La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
ESCLUSIVO
Tisa, l'Europa vuole liberalizzazioni selvagge: ecco i nuovi documenti di WikiLeaks
Nuovi dettagli sull'accordo commerciale segreto in corso di trattativa che, a differenza del Ttip, sta procedendo spedito. E da cui emerge come la Commissione Ue prema per una deregulation totale nei servizi
DI STEFANIA MAURIZI
14 ottobre 2016
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Tisa, l'Europa vuole liberalizzazioni selvagge: ecco i nuovi documenti di WikiLeaks
Proteste in Svizzera contro l'accordo Tisa
E' un accordo commerciale di cui si parla poco, eppure condizionerà la vita di milioni di lavoratori e cittadini, perché liberalizzerà in modo ancora più spinto i servizi fondamentali per la nostra vita di tutti i giorni: banche e finanza, commercio elettronico, rifiuti, trasporti, telecomunicazioni, poste e servizi professionali di ogni tipo.
Praticamente non esiste settore che non verrà investito da questo trattato, il Tisa (Trade in Services Agreement) ed è stato negoziato per oltre due anni in segreto a Ginevra, con il divieto di rivelare i testi dell'accordo: dovevano rimanere completamente riservati fino a cinque dopo l'approvazione.
Ma da quando, due anni fa, WikiLeaks lo ha messo per la prima volta sullo schermo radar dell'opinione pubblica, il Tisa ha innescato critiche e preoccupazioni crescenti tra legislatori, organizzazioni per la difesa dei diritti dei lavoratori, dell'ambiente e della privacy.
Oggi l'Espresso è in grado di rivelare nuovi testi in corso di negoziazione, grazie a WikiLeaks che li pubblica in esclusiva con il nostro giornale e con un team di media internazionali . Tre sono i file resi noti dall'organizzazione di Julian Assange: il capitolo sui servizi finanziari, quello sulla localizzazione dei fornitori, e infine il documento che più farà discutere: le richieste dell'Unione Europea a sedici nazioni parte del Tisa di aprire i loro mercati dei servizi. Si tratta di una lunga lista di richieste specifiche, paese per paese, che rivela quanto sia radicale il programma di liberalizzazioni a cui punta l'Europa. Ma andiamo per ordine.
Riscrivere le regole imbavagliando i governi
Il "Trade in Services Agreement" è uno degli accordi commerciali che ridisegnerà le regole del mercato, limitando notevolmente le possibilità dei governi locali di intervenire a protezione dei loro dei servizi. A negoziarlo a Ginevra, nelle segrete stanze della diplomazia, sono ventitré soggetti: Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, i ventotto paesi dell'Unione Europea, Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica. L'Italia partecipa alle negoziazioni tramite la Commissione europea, che tratta per tutti i ventotto paesi dell'Unione. E gli interessi in gioco sono importanti perché, radunando intorno al tavolo delle trattative queste ventitré nazioni, il Tisa arriva a coprire il 70 percento del mercato mondiale dei servizi: il cuore dell'economia dei paesi sviluppati.
I documenti rivelati oggi da WikiLeaks rappresentano le versioni più recenti dei testi in discussione, che non sono però definitivi, essendo l'accordo in corso di negoziazione. Il capitolo sui servizi finanziari, ad esempio, risale al giugno scorso e conferma l'amplissimo programma di liberalizzazioni nel settore dei prodotti finanziari già emerso due anni fa , un programma che, secondo la professoressa Jane Kelsey della facoltà di legge dell'università di Auckland in Nuova Zelanda, studiosa della globalizzazione, «acuisce i rischi di instabilità finanziaria e va a bloccare la capacità dei governi di rispondere alla crisi locale e globale proprio in un periodo in cui tutti – ad eccezione della finanza e dei suoi alleati nel mondo politico - concordano che avremmo bisogno di più regole nel settore finanziario, invece che di meno». Ma il documento più rilevante è quello che contiene le richieste dell'Unione Europea a sedici paesi membri del Tisa. Sono tutte richieste che puntano in una stessa direzione: rimuovere le regole e limitare drasticamente gli spazi di intervento che consentono ai governi locali di intervenire per proteggere i propri servizi.
Liberalizzazioni radicali
Ad Israele, ad esempio, l'Europa chiede di «rimuovere o ridurre le incertezze collegate alle politiche di protezione dell'ambiente» e addirittura di rimuovere «il diritto di negare un investimento straniero nel caso in cui questo possa mettere a rischio il mantenimento di un essenziale interesse nazionale». Per un paese ossessionato dall'interesse nazionale e dalla sicurezza come Israele, non è difficile immaginare la resistenza che incontrerà questa richiesta. Al Messico, l'Unione Europea chiede di «rimuovere le nuove limitazioni che impediscono ai governi stranieri di investire direttamente o indirettamente nelle aziende messicane delle comunicazioni e dei trasporti», di eliminare le protezioni per il settore dei servizi postali e perfino le restrizioni in tema di armi da fuoco.
Al Pakistan viene richiesto, tra le altre cose, di azzerare le incertezze che le politiche di protezione dei piccoli e medi fornitori di servizi informatici possono creare alle aziende straniere che investono, di aprire il mercato dei servizi del settore radio e tv, incluso quello della televisione via cavo, e di non ostacolare il trasferimento dei dati personali delle transazioni finanziarie, una richiesta quest'ultima fatta anche agli altri paesi (dalla Turchia a Mauritius) e che lascia pochi dubbi sul fatto che, nonostante le grandi dichiarazioni pubbliche in materia di privacy, alla prova dei fatti la Commissione europea tratta i dati personali come uno strumento fondamentale nel business della fornitura dei servizi, in modo del tutto analogo a quanto hanno sempre dichiarato i grandi lobbisti americani che spingono per il Tisa (la Coalition of Services Industries) e che vedono qualsiasi barriera alla circolazione dei dati personali come un ostacolo alla libertà del mercato, visto che nell'economia del 21esimo secolo sempre più servizi vengono forniti per via elettronica.
Non è difficile immaginare l'impatto di queste richieste sui lavoratori e sui cittadini dei paesi membri del Tisa: nel caso della Turchia, per esempio, l'Unione Europea chiede di «rimuovere le restrizioni numeriche per hotel e ristoranti (solo una frazione che va dal 10 al 20 percento dei dipendenti può essere straniera)», mentre a Mauritius, una piccola isola che vive di turismo ed ha una forza lavoro relativamente istruita, si chiede di ridurre «la soglia di professionisti locali nei servizi di implementazione del software» e di aprire il mercato dei servizi legati alle operazioni aeroportuali e alla riparazione degli aerei: due misure che, se verranno accettate, avranno pesanti ripercussioni per i lavoratori locali. Nel caso del Cile, invece, l'Europa si spinge a chiedere di rimuovere le barriere che impediscono ai professionisti stranieri che non abbiano completato l'intero corso di studi per la laurea in legge in Cile di poter esercitare comunque la professione nel paese, esponendo dunque i cittadini al rischio di ritrovarsi rappresentati da avvocati stranieri che non conoscono sufficientemente a fondo il diritto cileno. Al Costa Rica, infine, si chiede di togliere le restrizioni nel settore dei supermercati - una misura inevitabilmente destinata ad aprire la strada ai grandi gruppi come Walmart, Carrefour, Tesco - e di liberalizzare servizi basilari come quello delle fognature, richiesta che fa temere il rischio di un'ondata di liberalizzazioni di servizi pubblici fondamentali come quelli legati all'ambiente o all'acqua.
L'allarme dei sindacati
Le rivelazioni di WikiLeaks sulle richieste europee ai membri del Tisa hanno innescato immediatamente la reazione delle organizzazioni che difendono i diritti dei lavoratori. "Public Services International", una federazione globale di sindacati che rappresentano milioni di addetti dei servizi pubblici di 150 paesi di tutto il mondo, ha subito condannato il doppiopesismo dell'Unione Europea, che da una parte difende pubblicamente i propri servizi pubblici, ma dall'altra punta a «minare quelli dei paesi in via di sviluppo», spingendo per le liberalizzazioni in settori come l'ambiente, i rifiuti, i sistemi fognari.
L'italiana Rosa Pavanelli che ricopre la carica di segretario generale di Public Services International spiega a l'Espresso la sua preoccupazione al riguardo, mettendo in guardia dal rischio che il Tisa arrivi a investire servizi pubblici vitali per i cittadini e raccontando che al momento è difficile capire con certezza quali di questi servizi saranno esclusi dalle liberalizzazioni. «Non abbiamo ancora visto la lista delle esclusioni, c'è una generica esclusione dei servizi pubblici», dichiara a l'Espresso, «ma è una definizione talmente generica che diventa complicato capire a cosa si riferisca esattamente».
A differenza delle trattative sul trattato di libero scambio Europa-Usa (Ttip) , le trattative sul Tisa procedono in modo spedito, anche se molti sono scettici sul fatto che i ventitré paesi negoziatori riusciranno a chiudere l'accordo entro quest'anno. E tuttavia Pavanelli avverte che le rivelazioni di WikiLeaks fanno capire come anche l'Europa stia assumendo «delle posizioni estreme, che in una prima fase sembravano imputabili solamente ai negoziatori Usa», un fatto che rende evidente come ormai ci sia una convergenza di interessi da parte dei grandi player «di aprire il mercato in maniera incondizionata e selvaggia. Questi nuovi leak sulle richieste che l'Unione Europea ha avanzato sono veramente preoccupanti».
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WIKILEAKS TISA LIBERALIZZAZIONI
© Riproduzione riservata 14 ottobre 2016
Tisa, l'Europa vuole liberalizzazioni selvagge: ecco i nuovi documenti di WikiLeaks
Nuovi dettagli sull'accordo commerciale segreto in corso di trattativa che, a differenza del Ttip, sta procedendo spedito. E da cui emerge come la Commissione Ue prema per una deregulation totale nei servizi
DI STEFANIA MAURIZI
14 ottobre 2016
Tisa, l'Europa vuole liberalizzazioni selvagge: ecco i nuovi documenti di WikiLeaks
Proteste in Svizzera contro l'accordo Tisa
E' un accordo commerciale di cui si parla poco, eppure condizionerà la vita di milioni di lavoratori e cittadini, perché liberalizzerà in modo ancora più spinto i servizi fondamentali per la nostra vita di tutti i giorni: banche e finanza, commercio elettronico, rifiuti, trasporti, telecomunicazioni, poste e servizi professionali di ogni tipo.
Praticamente non esiste settore che non verrà investito da questo trattato, il Tisa (Trade in Services Agreement) ed è stato negoziato per oltre due anni in segreto a Ginevra, con il divieto di rivelare i testi dell'accordo: dovevano rimanere completamente riservati fino a cinque dopo l'approvazione.
Ma da quando, due anni fa, WikiLeaks lo ha messo per la prima volta sullo schermo radar dell'opinione pubblica, il Tisa ha innescato critiche e preoccupazioni crescenti tra legislatori, organizzazioni per la difesa dei diritti dei lavoratori, dell'ambiente e della privacy.
Oggi l'Espresso è in grado di rivelare nuovi testi in corso di negoziazione, grazie a WikiLeaks che li pubblica in esclusiva con il nostro giornale e con un team di media internazionali . Tre sono i file resi noti dall'organizzazione di Julian Assange: il capitolo sui servizi finanziari, quello sulla localizzazione dei fornitori, e infine il documento che più farà discutere: le richieste dell'Unione Europea a sedici nazioni parte del Tisa di aprire i loro mercati dei servizi. Si tratta di una lunga lista di richieste specifiche, paese per paese, che rivela quanto sia radicale il programma di liberalizzazioni a cui punta l'Europa. Ma andiamo per ordine.
Riscrivere le regole imbavagliando i governi
Il "Trade in Services Agreement" è uno degli accordi commerciali che ridisegnerà le regole del mercato, limitando notevolmente le possibilità dei governi locali di intervenire a protezione dei loro dei servizi. A negoziarlo a Ginevra, nelle segrete stanze della diplomazia, sono ventitré soggetti: Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, i ventotto paesi dell'Unione Europea, Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica. L'Italia partecipa alle negoziazioni tramite la Commissione europea, che tratta per tutti i ventotto paesi dell'Unione. E gli interessi in gioco sono importanti perché, radunando intorno al tavolo delle trattative queste ventitré nazioni, il Tisa arriva a coprire il 70 percento del mercato mondiale dei servizi: il cuore dell'economia dei paesi sviluppati.
I documenti rivelati oggi da WikiLeaks rappresentano le versioni più recenti dei testi in discussione, che non sono però definitivi, essendo l'accordo in corso di negoziazione. Il capitolo sui servizi finanziari, ad esempio, risale al giugno scorso e conferma l'amplissimo programma di liberalizzazioni nel settore dei prodotti finanziari già emerso due anni fa , un programma che, secondo la professoressa Jane Kelsey della facoltà di legge dell'università di Auckland in Nuova Zelanda, studiosa della globalizzazione, «acuisce i rischi di instabilità finanziaria e va a bloccare la capacità dei governi di rispondere alla crisi locale e globale proprio in un periodo in cui tutti – ad eccezione della finanza e dei suoi alleati nel mondo politico - concordano che avremmo bisogno di più regole nel settore finanziario, invece che di meno». Ma il documento più rilevante è quello che contiene le richieste dell'Unione Europea a sedici paesi membri del Tisa. Sono tutte richieste che puntano in una stessa direzione: rimuovere le regole e limitare drasticamente gli spazi di intervento che consentono ai governi locali di intervenire per proteggere i propri servizi.
Liberalizzazioni radicali
Ad Israele, ad esempio, l'Europa chiede di «rimuovere o ridurre le incertezze collegate alle politiche di protezione dell'ambiente» e addirittura di rimuovere «il diritto di negare un investimento straniero nel caso in cui questo possa mettere a rischio il mantenimento di un essenziale interesse nazionale». Per un paese ossessionato dall'interesse nazionale e dalla sicurezza come Israele, non è difficile immaginare la resistenza che incontrerà questa richiesta. Al Messico, l'Unione Europea chiede di «rimuovere le nuove limitazioni che impediscono ai governi stranieri di investire direttamente o indirettamente nelle aziende messicane delle comunicazioni e dei trasporti», di eliminare le protezioni per il settore dei servizi postali e perfino le restrizioni in tema di armi da fuoco.
Al Pakistan viene richiesto, tra le altre cose, di azzerare le incertezze che le politiche di protezione dei piccoli e medi fornitori di servizi informatici possono creare alle aziende straniere che investono, di aprire il mercato dei servizi del settore radio e tv, incluso quello della televisione via cavo, e di non ostacolare il trasferimento dei dati personali delle transazioni finanziarie, una richiesta quest'ultima fatta anche agli altri paesi (dalla Turchia a Mauritius) e che lascia pochi dubbi sul fatto che, nonostante le grandi dichiarazioni pubbliche in materia di privacy, alla prova dei fatti la Commissione europea tratta i dati personali come uno strumento fondamentale nel business della fornitura dei servizi, in modo del tutto analogo a quanto hanno sempre dichiarato i grandi lobbisti americani che spingono per il Tisa (la Coalition of Services Industries) e che vedono qualsiasi barriera alla circolazione dei dati personali come un ostacolo alla libertà del mercato, visto che nell'economia del 21esimo secolo sempre più servizi vengono forniti per via elettronica.
Non è difficile immaginare l'impatto di queste richieste sui lavoratori e sui cittadini dei paesi membri del Tisa: nel caso della Turchia, per esempio, l'Unione Europea chiede di «rimuovere le restrizioni numeriche per hotel e ristoranti (solo una frazione che va dal 10 al 20 percento dei dipendenti può essere straniera)», mentre a Mauritius, una piccola isola che vive di turismo ed ha una forza lavoro relativamente istruita, si chiede di ridurre «la soglia di professionisti locali nei servizi di implementazione del software» e di aprire il mercato dei servizi legati alle operazioni aeroportuali e alla riparazione degli aerei: due misure che, se verranno accettate, avranno pesanti ripercussioni per i lavoratori locali. Nel caso del Cile, invece, l'Europa si spinge a chiedere di rimuovere le barriere che impediscono ai professionisti stranieri che non abbiano completato l'intero corso di studi per la laurea in legge in Cile di poter esercitare comunque la professione nel paese, esponendo dunque i cittadini al rischio di ritrovarsi rappresentati da avvocati stranieri che non conoscono sufficientemente a fondo il diritto cileno. Al Costa Rica, infine, si chiede di togliere le restrizioni nel settore dei supermercati - una misura inevitabilmente destinata ad aprire la strada ai grandi gruppi come Walmart, Carrefour, Tesco - e di liberalizzare servizi basilari come quello delle fognature, richiesta che fa temere il rischio di un'ondata di liberalizzazioni di servizi pubblici fondamentali come quelli legati all'ambiente o all'acqua.
L'allarme dei sindacati
Le rivelazioni di WikiLeaks sulle richieste europee ai membri del Tisa hanno innescato immediatamente la reazione delle organizzazioni che difendono i diritti dei lavoratori. "Public Services International", una federazione globale di sindacati che rappresentano milioni di addetti dei servizi pubblici di 150 paesi di tutto il mondo, ha subito condannato il doppiopesismo dell'Unione Europea, che da una parte difende pubblicamente i propri servizi pubblici, ma dall'altra punta a «minare quelli dei paesi in via di sviluppo», spingendo per le liberalizzazioni in settori come l'ambiente, i rifiuti, i sistemi fognari.
L'italiana Rosa Pavanelli che ricopre la carica di segretario generale di Public Services International spiega a l'Espresso la sua preoccupazione al riguardo, mettendo in guardia dal rischio che il Tisa arrivi a investire servizi pubblici vitali per i cittadini e raccontando che al momento è difficile capire con certezza quali di questi servizi saranno esclusi dalle liberalizzazioni. «Non abbiamo ancora visto la lista delle esclusioni, c'è una generica esclusione dei servizi pubblici», dichiara a l'Espresso, «ma è una definizione talmente generica che diventa complicato capire a cosa si riferisca esattamente».
A differenza delle trattative sul trattato di libero scambio Europa-Usa (Ttip) , le trattative sul Tisa procedono in modo spedito, anche se molti sono scettici sul fatto che i ventitré paesi negoziatori riusciranno a chiudere l'accordo entro quest'anno. E tuttavia Pavanelli avverte che le rivelazioni di WikiLeaks fanno capire come anche l'Europa stia assumendo «delle posizioni estreme, che in una prima fase sembravano imputabili solamente ai negoziatori Usa», un fatto che rende evidente come ormai ci sia una convergenza di interessi da parte dei grandi player «di aprire il mercato in maniera incondizionata e selvaggia. Questi nuovi leak sulle richieste che l'Unione Europea ha avanzato sono veramente preoccupanti».
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WIKILEAKS TISA LIBERALIZZAZIONI
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Re: La crisi dell'Europa
Germania piomba nel panico:
esplosioni in impianti chimici
Esplosioni in due cittadine nell'ovest del Paese. Colpiti gli impianti chimici del gigante tedesco Basf. Numerosi i feriti
di Sergio Rame
17 minuti fa
esplosioni in impianti chimici
Esplosioni in due cittadine nell'ovest del Paese. Colpiti gli impianti chimici del gigante tedesco Basf. Numerosi i feriti
di Sergio Rame
17 minuti fa
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Re: La crisi dell'Europa
Germania, rischio nube tossica dopo due esplosioni in impianti chimici della compagnia Basf
Mondo
Le due esplosioni sono avvenute a Ludwigshafen e Lampertheim. La compagnia ha chiesto agli abitanti della prima cittadina di restare al chiuso e non aprire porte e finestre, per evitare le emissioni dell’incendio nel porto. Ci sono feriti e dispersi
di F. Q. | 17 ottobre 2016
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2
Allarme nube tossica a Ludwigshafen (tra Stoccarda e Francoforte), nella zona dove questa mattina si è verificata una delle due esplosioni in impianti chimici della compagnia Basf. L’azienda ha fatto sapere di aver sospeso le attività industriali dell’area per motivi di sicurezza. Restano in vigore le misure per l’allarme dei fumi per i cittadini che sono stati invitati a restare in casa, a chiudere porte e finestre e a spegnere gli eventuali impianti di aria condizionata e ventilazione. L’allarme si è esteso anche alla città di Mannheim, che si trova sull’altra sponda del fiume Reno.
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Stadt Ludwigshafen ✔ @ludwigshafen_de
Mehrere Anwohner in Edigheim und Pfingstweide klagen über Atemwegsreizungen. Erkundungswagen der Feuerwehr unterwegs #BASF #Explosion
13:27 - 17 Ott 2016
31 31 Retweet 5 5 Mi piace
L’altra esplosione è avvenuta a Lampertheim al porto fluviale ed è stata determinata da lavori a tubature che vengono utilizzate per il trasbordo di liquidi infiammabili e gas dalle navi agli stabilimenti di produzione. Ci sono feriti e dispersi, ma non è stato precisato il numero. Qui si trova un impianto di additivi plastici e l’esplosione, causata da un filtro e avvenuta intorno alle 8.30, non avrebbe invece causato allarme ambientale. Secondo Basf, quattro lavoratori sono rimasti feriti e sono stati portati in ospedale.
PER VIDEO, VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10 ... f/3103683/
Mondo
Le due esplosioni sono avvenute a Ludwigshafen e Lampertheim. La compagnia ha chiesto agli abitanti della prima cittadina di restare al chiuso e non aprire porte e finestre, per evitare le emissioni dell’incendio nel porto. Ci sono feriti e dispersi
di F. Q. | 17 ottobre 2016
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Allarme nube tossica a Ludwigshafen (tra Stoccarda e Francoforte), nella zona dove questa mattina si è verificata una delle due esplosioni in impianti chimici della compagnia Basf. L’azienda ha fatto sapere di aver sospeso le attività industriali dell’area per motivi di sicurezza. Restano in vigore le misure per l’allarme dei fumi per i cittadini che sono stati invitati a restare in casa, a chiudere porte e finestre e a spegnere gli eventuali impianti di aria condizionata e ventilazione. L’allarme si è esteso anche alla città di Mannheim, che si trova sull’altra sponda del fiume Reno.
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L’altra esplosione è avvenuta a Lampertheim al porto fluviale ed è stata determinata da lavori a tubature che vengono utilizzate per il trasbordo di liquidi infiammabili e gas dalle navi agli stabilimenti di produzione. Ci sono feriti e dispersi, ma non è stato precisato il numero. Qui si trova un impianto di additivi plastici e l’esplosione, causata da un filtro e avvenuta intorno alle 8.30, non avrebbe invece causato allarme ambientale. Secondo Basf, quattro lavoratori sono rimasti feriti e sono stati portati in ospedale.
PER VIDEO, VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10 ... f/3103683/
Ultima modifica di UncleTom il 17/10/2016, 14:56, modificato 1 volta in totale.
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Re: La crisi dell'Europa
UncleTom ha scritto:Germania piomba nel panico:
esplosioni in impianti chimici
Esplosioni in due cittadine nell'ovest del Paese. Colpiti gli impianti chimici del gigante tedesco Basf. Numerosi i feriti
di Sergio Rame
17 minuti fa
La Germania piomba nel panico: esplosioni in impianti chimici
Esplosioni in due cittadine nell'ovest del Paese. Colpiti gli impianti chimici del gigante tedesco Basf. Numerosi i feriti
Sergio Rame - Lun, 17/10/2016 - 14:19
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Due differenti esplosioni, una dopo l'altra, hanno colpito due impianti chimici del gigante tedesco Basf. In due città distanti a una trentina di chilometri l'una dall'altra, Lampertheim e Ludwigshafen (guarda il video), nell'ovest della Germania, si sono alzate in cielo colonne di fiamme e fumo nero.
video
Scoppio all'impianto a Ludwigshafen
video
Impianto di Ludwigshafen in fiamme
gallery
Le esplosioni agli impianti chimici
Diverse persone sono rimaste ferite. E in tutto il Paese è piombata il terrore di un attacco terroristico.
Un boato dietro l'altro, le fiamme che divorano gli stabilimenti e il terrore di un'intossicazione chimica. La Germania trema davanti alle indagini che arrivano dagli impianti della Basf. E, mentre la popolazione viene invitata a "evitare di gli spazi aperti e di lasciare chiuse porte e finestre delle abitazioni", si sparge il timore di un attacco terroristico. In mattinata, poche ore prima, a Lipsia era infatti circolato un altro allarme per nove scuole che sarebbero state sotto tiro degli estremisti. Un allarme che poi si è rivelato infondato. A Lampertheim e Ludwigshafen, invece, le esplosioni sono vere e drammatiche (guarda la gallery). Anche perché fanno subito temere emissioni di agenti chimici pericolosi nell'aria.
Germania, esplosioni in due impianti chimici
Pubblica sul tuo sito
Nell'impianto di additivi per materie plastiche di Lampertheim è esploso un filtro, mentre Ludwigshafen l'esplosione è avvenuta nel porto nord, dove l'impianto lavora gas e petrolio. Dopo questa seconda esplosione si è levata una densa nube di fumo e sul posto sono giunte diverse squadre dei vigili del fuoco. Nel primo incidente sono rimasti feriti quattro dipendenti della Basf che sono stati immediatamente trasportati in ospedali. Il secondo incidente, invece, ha causato "vari" feriti. Tutte le attività nei centri industriali coinvolti sono state sospese.
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Re: La crisi dell'Europa
PAURA A SUD DI FRANCOFORTE
Germania, esplodono due impianti chimici: diversi dispersi e feriti
Paura in Germania per l’esplosione di due impianti della Basf, situati a una trentina di chilometri l’uno dall’altro. I residenti invitati a restare in casa con porte e finestre chiuse. La polizia esclude che si sia trattato di terrorismo
di Raffaella Cagnazzo
http://www.corriere.it/esteri/16_ottobr ... 1681.shtml
Germania, esplodono due impianti chimici: diversi dispersi e feriti
Paura in Germania per l’esplosione di due impianti della Basf, situati a una trentina di chilometri l’uno dall’altro. I residenti invitati a restare in casa con porte e finestre chiuse. La polizia esclude che si sia trattato di terrorismo
di Raffaella Cagnazzo
http://www.corriere.it/esteri/16_ottobr ... 1681.shtml
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Re: La crisi dell'Europa
LIBRE news
Stress test, la Bce imbroglia per salvare Deutsche Bank
Scritto il 22/10/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
È l’ultimo scandalo emerso sul caso Deutsche Bank. Il “Financial Times” scrive che «al maggiore istituto di credito tedesco è stato permesso di imbrogliare – ops, scusate! – che gli è stato riservato un “trattamento speciale” da parte della Bce durante gli stress test di luglio», riporta “Zero Hedge”. Nei risultati di questi stress test, che promettevano di “ripristinare la fiducia nelle banche europee tramite una valutazione uguale e omogenea della situazione finanziaria di ciascuna banca”, i risultati per Deutsche Bank sono stati gonfiati da una “concessione speciale” accordata da Mario Draghi: i risultati di Deutsche Bank includevano i 4 miliardi di profitti dovuti alla vendita delle azioni dell’istituto di credito cinese Hua Xia, nonostante l’accordo non fosse ancora concluso alla fine del 2015, cioè la data limite di inclusione delle transazioni in questi stress test. Sebbene l’accordo con Hua Xia fosse stato concordato nel dicembre 2015, non è ancora stato completato e sarà probabilmente ritardato ulteriormente dopo aver mancato la scadenza regolamentare dello scorso mese. Ciononostante, la banca tedesca è ancora fiduciosa che l’accordo si concluda entro l’anno in corso.Come osserva il “Financial Times”, il trattamento “Hua Xia” è stato rivelato in una nota a pie’ di pagina nei risultati degli stress test per Deutsche Bank, e aggiunge che «nessuna delle altre 50 banche sottoposte a stress test ha simili note riportate, sebbene molte avessero accordi decisi ma non ancora completati alla fine del 2015», continua “Zero Hedge”, in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Come mostrato dallo stress test condotto in estate dalla banca centrale, il patrimonio di classe 1 di Deutsche Bank (la componente primaria del capitale bancario) crolla al 7,8% dopo essere stato «soggetto allo stress test del peggiore dei casi, considerando multe, bassi tassi di interesse e bassa crescita economica». Tuttavia, senza l’aiuto speciale dato da Hua Xia, il rapporto sarebbe sceso ulteriormente al 7,4%, un livello comunque superiore al minimo regolamentare. Perché dunque questo trattamento? «Perché pubblicare risultati migliori aiuta a rassicurare gli investitori, che stanno diventando sempre più nervosi sull’adeguatezza del capitale bancario».Ma altre banche non sono state così fortunate, prosegue “Zero Hedge”: l’istituto di credito spagnolo Caixabank ha completato una vendita di asset esteri per 2,65 miliardi di dollari verso la sua società madre, Criteria Holding, a marzo, ma comunque non gli è stato permesso di includere l’impatto di questa vendita nei propri risultati degli stress test effettuati in estate. Il trattamento speciale verso Deutsche Bank ha provocato sollevamenti di sopracciglia tra gli analisti del mercato: «Questo trattamento desta perplessità», afferma Chris Wheeler, analista all’Atlantic Equities. «Questa circostanza implica che gli osservatori dei mercati saranno inevitabilmente sospettosi e avranno dei dubbi sulla veracità dei risultati». Nicolas Véron di Bruegel, il think-tank con sede a Bruxelles, ha detto che è importante che sia la Bce che l’autorità bancaria europea che ha supervisionato i test, «spieghino e difendano le proprie scelte metodologiche», specialmente date le preoccupazioni del mercato verso Deutsche Bank. «Le metodologie degli stress test dovrebbero essere applicate uniformemente e senza alcun trattamento speciale: questo ovviamente vale anche per le banche di importanza sistemica, come Deutsche Bank».L’unico commento rilasciato dalla Bce al “Financial Times” è che la banca centrale «tratta tutte le banche nello stesso modo, in accordo col proprio regolamento», sebbene da questo tentativo di mettere una pezza al bilancio patrimoniale di Deutsche Bank sia apparso che non è affatto così. La Bce non commenta su Deutsche Bank nello specifico. E l’Autorità Bancaria Europea ha detto che ci sono stati oltre 20 casi “una tantum” approvati negli stress test. «Queste eccezioni sono pensate per evitare ovvie anomalie nelle previsioni degli stress test, se gli eventi si sono già svolti nel 2015», ha dichiarato. Secondo il “Financial Times”, altre eccezioni sono state rivelate citando una clausola nella metodologia che permette alcune limitate concessioni sulle “spese amministrative, i profitti o le perdite dovute alle operazioni discontinue e altre operazioni di spesa”. Come risultato del report, le azioni di Deutsche Bank, che prima erano crollate di -3% nel giorno dopo il fine settimana in cui è stato rilasciato il report che mostrava che le trattative dell’istituto di credito tedesco non erano riuscite, sono rimbalzate e tornate quasi immutate nel giorno in cui i trader hanno letto che la Bce avrebbe violato le proprie regole per permettere a Deutsche Bank di mantenersi stabile.
Stress test, la Bce imbroglia per salvare Deutsche Bank
Scritto il 22/10/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
È l’ultimo scandalo emerso sul caso Deutsche Bank. Il “Financial Times” scrive che «al maggiore istituto di credito tedesco è stato permesso di imbrogliare – ops, scusate! – che gli è stato riservato un “trattamento speciale” da parte della Bce durante gli stress test di luglio», riporta “Zero Hedge”. Nei risultati di questi stress test, che promettevano di “ripristinare la fiducia nelle banche europee tramite una valutazione uguale e omogenea della situazione finanziaria di ciascuna banca”, i risultati per Deutsche Bank sono stati gonfiati da una “concessione speciale” accordata da Mario Draghi: i risultati di Deutsche Bank includevano i 4 miliardi di profitti dovuti alla vendita delle azioni dell’istituto di credito cinese Hua Xia, nonostante l’accordo non fosse ancora concluso alla fine del 2015, cioè la data limite di inclusione delle transazioni in questi stress test. Sebbene l’accordo con Hua Xia fosse stato concordato nel dicembre 2015, non è ancora stato completato e sarà probabilmente ritardato ulteriormente dopo aver mancato la scadenza regolamentare dello scorso mese. Ciononostante, la banca tedesca è ancora fiduciosa che l’accordo si concluda entro l’anno in corso.Come osserva il “Financial Times”, il trattamento “Hua Xia” è stato rivelato in una nota a pie’ di pagina nei risultati degli stress test per Deutsche Bank, e aggiunge che «nessuna delle altre 50 banche sottoposte a stress test ha simili note riportate, sebbene molte avessero accordi decisi ma non ancora completati alla fine del 2015», continua “Zero Hedge”, in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Come mostrato dallo stress test condotto in estate dalla banca centrale, il patrimonio di classe 1 di Deutsche Bank (la componente primaria del capitale bancario) crolla al 7,8% dopo essere stato «soggetto allo stress test del peggiore dei casi, considerando multe, bassi tassi di interesse e bassa crescita economica». Tuttavia, senza l’aiuto speciale dato da Hua Xia, il rapporto sarebbe sceso ulteriormente al 7,4%, un livello comunque superiore al minimo regolamentare. Perché dunque questo trattamento? «Perché pubblicare risultati migliori aiuta a rassicurare gli investitori, che stanno diventando sempre più nervosi sull’adeguatezza del capitale bancario».Ma altre banche non sono state così fortunate, prosegue “Zero Hedge”: l’istituto di credito spagnolo Caixabank ha completato una vendita di asset esteri per 2,65 miliardi di dollari verso la sua società madre, Criteria Holding, a marzo, ma comunque non gli è stato permesso di includere l’impatto di questa vendita nei propri risultati degli stress test effettuati in estate. Il trattamento speciale verso Deutsche Bank ha provocato sollevamenti di sopracciglia tra gli analisti del mercato: «Questo trattamento desta perplessità», afferma Chris Wheeler, analista all’Atlantic Equities. «Questa circostanza implica che gli osservatori dei mercati saranno inevitabilmente sospettosi e avranno dei dubbi sulla veracità dei risultati». Nicolas Véron di Bruegel, il think-tank con sede a Bruxelles, ha detto che è importante che sia la Bce che l’autorità bancaria europea che ha supervisionato i test, «spieghino e difendano le proprie scelte metodologiche», specialmente date le preoccupazioni del mercato verso Deutsche Bank. «Le metodologie degli stress test dovrebbero essere applicate uniformemente e senza alcun trattamento speciale: questo ovviamente vale anche per le banche di importanza sistemica, come Deutsche Bank».L’unico commento rilasciato dalla Bce al “Financial Times” è che la banca centrale «tratta tutte le banche nello stesso modo, in accordo col proprio regolamento», sebbene da questo tentativo di mettere una pezza al bilancio patrimoniale di Deutsche Bank sia apparso che non è affatto così. La Bce non commenta su Deutsche Bank nello specifico. E l’Autorità Bancaria Europea ha detto che ci sono stati oltre 20 casi “una tantum” approvati negli stress test. «Queste eccezioni sono pensate per evitare ovvie anomalie nelle previsioni degli stress test, se gli eventi si sono già svolti nel 2015», ha dichiarato. Secondo il “Financial Times”, altre eccezioni sono state rivelate citando una clausola nella metodologia che permette alcune limitate concessioni sulle “spese amministrative, i profitti o le perdite dovute alle operazioni discontinue e altre operazioni di spesa”. Come risultato del report, le azioni di Deutsche Bank, che prima erano crollate di -3% nel giorno dopo il fine settimana in cui è stato rilasciato il report che mostrava che le trattative dell’istituto di credito tedesco non erano riuscite, sono rimbalzate e tornate quasi immutate nel giorno in cui i trader hanno letto che la Bce avrebbe violato le proprie regole per permettere a Deutsche Bank di mantenersi stabile.
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Re: La crisi dell'Europa
L'EUROPA DELLA MERKELLONA NON ESISTE PER QUESTE COSE
Albania, viaggio al centro del narcotraffico
Piantagioni ovunque, cecchini a difesa della droga, economia di intere regioni retta dalla marijuana
accuse di collusione a governo e polizia. E la mafia locale che ormai tratta alla pari con i clan italiani
albania-pp
Mondo
INCHIESTA – Dal Paese delle aquile al Salento lungo la via dell’erba, che movimenta l’economia di interi distretti sull’altra sponda dell’Adriatico. Cecchini, piantagioni ovunque, trattative al ribasso e accuse di collusione contro polizia e governo. “Solo chiacchiere, qui distruggiamo tutto, ma l’Ue ci aiuti” dice il ministro degli Interni a ilfattoquotidiano.it. Nel frattempo la mafia locale si è messa alla pari con le organizzazioni italiane. La conferma? Il Salento è il loro deposito di Tiziana Colluto
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Re: La crisi dell'Europa
Corriere 22.10.16
Spagna, lo stallo di Podemos «errore storico»
Lo chiamano già un «errore storico». Probabilmente l’aggettivo è un po’ forzato. Ma rende l’idea. Podemos sembra aver perso la sua spinta propulsiva. Così la pensa José Ignacio Torreblanca che scrive sul País. Il partito che ha eroso i consensi, soprattutto ai socialisti, non ha ancora saputo passare dalla fase della protesta a quella della proposta. Sempre sulle barricate, mai, quasi mai attorno ad un tavolo per cercare il dialogo. Il risultato? Lo stallo politico-istituzionale che sta attraversando la Spagna.
Spagna, lo stallo di Podemos «errore storico»
Lo chiamano già un «errore storico». Probabilmente l’aggettivo è un po’ forzato. Ma rende l’idea. Podemos sembra aver perso la sua spinta propulsiva. Così la pensa José Ignacio Torreblanca che scrive sul País. Il partito che ha eroso i consensi, soprattutto ai socialisti, non ha ancora saputo passare dalla fase della protesta a quella della proposta. Sempre sulle barricate, mai, quasi mai attorno ad un tavolo per cercare il dialogo. Il risultato? Lo stallo politico-istituzionale che sta attraversando la Spagna.
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Re: La crisi dell'Europa
Corriere 22.10.16
Hollande, quello che un presidente non dovrebbe mai dire
di Stefano Montefiori
L’uomo che non sa scegliere si sta avvicinando al liberatorio momento in cui gli altri decideranno per lui. La situazione politica di François Hollande non è mai stata peggiore: sempre in fondo ai sondaggi, abbandonato dai sostenitori ma adesso anche dai suoi amici e collaboratori più stretti, che per la prima volta gli stanno chiedendo di non ricandidarsi. All’Assemblea gira in queste ore un documento con il quale la maggioranza socialista potrebbe invitarlo a farsi da parte. In quattro anni e mezzo i suoi uomini gli hanno perdonato tutto: gaffe, temporeggiamenti, marce indietro, ma non il libro-confessione affidato a due giornalisti di Le Monde , Gérard Davet e Fabrice Lhomme, che lo hanno incontrato per circa 100 ore di colloqui. «Un presidente non dovrebbe dire questo...», ammise una volta Hollande in un lampo di consapevolezza. Ma poi ha continuato ad affidare al libro il suo vero pensiero — opposto a quello spacciato per anni — su tutto. Sui magistrati bollati come «vigliacchi»; sull’Islam, con il quale «abbiamo un problema»; sui calciatori della Nazionale, che dovrebbero fare «ginnastica del cervello»; su Obama «lento nel prendere le decisioni», fino a Julie Gayet, che terrebbe a regolarizzare la relazione «ma io non voglio». Hollande arriva a raccontare di avere ordinato quattro omicidi mirati di terroristi, mettendo in imbarazzo i servizi segreti. Sembrano le memorie scritte per i posteri da un ex capo di Stato, ma Hollande è ancora all’Eliseo. Lo stesso premier Valls stupefatto parla di «suicidio politico». Il libro di Hollande ricorda lo scandalo del Sofitel di Dominique Strauss-Kahn: il gesto insensato di un uomo che non ha mai voluto fino in fondo essere presidente. Per non correre il rischio (pur minimo) di essere rieletto, Hollande ora ricorre all’autosabotaggio.
Hollande, quello che un presidente non dovrebbe mai dire
di Stefano Montefiori
L’uomo che non sa scegliere si sta avvicinando al liberatorio momento in cui gli altri decideranno per lui. La situazione politica di François Hollande non è mai stata peggiore: sempre in fondo ai sondaggi, abbandonato dai sostenitori ma adesso anche dai suoi amici e collaboratori più stretti, che per la prima volta gli stanno chiedendo di non ricandidarsi. All’Assemblea gira in queste ore un documento con il quale la maggioranza socialista potrebbe invitarlo a farsi da parte. In quattro anni e mezzo i suoi uomini gli hanno perdonato tutto: gaffe, temporeggiamenti, marce indietro, ma non il libro-confessione affidato a due giornalisti di Le Monde , Gérard Davet e Fabrice Lhomme, che lo hanno incontrato per circa 100 ore di colloqui. «Un presidente non dovrebbe dire questo...», ammise una volta Hollande in un lampo di consapevolezza. Ma poi ha continuato ad affidare al libro il suo vero pensiero — opposto a quello spacciato per anni — su tutto. Sui magistrati bollati come «vigliacchi»; sull’Islam, con il quale «abbiamo un problema»; sui calciatori della Nazionale, che dovrebbero fare «ginnastica del cervello»; su Obama «lento nel prendere le decisioni», fino a Julie Gayet, che terrebbe a regolarizzare la relazione «ma io non voglio». Hollande arriva a raccontare di avere ordinato quattro omicidi mirati di terroristi, mettendo in imbarazzo i servizi segreti. Sembrano le memorie scritte per i posteri da un ex capo di Stato, ma Hollande è ancora all’Eliseo. Lo stesso premier Valls stupefatto parla di «suicidio politico». Il libro di Hollande ricorda lo scandalo del Sofitel di Dominique Strauss-Kahn: il gesto insensato di un uomo che non ha mai voluto fino in fondo essere presidente. Per non correre il rischio (pur minimo) di essere rieletto, Hollande ora ricorre all’autosabotaggio.
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Re: La crisi dell'Europa
ECONOMIA
Yanis Varoufakis ti spiega perché l'Europa ha fatto flop
L'ex ministro greco torna sulle scene e nel suo ultimo libro spiega il perché del fallimento della valuta unica. Partendo da Bretton Woods e facendo nomi e cognomi dei responsabili
DI ALESSANDRO GILIOLI
27 ottobre 2016
5
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Da quando non è più ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis si è preso diverse amare soddisfazioni. La prima è quella di aver visto confermare le sue previsioni sulla Grecia: la sottomissione di Tsipras alla Troika, avvenuta un anno e mezzo fa, non ha fatto che peggiorare le condizioni di vita dei cittadini, fino al nuovo taglio delle pensioni e al rischio di una crisi immobiliare nei prossimi mesi, con migliaia di senzatetto.
Ma più in generale Varoufakis aveva messo in guardia dal possibile processo di dissoluzione della Ue, denunciando gli effetti delle regole di Bruxelles e dell’architettura della sua moneta. Lasciato il governo, Varoufakis si è impegnato nella creazione di un movimento di sinistra europeo (Diem25 ) e nella stesura di un robusto saggio di geopolitica monetaria in uscita il 27 ottobre con il titolo "I deboli sono destinati a soffrire?" (La nave di Teseo, 338 pagine, 20 euro).
La tesi del libro è che gli squilibri sociali (e tra Paesi) che oggi dilaniano l’Europa hanno radici che risalgono almeno al 1971: l’anno in cui Nixon pose fine agli accordi di Bretton Woods, che dal 1944 regolavano l’ordine valutario mondiale imperniandolo sul dollaro e sulla sua convertibilità in oro.
La fine di quel sistema, scrive Varoufakis, portò i paesi europei a successivi tentativi di concatenazione tra le loro valute (il serpente monetario, lo Sme e infine l’euro) in cui finirono tuttavia per intrecciarsi errori tecnici, rigidità ideologiche e conflitti nazionali (in particolare, la competizione tra Francia e Germania).
Il risultato è il paradosso attuale: la moneta che doveva unire l’Europa l’ha invece divisa ancora di più, sia per ceti sociali all’interno di ogni Paese sia tra Stati, i cui interessi divergono e nei quali la valuta unica ha creato effetti diversi, compresa la svalutazione del lavoro come unico modo per salvare l’export non potendo più svalutare la moneta. Il saggio di Varoufakis non va alla ricerca di "poteri forti" nascosti dietro le tende, anzi fa nomi e cognomi dei politici (vivi o defunti) che secondo lui hanno causato il tracollo.
Non mancano pagine sull’Italia, in particolare sulla crisi del 2011, sulla caduta del governo Berlusconi, sul ruolo di Mario Monti e su quello successivo di Mario Draghi. Nell’appendice del saggio, le proposte politiche ed economiche dell’ex ministro, nonostante tutto un europeista convinto.
Yanis Varoufakis ti spiega perché l'Europa ha fatto flop
L'ex ministro greco torna sulle scene e nel suo ultimo libro spiega il perché del fallimento della valuta unica. Partendo da Bretton Woods e facendo nomi e cognomi dei responsabili
DI ALESSANDRO GILIOLI
27 ottobre 2016
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Da quando non è più ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis si è preso diverse amare soddisfazioni. La prima è quella di aver visto confermare le sue previsioni sulla Grecia: la sottomissione di Tsipras alla Troika, avvenuta un anno e mezzo fa, non ha fatto che peggiorare le condizioni di vita dei cittadini, fino al nuovo taglio delle pensioni e al rischio di una crisi immobiliare nei prossimi mesi, con migliaia di senzatetto.
Ma più in generale Varoufakis aveva messo in guardia dal possibile processo di dissoluzione della Ue, denunciando gli effetti delle regole di Bruxelles e dell’architettura della sua moneta. Lasciato il governo, Varoufakis si è impegnato nella creazione di un movimento di sinistra europeo (Diem25 ) e nella stesura di un robusto saggio di geopolitica monetaria in uscita il 27 ottobre con il titolo "I deboli sono destinati a soffrire?" (La nave di Teseo, 338 pagine, 20 euro).
La tesi del libro è che gli squilibri sociali (e tra Paesi) che oggi dilaniano l’Europa hanno radici che risalgono almeno al 1971: l’anno in cui Nixon pose fine agli accordi di Bretton Woods, che dal 1944 regolavano l’ordine valutario mondiale imperniandolo sul dollaro e sulla sua convertibilità in oro.
La fine di quel sistema, scrive Varoufakis, portò i paesi europei a successivi tentativi di concatenazione tra le loro valute (il serpente monetario, lo Sme e infine l’euro) in cui finirono tuttavia per intrecciarsi errori tecnici, rigidità ideologiche e conflitti nazionali (in particolare, la competizione tra Francia e Germania).
Il risultato è il paradosso attuale: la moneta che doveva unire l’Europa l’ha invece divisa ancora di più, sia per ceti sociali all’interno di ogni Paese sia tra Stati, i cui interessi divergono e nei quali la valuta unica ha creato effetti diversi, compresa la svalutazione del lavoro come unico modo per salvare l’export non potendo più svalutare la moneta. Il saggio di Varoufakis non va alla ricerca di "poteri forti" nascosti dietro le tende, anzi fa nomi e cognomi dei politici (vivi o defunti) che secondo lui hanno causato il tracollo.
Non mancano pagine sull’Italia, in particolare sulla crisi del 2011, sulla caduta del governo Berlusconi, sul ruolo di Mario Monti e su quello successivo di Mario Draghi. Nell’appendice del saggio, le proposte politiche ed economiche dell’ex ministro, nonostante tutto un europeista convinto.
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