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L’intelligence Usa: «Putin voleva far vincere Trump». Ma lui: «Voto non è stato influenzato»


Il Messaggero

Anna Guaita

3 ore fa


NEW YORK – Adesso è proprio ufficiale: Donald Trump è presidente. Ieri mattina il Congresso ha ratificato la sua elezione, proprio mentre il presidente eletto era rinchiuso in un sala privata della sua torre newyorchese con gli esponenti delle agenzie di intelligence. E’ stata una pura coincidenza che l’ultimo passo legale della sua elezione sia avvenuto mentre la Ni, l’Fbi e la Cia gli presentavano il rapporto segreto sull’hacking dei russi durante la campagna elettorale. Il capo della National Intelligence, James Clapper, accompagnato dal direttore della Cia John Brennan e quello dell’Fbi James Comey sono arrivati peraltro neanche un’ora dopo che il New York Times aveva pubblicato un’intervista con Trump in cui questi aveva clamorosamente protestato che tutta la questione era “una caccia alle streghe”.

E proprio mentre si teneva la riunione a porte chiuse, l’ufficio del “Director of National Intelligence” (dni.gov) ha messo in rete il rapporto, in una versione depennata dei particolari top-secret, perché tutti potessero leggerla. Così mentre Trump riceveva il suo briefing, il resto del mondo veniva a conoscere le conclusioni delle 19 agenzie di intelligence Usa sull’operato dei russi. Non si può negare che le parole fanno effetto: “Abbiamo accertato che il presidente Vladimir Putin ha dato ordine di influire sulla campagna presidenziale del 2016. Gli scopi della Russia erano di minare la fiducia del pubblico nel processo democratico, denigrare il segretario di Stato Clinton, e danneggiare le sue potenzialità di essere eletta. Inoltre abbiamo accertato che il governo russo aveva sviluppato una chiara preferenza per il presidente eletto Trump”.

Il capo della Cia, John Brennan ha spiegato che la decisione di pubblicizzare questo rapporto e metterlo a dispoziione di tutti è stata dettata dalla preoccupazione che la Russia stia ora tentando di effettuare simili manovre “anche in Europa”, in particolare “in Germania”.

Donald Trump ha definito “costruttivo” l'incontro con i vertici dell’intelligence, e si è anche impegnato a creare – da presidente - una task force per la cybersicurezza. Ma ha sottolineato con forza una parte del rapporto in cui si spiegava che non ci sono prove che le manipolazioni di Putin abbiano poi influito sulle decisioni dell’elettorato, e che la conta dei voti non è stata inquinata.

Per Trump comunque il contrasto con i servizi è oramai conclamato, e nei giorni scorsi ha anche fatto sapere che intende ristrutturarli e snellirli e di giudicarli “politicizzati”.


© Ansa
Ma l’intelligence, lo spionaggio e la questione dell’hacking non sono gli unici problemi per Trump. L’ex generale scelto da lui stesso alla guida del Pentagono sarebbe in rotta con la squadra della transizione, perché non è d’accordo con i nomi che questa suggerisce per i posti chiave del Ministero della Difesa. Il generale James Mattis è arrabbiato perché vorrebbe nominare lui i segretari delle varie forze armate, mentre Trump lo ha colto di sorpresa scegliendo il miliardario Vincent Viola come segretario dell’Esercito.

Al malumore di Mattis si aggiunge quello del consigliere James Woolsey, che giovedì sera ha annunciato di essersi dimesso dalla squadra di transizione. Woolsey, un vecchio decano dell’intelligence che è anche stato alla guida della Cia, non ha spiegato il motivo delle sue dimissioni, ma è ben noto che le recenti posizioni di Trump in polemica con il mondo dell’intelligence lo hanno irritato. Woolsey ha fatto sapere di non voler più prestare il proprio nome come “consigliere speciale” a una squadra sta navigando in senso contrario a quello che lui giudica corretto e sicuro.
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DALLA RUSSIA CON AMORE AI TEMPI DELLE BUFALE, DELLE SUPERBUFALE E DELLE POST VERITA’

Andrà a finire che alla fine nessuno sarà più credibile, ed allora come si farà a ristabilire un minimo di credibilità??????


prima pagina del Corriere della Sera del 8 gennaio 2017

Ecco il dossier degli 007 su Trump e Putin
Il Cremlino: pieno di errori e senza prove


Il Cremlino «tifava» per la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali dello scorso novembre. E dagli 007 statunitensi emergono le prime prove. Ma Trump twitta: «Soltanto gli stupidi sono nemici della Russia». Mosca snobba il rapporto di Washington: «È pieno di errori». E il Cremlino evita dichiarazioni ufficiali sulla vicenda. Mentre i media russi scelgono il profilo dell’ironia


pagina 4
Così Putin ha «spinto» Trump

Tutte le prove degli 007
Ma The Donald twitta:
«Soltanto gli stupidi
sono nemici della Russia



DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK Ecco il capo d’accusa contro Vladimir Putin. Con un documento senza precedenti i tre principali servizi segreti del Paese, Cia, Fbi e Nsa, ricostruiscono l’offensiva «ordinata» dal presidente russo per «influenzare la campagna elettorale americana del 2016». Putin in persona dà il via libera ai «cyber attack» fin dalla primavera del 2015. Vuole destabilizzare gli Stati Uniti, alimentando lo scetticismo dei cittadini. Poi, a partire dal marzo del 2016, il presidente russo affina gli obiettivi: «Aiutare Donald Trump, screditando Hillary Clinton». Il fascicolo di 15 pagine diffuso l’altro ieri è la versione «declassificata» di un lavoro più complesso consegnato al presidente Barack Obama. I vertici dei servizi, però, l’altro giorno ne hanno parlato per circa due ore con Trump. I due, ieri, hanno reagito in modo opposto. Il vincitore del 9 novembre sbeffeggia su Twitter «la grossolana negligenza del partito democratico che ha lasciato campo aperto agli hacker». Trump rimarca poi che «non viene inficiato il risultato delle elezioni». E, infine, conferma l’apertura verso Mosca: «Solo gli “stupidi” non capiscono che avere buone relazioni con la Russia è una
buona cosa». In un’intervista tv Obama replica: «Putin non gioca nella nostra squadra». Il disegno dello Zar L’ostilità di Putin verso l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton risale agli anni tra il 2011 e il 2012. Il leader del Cremlino è convinto che sia Hillary a «fomentare le proteste di massa contro il suo regime». Nel giugno 2016 Putin comincia a «rilasciare commenti pubblici» sulle elezioni Usa, «ma evita di indicare un’esplicita preferenza verso Trump, temendo che potesse diventare controproducente negli Stati Uniti». Cia, Fbi e Nsa descrivo, ai teno l’affinità elettiva tra Vladimir e Donald: «Putin ha avuto esperienze positive lavorando con leader politici occidentali che avevano interessi d’affari in Russia, come l’ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi e l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder». Per questo motivo Cia e Fbi ritengono che «sia altamente probabile», mentre per la Nsa è «moderatamente probabile», che Putin abbia cercato «di favorire l’elezione di Trump». Gli hacker russi, però, non hanno truccato il voto, manipolando le preferenze degli americani. La strategia era quella di «screditare» la candidata democratica. L’attacco a Hillary I pirati digitali penetrano nella rete del Comitato nazionale del partito democratico già nel luglio del 2015 e ci resteranno fino al giugno 2016. Le operazioni sono supervisionate dal Gru, il servizio segreto russo.
Le mail trafugate sono quelle dei collaboratori più stretti di Hillary. I canali usati per «disseminare» su Internet le informazioni rubate sono tre: Guccifer 2.0, un soggetto che si dichiara un hacker indipendente rumeno, ma che sarebbe invece un russo; il sito DCLeaks.com e, soprattutto, WikiLeaks, la piattaforma fondata da Julian Assange. Il materiale, però, e questo il report non lo dice, viene ripreso da tutti i media del mondo. Le mail svelano i legami di Hillary Clinton con i finanzieri di Wall Street; i rapporti ambigui della Fondazione di famiglia con Paesi come l’Arabia Saudita; le manovre contro Sanders. La propaganda multimediale Gli agenti di Putin mettono in campo più strumenti «per alimentare lo scontento negli Stati Uniti». Un allegato descrive l’attività dell’emittente tv RT America, «canale finanziato direttamente dal Cremlino» e diretto da Margarita Simonyan, ex capo della campagna di Putin nel 2012. Sul web operano blogger fiancheggiatori e provocatori, i «troll». «Mosca proverà a condizionare anche le elezioni nei Paesi alleati degli Usa».
Giuseppe Sarcina © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Usa, il direttore della Cia Brennan contro Trump: “Mette a rischio il paese”


Mondo


Il direttore uscente della Central Intelligence Agency: "La nuova amministrazione deve prendere atto che questo è un mondo pieno di sfide e pericoloso e l’intelligence può aiutare a tenere il Paese sicuro e a proteggere gli interessi legati alla sicurezza nazionale"

di F. Q. | 9 gennaio 2017

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Più informazioni su: Cia, Donald Trump


Due giorni fa lo svelamento di un report delle agenzie di intelligence Usa sul ruolo del presidente russo Putin per far conquistare a Donald Trump la Casa Bianca, oggi l’attacco frontale del numero uno (uscente) della Cia, John Brennan al presidente eletto registrato dalla Cnn durante un incontro all’Istituto di Politica dell’Università di Chicago. Il tycoon è “accusato” di ignorare la comunità dell’intelligence mettendo il Paese “in grande rischio e pericolo. La nuova amministrazione deve prendere atto che questo è un mondo pieno di sfide e pericoloso e l’intelligence può aiutare a tenere il Paese sicuro e a proteggere gli interessi legati alla sicurezza nazionale”.

Il dossier declassificato, redatto dalle principali agenzie di intelligence del Paese, Fbi Cia e Nsa, prima della diffusione pubblica, era stato presentato a Trump, che aveva incontrato i vertici delle agenzie. “Riteniamo che il presidente russo, Vladimir Putin, abbia ordinato una campagna d’influenza sulle elezioni” si leggva nel dossier. Ma Trump aveva rispedito al mittente le accuse nei confronti del numero uno del Cremlino. Dopo aver ricevuto il dossier e aver incontrato alla Trump Tower i vertici dell’intelligence, il presidente eletto aveva parzialmente rivisto la sua posizione.


Poche ore prima degli incontri aveva parlato, in un’intervista al New York Times, di “caccia alle streghe” organizzata dai suoi avversari politici, “usciti molto male dalle elezioni” e per questo “molto in imbarazzo”. E, prima, aveva più volte accusato le agenzie di essere politicizzate.

Dopo il briefing aveva invece ammesso che vari attori, tra cui anche la Russia, “stanno ampiamente tentando di violare le infrastrutture informatiche” americane a vari livelli, quindi aveva annunciato che nei suoi primi 90 giorni alla Casa Bianca presenterà un piano per la sicurezza informatica. Ribadendo che comunque “non c’è stato alcun effetto sul risultato delle elezioni, anche perché non ci sono state alterazioni nelle macchine di voto“.

La polemica sulle ingerenze di Mosca nelle elezioni dell’8 novembre non accenna a placarsi. Il 16 dicembre Barack Obama aveva puntato il dito contro Mosca, accusandola di essere “responsabile dell’attacco hacker al partito democratico”. Aveva poi rivelato di avere detto a Putin “di porre fine” agli attacchi quando i due si erano incontrati a settembre in Cina. Pochi giorni più tardi aveva firmato l’espulsione di 35 alti ufficiali russi legati ai servizi segreti. Da parte sua, Vladimir Putin aveva scelto di non reagire in attesa dell’arrivo alla presidenza di Trump. Oggi (forse) l’ultimo capitolo della polemica. Ma all’insediamento del miliardario al Campidoglio mancano ancora undici giorni.
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Mondo

Donald Trump, le bugie come le ciliegie. Una tira l’altra
di Massimo Cavallini | 10 gennaio 2017

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Ci fu negli Usa un tempo – un tempo che sempre più assomiglia a quello del “c’era una volta” delle favole – nel quale era assolutamente necessario per diventare presidente, essere o quantomeno apparire “presidenziale”. Vale a dire: era necessario, per chiunque ambisse alla Casa Bianca, muoversi, parlare e comportarsi, almeno formalmente, con la sincerità, la dignità e la solennità – la “presidenzialità”, per l’appunto, o la romana “gravitas” – che competono all’uomo chiamato a guidare una nazione che, oltre a esser di fatto la più poderosa del pianeta, a torto o a ragione, ritiene se stessa il faro universale della democrazia e della libertà. Ora non più.

Crepe – e talora crepe assai profonde – s’erano aperte già in passato in questo non scritto, ma rigoroso codice di comportamento. E va da sé che, nel pieno rispetto di questo codice, molti presidenti si sono, nel corso del tempo, resi responsabili di crimini orrendi. Certo è tuttavia che, dallo scorso 4 novembre, con la sorprendente vittoria di Trump, questo codice non solo ha perso completamente vigenza, ma è stato a tutti gli effetti rimpiazzato dal suo opposto. E questo senza nulla togliere, anzi, aggiungendo qualcosa di sostanziale e di greve, all’ipocrisia che, in precedenza, aveva alimentato il mito della “gravitas” presidenziale.


Uno dei cardini o, se si preferisce, uno dei miti di questa “gravitas” è, notoriamente, quello della “verità”. Il presidente non può mentire, così come l’ancor bambino George Washington – racconta una leggenda – non volle mentire (“I cannot tell a lie”) al padre che gli chiedeva se fosse stato lui a danneggiare l’albero di ciliegio con l’ascia che gli aveva regalato. Storie d’un’altra (e in gran parte mai esistita) America. Ora, con l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca, si passa dal mito del “presidente incapace di dire una bugia”, alla molto ostentata prassi del “presidente capace soltanto di mentire”. O, per meglio dire: dell’imprenditore-bancarottiere-divo-di-reality-show-divenuto-presidente convinto che la verità (la “sua” verità) possa esser raggiunta solo attraverso un accumularsi di menzogne.


In una recentissima e molto tempestiva “new entry”, Oxford Dictionary ha chiamato “post-truth”, il dopo-verità, questo processo di “offuscamento dei fatti”. E assai utili per illustrarne praticamente il senso sono le cronache del recentissimo scontro, via tv e via Twitter, tra il neo-presidente e la notissima attrice Meryl Streep. Questo è quel che è accaduto. La notte dell’8 gennaio, nel ricevere il premio Cecil B. DeMille alla carriera nel corso dei Golden Globes, l’attrice ha rammentato quella che, a suo dire, è stata la più orribile performance – “non sullo schermo, ma nella vita reale” – di questo 2016. Ovvero: il momento in cui il nuovo presidente Usa ha sbeffeggiato, imitandone i movimenti, Serge Kowaleski, un reporter affetto da handicap del New York Times. Al ricordo di questa sua infame esibizione Trump ha risposto alla sua maniera, non solo puerilmente definendo la Streep, via Twitter, “una delle più sopravvalutate attrici di Hollywood”, ma tornando a negare l’evidenza immortalata da decine di video (non mi sono burlato del suo handicap – ha ripetuto – ma del suo “groveling”, del suo “umiliarsi”}. La cosa più interessante è tuttavia questa. Rispondendo a Meryl Streep, Trump non ha solo (ri)mentito, ma ha (ri)mentito per (ri)coprire una menzogna che a sua volta (ri)copriva un’altra menzogna, la più grave delle tre.

Nel corso della campagna Trump aveva infatti più volte affermato – a sostegno delle sue proposte islamofobe – che nelle ore successive agli attentati dell’11 settembre 2001, in New Jersey, “migliaia e migliaia di mussulmani avevano pubblicamente celebrato il massacro”. E quando questa menzogna era stata classificata col massimo punteggio che gli esperti di “fact-checking” riservano ai mentitori, aveva citato a proprio sostegno, del tutto arbitrariamente, un articolo scritto in quei giorni di fuoco sul Washington Post, da Kowaleski. Ed era infine stato quando quest’ultimo gli aveva fatto notare – cosa verificabilissima – di aver scritto cose ben diverse, che Trump s’era rabbiosamente lanciato, contro ogni verità e contro ogni decenza, nella sua parodia.

Una menzogna, due menzogne, tre menzogne. Più l’abbietta scimmiottatura di un disabile. Come a dire: dal ciliegio di G. Washington alle ciliegie di D. Trump. O meglio: alle sue bugie delle quali tranquillamente si può dire, come per le ciliegie del proverbio, che una tira l’altra. Tra qualche giorno queste deliziose primizie Trump le offrirà seduto alla scrivania dell’Ufficio Ovale. Prepariamoci alla scorpacciata..
UncleTom
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Zero Anthropology: l’Impero sta cominciando a perdere

Scritto il 11/1/17 • nella Categoria: idee Condividi




Quello che si è appena concluso è stato probabilmente «l’anno più memorabile degli ultimi decenni, un accumulo incessante di punti di svolta e di eventi significativi». La morte di Fidel Castro, la riconquista di Aleppo in Siria, la Brexit che certifica il “coma profondo” dell’Ue, la sconfitta di Hillary Clinton, la non-colonizzazione definitiva della Libia. Per il blog internazionale “Zero Anthropology”, «abbiamo cominciato ad assistere alla fine del globalismo, all’ascesa della de-globalizzazione e al tramonto dell’imperialismo neoliberale». Ovvero: «Non solo le nazioni tornano ad avere importanza, ma si riaffermano anche le storie locali e le stesse forze regionali». Qualcuno ha scritto che, con la dipartita di Fidel, è finito davvero il ‘900. Per “Zero Anthropology” se n’è andata «una figura monumentale nella storia del mondo, un gigante dei Caraibi che ha segnato gli eventi in tutto il mondo per decenni». Sopravvissuto a 638 tentativi di assassinio da parte degli Stati Uniti, nel corso di 11 diverse amministrazioni presidenziali, il combattente Castro «è morto per cause naturali, non imperiali».

Un uomo «di enorme intelligenza, in confronto al quale la maggior parte dei nostri leader sembrano dei bambini sciocchi». Si è distinto come «il padre della decolonizzazione e dell’anti-imperialismo». Resta «un’eredità vivente, un punto di riferimento ineludibile», scrive “Zero Anthropology” in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Quindi la vittoria contro l’Isis ad Aleppo: «Finalmente la Siria ha fatto un progresso enorme nella bonifica del suo territorio, in un importante punto di svolta della lunga guerra per procura finalizzata al cambio di regime combattuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati del Golfo. Liberati dalla barbarie assoluta delle forze terroristiche che li hanno tenuti in ostaggio nella loro città per anni, gli abitanti di Aleppo sono usciti in massa per festeggiare la vittoria del loro governo nazionale, e anche per festeggiare il Natale. La Siria così ha testimoniato coi fatti che non avrebbe accettato di essere ridotta alla terra di nessuno di un piccolo club di stati imperiali che si autodefinisce “comunità internazionale”».

I funzionari degli Stati Uniti, che avevano affermato che “Assad se ne deve andare” e che “i giorni di Assad sono contati” ora stanno facendo le valigie e preparandosi a partire, nei loro ultimi giorni al potere, «cacciati da milioni di persone che hanno preso parte ad uno sconvolgimento politico epocale negli stessi Stati Uniti», continua “Zero Anthropology”. Parla da sola, infatti, «l’eccezionale sconfitta di Hillary Clinton, e con lei della politica dell’imperialismo liberale, del potere dell’industria della pubblicità, delle pubbliche relazioni, della propaganda, della classe istituzionalizzata degli esperti e, soprattutto, dei mezzi di comunicazione di massa». I perdenti, continua il blog, stanno ancora cercando disperatamente di gestire questa sconfitta, cercando di trasformarla in qualcos’altro. «Il loro metodo è il solito, quello che li ha portati a una tale meritata sconfitta: la negazione di ogni responsabilità per le conseguenze delle loro politiche, e una negazione della realtà».

Per “Zero Anthropology” il neoliberalismo utopistico, con le sue illusioni sostenute dalle lobby e dai think tank grazie a massicce infusioni di denaro, ha oltrepassato il suo apice e ora è rimasto nudo al freddo, a mormorare confusamente: “La Russia, è stata la Russia…è stato Putin”. Tutto questo è stato preceduto da un’avvisaglia altrettanto clamorosa, la Brexit: «Uno dei motori della globalizzazione neoliberalista che al suo interno ha determinato delle condizioni di integrazione disuguali, l’Unione Europea, continua ad arrancare». Il voto pro Brexit nel Brexit nel Regno Unito contribuisce a classificare il 2016 come «un anno cruciale per la storia europea», insieme anche al referendum italiano del 4 dicembre, con la vittoria del No «con margini che nessuno aveva previsto». Gli eventi dall’altra parte dell’Atlantico, poi, «non hanno fatto che rafforzare la causa dell’autodeterminazione nazionale».

Secondo “Zero Anthropology”, inoltre, il 2016 «ha finalmente visto il ritorno della classe operaia, riammessa nel vocabolario politico dallo stesso mainstream che per decenni ha cercato di farla sparire, insieme con il concetto di imperialismo». Una modalità di potere che, in Libia, secondo il blog si è impantanata: il paese di Gheddafi «ha continuato ad essere una zona di devastazione imperialista e di caos», eppure «nel 2016 il piano che prevedeva la trasformazione del paese in un nuovo protettorato delle Nazioni Unite è andato in pezzi». Da un lato, i libici «si sono rifiutati di cedere le redini del proprio futuro», e gli alleati della regione «si affermano come mediatori di potere più significativi rispetto agli Stati Uniti, lontani e ormai indeboliti».
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Messaggio da paolo11 »

di Manlio Di Stefano

Bassezze e scorrettezze fanno parte della quotidianità politica nazionale e, in fondo, ogni Paese si piange le sue. Quando però la voglia di pestare i piedi al tuo successore mette a rischio la stabilità di altri popoli, allora occorre prestare attenzione.

Mi riferisco, in particolare, al Presidente uscente Obama ed al suo patetico addio alla presidenza americana fatto di sgambetti a Trump di cui l'ultimo, però, rischia di essere molto pericoloso per l'Europa tutta.

87 carri armati, obici semoventi e 144 veicoli da combattimento Bradley sono stati scaricati pochi giorni fa nel porto tedesco di Bremerhaven e, nelle prossime settimane, si aggiungeranno oltre 3.500 truppe della 4° Divisione di Fanteria di Fort Carson, una brigata di aviazione da combattimento che "vanta" circa 10 Chinook, 50 elicotteri Black Hawk e 1.800 membri del personale da Fort Drum nonché un battaglione con 24 elicotteri d'attacco Apache e 400 membri del personale da Fort Bliss, tutti destinati all'Est Europa come riporta l'Independent.
Si tratta del più grande trasferimento di armamenti e truppe americane in Europa dalla caduta dell'Unione Sovietica.

L'obbiettivo? Militarizzare l'Europa orientale con lo scopo, dichiarato, di "sostenere un'operazione della NATO per scoraggiare l'aggressione russa", la cosiddetta "Operazione Atlantic Resolve" nata dopo la crisi ucraina.
Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia si sentono "minacciate" dalla Russia e Obama che fa? Come un giocatore di Risiko preso dalla smania di conquistare la Kamchatka decide di sommergerci di carri armati.
Sia chiaro, Obama dopo due mandati sa perfettamente che non sarà la Russia di Putin a fare il primo passo per destabilizzare ancora di più l'est Europa e i Paesi Baltici e allora, l'unica ragione plausibile, è la stessa che accompagna da settimane questa triste chiusura di sipario su Obama: minare la ripresa dei rapporti tra Stati Uniti d'America e Russia, destabilizzare i rapporti tra Trump e Putin.

Ci ha provato cacciando i 35 ambasciatori russi dagli USA, ci ha provato con la storia dello spionaggio russo contro la Clinton, ci ha provato con la gigantesca bufala del ricatto su Trump e le prostitute russe (generato dall'area mediatica e di intelligence sotto l'influenza dei democratici) e ci prova, adesso, portando la tensione militare alle stelle ai confini con la Russia.

Ad oggi Trump, fortunatamente, ha rassicurato gli animi e parlato di ottime relazioni con la Russia e di stupidità da parte di chi alimenta tensioni e odio e, sinceramente, aspettiamo con ansia il 20 Gennaio per capire se alle parole seguiranno i fatti.

Da tempo la NATO (tanto per non dire gli Stati Uniti…) sta giocando con le nostre vite. Vite che hanno già conosciuto due guerre mondiali e sanno cosa si provi ad essere un vaso di coccio tra due d'acciaio.
Il M5S si oppone da sempre a questa immonda strategia della tensione e chiede, con una proposta di legge in discussione alla Camera dei Deputati, che la partecipazione italiana all'Alleanza Atlantica sia ridiscussa nei termini e sottoposta al giudizio degli italiani.
Il nostro territorio, le nostre basi, i nostri soldati (che saranno inviati in Est Europa) e la salute dei nostri connazionali non possono essere ostaggio di giochi di potere e degli umori del presidente americano di turno.
http://www.beppegrillo.it/2017/01/la_st ... uropa.html
Ciao
Paolo11
UncleTom
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Re: Dove va l'America?

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«Se il presidente della Exxon e un generale non sono in grado di tener testa a un Congresso imbecille, vuol dire che non sono adatti al compito che gli hanno assegnato».



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Craig Roberts: gli uomini di Trump già si piegano al potere

Scritto il 18/1/17 • nella Categoria: idee Condividi


«Uno dei motivi per cui la Russia ha salvato la Siria dai rovesci che voleva Washington è stato che la Russia ha compreso che il prossimo obiettivo di Washington sarebbe stato l’Iran; e che un terrorismo, sconfitto in Iran, si sarebbe spostato nella vicina Federazione Russa». Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan, lancia un allarme sulla demenziale propaganda anti-russa alla quale gli uomini di Trump si stanno piegando, forse anche solo in chiave tattica, per tranquilizzare la Cia e il Congresso, rassicurando l’establihsment sulla immutata vocazione “imperiale” della Casa Bianca. E’ comunque un errore grave, per Craig Roberts, quello commesso da Rex Tillerson e James Mattis: «Se il presidente della Exxon e un generale non sono in grado di tener testa a un Congresso imbecille, vuol dire che non sono adatti al compito che gli hanno assegnato». L’America non può scherzare col fuoco, perché «c’è un asse tra i paesi minacciati dagli Stati Uniti con il sostegno dato al terrorismo: Siria, Iran, Russia, Cina». Trump dice che vuole normalizzare le relazioni con la Russia, aprendo opportunità di business anziché conflitti? «Ma per normalizzare le relazioni con la Russia si devono anche normalizzazione i rapporti con l’Iran e con la Cina».
A giudicare dalle dichiarazioni pubbliche, scrive Craig Roberts in un intervento su “Information Clearing House” che Bosque Primario ha tradotto per “Come Don Chisciotte”, il governo annunciato di Trump ha preso di mira l’Iran come paese da destabilizzare. «Tutti gli uomini nominati da Trump – il consigliere per la sicurezza nazionale, il segretario della difesa e il direttore della Cia – considerano l’Iran, in modo non corretto, uno Stato terrorista che deve essere rovesciato». Ma la Russia, aggiunge Craig Roberts, «non può permettere a Washington di rovesciare il governo di un Iran stabile, e non lo permetterà». E gli investimenti della Cina sul petrolio iraniano «portano alla conclusione che nemmeno la Cina permetterà un rovesciamento dell’Iran da parte di Washington». La Cina, ricorda Craig Roberts, ha già sofferto per i suoi investimenti persi nel petrolio libico, «come risultato del rovesciamento del governo libico fatto dal regime di Obama». Realisticamente parlando, quindi, «sembra che la presidenza Trump risulti già sconfitta dai suoi stessi uomini, indipendentemente dalla ridicola e incredibile propaganda mandata in giro dalla Cia e ritrasmessa da tutti i media negli Usa, nel Regno Unito e nel resto d’Europa».
La “Reuters” riferisce che truppe americane composte da 2.700 soldati e da carri armati si stanno muovendo dalla Polonia verso il confine con la Russia. Il colonnello Christopher Norrie, comandante del 3° Armoured Brigade Combat Team, ha dichiarato: «L’obiettivo principale della nostra missione è deterrenza e prevenzione delle minacce». Una grossolana e pericolosa provocazione: l’Urss di Stalin fu colta di sorpresa ma seppe respingere il più grande esercito d’Europa, quello di Hitler, mentre «la Russia di Putin è pronta». Aggiunge Craig Roberts: «E’ incredibile che l’esercito americano stia portando avanti una esercitazione tanto provocatoria e tanto in contraddizione con la futura politica del presidente entrante. I militari americani, la Cia, e le loro puttane dei media Usa stanno anti-democraticamente seguendo una propria agenda, indipendente della politica che vorrà fare il presidente eletto». Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz”, agenti dell’intelligence Usa hanno chiesto al governo israeliano di non condividere nessuna informazione di intelligence con l’amministrazione Trump, perché Putin avrebbe mezzi per far “pressione” su Trump e Trump dovrebbe svelare informazioni sensibili a Russia e Iran.
«Possiamo vedere come tutto il complesso si muova per sabotare tutta la politica militare e della security di Trump», aggiunge Craig Roberts. «Accuse continue hanno costretto Trump a dire che forse i russi sarebbero stati coinvolti in un attacco che non c’è mai stato, né da parte della Russia né da parte di nessun altro». Il segretario di Stato designato, Tillerson, «ha dovuto dichiarare che la Russia è una minaccia nel corso della sua udienza di conferma per poter essere confermato». Idem il candidato di Trump al ruolo di segretario della difesa, Mattis: «Ha dovuto dire nella sua udienza di conferma che gli Stati Uniti devono essere pronti a confrontarsi militarmente con la Russia». Solo “un osso” gettato alla Cia? «E’ chiaro che il Congresso degli Stati Uniti è in balia dei soldi che vengono dalle donazioni del complesso militare e della security», da qui “l’obbligo” di decretare Russia “una minaccia”. Male: «L’establishment che domina gli Usa sta facendo perdere la speranza e sta mettendo dei dubbi nello stesso governo russo». Ma, si domanda Craig Roberts, dov’è finita la coscienza morale della sinistra “liberal”? «Per quale motivo questa sinistra liberale sta aiutando il complesso militare e la security pur di delegittimare Trump e di incastrarlo in modo che la sua agenda sia già morta in partenza e che la guerra termonucleare rimanga comunque una possibilità?».
In altre parole: Trump è già finito? «Stiamo già perdendo fiducia, se non (ancora) in lui, in quelli che ha scelto per comporre il suo governo, ancora prima che si insedi ufficialmente». Gravissime, per Craig Roberts, le dichiarazioni di Tillerson, futuro ministro degli esteri, sulla Cina, identiche a quelle rese, a suo tempo, da Hillary Clinton, quando dichiarava che il Mar Cinese Meridionale è una zona di dominio degli Stati Uniti. Nella sua audizione di conferma, Rex Tillerson ha detto che l’accesso della Cina al proprio Mar Cinese Meridionale non sarà permesso: «Dobbiamo mandare alla Cina un chiaro segnale che, per prima cosa, devono fermare le loro costruzioni sulle isole e poi che nemmeno l’accesso a quelle isole sarà tollerato», ha detto. La risposta della Cina? Immediata, e a tono: «Tillerson – ha replicato il governo cinese – non dovrebbe essere indotto a pensare che Pechino avrà paura delle sue minacce. Se la diplomazia di Trump continuerà a mantenere i futuri rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina a livello attuale, sarà meglio che le due parti si preparino a uno scontro militare». Nel qual caso, «Tillerson farebbe meglio a cercare di capire cosa significhi strategia nucleare, se vuol provare a far ritirare una grande potenza nucleare dai propri territori».
Così, scrive Craig Roberts, Trump non è nemmeno arrivato al suo insediamento che «un idiota che ha nominato segretario di Stato ha già creato un rapporto di animosità con due potenze nucleari capaci di distruggere completamente tutto l’Occidente per l’eternità». Forse, conclude l’analista statunitense, queste dichiarazioni non sono altro che fumo negli occhi: enunciano azioni che non saranno messe in atto. Ma perché piegarsi al Congresso, rinunciando completamente alle proprie idee, se diverse da quelle esposte? «Il fatto che non sappiano stare in piedi da soli – dice Craig Roberts degli uomini scelti dal neopresidente – è una chiara indicazione che non hanno quella forza di cui Trump ha bisogno, se vuole imporre un cambiamento dall’alto». E il pericolo è reale: «Se Trump non sarà in grado di cambiare la politica estera americana, una guerra termonucleare e la distruzione della Terra sono inevitabili».
iospero
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Re: Dove va l'America?

Messaggio da iospero »

Questa è una buona notizia :

Bernie Sanders ormai, di fatto, è il vero leader del partito democratico.


Sta mobilitando il popolo degli USA contro una eventuale cancellazione della riforma sanitaria fatta da Obama.
paolo11
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Re: Dove va l'America?

Messaggio da paolo11 »

http://www.beppegrillo.it/2017/01/la_mo ... tutti.html
di MoVimento 5 Stelle Europa

traduzione dell'intervista a Donald Trump rilasciata al Washington Post.

Trump promette una "assicurazione per tutti" al posto dell'Obamacare

Il Presidente eletto Donald Trump ha dichiarato, in un'intervista rilasciata lo scorso fine settimana, che è in fase di completamento un piano per sostituire la legge di assistenza sanitaria del Presidente Obama con l'obiettivo di concedere "un'assicurazione per tutti". Trump, allo stesso tempo, promette di obbligare le aziende farmaceutiche a negoziare direttamente con il governo sulle tariffe delle attuali assicurazioni Medicare e Medicaid.

Trump ha rifiutato di rivelare i dettagli del suo programma durante un'intervista telefonica lo scorso sabato con il Washington Post, ma la proposta del Presidente eletto troverà certamente l'appoggio del Congresso repubblicano. Il piano di Trump troverà probabilmente qualche ostacolo nella destra più intransigente del partito, visto che per anni il GOP si è sempre opposto all'espansione dell'assistenza sanitaria pubblica, e dalla sinistra che considera le sue idee una catastrofe per le riforme che la legge "Affordable Care Act" ha portato a milioni di americani.

Oltre al suo piano di sostituzione dell'ACA, noto anche come Obamacare, Trump ha detto che si concentrerà sulle aziende farmaceutiche per favorire la riduzione dei prezzi dei farmaci. "Sono politicamente protette, ma ora non più" ha detto riferendosi alle aziende farmaceutiche. Gli obiettivi di ampliare l'accesso alle assicurazioni e la riduzione dei costi di assistenza sanitaria sono sempre stati in conflitto e non è chiaro come il piano che l'amministrazione si stia muovendo- o quelli che emergeranno da Capitol Hill - per risolvere questo problema.

In generale, il progetto di sostituire l'Obamacare del congresso GOP ha l'obiettivo di ridurre i costi riducendo le prestazioni offerte. Il presidente della Camera Paul Ryan e altri repubblicani hanno parlato recentemente di fornire "accesso universale" per l'assicurazione sanitaria, invece di una copertura assicurativa universale. Trump ha detto che si aspetta dai Repubblicani un'azione rapida e all'unisono nelle prossime settimane anche su altre priorità, tra le quali radicali tagli alle tasse e l'avvio della costruzione di un muro lungo il confine messicano.

Trump ha avvertito i Repubblicani che se il partito dovesse ritardare il suo programma sarà pronto a usare il potere della presidenza - e Twitter - per far partire la sua legislazione con il piede giusto. "Il Congresso non può avere ripensamenti, perché la gente non permetterà che questo accada" ha detto Trump durante l'intervista con il Washington Post. Trump ha detto che il suo piano per la sostituzione di molti aspetti dell'assistenza sanitaria di Obama non è del tutto da rigettare. Anche se non è stato chiaro a quali aspetti si riferisse - "numeri più bassi, franchigie molto più basse" - ha detto che è pronto a svelarlo al fianco di Ryan e del leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell.

"Siamo molto vicini alla stesura finale. Non l'abbiamo ancora completata ma ci stiamo lavorando senza sosta" ha detto Trump. Ha aggiunto che è in attesa di ricevere la conferma alla nomina di Segretario alla Sanità del Rep. Tom Price. Questa decisione spetta alla Commissione Finanze del Senato che ancora non ha programmato la sessione. La dichiarazione di Trump arriva dopo che molti Repubblicani - moderati e conservatori - hanno espresso preoccupazione la scorsa settimana per la mancanza di una proposta formale del partito sull'Obamacare, mentre hanno votato sulla sua abrogazione. Una volta che il suo piano sarà reso pubblico, ha dichiarato Trump, è fiducioso che si potranno ottenere i voti per l'approvazione in entrambe le Camere. Ha rifiutato di discutere di come si sarebbe comportato verso i Democratici diffidenti.

Finora i Repubblicani hanno fatto i primi passi verso l'abrogazione della legge, una procedura per la quale è sufficiente una semplice maggioranza al Senato. Il processo dovrebbe consentire di smantellare aspetti della legge che coinvolgono la spesa federale. Il piano che Trump sta preparando arriva dopo che la Camera ha votato per più di 60 volte in questi ultimi anni per rimuovere completamente, o in parte, alcuni punti del ACA per adottare politiche sanitarie più conservatrici, che tendono a dare più peso al settore privato.

"Credo che avremo l'approvazione. Io non vi dirò come, ma otterremmo l'approvazione. Vedete quello che è successo nella Camera in queste ultime settimane" ha detto Trump riferendosi a un suo tweet dopo il tentativo di un rappresentante repubblicano di cancellare il gruppo etico, il quale ha avuto una vasta contestazione da altri membri e ha portato al ritiro della proposta stessa.

Avendo sviluppato un piano alternativo, Trump ha detto di aver prestato attenzione alle critiche di chi teme che l'abrogazione dell'Obamacare porterebbe al rischio della mancata copertura assicurativa per circa 20 milioni di americani attualmente coperti da una qualche forma di assistenza. "Avremo una assicurazione disponibile per tutti" ha detto Trump. "In alcuni ambiente pensavano che se non riesci a pagare non devi avere nulla. Con noi questo non accadrà". Le persone che rientrano nella legge "possono aspettarsi di ottenere una buona assistenza sanitaria. Sarà una forma molto semplificata, molto meno costosa e più efficiente."

I leader repubblicani hanno detto che non abbandoneranno chi ha ottenuto la copertura assicurativa sotto l'ACA. Ma non è ancora chiaro sia dalle dichiarazioni di Trump nell'intervista sia dalle recenti osservazioni dei leader del GOP a Capitol Hill, come intendano realizzare tutto questo. Per i Repubblicani conservatori ostili alle sue promesse di garantire la copertura a milioni di persone, Trump ha sottolineato in diverse interviste che ha dato che "non lui avrà persone che muoiono per strada."

"Non sarà il loro piano" ha detto riferendosi alle persone che sono coperte dalla legge attuale. "Sarà un altro piano ma saranno ben protetti. Non voglio un singolo-contribuente. Quello che voglio è essere in grado di aiutare le persone" ha detto sabato. Trump non ha detto come il suo programma si integri con il piano scritto dai Repubblicani della Camera. All'inizio di quest'anno, Price ha suggerito che una presidenza Trump avrebbe anticipato il programma sanitario del GOP della Camera. Quando è stato chiesto in un'intervista se intendesse tagliare i benefici del Medicare, come parte del suo programma, Trump ha detto "no", una posizione che è stata ribadita durante il programma di domenica su ABC di Reince Priebus, il nuovo "Chief of Staff" di Trump. Durante tutta la campagna ha sostenuto questa posizione.

Il tempi potrebbe essere un problema in quanto Trump pone molta enfasi sulla velocità d'azione. La legge di Obama ha richiesto più di 14 mesi di dibattito e centinaia di riunioni. Per incoraggiare i legislatori, Trump ha in programma di partecipare a un meeting Repubblicano del Congresso a Philadelphia questo mese. Guardando oltre, Trump ha dichiarato che l'abbassamento dei prezzi dei farmaci è fondamentale per ridurre i costi dell'assistenza sanitaria a livello nazionale - e userà la sua influenza politica per ottenere tutto ciò perché è una sua priorità. Alla domanda su come riuscirebbe a convincere i produttori di farmaci, Trump ha detto che parte del suo approccio sarebbe la pressione pubblica "proprio come sull'aereo" un cenno ai suoi tweet sui Jet da Caccia F-35 Lockheed Martin, che Trump ha criticato perché troppo cari. Trump ha respinto l'idea che questa iniziativa porterebbe a una volatilità del mercato a Wall Street. "Le azioni scendono e l'America sale" ha detto. "Non mi interessa. Voglio farlo bene o non farlo" e ha aggiunto che le aziende farmaceutiche "dovrebbero produrre" di più negli Stati Uniti. Il punto se il governo dovrebbe avviare i negoziati su quanto le industrie farmaceutiche pagano per gli anziani con Medicare è stato dibattito lungo, da quando la legge del 2003 ha vietato questi negoziati sui farmaci offerti da Medicare.

L'obiettivo di Trump è incerto, tuttavia, rispetto al Medicaid, l'assicurazione per gli americani a basso reddito che viene gestita congiuntamente dal governo federale e dagli Stati. In quello che è conosciuto come una regola Medicaid a "miglior prezzo", alle aziende farmaceutiche già viene richiesto di vendere i farmaci a Medicaid con il prezzo più basso che possono ottenere da altri venditori Sul programma dei tagli fiscali, Trump ha detto che "stiamo arrivando molto vicino" a mettere insieme la nuova legislazione. I suoi consulenti e Ryan si sono incontrati la settimana scorsa e hanno lavorato sul piano presentato in campagna elettorale e sulle proposte del Congresso per tagliare le aliquote vigenti. "Probabilmente sarà dal 15 al 20 per cento per le società. Per gli individui, probabilmente ancora meno. Avremo grandi tagli alle tasse della classe media" ha detto Trump. Sulle aliquote dell'imposte sulle società: "possiamo negoziare un po', ma vogliamo diminuirle e arrivare il più vicino al 15 per cento in modo che possiamo raggiungere un aumento dei posti di lavoro".

Trump ha detto che non cederà sulla sua proposta di aumentare le imposte sulle aziende statunitensi che producono all'estero e ha insistito sul fatto che gli imminenti tagli alle tasse saranno un incentivo per le imprese a produrre negli Stati Uniti. "Se le aziende pensano di andare a produrre le automobili o altri merci all'estero per poi rivenderli negli Stati Uniti, allora pagheranno una tassa del 35 per cento", ha detto. Parlando brevemente sull'argomento immigrazione, Trump ha detto che la proposta di costruire un muro di confine e di frenare l'immigrazione clandestina rimane in cima alla sua lista di cose da fare e che sta spendendo molto tempo nello studio dei modi su come avviare questi progetti sia con il Congresso che attraverso l'azione esecutiva. Tuttavia non ha rivelato molto di più su questo aspetto.
Ciao
Paolo11
UncleTom
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Re: Dove va l'America?

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Levin: gli Usa hanno interferito nelle elezioni in 45 paesi

Scritto il 20/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Mentre infuriano le polemiche per le (del tutto presunte) interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane, “Vocativ” commenta una recente ricerca in cui si contano almeno 81 casi di interventi americani in 45 paesi, dal dopoguerra ad oggi, volti a condizionare l’esito delle elezioni politiche. E questo, senza contare i colpi di Stato militari promossi e organizzati dalla Casa Bianca. Scrive “Voci dall’Estero”: «Il motivo per cui – fingiamo pure che il fatto sussista – un certo establishment americano sta gridando allo scandalo e rialzando una cortina di ferro, non è altro che quello che lo stesso establishment americano ha sempre fatto verso il resto del mondo». Lo conferma un recentissimo studio, che mostra che l’America ha una lunga storia di ingerenze nelle elezioni in paesi stranieri, sintetizza Shane Dixon Kavanaugh su “Vocative”, prendendo spunto dalla clamorosa propaganda di Obama contro la Russia: 35 diplomatici espulsi e la richiesta di nuove sanzioni, in risposta a ciò che gli Usa ritengono essere una serie di cyber-attacchi condotti da Mosca durante la campagna presidenziale. Peccato che questa specialità – il pilotaggio delle elezioni altrui – sia un talento squisitamente statunitense.

Per la Cia, il Cremlino avrebbe tentato di aiutare Donald Trump a conquistare la presidenza? «Eppure, nessuno dei due paesi può dirsi estraneo a tentativi di ingerenza nelle elezioni di altri paesi». Gli Stati Uniti, per di più, vantano record ineguagliati in questo campo: «Hanno una storia lunga e impressionante di tentativi di influenzare le elezioni presidenziali in altri paesi», scrive Shane Dixon Kavanaugh, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” in cui si documentano i risultati del recente studio condotto da Dov Levin, ricercatore in scienze politiche dell’Università Carnegie-Mellon di Pittsburgh, Pennsylvania. E’ un fatto: gli Usa hanno «cercato di influenzare le elezioni in altri paesi per ben 81 volte tra il 1946 e il 2000». Spesso lo hanno fatto «agendo sotto copertura», con tentativi che «includono di tutto: da agenti operativi della Cia che hanno portato a termine con successo campagne presidenziali nelle Filippine negli anni ’50, al rilascio di informazioni riservate per danneggiare i marxisti sandinisti e capovolgere le elezioni in Nicaragua nel 1990». Facendo la somma, calcola Levin, gli Usa avrebbero condizionato le elezioni in non meno di 45 paesi in tutto il mondo, durante il periodo considerato. E nel caso di alcuni paesi, come l’Italia e il Giappone, gli Stati Uniti hanno cercato di intervenire «in almeno quattro distinte elezioni».

I dati di Levin, aggiunge Shane Dixon Kavanaugh, non includono i golpe militari o i rovesciamenti di regime che hanno seguito l’elezione di candidati contrari agli Stati Uniti, come ad esempio quando la Cia ha contribuito a rovesciare Mohammad Mosaddeq, il primo ministro democraticamente eletto in Iran nel 1953. Il ricercatore definisce l’interferenza elettorale come «un atto che comporta un certo costo ed è volto a stabilire il risultato delle elezioni a favore di una delle due parti». Secondo la sua ricerca, questo includerebbe: diffondere informazioni fuorvianti o propaganda, creare materiale utile alla campagna del partito o del candidato favorito, fornire o ritirare aiuti esteri e fare annunci pubblici per minacciare o favorire un certo candidato. «Spesso questo prevede dei finanziamenti segreti da parte degli Usa, come è avvenuto in alcune elezioni in Giappone, Libano, Italia e altri paesi».

Per costruire il suo database, Levin si è basato su documenti declassificati della stessa intelligence americana, come anche su una quantità di report del Congresso sull’attività della Cia. Ha poi esaminato ciò che considera resoconti affidabili della Cia e delle attività americane sotto copertura, nonché ricerche accademiche sull’intelligence statunitense, resoconti di diplomatici della guerra fredda e di ex funzionari sempre della Cia. «Gran parte delle ingerenze americane nei processi elettorali di altri paesi sono ben documentate, come quelle in Cile negli anni ’60 o ad Haiti negli anni ’90», senza contare il caso di Malta nel 1971: secondo lo studio di Levin, gli Usa avrebbero cercato di condizionare la piccola isola mediterranea strozzandone l’economia nei mesi precedenti all’elezione di quell’anno. «I risultati della ricerca suggeriscono che molte delle interferenze elettorali americane sarebbero avvenute durante gli anni della guerra fredda, in risposta all’influenza sovietica che andava espandendosi in altri paesi», sottolinea Shane Dixon Kavanaugh.

«Per essere chiari, gli Usa non sarebbero stati gli unici a cercare di determinare le elezioni all’estero. Secondo quanto riportato da Levin lo avrebbe fatto anche la Russia per 36 volte dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine del ventesimo secolo. Il numero totale degli interventi da parte di entrambi i paesi sarebbe stato dunque, in quel periodo, pari a 117». Eppure, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, avvenuto nel 1991, nonostante venisse a mancare l’alibi della guerra fredda, il grande nemico a Est, gli Stati Uniti «hanno continuato i propri interventi all’estero, prendendo di mira elezioni in Israele, nella ex Cecoslovacchia e nella stessa Russia nel 1996». In altre parole: se la Russia di Putin ha archiviato le attività “imperiali” dell’Urss, l’America ha invece raddoppiato la posta: secondo Levin, dal 2000 a oggi gli Usa hanno pesantemente interferito con le elezioni in Ucraina, Kenya, Libano e Afghanistan, per citarne solo alcuni dei paesi sottoposti alle “attenzioni elettorali” di Washington.
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