VERSO QUALE FUTURO?

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UN PASSO DOPO L'ALTRO VERSO LA FINE


LA DEMOCRAZIA L'E' MORTA.

IL DUCE NON SI RASSEGNA.



Tutte le giravolte di Matteo
per restare premier ombra


Dopo l'addio, la retromarcia. Le contraddizioni smascherano il suo piano: controllare Palazzo Chigi

di Fabrizio Boschi

3 ore fa


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"Se perdo mollo", "Vedremo". Tutte le giravolte di Matteo per restare premier ombra

Dopo l'addio, la retromarcia. Le contraddizioni smascherano il suo piano: controllare Palazzo Chigi

Fabrizio Boschi - Sab, 10/12/2016 - 09:49
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L'ha sempre fatto e lo fa ancora. Sin dai tempi della Provincia di Firenze, quando usò tutti i suoi mezzi per fare della macchina amministrativa, la sua agenzia di pubblicità. Quando, 34enne, prese il Comune di Firenze, tradendo tutti quelli che lo avevano cresciuto politicamente sino a quel momento. E ora, quasi 42enne, già presidente del Consiglio, anche se gli italiani domenica scorsa gli hanno fatto pervenire una raccomandata senza ricevuta di ritorno nella quale scrivono «non ti sopportiamo più», non smette di fare il gradasso e di dire bugie.


Certo, la facciata è quella che abbiamo visto domenica sera, a mezzanotte e un quarto, dopo che i risultati davano già come vincente il No, di un uomo umiliato e ferito, che dice che «la poltrona che salta è la mia», che si prende «tutte le responsabilità», che dice di mantenere una promessa, la prima della sua vita: «Mi dimetto». Lo ha detto a più riprese in questo anno, beccandosi anche del bischero dai suoi, visto che proprio la personalizzazione del referendum potrebbe aver condotto alla sua sconfitta. Lo ha detto, salvo poi rimangiarsi la parola negli ultimi tempi, quando i sondaggi lo vedono già al tappeto: «Vedremo dopo il voto». Lo ha fatto davvero e domenica pomeriggio già preparava il discorsetto da pronunciare a urne chiuse. Questa è la facciata. Ma sotto c'è ancora Renzi, il capo spietato che ha ribaltato il suo addetto stampa Sensi, la madrina Boschi e il fido Lotti (che pensa già a ripartire da quel 40%, come se fosse suo), a suon di urla e improperi. Il giorno dopo il sole sorgeva ancora, ma non per lui. Sale al Quirinale e si dimette, è aperta la crisi di governo, ma da quel momento ripartono i magheggi alla Renzi per tenere le fila di un ipotetico governo con Gentiloni, di cui sarebbe lui il premier ombra. E le solite bugie in diretta tv. Anche quella di fingere di andarsene, per cercare di restare ancora fino al 2018. Dice di voler lasciare, ma pensa il contrario e studia le tattiche per riuscirci. Dice di lasciare la politica per sempre, ma poi assicura che il partito non lo molla, e già tre giorni dopo il voto si presenta, senza cravatta e senza i toni sommessi di domenica, alla direzione del Pd dicendo che «noi non abbiamo paura di niente e di nessuno».

L'ultima carta giocata dal premier dimissionario è quella di un «governo di responsabilità nazionale» che abbia il sostegno di tutti i partiti e che suona come una mossa tattica per prendere tempo.

Ecco un anno di menzogne, smentite e giravolte da gennaio 2016 quando definì la riforma costituzionale come «la madre di tutte le battaglie» fino all'altro ieri, quando paventa la possibilità di restare ancora alla guida del Paese.

29 dicembre 2015 - Conferenza stampa di fine anno: «Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica».

10 gennaio 2016 - Tg1: «Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona: io penso che si faccia politica per seguire un ideale. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità».

20 gennaio - Aula del Senato: «Ripeto qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica».

25 gennaio - Quinta Colonna: «Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se gli italiani diranno No, prendo la borsettina e torno a casa».

12 marzo - Scuola di formazione del Pd: «Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica».

20 marzo - Congresso dei Giovani Democratici: «Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più».

28 aprile - #matteorisponde: «Se il referendum vedrà sconfitto il Sì, trarrò le conseguenze. So da dove vengo e so che la politica è servizio».

2 maggio - Ansa: «La rottamazione non vale solo quando si voleva noi. Se non riesco vado a casa».

4 maggio - Rtl 102.5: «Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone».

8 maggio - Che tempo che fa: «Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica».

11 maggio - Ansa: «Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro».

21 maggio - L'Eco di Bergamo: «Se lo vinciamo, l'Italia diventerà un Paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Non resto aggrappato alla poltrona».

22 maggio - In mezz'ora: «Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via».

22 maggio - Ansa: «Io ho preso l'impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa».

21 agosto - Versiliana: «Si vota nel 2018». Comunque vada il referendum? «Sì, si vota nel 2018».

15 settembre - Festa de L'Unità di Bologna: «A casa ci vado volentieri, ma resto al governo finché ho la fiducia del Parlamento».

26 settembre - Consiglio dei ministri: «Si voterà il 4 dicembre. La partita è adesso e non tornerà. Non ci sarà un'altra occasione».

14 novembre - Rmc: «Io di restare a vivacchiare e galleggiare non sono adatto. Cosa significa? Lo vedremo il 5 dicembre. A quelli a cui sto sulle scatole dico che quello del 4 dicembre non è un voto sulla mia simpatia ma sul Paese. Vi rendete conto che c'è chi vota no per farmi un dispetto?».

17 novembre - Ansa: «Io non posso essere quello che si mette d'accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio».

20 novembre - L'Unione Sarda: «È molto semplice: se perdo il referendum, questo governo cade».

19 novembre A Matera per una manifestazione a sostegno del Sì: «In questo referendum vediamo che c'è un'accozzaglia di tutti contro una sola persona. Berlusconi e Travaglio si amavano a loro insaputa».

28 novembre - Mattino Cinque: «Qui non c'è scritto cosa pensate del governo, se è simpatico o no Renzi. Quello che accadrà dopo lo vedremo dopo».

28 novembre - Conferenza stampa con Pier Carlo Padoan: «State tranquilli. Il governo c'è sempre, politico o tecnico, super politico, iper tecnico».

30 novembre - Palaindoor di Ancona: «Non vi aspettate che io diventi come gli altri. Io non galleggerò dalla mattina alla sera, non sono quello che fa accordicchi alle spalle dei cittadini».

30 novembre - Adnkronos: «Io preferirei non ci fosse da lunedì mattina un governo tecnico, ma se gli italiani non vogliono le riforme bisogna prendere atto di questo. Io non sono come gli altri, aggrappato alla poltrona. Sto in politica se posso cambiare il Paese».

30 novembre - Matrix: «Sono un boy scout, non voglio diventare come gli altri. Il mio lavoro è per cambiare il Paese. Se vogliono un bell'inciucione se lo fanno da soli».

30 novembre - Repubblica tv: «Domenica non si vota su di me. Che ci siano delle conseguenze è un altro discorso. Ho sbagliato nell'eccesso di personalizzazione. Errare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico. Io faccio al massimo un altro giro. Se poi gli italiani dicono no, preparo i pop corn per vedere in tv i dibattiti sulla casta».

1° dicembre - Mattino Cinque: «Penso che l'Italia abbia bisogno di essere governata, accompagnata, presa per mano e portata nel futuro».

4 dicembre A Palazzo Chigi: «Ho perso e mi dimetto. Mi assumo le responsabilità della sconfitta. Il governo finisce qui. Mi sono battuto per diminuire le poltrone della politica, ma non sono stato convincente: e la poltrona che salta è la mia. Sono pronto a passare al mio successore, chiunque sia, l'elenco delle cose fatte e da fare».

6 dicembre Confidential: «Mi prendo un anno sabbatico e faccio un viaggio con Agnese. Abbandono tutto. Ma ho degli impegni nei concorsi dell'Italia e gli amici del Pd non me lo permetterebbero».

7 dicembre enews: «Non sono io a decidere ma devono essere i partiti, tutti i partiti, ad assumersi le proprie responsabilità. Il punto non è cosa vuole il presidente uscente, ma cosa proporne il Parlamento. Toccherà ai gruppi parlamentari decidere che cosa fare. Vorranno andare subito a elezioni? Nel caso si dovrà attendere la sentenza della Consulta sull'Italicum del 24 gennaio. Oppure un governo di responsabilità nazionale con una maggioranza larga fino alla fine della legislatura».

7 dicembre enews: «Io sono pronto a cedere il campanello al mio successore. Stiamo scrivendo un dettagliato report da consegnare e stiamo facendo gli scatoloni. Ora però un passo alla volta: è già tempo di rimettersi in cammino. Gli oltre 13 milioni di voti raccolti sono stati insufficienti a farci vincere».

7 dicembre Direzione del Pd: «Siamo il partito di maggioranza relativa. Dobbiamo dare una mano al presidente della Repubblica a risolvere la crisi. Noi non abbiamo paura di niente e nessuno, se gli altri vogliono andare a votare, dopo la sentenza della Consulta, lo dicano perché qui si tratta tutti di assumersi la responsabilità. Il Pd non ha paura della democrazia e dei voti».

7 dicembre Direzione del Pd: «Se i gruppi vorranno andare avanti con questa legislatura, dovranno indicare la propria disponibilità a sostenere un nuovo governo che affronti la legge elettorale ma soprattutto un 2017 molto importante a livello internazionale. Qui non ci sono scelte scodellate, si decide insieme».

8 dicembre Confidential: «Renzi bis? Solo se me lo chiedono Grillo e Salvini».
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GIORNI SEMPRE PIU’ DIFFICILI



Di carne al fuoco su cui confrontarsi, in quest’ultima settimana ce n’è a tonnellate.

Stamani, accennando alle consultazioni del Colle, un amico ha ritirato in ballo la sua ferma e netta convinzione, espressa più volte, da quando Sergio Mattarella è stato scelto come presidente della Repubblica, che faccia parte della mafia.

Quest’amico, è convinto che ogni uomo dello Stato, nato e vissuto in Sicilia sia obbligatoriamente legato alla mafia.

E’ un terreno difficile da esplorare. Mi risulta arduo pensare che un uomo dello Stato come Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992), possa essere considerato un uomo della mafia.

Altrettanto dicasi di Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992).

Di conseguenza abbiamo deciso di comune accordo di consultare il Grande Fratello Google per avere riscontri.

E il Grande Fratello riporta, tra altro:

1. Riccardo Nuti su Sergio Mattarella: "Ipocrita lodarlo per ...
http://www.huffingtonpost.it/2015/01/31 ... 84146.html
31/01/2015 • Riccardo Nuti su Sergio Mattarella: "Ipocrita lodarlo per il fratello ucciso, suo padre era vicino alla mafia" (FOTO)


1. La storia controversa dei Mattarella - opinione.it
http://www.opinione.it/politica/2015/01 ... 31-01.aspx
30/01/2015 • ... sembra non avere dubbi sulla candidatura di Sergio Mattarella al Quirinale e ... pare di capire che, nella storia dei Mattarella, la mafia e l
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Da : Il farabuttiere.it


https://www.youtube.com/watch?v=uN6lZCZ8puw




Verdini e Alfano al Colle: “Pronti al Renzi bis”
Col pensiero fisso: “Governo? Senza scadenze”
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FABIO MARCELLI SOGNA LA RIVOLUZIONE????



Post referendum, il 4 dicembre è stato solo un inizio (se continuate a ignorare il popolo sovrano)
di Fabio Marcelli | 10 dicembre 2016


Fabio Marcelli
Giurista internazionale
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La prima cosa da fare, dopo il referendum, è liberarsi definitivamente di Renzi e dei suoi accoliti, primo fra tutti Napolitano; la seconda, una buona legge elettorale di stampo proporzionale; la terza, elezioni politiche generali che portino a sostituire l’attuale Parlamento di nominati in base a una legge dichiarata incostituzionale.
Nonostante i soliti tentativi di giornalisti pasticcioni e di parte di ascrivere la vittoria del NO a una sorta di populismo all’italiana, si tratta di una vittoria dai contenuti chiari e cristallini che solo i renziani immersi fino al collo nel fango della propria inevitabile sconfitta si ostinano a negare e a voler mistificare. Il grande patrimonio accumulato con la lotta contro la “schiforma” non deve oggi restare inutilizzato o peggio essere disperso.
C’è spazio nel panorama politico italiano, al posto di partiti oramai destinati alla sparizione o quantomeno a un rapido declino, per una nuova aggregazione che parta dai contenuti del NO referendario a Renzi. Per riaffermare fino in fondo il principio della sovranità popolare, contro ogni tipo di autoritarismo o di “semplificazione” del meccanismo democratico basato sull’ascolto profondo delle esigenze del popolo italiano. Per ridare valore a tutti i contenuti costituzionali, a partire da quelli di rilievo sociale, umiliati da decenni oramai di sciagurate politiche neoliberiste e di affossamento del lavoro su cui è basata la nostra Repubblica. Abbiamo toccato il fondo con il Jobs Act, la “buona scuola”, le privatizzazioni dei servizi sociali e dei beni comuni cui si è ispirata la politica di tutti i governi degli ultimi anni. Abbiamo toccato il fondo ed è tempo di riemergere.

E’ bene chiarire che il popolo italiano e fra di esso i giovani e i settori più poveri della popolazione non hanno detto NO solo a Renzi e ai suoi confusi progetti autoritari, ma a tutto un sistema di esclusione sociale che continua a garantire enormi profitti esentasse (dato anche il permanere dell’evasione fiscale che Renzi si è ben guardato dallo scalfire). La vittoria del NO non può certo essere gestita da personaggi come Berlusconi, Brunetta e Salvini che mirano solo a restare a galla. A tutti sono chiare le loro responsabilità nella difficile situazione attuale.
Occorre dare continuità alla voce che in modo possente si è espressa nelle urne il 4 dicembre scorso. Con una lista cui partecipino tutte e tutti coloro che si sono spesi in questa battaglia a partire dalla bravissima Anna Falcone. E’ bene che di questa lista facciano parte anche coloro che da tempo lottano contro il sistema delle cricche e delle caste, come Nicoletta Dosio del movimento NoTav, e tante e tanti altri. Ruolo fondamentale in una lista del genere dovranno avere anche gli amministratori locali che hanno avuto il coraggio di affrontare il governo centrale sul suo terreno sconfiggendolo, come in primo luogo il sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
Non è più tempo di forze politiche screditate, siano esse di destra, centro o sedicenti di sinistra. E’ tempo che il popolo italiano ritrovi una dimensione politica propria. E’ tempo di rilanciare con forza tutti i contenuti della Costituzione repubblicana basata sul lavoro e mirata al conseguimento dell’eguaglianza sostanziale fra le cittadini e i cittadini di cui al suo terzo comma. Per un’Italia che sappia portare al pianeta un contributo netto e determinato di pace, solidarietà e non allineamento, in un momento in cui le potenze guida tradizionali come gli Stati Uniti sbandano paurosamente sotto la guida del pazzoide Trump e l’Europa sembra avere definitivamente perso se stessa.
Il 4 dicembre è stato solo un inizio. E’ cominciata la lotta di liberazione del popolo italiano dagli squallidi politicanti di ogni genia che hanno portato il nostro Paese e il nostro popolo nell’attuale situazione. Renzi è stato da questo punto di vista solo l’ultimo di una lunga serie di fallimenti e il primo di un’altrettanto lunga serie di politicanti licenziati in modo inappellabile dal popolo italiano. A tale fine sarà indispensabile arrivare alle elezioni che si preannunciano prossime con una lista che nasca sotto il segno della Costituzione repubblicana e dei movimenti sociali che concretamente lottano ogni giorno per affermarne i contenuti socialmente avanzati. A una lista di questo genere che va promossa senza esitazioni spetterà anche il compito di dialogare, nella prospettiva dell’alternativa di governo e di sistema, con il Movimento Cinque Stelle che costituisce anch’esso un segno importante della ribellione del popolo italiano.
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M5S: "Al voto dopo la sentenza della Consulta"

La delegazione grillina alle consultazioni: "Renzi e il Pd hanno fallito. Questo è attestato dal No"
Chiara Sarra - Sab, 10/12/2016 - 18:03

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"Renzi ha fallito e qualunque nuovo governo calato dall'alto non avrebbe legittimità popolare".

La delegazione del M5S non sente ragioni e a Sergio Mattarella ha ripetuto quello che Beppe Grillo aveva dichiarato già la sera del referendum.

"Abbiamo portato all'attezione di Mattarella tre questioni fondamentali", hanno spiegato capigruppo Luigi Gaetti e Giulia Grillo, "Renzi e il Pd hanno fallito. Questo è attestato dal No. Qualunque altro governo imposto dall'alto non avrebbe legittimazione popolare per governare e proseguirebbe le ricette economiche lacrime e sangue del precedente esecutivo. Per questo abbiamo chiesto di andare al più presto al voto con la legge elettorale che risulterà dalla sentenza della Consulta nelle prossime settimane. Non si può sprecare altro tempo e denaro pubblico per fare un'altra legge elettorale, visti gli esiti della precedente".

"Ribadiamo l'assoluta contrarietà al conferimento di un incarico di governo. Il governo dimissionario deve limitarsi a essere mero strumento regolamentare a servizio del Parlamento e della Consulta, qualunque altra soluzione sarà un tradimento della volontà popolare", ha aggiunto Gaetti.
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De Siervo , Italicum. "Sbagliato affidarsi completamente alla sentenza"



"Ci si attende dalla Corte Costituzionale qualcosa che esula dai suoi compiti e poteri. Si pretenderebbe che la Consulta riscrivesse l'Italicum, magari secondo i desiderata dell'uno o dell'altro partito. La Corte è un organo di giustizia che può intervenire soltanto se constata gravi vizi di incostituzionalità". Lo ha detto a "Voci del Mattino", Radio1 Rai, Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale.

"A scorrere i giornali - afferma il giurista -, sembra quasi ci si aspetti che il 24 gennaio la Consulta riscriva l'intera legislazione elettorale e questo non è immaginabile. È successo una sola volta, nel 2014, (per il cosiddetto "Porcellum" ndr) ma era una situazione del tutto diversa. In quel caso si trattava di una legge già applicata, che aveva denotato gravissimi difetti. Stavolta, invece, parliamo di una legge elettorale, l'Italicum, che non è mai stata attuata e nei confronti della quale vengono avanzati i rilievi più disparati.




Il costituzionalista continua: "Come interverrà la Corte? I partiti dovrebbero considerare anche l'ipotesi che la Consulta decida di salvare integralmente l'impianto della legge, nel senso che potrebbe dichiararsi incompetente a intervenire. Se poi invece avesse il coraggio e la determinazione di intervenire nel merito, potrebbe eliminare qualche punto ma non fare operazioni per così dire 'creative', né tantomeno riscrivere la legge in toto. Questo va detto chiaramente.

De Siervo spiega: "Le leggi elettorali sono particolarmente complesse, devono avere una loro coerenza intrinseca; la Corte può eliminare alcuni aspetti ma non riscrivere l'Italicum, oltretutto coordinando due sistemi legislativi che, fra Camera e Senato, sono molto diversi fra loro. A questo scopo, l'organo naturalmente più idoneo a operare resta il Parlamento della Repubblica. I gruppi parlamentari si dovrebbero dare una svegliata ed elaborare soluzioni coerenti fra loro".

Ugo De Siervo: "La Corte Costituzionale non può riscrivere l'Italicum. Sbagliato affidarsi completamente alla sentenza"


Forse sarebbe da ricordare ai partiti che il potere legislativo non spetta alla Consulta .

http://forum.termometropolitico.it/7181 ... tenza.html
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Re: VERSO QUALE FUTURO?

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LA REPUBBLICA DEI BROCCHI


C'E' CHI SI ADDORMENTA CONTANDO LE PECORE, E CHI COME ANGELINO, CHE CONTA LE POLTRONE......

UNA POLTRONA.....DUE POLTRONE......TRE POLTRONE.....




2 ore fa
Verdini e Alfano al Colle:
"Sì a governo Renzi bis"


Luca Romano


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L'unico quid di Alfano: conservare la sua poltrona
È maestro nel riciclarsi per cadere in piedi. E ora ha avviato le manovre per restare al Viminale



Patricia Tagliaferri - Sab, 10/12/2016 - 08:43

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È tutta questione di quid. Quello che Silvio Berlusconi riteneva non avesse il suo delfino Angelino Alfano e quello che invece il ministro dell'Interno sembra capace di tirare fuori quando serve davvero.

Soprattutto se c'è in ballo la sua poltrona. Allora sì che aguzza l'ingegno e stupisce chi un tempo aveva ironizzato sulla famosa battuta fatta dal Cavaliere a Bruxelles che, seppur smentita, lo perseguita dal marzo del 2012, quando in pieno governo Monti, con Forza Italia dilaniata da chi voleva sostenere l'esecutivo tecnico e chi no, Alfano era stato etichettato dall'ex premier come «uno senza quid» («Alfano ha seguito, ma è uno senza quid»). Da allora, nonostante Berlusconi abbia sempre negato di averlo definito così, ribadendo che alle primarie del Pdl lo avrebbe sostenuto, Angelino è per tutti un segretario senza quid.

Ma poi, visto come sono andate le cose finora e come si stanno mettendo in questi giorni di crisi di governo, viene da chiedersi se sia davvero così. Veramente Alfano questo fantomatico quid non ce l'ha? Perché da come si muove nei momenti topici, quando è necessario prendere decisioni strategiche, sembrerebbe tutt'altro. Prendiamo quello che sta accadendo adesso, per esempio. I rumors nei palazzi di governo segnalano uno strano attivismo di Alfano. Per nulla rassegnato, pare, a rinunciare al suo ufficio al Viminale. Starebbe brigando, eccome, il ministro dell'Interno, per rimanere in sella, sempre al Viminale, dove ormai è di casa, anche nel prossimo governo. Pure se ancora non ci sono certezze sul prossimo premier - anche se il nome più gettonato resta decisamente quello di Paolo Gentiloni - lui si sta già muovendo, lavora ai fianchi chi sa, trama come solo lui è capace di fare, incontra chi deve. E aspetta fiducioso di portare a casa qualcosa.

D'altronde il passato insegna. E il Nuovo Centrodestra è noto per essere un partito con più poltrone che voti. Poi lui, il leader, passa per uno che nella sua veloce ascesa politica è stato capace di riciclarsi più di una volta, dai tempi del suo sodalizio con Berlusconi a quelli della rottura con il suo padre putativo è sempre caduto in piedi. E ora è uno dei pochi ministri che rischia di rimanere al suo posto qualsiasi cosa accada.

Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando uno sconosciuto Alfano, all'epoca considerato da tutti il pupillo di Berlusconi, diventa ministro della Giustizia e nel 2011, dopo l'addio di Fini, segretario del Pdl, proiettato in un'inaspettata ascesa politica che il Guardasigilli impara presto a gestire con disinvoltura. Quando nel novembre del 2011 Berlusconi si dimette e arriva il governo Monti, il delfino si lancia nell'avventura delle primarie del Pdl, contando sull'iniziale appoggio del Cavaliere. Le primarie non si faranno mai perché Berlusconi nel frattempo aveva annunciato la sua candidatura a premier. Carriera finita? Niente affatto. Il maestro di giravolte trova il modo di uscirne anche questa volta senza mollare la poltrona, rompe con Berlusconi, appoggia il governo Letta e diventa ministro dell'Interno e vicepremier. L'arrivo di Renzi, che dei voti Ncd ha bisogno, non lo scalfisce più di tanto. Alfano non è più vicepresidente del Consiglio, ma rimane al Viminale. Dove farà di tutto per restare anche nel prossimo governo. Le grandi manovre sono già cominciate.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?

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Mattarella: ‘Presto governo con funzioni piene’
Ma il Pd non indica nomi e complica le cose


Finite le consultazioni. Il presidente: “Per votare serve legge elettorale” (video). Verso Gentiloni premier
Ma dopo le riunioni il partito di maggioranza va al Quirinale senza proposte. Dal Colle ‘stupore e sorpresa’

Politica

La crisi di governo è destinata a concludersi nelle prossime ore. Il presidente della Repubblica scioglierà i nodi del nuovo esecutivo “nelle prossime ore”. “Il nostro Paese ha bisogno in tempi brevi di un governo nella pienezza delle sue funzioni” ha detto il capo dello Stato, aggiungendo che prima di nuove elezioni è “indispensabile” la riforma elettorale. Renzi vede 7 ministri e i vertici del partito, ma la delegazione Pd va al Quirinale e non fa nomi. In prima fila sembra esserci il nome di Paolo Gentiloni. No di Forza Italia a “riallargare” le intese. I Cinquestelle: “Tradita la volontà del popolo”. Salvini: “Puzza di marcio”
di F. Q.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?

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Tutto il mondo è confuso, disorientato. Stavano tutti per copiare l'Italicum, la più bella legge elettorale del mondo a detta di Renzi, ed ora sono tutti per cambiarla. Chi si prenderà la responsabilità di spiegare al mondo intero che non è proprio la più bella, anzi molto nociva a chi l'ha ideata. Va cambiata altrimenti vincono gli "altri".
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Re: VERSO QUALE FUTURO?

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10 dic 2016 17:20

UN PREMIER SOLO ALLO SBANDO

- BELPIETRO: “INCURANTE DEL VOTO DI 20 MILIONI DI ITALIANI IL DITTATORELLO TOSCANO VUOLE IL REINCARICO E PREME SU MATTARELLA PER ESSERE RIMANDATO ALLE CAMERE. NO AL RENZI BIS, ABBIAMO GIA’ DATO”

- E ANNUNCIA UNA RACCOLTA DI FIRME CONTRO UN REINCARICO A MATTEUCCIO


Maurizio Belpietro per la Verità


Matteo Renzi vuole il reincarico. Dopo aver tentennato un po’, a sei giorni dalla batosta referendaria il presidente del Consiglio preme sul capo dello Stato per essere rimandato alle Camere. Incurante del ridicolo e soprattutto del voto di venti milioni di italiani, l’uomo che domenica sera ha annunciato quasi commosso che sarebbe saltata la sua poltrona, perché la colpa della sconfitta era da addebitare unicamente a lui, ha lasciato il posto a un uomo che non ha alcuna intenzione di arrendersi, nessuna intenzione di rinunciare a soldi e potere.

In queste ore, mentre la mesta processione di leader e leaderini delle forze politiche sale al Colle per sottoporsi al rito delle consultazioni post crisi, Renzi sta muovendo tutte le sue pedine, giocando tutte le sue carte pur di rimanere a Palazzo Chigi. Sul tavolo ha messo ricatti e minacce. Avendo già spaccato il Paese con una campagna referendaria costosa e spregiudicata, il presidente del Consiglio dimissionario, allo scopo di conservare il posto, non si perita di dividere ancora più di quanto non abbia già fatto gli italiani, trascinandoli in un conflitto dagli esiti incerti e in una campagna elettorale dai risultati ancor più dubbi.

Lo spettacolo a cui siamo assistendo è la dimostrazione non solo della scarsa cultura istituzionale di un signore arrivato a capo del governo senza essere eletto e con la menzogna (#Enricostaisereno resta un monumento alla bugia), ma la prova che quella stessa persona rappresenta un pericolo serio per il Paese, in quando oltre a non mantenere la parola data è mosso da interessi esclusivamente personali, pronto a sacrificare quelli generali.


E’ inutile qui ricordare quante volte abbia detto in tv che si sarebbe dimesso da capo del governo in caso di sconfitta al referendum. Inutile anche riascoltare le parole in cui oltre all’addio a Palazzo Chigi assicurò di essere determinato ad abbandonare anche la politica, dedicandosi ad altro. Quelle frasi sono la testimonianza di una costante presa in giro degli italiani. Ma più di quanto dichiarato nei mesi scorsi, conta il discorso fatto a caldo, la notte dei risultati del plebiscito sulla riforma costituzionale.

Sessanta a quaranta è stato un pronunciamento netto, una bocciatura che un uomo a cui stia a cuore l’Italia e che abbia il senso dello stato non può dimenticare. E invece, al contrario, quelle parole, così come molte altre pronunciate in questi tre anni, sono già state archiviate in nome dello storytelling, della post verità, ovvero della non verità, che in italiano sia chiama più facilmente bugia.


Quel che avevamo da dire su Renzi lo abbiamo detto, ma qui ora si pone un altro tema ossia quali siano le intenzioni del presidente della Repubblica. Il garante del rispetto della Costituzione e della volontà popolare è lui e Sergio Mattarella, che è anche docente di diritto parlamentare, non può permettere che si faccia strame di ogni regola e di un risultato referendario che non lascia margine di dubbio. Rimandando Renzi alle Camere e piegandosi di fronte al ricatto di un uomo solo allo sbando, il capo dello Stato si assume una grave responsabilità.



Assecondando il volere del dittatorello toscano, Mattarella dà uno schiaffo a quei venti milioni di italiani che domenica 4 dicembre si sono recati ai seggi per dire No a Renzi. Sono la maggioranza dei votanti, una maggioranza che il Quirinale non può ignorare se non mettendo nel conto una profonda spaccatura del Paese e un ulteriore discredito delle istituzioni.


Per quanto ci riguarda non abbiamo alcuna intenzione di assistere senza fare nulla allo squallido spettacolo delle istituzioni piegate alle ambizioni personali. Oggi chiediamo ai nostri lettori e a tutti gli italiani di buona volontà di firmare contro un reincarico al presidente del Consiglio dimissionario. Nessun Renzi bis. Abbiamo già dato, grazie.
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