano ad Assad: Al Nusra e l’Isis. Così, arrivarono piogge di dollari statunitensi sugli jihadisti, come rivelarono in tanti, tra cui ex dipendenti della Cia, ex ufficiali». Michael Flynn: «Sostenere Isis fu una nostra decisione deliberata». Tra le ammissioni persino quelle di un senatore, Rand Paul, e di una deputata, Tulsi Gabbard. Per non parlare del vicepresidente Joe Biden, che nell’ottobre del 2014 rivelò che sugli jihadisti impegnati in Siria erano arrivate piogge di dollari statunitensi. «La vera ragione per cui Assad è stato attaccato – afferma Ferrara – è che nel 2009 si era rifiutato di far transitare sul proprio territorio un gasdotto, proposto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, che doveva passare per la Turchia e avere come destinazione l’Europa, per togliere alla Russia di Putin il monopolio». Non solo: «Assad si era accordato con l’Iraq per accogliere un gasdotto alternativo, ed era dalla parte dei palestinesi contro le aggressioni dello Stato di Israele».Poco prima, il “trattamento” era toccato alla Libia, che possiede le riserve di petrolio africane più importanti: 48.000 miliardi di barili, più 1.500 miliardi di metri cubi di gas. «Ma in realtà Gheddafi fu fatto fuori anche per un’altra ragione: proprio come Saddam, aveva deciso di non vendere più il petrolio in dollari, bensì attraverso un’altra moneta sovrana che stava creando: il dinaro libico». Dalla Libia alla Siria, fino all’attuale terrorismo internazionale: i recenti attentati in Francia, Belgio e Germania «hanno delle analogie con quello che accadde in Italia negli anni ’90, dopo la rottura del patto Stato-mafia, quando Roma e Milano furono duramente colpite dalle ritorsioni di Cosa Nostra». Dietro ai kamikaze ci sono «veri professionisti del terrore, che da sempre hanno usato mercenari, criminali, fondamentalisti e perfino squilibrati per seminare la paura e instaurare, sotto la copertura di una finta democrazia, una dittatura economico-militare». I jihadisti, poi, svolgono anche un altro ruolo importante: «Sono un eccellente concime per far germogliare il seme della paura in Occidente: più abbiamo paura, più cerchiamo protezione». Con buona pace del grande Tiziano Terzani, secondo cui «il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».
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Re: Dove va l'America?
Esplosione nel cuore di Manhattan, 29 feriti
Trovata altra bomba in una pentola a pressione
Lo scoppio alle 20:30 di sabato. Domani a New York l’assemblea generale dell’Onu. Il sindaco De Blasio
“Niente prove di legami con il terrorismo”. Secondo ordigno simile a quello della maratona di Boston
explosion-990
Mondo
Una bomba, nascosta in un cestino dei rifiuti, è scoppiata all’angolo tra la 23esima strada e la Sixth Avenue alle 20:30 di sabato. Per ora “non emergono collegamenti con il terrorismo”, ha detto il primo cittadino Bill De Blasio, spiegando che 29 persone sono rimaste ferite e una è grave ma non in pericolo di vita. La deflagrazione ha causato il panico nel cuore della città, dove domani sono attesi quasi 200 capi di stato e di governo per il summit sui rifugiati e l’assemblea generale dell’Onu. Il secondo congegno esplosivo, simile a quello scoppiato durante la maratona di Boston nel 2013, è stato trovato a quattro isolati di distanza – Fotogallery e video
Trovata altra bomba in una pentola a pressione
Lo scoppio alle 20:30 di sabato. Domani a New York l’assemblea generale dell’Onu. Il sindaco De Blasio
“Niente prove di legami con il terrorismo”. Secondo ordigno simile a quello della maratona di Boston
explosion-990
Mondo
Una bomba, nascosta in un cestino dei rifiuti, è scoppiata all’angolo tra la 23esima strada e la Sixth Avenue alle 20:30 di sabato. Per ora “non emergono collegamenti con il terrorismo”, ha detto il primo cittadino Bill De Blasio, spiegando che 29 persone sono rimaste ferite e una è grave ma non in pericolo di vita. La deflagrazione ha causato il panico nel cuore della città, dove domani sono attesi quasi 200 capi di stato e di governo per il summit sui rifugiati e l’assemblea generale dell’Onu. Il secondo congegno esplosivo, simile a quello scoppiato durante la maratona di Boston nel 2013, è stato trovato a quattro isolati di distanza – Fotogallery e video
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Re: Dove va l'America?
EDITORIALE
Rivoluzione d’Ottobre all’americana
Trump può essere la tessera che scatena un domino populista in Occidente
DI TOMMASO CERNO
20 settembre 2016
Che ci fa Donald Trump in copertina sull’“Espresso” ritratto come Lenin? Come può l’aspirante presidente degli Stati Uniti, il comandante in capo, lo storico nemico del comunismo, guidare un popolo verso il sol dell’avvenire? Eppure non stona. Perché Trump non è solo un miliardario pop e populista che agita le masse, rompe i tabù del politically correct americano, dice ciò che nessun presidente Usa direbbe mai. Trump è diventato il simbolo di una nuova rivoluzione d’Ottobre, di segno opposto a quella che nel 1917 vide la Russia sconvolta dalla crisi economica, dalla disintegrazione dei partiti, dagli scontri interni alla Casta d’allora, cedere un potere secolare che sembrava inamovibile a Lenin e all’uomo nuovo.
Già. Il pericolo populista esiste davvero. E, a onor del vero, Europa e America non sembrano attrezzate per arginarlo. C’è qualcosa che s’è rotto nel sistema democratico e che fa dire a persone comuni, per nulla estremiste, per nulla fanatiche di alcunché, che è venuto il momento di rovesciare il tavolo. E noi, l’Occidente, siamo impreparati, indifesi di fronte a questo vento che soffia.
Sappiamo solo ripetere tra noi come un mantra: «Non passeranno». Sembra un po’ l’evangelico “non praevalebunt” di San Matteo, che ci farà anche stare tranquilli nella nostra sicumera sul piano teorico, sussurrandoci che “no, non può essere vero”. Ma ci rende deboli, anzi incapaci di affrontare il risvolto terreno del fenomeno, ammettendo una banale verità: mentre ci ostiniamo a dare la colpa al popolo per ciò che ha il diritto di scegliere, cioè chi lo governa, sta per partire un domino di appuntamenti elettorali (quelli che ci racconta Gigi Riva nel servizio di Prima pagina) che può cambiare tutto. Può portarci in pochi mesi dentro un mondo che non immaginavamo possibile. Uno scenario con suggestioni e simboli che credevamo sepolti per sempre.
Il dito che ha spinto la prima tessera si chiama Brexit. E tutta Europa era aggrappata ai sondaggi che sbagliavano di grosso. Ci siamo addormentati uniti e svegliati divisi. Ora lo stesso domino sta per passare per Austria e Ungheria, un tempo due facce dello stesso impero multietnico, oggi entrambe pervase dal virus etnicista. Anche stavolta ci stiamo dicendo che “non succederà mai”. Dopo queste due tessere, a cascata può cadere, soprattutto, ed è la pedina fondamentale, quella degli Usa se si consegneranno a Trump. E allora saremo in balìa della tempesta perfetta che può spostarsi nella Francia di Marine Le Pen, e perfino nella Germania di Angela Merkel. Che sembrava immune dalle tentazioni populiste, perché più sana e ricca degli altri Paesi membri, ma che rischia lo stesso destino dopo la decisione di accogliere un milione di immigrati siriani.
Che ci fa Donald Trump in copertina sull’“Espresso” ritratto come Lenin? Come può l’aspirante presidente degli Stati Uniti, il comandante in capo, lo storico nemico del comunismo, guidare un popolo verso il sol dell’avvenire? Eppure non stona. Perché Trump non è solo un miliardario pop e populista che agita le masse, rompe i tabù del politically correct americano, dice ciò che nessun presidente Usa direbbe mai. Trump è diventato il simbolo di una nuova rivoluzione d’Ottobre, di segno opposto a quella che nel 1917 vide la Russia sconvolta dalla crisi economica, dalla disintegrazione dei partiti, dagli scontri interni alla Casta d’allora, cedere un potere secolare che sembrava inamovibile a Lenin e all’uomo nuovo.
Già. Il pericolo populista esiste davvero. E, a onor del vero, Europa e America non sembrano attrezzate per arginarlo. C’è qualcosa che s’è rotto nel sistema democratico e che fa dire a persone comuni, per nulla estremiste, per nulla fanatiche di alcunché, che è venuto il momento di rovesciare il tavolo. E noi, l’Occidente, siamo impreparati, indifesi di fronte a questo vento che soffia.
Sappiamo solo ripetere tra noi come un mantra: «Non passeranno». Sembra un po’ l’evangelico “non praevalebunt” di San Matteo, che ci farà anche stare tranquilli nella nostra sicumera sul piano teorico, sussurrandoci che “no, non può essere vero”. Ma ci rende deboli, anzi incapaci di affrontare il risvolto terreno del fenomeno, ammettendo una banale verità: mentre ci ostiniamo a dare la colpa al popolo per ciò che ha il diritto di scegliere, cioè chi lo governa, sta per partire un domino di appuntamenti elettorali (quelli che ci racconta Gigi Riva nel servizio di Prima pagina) che può cambiare tutto. Può portarci in pochi mesi dentro un mondo che non immaginavamo possibile. Uno scenario con suggestioni e simboli che credevamo sepolti per sempre.
Il dito che ha spinto la prima tessera si chiama Brexit. E tutta Europa era aggrappata ai sondaggi che sbagliavano di grosso. Ci siamo addormentati uniti e svegliati divisi. Ora lo stesso domino sta per passare per Austria e Ungheria, un tempo due facce dello stesso impero multietnico, oggi entrambe pervase dal virus etnicista. Anche stavolta ci stiamo dicendo che “non succederà mai”. Dopo queste due tessere, a cascata può cadere, soprattutto, ed è la pedina fondamentale, quella degli Usa se si consegneranno a Trump. E allora saremo in balìa della tempesta perfetta che può spostarsi nella Francia di Marine Le Pen, e perfino nella Germania di Angela Merkel. Che sembrava immune dalle tentazioni populiste, perché più sana e ricca degli altri Paesi membri, ma che rischia lo stesso destino dopo la decisione di accogliere un milione di immigrati siriani.
E l’Italia? È davvero distante da questo scenario? No, affatto. Anche se Beppe Grillo ha sempre sostenuto che il M5s è l’argine contro le tentazioni di una deriva populista (e in parte è stato anche così), i segnali di una rivolta anti-sistema si moltiplicano. Dividono il Paese. Spaccano il fronte in due su ogni questione complessa. La ragione del caos, invece, è semplice. La gente pensa che lo Stato ci sia solo quando deve riscuotere, mai quando deve proteggere il cittadino. E non ha torto.
L’ultimo esempio viene da Foggia. Da un centro di accoglienza per profughi che costa milioni di euro pubblici. Un luogo dove ti aspetteresti lo Stato. E dove invece il nostro inviato Fabrizio Gatti ha documentato la totale assenza delle istituzioni, sostituite da mafie e criminalità. Un’inchiesta dell’“Espresso” che ha indotto Eugenio Scalfari a chiedere dalla prima pagina di “Repubblica” l’intervento del governo. Solo in quel momento il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha ordinato un’indagine. Su una storia che stava sotto gli occhi di tutti. Bastava volerla vedere.
Ecco cosa siamo. Un Paese che mente a se stesso. Che chiude gli occhi. Che scarica tutte le colpe sulla matrigna Europa. Troppo comodo. La politica provi a riconquistare la fiducia dei cittadini dove può esercitare la piena sovranità. Prima che il domino travolga tutto.
© Riproduzione riservata
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Rivoluzione d’Ottobre all’americana
Trump può essere la tessera che scatena un domino populista in Occidente
DI TOMMASO CERNO
20 settembre 2016
Che ci fa Donald Trump in copertina sull’“Espresso” ritratto come Lenin? Come può l’aspirante presidente degli Stati Uniti, il comandante in capo, lo storico nemico del comunismo, guidare un popolo verso il sol dell’avvenire? Eppure non stona. Perché Trump non è solo un miliardario pop e populista che agita le masse, rompe i tabù del politically correct americano, dice ciò che nessun presidente Usa direbbe mai. Trump è diventato il simbolo di una nuova rivoluzione d’Ottobre, di segno opposto a quella che nel 1917 vide la Russia sconvolta dalla crisi economica, dalla disintegrazione dei partiti, dagli scontri interni alla Casta d’allora, cedere un potere secolare che sembrava inamovibile a Lenin e all’uomo nuovo.
Già. Il pericolo populista esiste davvero. E, a onor del vero, Europa e America non sembrano attrezzate per arginarlo. C’è qualcosa che s’è rotto nel sistema democratico e che fa dire a persone comuni, per nulla estremiste, per nulla fanatiche di alcunché, che è venuto il momento di rovesciare il tavolo. E noi, l’Occidente, siamo impreparati, indifesi di fronte a questo vento che soffia.
Sappiamo solo ripetere tra noi come un mantra: «Non passeranno». Sembra un po’ l’evangelico “non praevalebunt” di San Matteo, che ci farà anche stare tranquilli nella nostra sicumera sul piano teorico, sussurrandoci che “no, non può essere vero”. Ma ci rende deboli, anzi incapaci di affrontare il risvolto terreno del fenomeno, ammettendo una banale verità: mentre ci ostiniamo a dare la colpa al popolo per ciò che ha il diritto di scegliere, cioè chi lo governa, sta per partire un domino di appuntamenti elettorali (quelli che ci racconta Gigi Riva nel servizio di Prima pagina) che può cambiare tutto. Può portarci in pochi mesi dentro un mondo che non immaginavamo possibile. Uno scenario con suggestioni e simboli che credevamo sepolti per sempre.
Il dito che ha spinto la prima tessera si chiama Brexit. E tutta Europa era aggrappata ai sondaggi che sbagliavano di grosso. Ci siamo addormentati uniti e svegliati divisi. Ora lo stesso domino sta per passare per Austria e Ungheria, un tempo due facce dello stesso impero multietnico, oggi entrambe pervase dal virus etnicista. Anche stavolta ci stiamo dicendo che “non succederà mai”. Dopo queste due tessere, a cascata può cadere, soprattutto, ed è la pedina fondamentale, quella degli Usa se si consegneranno a Trump. E allora saremo in balìa della tempesta perfetta che può spostarsi nella Francia di Marine Le Pen, e perfino nella Germania di Angela Merkel. Che sembrava immune dalle tentazioni populiste, perché più sana e ricca degli altri Paesi membri, ma che rischia lo stesso destino dopo la decisione di accogliere un milione di immigrati siriani.
Che ci fa Donald Trump in copertina sull’“Espresso” ritratto come Lenin? Come può l’aspirante presidente degli Stati Uniti, il comandante in capo, lo storico nemico del comunismo, guidare un popolo verso il sol dell’avvenire? Eppure non stona. Perché Trump non è solo un miliardario pop e populista che agita le masse, rompe i tabù del politically correct americano, dice ciò che nessun presidente Usa direbbe mai. Trump è diventato il simbolo di una nuova rivoluzione d’Ottobre, di segno opposto a quella che nel 1917 vide la Russia sconvolta dalla crisi economica, dalla disintegrazione dei partiti, dagli scontri interni alla Casta d’allora, cedere un potere secolare che sembrava inamovibile a Lenin e all’uomo nuovo.
Già. Il pericolo populista esiste davvero. E, a onor del vero, Europa e America non sembrano attrezzate per arginarlo. C’è qualcosa che s’è rotto nel sistema democratico e che fa dire a persone comuni, per nulla estremiste, per nulla fanatiche di alcunché, che è venuto il momento di rovesciare il tavolo. E noi, l’Occidente, siamo impreparati, indifesi di fronte a questo vento che soffia.
Sappiamo solo ripetere tra noi come un mantra: «Non passeranno». Sembra un po’ l’evangelico “non praevalebunt” di San Matteo, che ci farà anche stare tranquilli nella nostra sicumera sul piano teorico, sussurrandoci che “no, non può essere vero”. Ma ci rende deboli, anzi incapaci di affrontare il risvolto terreno del fenomeno, ammettendo una banale verità: mentre ci ostiniamo a dare la colpa al popolo per ciò che ha il diritto di scegliere, cioè chi lo governa, sta per partire un domino di appuntamenti elettorali (quelli che ci racconta Gigi Riva nel servizio di Prima pagina) che può cambiare tutto. Può portarci in pochi mesi dentro un mondo che non immaginavamo possibile. Uno scenario con suggestioni e simboli che credevamo sepolti per sempre.
Il dito che ha spinto la prima tessera si chiama Brexit. E tutta Europa era aggrappata ai sondaggi che sbagliavano di grosso. Ci siamo addormentati uniti e svegliati divisi. Ora lo stesso domino sta per passare per Austria e Ungheria, un tempo due facce dello stesso impero multietnico, oggi entrambe pervase dal virus etnicista. Anche stavolta ci stiamo dicendo che “non succederà mai”. Dopo queste due tessere, a cascata può cadere, soprattutto, ed è la pedina fondamentale, quella degli Usa se si consegneranno a Trump. E allora saremo in balìa della tempesta perfetta che può spostarsi nella Francia di Marine Le Pen, e perfino nella Germania di Angela Merkel. Che sembrava immune dalle tentazioni populiste, perché più sana e ricca degli altri Paesi membri, ma che rischia lo stesso destino dopo la decisione di accogliere un milione di immigrati siriani.
E l’Italia? È davvero distante da questo scenario? No, affatto. Anche se Beppe Grillo ha sempre sostenuto che il M5s è l’argine contro le tentazioni di una deriva populista (e in parte è stato anche così), i segnali di una rivolta anti-sistema si moltiplicano. Dividono il Paese. Spaccano il fronte in due su ogni questione complessa. La ragione del caos, invece, è semplice. La gente pensa che lo Stato ci sia solo quando deve riscuotere, mai quando deve proteggere il cittadino. E non ha torto.
L’ultimo esempio viene da Foggia. Da un centro di accoglienza per profughi che costa milioni di euro pubblici. Un luogo dove ti aspetteresti lo Stato. E dove invece il nostro inviato Fabrizio Gatti ha documentato la totale assenza delle istituzioni, sostituite da mafie e criminalità. Un’inchiesta dell’“Espresso” che ha indotto Eugenio Scalfari a chiedere dalla prima pagina di “Repubblica” l’intervento del governo. Solo in quel momento il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha ordinato un’indagine. Su una storia che stava sotto gli occhi di tutti. Bastava volerla vedere.
Ecco cosa siamo. Un Paese che mente a se stesso. Che chiude gli occhi. Che scarica tutte le colpe sulla matrigna Europa. Troppo comodo. La politica provi a riconquistare la fiducia dei cittadini dove può esercitare la piena sovranità. Prima che il domino travolga tutto.
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Re: Dove va l'America?
....BENVENUTI ALL'INFERNO......
LIBRE news
Trump spaventa l’élite della guerra: deve morire, come Jfk
Scritto il 29/9/16 • nella Categoria: idee Condividi
«Donald Trump è entrato in una “kill zone” politica: l’establishment statunitense si sta allineando per eliminarlo». Trump farà la fine di John Fitzgerald Kennedy. Solo che, stavolta, non serviranno pallottole vere: basteranno quelle, virtuali, “sparate” dai media, che rispondono agli ordini dello “Stato Profondo”, cioè il vertice finanziario, l’élite di Wall Street, il Pentagono e i suoi terminali di intelligence, Fbi e Cia. Lo sostiene il britannico Finian Cunningham, osservatore indipendente, già autore di editoriali per il “Mirror”, l’“Irish Times” e l’“Independent”. «Al giorno d’oggi, l’assassinio politico ad opera dell’autorità costituita non comporta necessariamente la liquidazione fisica di un individuo ritenuto un nemico dello Stato», specie se «la diffamazione di un personaggio pubblico raggiunge lo stesso risultato desiderato, vale a dire l’eliminazione del bersaglio dalla scena pubblica». Ma a impressionate Cunningham è l’inquietante parallelismo con Kennedy: anche Trump, infatti (sia pure a suo modo) si candida a interpretare un cambio di rotta radicale, all’insegna della “fine delle ostilità”: smobilitazione dell’Isis e pace con la Russia.«È ovvio che il potere costituito di Washington ha deciso di fare della rivale democratica Hillary Clinton la scelta da preferire per proteggere i loro interessi privilegiati», scrive Cunningham su “Sputnik News”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Diffamando l’antagonista Trump, i media mainstream divengono «complici dell’assassinio del suo personaggio agli occhi dell’opinione pubblica» Ed è il colmo, aggiunge Cunningham, «dato che ci sono storie molte più sordide sul conto della Clinton», coinvolta fino al collo nella strategia della tensione varata a livello internazionale dall’oligarchia neo-aristocratica statunitense: propaganda di guerra, operazioni clandestine volte ad un cambio di regime, nonché abuso del segreto di Stato per accrescere il proprio prestigio grazie a risorse finanziarie di provenienza estera. Secondo Cunningham, il punto è che la campagna di discredito per annientare Trump dimostra una volontà di «liquidazione politica», specialità «in cui la plutocrazia statunitense eccelle», fino a ieri anche con il ricorso sistematico all’omicidio, «l’effettiva uccisione del bersaglio».Il caso più noto è quello di Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre 1963. In quel periodo, ricorda Cunningham, diversi altri leader politici stranieri vennero assassinati da agenti di Stato americani, inclusi Patrice Lumumba in Congo, Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana e Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. «L’assassinio politico era e continua ad essere la norma, in America». L’allora procuratore di New Orleans, Jim Garrison, che indagò sull’assassinio di Jfk, «sostenne che la ragione primaria per il suo assassinio era che il presidente stava lavorando per portare a conclusione la Guerra Fredda con la Russia: Kennedy stava utilizzando in sordina un canale riservato con la controparte russa Nikita Krushev per implementare piani ambiziosi per il disarmo nucleare». In più, aggiunge Cunningham, Jfk aveva nettamente bocciato le proposte segrete presentate dal Pentagono per un’azione nucleare preventiva ai danni dell’Unione Sovietica. E stava anche chiudendo con le operazioni terroristiche finanziate dalla Cia contro Cuba, preparando il ritiro delle truppe americane dalla nascente guerra in Vietnam.«In questo modo Kennedy era entrato nella “kill zone” politica per quel che riguardava il potente e non-eletto Stato Profondo. Le sue politiche stavano minacciando gli enormi interessi delle imprese degli armamenti militari, le grandi compagnie petrolifere e l’alta finanza di Wall Street. Quindi la Cia e i suoi killer a contratto vennero schierati per eliminare il problema». Oggi tocca a Trump? “The Donald” ha due aspetti in comune con Jfk, scrive Cunningham: «Come Kennedy, il magnate ha grosse disponibilità economiche, il che lo mette in condizione di parlare apertamente, senza il bisogno di doversi ingraziare potenti finanziatori». Il secondo e più importante aspetto è la politica estera: Trump si è ripetutamente scagliato contro l’inarrestabile consolidamento della Nato nell’Europa dell’Est, contro lo schieramento delle truppe americane oltremare e in particolare contro l’ostilità di Washington nei confronti di Mosca. Al contrario, Trump vorrebbe la normalizzazione delle relazioni con la Russia. E così, la sua posizione divenra «un anatema per l’establishment di Washington» che invece richiede, come assoluta necessità, «la demonizzazione delle nazioni straniere come minacce alla sicurezza nazionale, al fine di mantenere la gargantuesca economia militarizzata degli Stati Uniti».In sostanza, insiste Cunningham, lo “Stato Profondo” americano «prospera grazie al perpetuo ricrearsi delle guerre», dove la guerra «è una funzione permanente del fallito capitalismo americano». E questa “disfunzione sistemica” consiste in ciò che era e continua ad essere la Guerra Fredda con la Russia, ovvero «il pompaggio di milioni di dollari nelle casse dell’élite finanziaria e istituzionale, che continua a farla franca nonostante l’imbroglio, grazie ai suoi lacchè che serpeggiano nei canali politici e mediatici». Per questo, «chiunque osi sfidare i potenti interessi americani è esposto all’eliminazione: si entra nella zona di tiro». In passato, i metodi di eliminazione con effetto immediato prevedevano abitualmente l’eliminazione fisica. Cinque decadi dopo il governo Kennedy, continua Cunningham, i metodi di assassinio politico degli Stati Uniti si sono evoluti, divenendo più sofisticati: «Il più delle volte, la diffamazione può dirsi sufficiente. Nessun bisogno di assoldare sicari o invischiarsi in inchieste pubbliche. Saranno i killer mediatici ad occuparsene. Basterà piazzare il bersaglio al centro di un fuoco incrociato di un incessante bombardamento mediatico che non gli lasci scampo». Trump come Putin, un “problema” da eliminare. «Mettere fuori gioco i nemici politici “con effetto immediato” è il metodo americano».
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LIBRE news
Trump spaventa l’élite della guerra: deve morire, come Jfk
Scritto il 29/9/16 • nella Categoria: idee Condividi
«Donald Trump è entrato in una “kill zone” politica: l’establishment statunitense si sta allineando per eliminarlo». Trump farà la fine di John Fitzgerald Kennedy. Solo che, stavolta, non serviranno pallottole vere: basteranno quelle, virtuali, “sparate” dai media, che rispondono agli ordini dello “Stato Profondo”, cioè il vertice finanziario, l’élite di Wall Street, il Pentagono e i suoi terminali di intelligence, Fbi e Cia. Lo sostiene il britannico Finian Cunningham, osservatore indipendente, già autore di editoriali per il “Mirror”, l’“Irish Times” e l’“Independent”. «Al giorno d’oggi, l’assassinio politico ad opera dell’autorità costituita non comporta necessariamente la liquidazione fisica di un individuo ritenuto un nemico dello Stato», specie se «la diffamazione di un personaggio pubblico raggiunge lo stesso risultato desiderato, vale a dire l’eliminazione del bersaglio dalla scena pubblica». Ma a impressionate Cunningham è l’inquietante parallelismo con Kennedy: anche Trump, infatti (sia pure a suo modo) si candida a interpretare un cambio di rotta radicale, all’insegna della “fine delle ostilità”: smobilitazione dell’Isis e pace con la Russia.«È ovvio che il potere costituito di Washington ha deciso di fare della rivale democratica Hillary Clinton la scelta da preferire per proteggere i loro interessi privilegiati», scrive Cunningham su “Sputnik News”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Diffamando l’antagonista Trump, i media mainstream divengono «complici dell’assassinio del suo personaggio agli occhi dell’opinione pubblica» Ed è il colmo, aggiunge Cunningham, «dato che ci sono storie molte più sordide sul conto della Clinton», coinvolta fino al collo nella strategia della tensione varata a livello internazionale dall’oligarchia neo-aristocratica statunitense: propaganda di guerra, operazioni clandestine volte ad un cambio di regime, nonché abuso del segreto di Stato per accrescere il proprio prestigio grazie a risorse finanziarie di provenienza estera. Secondo Cunningham, il punto è che la campagna di discredito per annientare Trump dimostra una volontà di «liquidazione politica», specialità «in cui la plutocrazia statunitense eccelle», fino a ieri anche con il ricorso sistematico all’omicidio, «l’effettiva uccisione del bersaglio».Il caso più noto è quello di Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre 1963. In quel periodo, ricorda Cunningham, diversi altri leader politici stranieri vennero assassinati da agenti di Stato americani, inclusi Patrice Lumumba in Congo, Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana e Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. «L’assassinio politico era e continua ad essere la norma, in America». L’allora procuratore di New Orleans, Jim Garrison, che indagò sull’assassinio di Jfk, «sostenne che la ragione primaria per il suo assassinio era che il presidente stava lavorando per portare a conclusione la Guerra Fredda con la Russia: Kennedy stava utilizzando in sordina un canale riservato con la controparte russa Nikita Krushev per implementare piani ambiziosi per il disarmo nucleare». In più, aggiunge Cunningham, Jfk aveva nettamente bocciato le proposte segrete presentate dal Pentagono per un’azione nucleare preventiva ai danni dell’Unione Sovietica. E stava anche chiudendo con le operazioni terroristiche finanziate dalla Cia contro Cuba, preparando il ritiro delle truppe americane dalla nascente guerra in Vietnam.«In questo modo Kennedy era entrato nella “kill zone” politica per quel che riguardava il potente e non-eletto Stato Profondo. Le sue politiche stavano minacciando gli enormi interessi delle imprese degli armamenti militari, le grandi compagnie petrolifere e l’alta finanza di Wall Street. Quindi la Cia e i suoi killer a contratto vennero schierati per eliminare il problema». Oggi tocca a Trump? “The Donald” ha due aspetti in comune con Jfk, scrive Cunningham: «Come Kennedy, il magnate ha grosse disponibilità economiche, il che lo mette in condizione di parlare apertamente, senza il bisogno di doversi ingraziare potenti finanziatori». Il secondo e più importante aspetto è la politica estera: Trump si è ripetutamente scagliato contro l’inarrestabile consolidamento della Nato nell’Europa dell’Est, contro lo schieramento delle truppe americane oltremare e in particolare contro l’ostilità di Washington nei confronti di Mosca. Al contrario, Trump vorrebbe la normalizzazione delle relazioni con la Russia. E così, la sua posizione divenra «un anatema per l’establishment di Washington» che invece richiede, come assoluta necessità, «la demonizzazione delle nazioni straniere come minacce alla sicurezza nazionale, al fine di mantenere la gargantuesca economia militarizzata degli Stati Uniti».In sostanza, insiste Cunningham, lo “Stato Profondo” americano «prospera grazie al perpetuo ricrearsi delle guerre», dove la guerra «è una funzione permanente del fallito capitalismo americano». E questa “disfunzione sistemica” consiste in ciò che era e continua ad essere la Guerra Fredda con la Russia, ovvero «il pompaggio di milioni di dollari nelle casse dell’élite finanziaria e istituzionale, che continua a farla franca nonostante l’imbroglio, grazie ai suoi lacchè che serpeggiano nei canali politici e mediatici». Per questo, «chiunque osi sfidare i potenti interessi americani è esposto all’eliminazione: si entra nella zona di tiro». In passato, i metodi di eliminazione con effetto immediato prevedevano abitualmente l’eliminazione fisica. Cinque decadi dopo il governo Kennedy, continua Cunningham, i metodi di assassinio politico degli Stati Uniti si sono evoluti, divenendo più sofisticati: «Il più delle volte, la diffamazione può dirsi sufficiente. Nessun bisogno di assoldare sicari o invischiarsi in inchieste pubbliche. Saranno i killer mediatici ad occuparsene. Basterà piazzare il bersaglio al centro di un fuoco incrociato di un incessante bombardamento mediatico che non gli lasci scampo». Trump come Putin, un “problema” da eliminare. «Mettere fuori gioco i nemici politici “con effetto immediato” è il metodo americano».
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Re: Dove va l'America?
Yahoo “ha scansionato e consegnato all’Fbi centinaia di milioni di mail degli utenti”. Snowden: “Chiudete gli account”
Media & Regime
L'azienda statunitense avrebbe risposto alle richieste degli 007. La talpa del "Datagate" lancia l'allarme su Twitter. La decisione di collaborare con le agenzie di intelligence sarebbe stata presa dall'amministratrice delegata Marissa Mayer, e avrebbe creato molti malumori tra i dirigenti. Stringata la replica del colosso californiano: "Yahoo è una società che rispetta le leggi"
di F. Q. | 4 ottobre 2016
COMMENTI (167)
Yahoo ha scannerizzato centinaia di milioni di email dei propri utenti senza chiederne il consenso per metterle a disposizione degli 007 Usa. Lo rivela, in un servizio in esclusiva, l’agenzia Reuters che cita fonti vicine al dossier, precisando che ancora non si sa se l’agenzia d’intelligence coinvolta sia l’Fbi o la Nsa (National security agency). La notizia è stata rilanciata anche da Edward Snowden, la “talpa” del Datagate. Dal suo profilo Twitter, Snowden invita tutti i clienti di Yahoo! a chiudere i loro account.
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Edward Snowden ✔ @Snowden
Use @Yahoo? They secretly scanned everything you ever wrote, far beyond what law requires. Close your account today. http://mobile.reuters.com/article/idUSKCN1241YT …
20:08 - 4 Ott 2016
http://s2.reutersmedia.net/resources/r/ ... XNPEC931AC
Exclusive: Yahoo secretly scanned customer emails for U.S. intelligence - sources
Yahoo Inc last year secretly built a custom software program to search all of its customers' incoming emails for specific information provided by U.S. intelligence officials, according to people...
mobile.reuters.com
8.759 8.759 Retweet 5.480 5.480 Mi piace
Yahoo avrebbe messo appunto un software specifico per scansionare la posta in arrivo di tutti i suoi clienti. Non è ancora noto che tipo di informazioni stessero cercando gli agenti dell’intelligence: ciò che invece le fonti anonime dell’agenzia Reuters rivelano è che gli 007 erano alla caccia di dati specifici. “Questo – si legge – potrebbe significare una frase in una email o un allegato”. Gli stessi esperti precisano che è probabile che la Nsa o l’Fbi abbiano avanzato analoghe richieste anche ad altri provider, dal momento che evidentemente non sapevano quali account mail utilizzassero le persone su cui stavano investigando.
La richiesta di scansionare i messaggi ricevuti dai vari account sarebbe pervenuta all’ufficio legale della società sotto forma di messaggio riservato. Dai primi indizi emersi su queste procedure, sembra che nel mirino degli 007 ci potessero essere in particolare dei cittadini non statunitensi messi sotto osservazione. Si tratterebbe, secondo le testimonianze di alcuni esperti raccolte dalla Reuters, del primo caso scoperto di un’azienda del web statunitense che accetta di rispondere a simili domande avanzate da parte di un’agenzia di spionaggio.
A detta di due ex dipendenti del colosso californiano, la decisione presa dall’amministratrice delegata Marissa Mayer di obbedire alle direttive dell’intelligence avrebbe creato forti malumori in alcuni dirigenti e avrebbe inoltre portato nel giugno 2015 all’allontanamento di Alex Stamos, all’epoca responsabile della sicurezza delle informazioni di Yahoo e ora ai vertici della sicurezza in Facebook. Il team della security interna, secondo quando riferisce il giornale britannico The Guardian, si sarebbe accorto della presenza del software incriminato già poche settimane dopo il suo lancio, pensando inizialmente all’opera di qualche hacker. Stamos si sarebbe dimesso proprio dopo aver scoperto che la regista dell’operazione era invece proprio la Mayer, e nell’abbandonare il suo incarico avrebbe riferito ai suoi sottoposti che la decisione era dovuta ad una procedura che ledeva la sicurezza degli utenti.
Stringata la replica dell’azienda: “Yahoo – ha dichiarato – è una società che rispetta le leggi, e si attiene alle norme vigenti negli Stati Uniti”. È il secondo scandalo che coinvolge Yahoo nel giro di poche settimane. Qualche giorno fa, infatti, era stata diffusa la notizia, poi confermata dall’azienda statunitense, della violazioni di 500 milioni di account, rubati nel corso del 2014.
Media & Regime
L'azienda statunitense avrebbe risposto alle richieste degli 007. La talpa del "Datagate" lancia l'allarme su Twitter. La decisione di collaborare con le agenzie di intelligence sarebbe stata presa dall'amministratrice delegata Marissa Mayer, e avrebbe creato molti malumori tra i dirigenti. Stringata la replica del colosso californiano: "Yahoo è una società che rispetta le leggi"
di F. Q. | 4 ottobre 2016
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Yahoo ha scannerizzato centinaia di milioni di email dei propri utenti senza chiederne il consenso per metterle a disposizione degli 007 Usa. Lo rivela, in un servizio in esclusiva, l’agenzia Reuters che cita fonti vicine al dossier, precisando che ancora non si sa se l’agenzia d’intelligence coinvolta sia l’Fbi o la Nsa (National security agency). La notizia è stata rilanciata anche da Edward Snowden, la “talpa” del Datagate. Dal suo profilo Twitter, Snowden invita tutti i clienti di Yahoo! a chiudere i loro account.
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20:08 - 4 Ott 2016
http://s2.reutersmedia.net/resources/r/ ... XNPEC931AC
Exclusive: Yahoo secretly scanned customer emails for U.S. intelligence - sources
Yahoo Inc last year secretly built a custom software program to search all of its customers' incoming emails for specific information provided by U.S. intelligence officials, according to people...
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Yahoo avrebbe messo appunto un software specifico per scansionare la posta in arrivo di tutti i suoi clienti. Non è ancora noto che tipo di informazioni stessero cercando gli agenti dell’intelligence: ciò che invece le fonti anonime dell’agenzia Reuters rivelano è che gli 007 erano alla caccia di dati specifici. “Questo – si legge – potrebbe significare una frase in una email o un allegato”. Gli stessi esperti precisano che è probabile che la Nsa o l’Fbi abbiano avanzato analoghe richieste anche ad altri provider, dal momento che evidentemente non sapevano quali account mail utilizzassero le persone su cui stavano investigando.
La richiesta di scansionare i messaggi ricevuti dai vari account sarebbe pervenuta all’ufficio legale della società sotto forma di messaggio riservato. Dai primi indizi emersi su queste procedure, sembra che nel mirino degli 007 ci potessero essere in particolare dei cittadini non statunitensi messi sotto osservazione. Si tratterebbe, secondo le testimonianze di alcuni esperti raccolte dalla Reuters, del primo caso scoperto di un’azienda del web statunitense che accetta di rispondere a simili domande avanzate da parte di un’agenzia di spionaggio.
A detta di due ex dipendenti del colosso californiano, la decisione presa dall’amministratrice delegata Marissa Mayer di obbedire alle direttive dell’intelligence avrebbe creato forti malumori in alcuni dirigenti e avrebbe inoltre portato nel giugno 2015 all’allontanamento di Alex Stamos, all’epoca responsabile della sicurezza delle informazioni di Yahoo e ora ai vertici della sicurezza in Facebook. Il team della security interna, secondo quando riferisce il giornale britannico The Guardian, si sarebbe accorto della presenza del software incriminato già poche settimane dopo il suo lancio, pensando inizialmente all’opera di qualche hacker. Stamos si sarebbe dimesso proprio dopo aver scoperto che la regista dell’operazione era invece proprio la Mayer, e nell’abbandonare il suo incarico avrebbe riferito ai suoi sottoposti che la decisione era dovuta ad una procedura che ledeva la sicurezza degli utenti.
Stringata la replica dell’azienda: “Yahoo – ha dichiarato – è una società che rispetta le leggi, e si attiene alle norme vigenti negli Stati Uniti”. È il secondo scandalo che coinvolge Yahoo nel giro di poche settimane. Qualche giorno fa, infatti, era stata diffusa la notizia, poi confermata dall’azienda statunitense, della violazioni di 500 milioni di account, rubati nel corso del 2014.
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Re: Dove va l'America?
LIBRE news
Scie chimiche, la Nasa: è vero, irroriamo i cieli con il litio
Scritto il 07/10/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Scie chimiche: per anni il governo statunitense ha etichettato come complottisti coloro che manifestavano preoccupazione per le sostanze spruzzate nei cieli? Peccato che la Nasa «ha appena ammesso che i “complottisti” avevano ragione al 100%», scrive “Natural News” citando il “Waking Times”: la fonte si riferisce a Douglas Rowland, uno scienziato dell’ente aerospaziale americano che ha chiarito che l’agenzia sta addizionando con litio i gas di scarico dispersi nell’atmosfera. Non solo: il rilascio di litio è in corso sin dagli anni ‘70, dice Rowland in una telefonata registrata. Benché secondo il ricercatore il litio non sia dannoso per l’ambiente né pericoloso per l’uomo, annota “Natural News”, «questa sostanza è stata usata per decenni come farmaco psichiatrico: funziona alterando i livelli di serotonina e di norepinefrina che sono secreti dal sistema endocrino umano». Il litio quindi «altera fortemente gli schemi cerebrali». E i medici che lo prescrivono a pazienti psichiatrici «non capiscono come funzioni, o quali siano i dosaggi ottimali». E quindi, «come si può pensare che spruzzare grandi quantità di questa sostanza in modo indiscriminato nell’atmosfera possa essere una cosa positiva?».Tutto viene fatto in nome della scienza, scrive “Natural News” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Sul suo sito web ufficiale, la Nasa dichiara di effettuare il rilascio del litio per studiare il movimento del vento nell’alta atmosfera, al fine di analizzare i dati sul gas caricato o ionizzato (chiamato “plasma”) e sul “gas neutrale” attraverso il quale transita.L’agenzia afferma che le variazioni contano, poiché tutti i Gps e i satelliti per le telecomunicazioni inviano i propri segnali attraverso la ionosfera, e «una ionosfera disturbata si traduce in segnali disturbati»; per questo è necessario sapere cosa fa agire la ionosfera in determinati modi. «Oltre al litio psicotropo – continua “Natural News” – altri hanno provato la somministrazione di vaccini via aerosol», ovvero «l’irrorazione di vaccini per via aerea sulle popolazioni a loro insaputa». Diverse migliaia di persone sarebbero state «vaccinate tramite aerosol “per molti anni” in Russia con “ceppi vivi attenuati contro molte malattie”». Inoltre, «sono state condotte vaste sperimentazioni sul campo in Sudamerica usando il vaccino vivo attenuato del morbillo, definite molto positive. Buoni risultati sono stati riportati anche utilizzando un aerosol per vaccinare contro l’influenza A».«L’introduzione del vaccino per via aerea, che ripercorre meglio la via naturale di molte infezioni, potrebbe portare allo sviluppo dell’immunità al portale d’ingresso, e potrebbe anche indurre una difesa più generalizzata», sostengono i ricercatori. Recenti studi avrebbero inoltre rilevato che il metodo ottimale di vaccinazione sarebbe quello effettuato per aerosol attraverso il naso, sistema «che è considerato migliore per le popolazioni pediatrica e geriatrica». E il litio riasciato dagli aerei? «Non è un farmaco che dovrebbe essere spruzzato nell’atmosfera perché, ribadiamo, medici e scienziati non sanno realmente quali dosi siano efficaci e quali siano eccessive», scrive “Natural News”. Lo stesso Rowland, nella sua conversazione registrata, ha promesso di rispondere alle domande specifiche che dovesse ricevere via email. Ha anche detto che l’agenzia spaziale accoglie con favore queste richieste provenienti da cittadini comuni, visto che informare la gente è una delle missioni fondamentali della Nasa. «Se questo è vero, allora perché gli altri funzionari governativi che lavorano presso agenzie-chiave hanno obbligo di silenzio sulle discussioni riguardanti le scie chimiche?».Se non siete ancora pronti per credere che il governo americano sia capace di spargere litio attraverso le scie chimiche, conclude “Natural News”, basta prendere in esame un documento pubblico, classificato “Codice 840 Rmmo”, prodotto dal “Range and Mission Management Office” della base di Wallops. Un documento che «dovrebbe mettere a tacere ogni vostro dubbio», perché «definisce espressamente, in una dichiarazione di missione del 2013, che lo “scopo” del lancio è “testare i metodi di caricamento dei fusti di litio” da trasportare in missioni successive”». Si parla di “rapporto positivo dalla piattaforma ottica aerea delle immagini video e delle nuvole di litio visibili anche tramite osservazione da terra”. Tutto chiaro? «Il governo degli Stati Uniti ha trattato gli americani come cavie nel passato; sarebbe semplicemente ingenuo pensare che questa prassi sia stata interrotta».
Scie chimiche, la Nasa: è vero, irroriamo i cieli con il litio
Scritto il 07/10/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Scie chimiche: per anni il governo statunitense ha etichettato come complottisti coloro che manifestavano preoccupazione per le sostanze spruzzate nei cieli? Peccato che la Nasa «ha appena ammesso che i “complottisti” avevano ragione al 100%», scrive “Natural News” citando il “Waking Times”: la fonte si riferisce a Douglas Rowland, uno scienziato dell’ente aerospaziale americano che ha chiarito che l’agenzia sta addizionando con litio i gas di scarico dispersi nell’atmosfera. Non solo: il rilascio di litio è in corso sin dagli anni ‘70, dice Rowland in una telefonata registrata. Benché secondo il ricercatore il litio non sia dannoso per l’ambiente né pericoloso per l’uomo, annota “Natural News”, «questa sostanza è stata usata per decenni come farmaco psichiatrico: funziona alterando i livelli di serotonina e di norepinefrina che sono secreti dal sistema endocrino umano». Il litio quindi «altera fortemente gli schemi cerebrali». E i medici che lo prescrivono a pazienti psichiatrici «non capiscono come funzioni, o quali siano i dosaggi ottimali». E quindi, «come si può pensare che spruzzare grandi quantità di questa sostanza in modo indiscriminato nell’atmosfera possa essere una cosa positiva?».Tutto viene fatto in nome della scienza, scrive “Natural News” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Sul suo sito web ufficiale, la Nasa dichiara di effettuare il rilascio del litio per studiare il movimento del vento nell’alta atmosfera, al fine di analizzare i dati sul gas caricato o ionizzato (chiamato “plasma”) e sul “gas neutrale” attraverso il quale transita.L’agenzia afferma che le variazioni contano, poiché tutti i Gps e i satelliti per le telecomunicazioni inviano i propri segnali attraverso la ionosfera, e «una ionosfera disturbata si traduce in segnali disturbati»; per questo è necessario sapere cosa fa agire la ionosfera in determinati modi. «Oltre al litio psicotropo – continua “Natural News” – altri hanno provato la somministrazione di vaccini via aerosol», ovvero «l’irrorazione di vaccini per via aerea sulle popolazioni a loro insaputa». Diverse migliaia di persone sarebbero state «vaccinate tramite aerosol “per molti anni” in Russia con “ceppi vivi attenuati contro molte malattie”». Inoltre, «sono state condotte vaste sperimentazioni sul campo in Sudamerica usando il vaccino vivo attenuato del morbillo, definite molto positive. Buoni risultati sono stati riportati anche utilizzando un aerosol per vaccinare contro l’influenza A».«L’introduzione del vaccino per via aerea, che ripercorre meglio la via naturale di molte infezioni, potrebbe portare allo sviluppo dell’immunità al portale d’ingresso, e potrebbe anche indurre una difesa più generalizzata», sostengono i ricercatori. Recenti studi avrebbero inoltre rilevato che il metodo ottimale di vaccinazione sarebbe quello effettuato per aerosol attraverso il naso, sistema «che è considerato migliore per le popolazioni pediatrica e geriatrica». E il litio riasciato dagli aerei? «Non è un farmaco che dovrebbe essere spruzzato nell’atmosfera perché, ribadiamo, medici e scienziati non sanno realmente quali dosi siano efficaci e quali siano eccessive», scrive “Natural News”. Lo stesso Rowland, nella sua conversazione registrata, ha promesso di rispondere alle domande specifiche che dovesse ricevere via email. Ha anche detto che l’agenzia spaziale accoglie con favore queste richieste provenienti da cittadini comuni, visto che informare la gente è una delle missioni fondamentali della Nasa. «Se questo è vero, allora perché gli altri funzionari governativi che lavorano presso agenzie-chiave hanno obbligo di silenzio sulle discussioni riguardanti le scie chimiche?».Se non siete ancora pronti per credere che il governo americano sia capace di spargere litio attraverso le scie chimiche, conclude “Natural News”, basta prendere in esame un documento pubblico, classificato “Codice 840 Rmmo”, prodotto dal “Range and Mission Management Office” della base di Wallops. Un documento che «dovrebbe mettere a tacere ogni vostro dubbio», perché «definisce espressamente, in una dichiarazione di missione del 2013, che lo “scopo” del lancio è “testare i metodi di caricamento dei fusti di litio” da trasportare in missioni successive”». Si parla di “rapporto positivo dalla piattaforma ottica aerea delle immagini video e delle nuvole di litio visibili anche tramite osservazione da terra”. Tutto chiaro? «Il governo degli Stati Uniti ha trattato gli americani come cavie nel passato; sarebbe semplicemente ingenuo pensare che questa prassi sia stata interrotta».
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Re: Dove va l'America?
http://www.beppegrillo.it/2016/10/putin ... parsi.html
Attenzione, lo scontro tra la Russia e gli Stati Uniti ha raggiunto il livello di guardia. Quella in corso è di fatto già una guerra, indiretta, combattuta per interposta persona, dunque tramite Assad da una parte e i fondamentalisti islamici dall’altra. L’Isis, come sappiamo, è solo un pretesto: se volessero distruggerelo davvero ci sarebbero già riusciti. Ma c’è dell’altro: Washington è determinata a piegare la resistenza di Putin in Siria e a più ampio raggio anche a Mosca. Il vero obiettivo della Casa Bianca è proprio il capo del Cremlino, che è considerato come il maggiore ostacolo al disegno di dominio euroasiatico. “He must go”, ripetono a Washington.
Putin lo sa e per questo resiste in Siria. Vuole dimostrare al mondo di saper tener testa alla Casa Bianca e di saper rispettare le alleanze anche fuori dai confini. Combatte per Assad ma anche, forse soprattutto, per se stesso: per non essere costretto a cedere a Mosca. Leggete attentamente la dichiarazione diramata ieri dal Cremlino:
Putin chiede che gli Stati Uniti abbandonino «la politica ostile» nei confronti della Federazione Russa, intendendo con questo: l’abolizione della cosiddetta Legge Magnitskij (sanzioni decise a Washington contro i protagonisti del caso dell’avvocato Serghej Magnitskij, morto in carcere a Mosca nel 2009) e delle sanzioni imposte per il ruolo assunto dai russi nella crisi ucraina ; e la «compensazione dei danni subìti dalla Federazione Russa come conseguenza delle sanzioni». Tutto questo, ha commentato il ministero degli Esteri russo, è un monito rivolto all’America, che «non può trattare la Russia da una posizione di forza».
Mosca, è scritto nella dichiarazione, è pronta a riprendere l’implementazione delle intese nucleari se Washington «eliminerà completamente le ragioni dello squilibrio politico, militare ed economico nel mondo. I passi che la Russia è stata costretta a compiere non intendono peggiorare le relazioni con gli Stati Uniti. Vogliamo che Washington capisca che non puoi con una mano introdurre sanzioni contro di noi, relativamente indolori per gli americani, e con l’altra mano continuare a cooperare nei settori in cui fa comodo. L’amministrazione Obama ha fatto di tutto per distruggere l’atmosfera di fiducia che avrebbe incoraggiato la cooperazione».
Mosca delinea con straordinaria chiarezza la propria posizione, dice a Washington che è finito il tempo dei distinguo diplomatici e che non accetterà il doppio linguaggio di Washington. O la pace è globale e totale o non se ne fa nulla.
La crisi è giunta a un punto molto critico. C’è da preoccuparsi. E tanto.
Ciao
Paolo11
Attenzione, lo scontro tra la Russia e gli Stati Uniti ha raggiunto il livello di guardia. Quella in corso è di fatto già una guerra, indiretta, combattuta per interposta persona, dunque tramite Assad da una parte e i fondamentalisti islamici dall’altra. L’Isis, come sappiamo, è solo un pretesto: se volessero distruggerelo davvero ci sarebbero già riusciti. Ma c’è dell’altro: Washington è determinata a piegare la resistenza di Putin in Siria e a più ampio raggio anche a Mosca. Il vero obiettivo della Casa Bianca è proprio il capo del Cremlino, che è considerato come il maggiore ostacolo al disegno di dominio euroasiatico. “He must go”, ripetono a Washington.
Putin lo sa e per questo resiste in Siria. Vuole dimostrare al mondo di saper tener testa alla Casa Bianca e di saper rispettare le alleanze anche fuori dai confini. Combatte per Assad ma anche, forse soprattutto, per se stesso: per non essere costretto a cedere a Mosca. Leggete attentamente la dichiarazione diramata ieri dal Cremlino:
Putin chiede che gli Stati Uniti abbandonino «la politica ostile» nei confronti della Federazione Russa, intendendo con questo: l’abolizione della cosiddetta Legge Magnitskij (sanzioni decise a Washington contro i protagonisti del caso dell’avvocato Serghej Magnitskij, morto in carcere a Mosca nel 2009) e delle sanzioni imposte per il ruolo assunto dai russi nella crisi ucraina ; e la «compensazione dei danni subìti dalla Federazione Russa come conseguenza delle sanzioni». Tutto questo, ha commentato il ministero degli Esteri russo, è un monito rivolto all’America, che «non può trattare la Russia da una posizione di forza».
Mosca, è scritto nella dichiarazione, è pronta a riprendere l’implementazione delle intese nucleari se Washington «eliminerà completamente le ragioni dello squilibrio politico, militare ed economico nel mondo. I passi che la Russia è stata costretta a compiere non intendono peggiorare le relazioni con gli Stati Uniti. Vogliamo che Washington capisca che non puoi con una mano introdurre sanzioni contro di noi, relativamente indolori per gli americani, e con l’altra mano continuare a cooperare nei settori in cui fa comodo. L’amministrazione Obama ha fatto di tutto per distruggere l’atmosfera di fiducia che avrebbe incoraggiato la cooperazione».
Mosca delinea con straordinaria chiarezza la propria posizione, dice a Washington che è finito il tempo dei distinguo diplomatici e che non accetterà il doppio linguaggio di Washington. O la pace è globale e totale o non se ne fa nulla.
La crisi è giunta a un punto molto critico. C’è da preoccuparsi. E tanto.
Ciao
Paolo11
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