La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
...IN FONDO AL POZZO NERO, SOMMERSI DALLE MACERIE...
Germania, Bce, Credit Suisse Tutti si preparano all'Italexit
Dopo lo scoop del Giornale l'economia è in subbuglio. E Grillo insiste a chiedere un impossibile referendum
Cinzia Meoni - Sab, 28/01/2017 - 10:38
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ExItaly o Italexit non è più un tabù. La via di uscita dell'Italia dell'euro inizia a prendere forma come ipotesi concreta nella grande finanza internazionale.
Non si tratta più quindi di uno scenario sognato da premi Nobel anticonformisti come Joseph Stiglitz, che ha definito la valuta comune come «un tragico errore che minaccia il futuro dell'Europa» o dai partiti antieuropeisti, dalla Lega a Fratelli d'Italia e il M5S, che con Beppe Grillo torna a invocare «un referendum sull'euro subito» perché «gli italiani devono essere informati su costi e benefici» dell'euro e del ritorno alla lira. Comunque la exit strategy esiste e, in modo pragmatico, l'alta finanza fa i conti con l'eventualità.
Tra i primi a parlarne apertamente era stato a inizio settembre Credit Suisse che, pur ritenendo l'ipotesi decisamente remota, limitata a un modesto 1% di possibilità, in un arco di tempo medio-lungo accennava al percorso normativo per arrivare all'addio a Bruxelles. A rompere gli indugi è stata tuttavia, in questi ultimi giorni Mediobanca che, in uno studio riservato ai propri clienti, ha fatto i «conti della serva» dimostrando che l'uscita del Paese dall'area euro porterebbe a un risparmio complessivo di 8 miliardi di euro, una cifra tuttavia destinata ad evaporare velocemente qualora non si prenda una direzione precisa. Con il debito che rischia di andare fuori controllo per il prossimo aumento dei tassi e la stagnazione dominante, la ridenominazione del debito in lire e il ritorno alla sovranità monetaria porterebbe, a giudizio degli esperti di Piazzetta Cuccia, a una sostanziosa svalutazione dei debiti e al «rilancio dell'economia italiana». Con tutti i «se» e i «ma» del caso, l'ipotesi di un'uscita dalla valuta comune diventa ogni giorno più concreta.
Lo stesso Mario Draghi, governatore della Bce, ha addirittura ipotizzato il conto che l'Italia sarebbe tenuta a pagare in caso di Italexit. Per la precisione si tratterebbe di una cifra colossale, 357 miliardi pari al 20% del Pil, dovuta per chiudere il conto Target2, sistema di pagamento interbancario per i pagamenti transfrontalieri nell'Unione europea.
Al di là delle tecnicalità economiche e legali del caso, l'attestazione di Draghi significa che l'euro non è da ritenersi un percorso senza ritorno e che l'ipotesi di uscita non è esclusa neppure dalle principali istituzione finanziare dell'Unione. Meglio quindi iniziare a prendere l'Italexit in seria considerazione e non farsi cogliere impreparati. Insomma, comunque vada, non deve necessariamente essere l'apocalisse. Anzi, come dimostrato da Piazzetta Cucia, il saldo potrebbe essere positivo per il Paese.
Il segnale più significativo su come stia cambiato l'orientamento è arrivato tuttavia dalla Germania dove Clemens Fuest, presidente dell'Ifo, istituto tedesco di ricerca economica. «Il livello di vita in Italia è lo stesso del 2000. Se questo aspetto non cambia gli italiani potrebbero optare per l'uscita dalla valuta comune» ha dichiarato Fuest per poi aggiungere: «Se risulta che l'euro è un ostacolo alla crescita in Italia, sembra preferibile che il Paese lasci l'euro».
L'Italia, come sottolineato da Fuest, solo nel 2017 dovrà rifinanziare 260 miliardi di debito pubblico (214 di vecchi titoli e gli altri di interesse) e quando la Bce stringerà i cordoni del quantitative easing, lo spread potrebbe andare in orbita, portando gli interessi sul debito a cifre insostenibili (negli ultimi vent'anni sono già stati destinati 1.700 miliardi a retribuire i finanziamenti) che ostacolerebbero la crescita.
Germania, Bce, Credit Suisse Tutti si preparano all'Italexit
Dopo lo scoop del Giornale l'economia è in subbuglio. E Grillo insiste a chiedere un impossibile referendum
Cinzia Meoni - Sab, 28/01/2017 - 10:38
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ExItaly o Italexit non è più un tabù. La via di uscita dell'Italia dell'euro inizia a prendere forma come ipotesi concreta nella grande finanza internazionale.
Non si tratta più quindi di uno scenario sognato da premi Nobel anticonformisti come Joseph Stiglitz, che ha definito la valuta comune come «un tragico errore che minaccia il futuro dell'Europa» o dai partiti antieuropeisti, dalla Lega a Fratelli d'Italia e il M5S, che con Beppe Grillo torna a invocare «un referendum sull'euro subito» perché «gli italiani devono essere informati su costi e benefici» dell'euro e del ritorno alla lira. Comunque la exit strategy esiste e, in modo pragmatico, l'alta finanza fa i conti con l'eventualità.
Tra i primi a parlarne apertamente era stato a inizio settembre Credit Suisse che, pur ritenendo l'ipotesi decisamente remota, limitata a un modesto 1% di possibilità, in un arco di tempo medio-lungo accennava al percorso normativo per arrivare all'addio a Bruxelles. A rompere gli indugi è stata tuttavia, in questi ultimi giorni Mediobanca che, in uno studio riservato ai propri clienti, ha fatto i «conti della serva» dimostrando che l'uscita del Paese dall'area euro porterebbe a un risparmio complessivo di 8 miliardi di euro, una cifra tuttavia destinata ad evaporare velocemente qualora non si prenda una direzione precisa. Con il debito che rischia di andare fuori controllo per il prossimo aumento dei tassi e la stagnazione dominante, la ridenominazione del debito in lire e il ritorno alla sovranità monetaria porterebbe, a giudizio degli esperti di Piazzetta Cuccia, a una sostanziosa svalutazione dei debiti e al «rilancio dell'economia italiana». Con tutti i «se» e i «ma» del caso, l'ipotesi di un'uscita dalla valuta comune diventa ogni giorno più concreta.
Lo stesso Mario Draghi, governatore della Bce, ha addirittura ipotizzato il conto che l'Italia sarebbe tenuta a pagare in caso di Italexit. Per la precisione si tratterebbe di una cifra colossale, 357 miliardi pari al 20% del Pil, dovuta per chiudere il conto Target2, sistema di pagamento interbancario per i pagamenti transfrontalieri nell'Unione europea.
Al di là delle tecnicalità economiche e legali del caso, l'attestazione di Draghi significa che l'euro non è da ritenersi un percorso senza ritorno e che l'ipotesi di uscita non è esclusa neppure dalle principali istituzione finanziare dell'Unione. Meglio quindi iniziare a prendere l'Italexit in seria considerazione e non farsi cogliere impreparati. Insomma, comunque vada, non deve necessariamente essere l'apocalisse. Anzi, come dimostrato da Piazzetta Cucia, il saldo potrebbe essere positivo per il Paese.
Il segnale più significativo su come stia cambiato l'orientamento è arrivato tuttavia dalla Germania dove Clemens Fuest, presidente dell'Ifo, istituto tedesco di ricerca economica. «Il livello di vita in Italia è lo stesso del 2000. Se questo aspetto non cambia gli italiani potrebbero optare per l'uscita dalla valuta comune» ha dichiarato Fuest per poi aggiungere: «Se risulta che l'euro è un ostacolo alla crescita in Italia, sembra preferibile che il Paese lasci l'euro».
L'Italia, come sottolineato da Fuest, solo nel 2017 dovrà rifinanziare 260 miliardi di debito pubblico (214 di vecchi titoli e gli altri di interesse) e quando la Bce stringerà i cordoni del quantitative easing, lo spread potrebbe andare in orbita, portando gli interessi sul debito a cifre insostenibili (negli ultimi vent'anni sono già stati destinati 1.700 miliardi a retribuire i finanziamenti) che ostacolerebbero la crescita.
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Re: La crisi dell'Europa
L’ENCICLOPEDIA DEGLI SCEMI
A cosa miri Il Giornale con questa propaganda per l’uscita dall’Euro, non l’ho ancora capito.
Che l’Europa non esiste più come Ue è un dato di fatto.
Ma chi si propone di far uscire l’Italia dall’Euro, con un Paese completamente allo sfascio, e nell’assenza totale di una classe dirigente(esiste solo una classe digerente che se sta a digerì tutto quello che se magna), deve spiegare ai merli boccaloni tricolori cosa comporta a conti fatti uscire dall’Euro.
Li hanno già mandati alla malora con il berlusconismo, dove vogliono arrivare con questo salto nel buio????
Prima elenchino dettagliamente (ammesso e non concesso che siano in grado di farlo) tutti i sacrifici che gli italiani dovranno affrontare.
Poi, eventualmente, se ne discute.
Un altro bunga-bunga a secco e al buio non è ipotizzabile.
Cento volte meglio il terremoto.
A cosa miri Il Giornale con questa propaganda per l’uscita dall’Euro, non l’ho ancora capito.
Che l’Europa non esiste più come Ue è un dato di fatto.
Ma chi si propone di far uscire l’Italia dall’Euro, con un Paese completamente allo sfascio, e nell’assenza totale di una classe dirigente(esiste solo una classe digerente che se sta a digerì tutto quello che se magna), deve spiegare ai merli boccaloni tricolori cosa comporta a conti fatti uscire dall’Euro.
Li hanno già mandati alla malora con il berlusconismo, dove vogliono arrivare con questo salto nel buio????
Prima elenchino dettagliamente (ammesso e non concesso che siano in grado di farlo) tutti i sacrifici che gli italiani dovranno affrontare.
Poi, eventualmente, se ne discute.
Un altro bunga-bunga a secco e al buio non è ipotizzabile.
Cento volte meglio il terremoto.
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Re: La crisi dell'Europa
L’ENCICLOPEDIA DEGLI SCEMI
"L'addio sarà duro, ma restare sarebbe peggio"
L'ex ministro ed economista: "Dire che non si può fare retromarcia aggrava la situazione"
Gian Maria De Francesco - Sab, 28/01/2017 - 08:24
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Roma - «Nel giugno 1971 la Rivista italiana di politica economica pubblicò in caratteri minuscoli, per nasconderlo il più possibile, un mio saggio contro il piano Werner, il primo esperimento di unione monetaria europea, nel quale sostenevo che il progressivo restringimento dei margini di fluttuazione dei tassi di cambio avrebbe creato problemi».
Il report di Mediobanca non suona nuovo ad Antonio Martino, già professore di Economia politica alla Luiss di Roma e oggi deputato di Forza Italia. Quello scritto gli valse la riprovazione di Piero Fassino che lo bollò come «euroscettico» allorquando Martino fu nominato ministro degli Esteri nel 1994. Ma «il Pci fece campagna contro gli accordi di Messina del 1955 che portarono al Trattato di Roma del 1957», ricorda Martino, figlio del ministro che quegli accordi li promosse e li firmò.
Onorevole, anche Mediobanca ha ipotizzato che è possibile uscire dall'«area monetaria ottimale» dell'euro.
«Un'area monetaria è ottimale se c'è mobilità dei fattori della produzione che non può esserci tra Paesi con ordinamenti, lingue ed economie differenti. Quale mobilità può esserci tra la Baviera e la Sardegna? Si usa quel termine per l'euro perché il suo padrino è il Nobel Bob Mundell che studiava gli ambiti monetari ottimali e che non ho mai capito come potesse considerare tale l'Unione europea».
Una certa politica sostiene queste posizioni da tempo.
«La situazione è molto più complessa di come la si descrive politicamente. Luigi Einaudi era favorevole a una moneta unica perché si sarebbe tolta agli Stati nazionali la possibilità di monetizzare il debito facendo comprare alle banche centrali i titoli emessi per finanziare il deficit e aumentando l'inflazione che è la più odiosa delle imposte. Ma oggi cos'è il quantitative easing se non un acquisto massiccio di titoli del debito pubblico da parte della Bce che li paga creando euro? Fra tre anni al massimo se ne vedranno gli effetti e l'inflazione si abbatterà su uno scenario diverso dall'attuale».
Mediobanca punta il dito contro la perdita di produttività del lavoro connessa al cambio fisso.
«Se il disavanzo delle partite correnti non determina una svalutazione della moneta nazionale, il sistema si riporta in equilibrio con le variabili macroeconomiche interne: prezzi, livello dell'occupazione e sviluppo. L'Italia ristagna da tanto tempo proprio per questo motivo».
L'impostazione europea è dunque sbagliata?
«Comportarsi come se non si potesse fare macchina indietro aggrava gli errori, mentre è possibile farlo in modi non penosi dal punto di vista economico e sociale».
Quindi l'uscita è possibile come dicono Salvini, Meloni e Grillo?
«L'uscita non è semplice e indolore ma l'euro ha creato una perdita secca di potere d'acquisto. Tuttavia non vedo una maggioranza che abbia un progetto o un piano per realizzarla. L'idea del referendum non sta in piedi perché non sono ammessi in materia di trattati internazionali. Io ed altri economisti avevamo proposto nel 2012 che la Grecia adottasse una moneta parallela che circolasse assieme all'euro al tasso di cambio che il mercato avrebbe determinato. Dopo un paio d'anni si sarebbe raggiunto il tasso di equilibrio e la Grecia sarebbe potuta uscire ordinatamente».
Quali miglioramenti si avrebbero con una nuova lira?
«Se avessimo una moneta nazionale, avremmo altri due obiettivi di politica economica: l'equilibrio di bilancia dei pagamenti e la politica monetaria nazionale. È per questa ragione che da un po' si ricomincia a parlare di una possibile conveniente uscita della Germania».
"L'addio sarà duro, ma restare sarebbe peggio"
L'ex ministro ed economista: "Dire che non si può fare retromarcia aggrava la situazione"
Gian Maria De Francesco - Sab, 28/01/2017 - 08:24
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Roma - «Nel giugno 1971 la Rivista italiana di politica economica pubblicò in caratteri minuscoli, per nasconderlo il più possibile, un mio saggio contro il piano Werner, il primo esperimento di unione monetaria europea, nel quale sostenevo che il progressivo restringimento dei margini di fluttuazione dei tassi di cambio avrebbe creato problemi».
Il report di Mediobanca non suona nuovo ad Antonio Martino, già professore di Economia politica alla Luiss di Roma e oggi deputato di Forza Italia. Quello scritto gli valse la riprovazione di Piero Fassino che lo bollò come «euroscettico» allorquando Martino fu nominato ministro degli Esteri nel 1994. Ma «il Pci fece campagna contro gli accordi di Messina del 1955 che portarono al Trattato di Roma del 1957», ricorda Martino, figlio del ministro che quegli accordi li promosse e li firmò.
Onorevole, anche Mediobanca ha ipotizzato che è possibile uscire dall'«area monetaria ottimale» dell'euro.
«Un'area monetaria è ottimale se c'è mobilità dei fattori della produzione che non può esserci tra Paesi con ordinamenti, lingue ed economie differenti. Quale mobilità può esserci tra la Baviera e la Sardegna? Si usa quel termine per l'euro perché il suo padrino è il Nobel Bob Mundell che studiava gli ambiti monetari ottimali e che non ho mai capito come potesse considerare tale l'Unione europea».
Una certa politica sostiene queste posizioni da tempo.
«La situazione è molto più complessa di come la si descrive politicamente. Luigi Einaudi era favorevole a una moneta unica perché si sarebbe tolta agli Stati nazionali la possibilità di monetizzare il debito facendo comprare alle banche centrali i titoli emessi per finanziare il deficit e aumentando l'inflazione che è la più odiosa delle imposte. Ma oggi cos'è il quantitative easing se non un acquisto massiccio di titoli del debito pubblico da parte della Bce che li paga creando euro? Fra tre anni al massimo se ne vedranno gli effetti e l'inflazione si abbatterà su uno scenario diverso dall'attuale».
Mediobanca punta il dito contro la perdita di produttività del lavoro connessa al cambio fisso.
«Se il disavanzo delle partite correnti non determina una svalutazione della moneta nazionale, il sistema si riporta in equilibrio con le variabili macroeconomiche interne: prezzi, livello dell'occupazione e sviluppo. L'Italia ristagna da tanto tempo proprio per questo motivo».
L'impostazione europea è dunque sbagliata?
«Comportarsi come se non si potesse fare macchina indietro aggrava gli errori, mentre è possibile farlo in modi non penosi dal punto di vista economico e sociale».
Quindi l'uscita è possibile come dicono Salvini, Meloni e Grillo?
«L'uscita non è semplice e indolore ma l'euro ha creato una perdita secca di potere d'acquisto. Tuttavia non vedo una maggioranza che abbia un progetto o un piano per realizzarla. L'idea del referendum non sta in piedi perché non sono ammessi in materia di trattati internazionali. Io ed altri economisti avevamo proposto nel 2012 che la Grecia adottasse una moneta parallela che circolasse assieme all'euro al tasso di cambio che il mercato avrebbe determinato. Dopo un paio d'anni si sarebbe raggiunto il tasso di equilibrio e la Grecia sarebbe potuta uscire ordinatamente».
Quali miglioramenti si avrebbero con una nuova lira?
«Se avessimo una moneta nazionale, avremmo altri due obiettivi di politica economica: l'equilibrio di bilancia dei pagamenti e la politica monetaria nazionale. È per questa ragione che da un po' si ricomincia a parlare di una possibile conveniente uscita della Germania».
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Re: La crisi dell'Europa
L’ENCICLOPEDIA DEGLI SCEMI
"Uscire dall'euro fa paura ai centri di potere italiani"
L'esperto di finanza sul dossier di Mediobanca: "Ma ora serve un supergoverno per far rinascere l'Europa"
Rodolfo Parietti - Sab, 28/01/2017 - 08:31
commenta
Solo a sentir parlare di Italexit, ovvero di divorzio dall'euro così come prospettato da uno studio di Mediobanca, gli viene l'orticaria.
«Non siamo mica gli inglesi, un popolo forte abituato a lottare per le proprie idee. Noi siamo un popolo che sale sul carro del vincitore e appena può tradisce». Guido Roberto Vitale, una vita spesa nel mondo della finanza, dalla Mediobanca cucciana al lungo soggiorno in Euromobiliare, dal transito in Lazard e Rcs fino alla creazione della Vitale&Co, non alza di mezzo tono la voce. Ma è pungente e va dritto al bersaglio quando tira in ballo l'ingovernabilità tricolore associata alla scarsa produttività e alla fatica nel fare le riforme necessarie.
Dottor Vitale, perché è meglio restare nell'euro?
«La moneta unica è destinata a durare perché l'Europa va verso un rinascimento».
In che modo?
«Mettendo insieme i sei Paesi che hanno fondato l'Europa e gli altri sei che formano il nucleo centrale dell'Europa. Tutti gli altri devono far parte di un'area tipo Nafta che consenta loro di commerciare con l'Ue. L'Italia non può fare la Svizzera in mezzo al Mediterraneo».
Eppure l'Europa sta continuando a dare prove di debolezza
«Sono d'accordo. Ecco perché bisogna ripartire da un'Europa più piccola, più omogenea culturalmente. E per far questo abbiamo bisogno di un unico ministero delle Finanze e un unico esercito. Con un'industria militare comune avremmo un assorbimento di manodopera specializzata straordinario».
È un progetto che richiede tempi lunghi. Abbiamo tutto questo tempo?
«È sufficiente fare le riforme che servono a rendere moderno il Paese, così da recuperare 10 punti di Pil: a cominciare da quella del mercato del lavoro e della Pubblica amministrazione. È un problema di produttività. E di pensioni pagate a gente che non le ha guadagnate».
La riforma Fornero non ha rimediato a queste incongruenze?
«Infatti: è una riforma così seria che è sempre sotto tiro».
Lo studio di Mediobanca individua altri problemi: l'elevato debito pubblico e la scarsa crescita negli ultimi 15 anni.
«Appunto: troppo pochi quelli che lavorano, troppi scioperi e poche riforme. Senza dimenticare il governo: ne occorre uno stabile, in grado di essere un attore quasi di pari grado con Germania e Francia quando fra due anni si ridiscuterà del futuro dell'Europa».
Una stabilità che, storicamente, sembra impossibile...
«Solo nei primi anni del dopoguerra abbiamo avuto un esecutivo forte e duraturo, poi la situazione è degenerata. Se continuiamo così conteremo come Malta».
Bastano le riforme e un governo stabile per aggredire la montagna del debito?
«La Guardia di Finanza ha stimato in 109 miliardi le tasse non pagate. Recuperando 50 miliardi si comincia a rimborsare il debito pubblico, con gli altri si modernizzano le infrastrutture, costruendo per esempio case anti-sismiche».
Il Tesoro avrebbe potuto fare di più in un periodo in cui c'è lo scudo Bce?
«Certamente. Negli ultimi 24 mesi avrebbe dovuto allungare di più la vita media del debito con l'emissione di titoli a 40-50 anni per importi robusti».
Ma quando Draghi cambierà rotta saremo in grado di sostenere il peso del debito?
«I tassi di interesse andrebbero al 15% se usciamo dall'euro. Dobbiamo capire che non si deve svalutare, ma lavorare. Non mettiamo a posto i conti con l'Italexit».
Non è che i poteri forti si stanno accorgendo che l'euro li danneggia?
«Non ho mai visto né grandi vecchi, né burattinai. Ci sono piccoli centri di potere e un Paese che non si è dato istituzioni moderne in grado di invogliare i detentori di capitali a diventare capitalisti».
Mediobanca sta difendendo un mondo che rischia di sparire?
«Le sue considerazioni potrebbero non essere infondate».
"Uscire dall'euro fa paura ai centri di potere italiani"
L'esperto di finanza sul dossier di Mediobanca: "Ma ora serve un supergoverno per far rinascere l'Europa"
Rodolfo Parietti - Sab, 28/01/2017 - 08:31
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Solo a sentir parlare di Italexit, ovvero di divorzio dall'euro così come prospettato da uno studio di Mediobanca, gli viene l'orticaria.
«Non siamo mica gli inglesi, un popolo forte abituato a lottare per le proprie idee. Noi siamo un popolo che sale sul carro del vincitore e appena può tradisce». Guido Roberto Vitale, una vita spesa nel mondo della finanza, dalla Mediobanca cucciana al lungo soggiorno in Euromobiliare, dal transito in Lazard e Rcs fino alla creazione della Vitale&Co, non alza di mezzo tono la voce. Ma è pungente e va dritto al bersaglio quando tira in ballo l'ingovernabilità tricolore associata alla scarsa produttività e alla fatica nel fare le riforme necessarie.
Dottor Vitale, perché è meglio restare nell'euro?
«La moneta unica è destinata a durare perché l'Europa va verso un rinascimento».
In che modo?
«Mettendo insieme i sei Paesi che hanno fondato l'Europa e gli altri sei che formano il nucleo centrale dell'Europa. Tutti gli altri devono far parte di un'area tipo Nafta che consenta loro di commerciare con l'Ue. L'Italia non può fare la Svizzera in mezzo al Mediterraneo».
Eppure l'Europa sta continuando a dare prove di debolezza
«Sono d'accordo. Ecco perché bisogna ripartire da un'Europa più piccola, più omogenea culturalmente. E per far questo abbiamo bisogno di un unico ministero delle Finanze e un unico esercito. Con un'industria militare comune avremmo un assorbimento di manodopera specializzata straordinario».
È un progetto che richiede tempi lunghi. Abbiamo tutto questo tempo?
«È sufficiente fare le riforme che servono a rendere moderno il Paese, così da recuperare 10 punti di Pil: a cominciare da quella del mercato del lavoro e della Pubblica amministrazione. È un problema di produttività. E di pensioni pagate a gente che non le ha guadagnate».
La riforma Fornero non ha rimediato a queste incongruenze?
«Infatti: è una riforma così seria che è sempre sotto tiro».
Lo studio di Mediobanca individua altri problemi: l'elevato debito pubblico e la scarsa crescita negli ultimi 15 anni.
«Appunto: troppo pochi quelli che lavorano, troppi scioperi e poche riforme. Senza dimenticare il governo: ne occorre uno stabile, in grado di essere un attore quasi di pari grado con Germania e Francia quando fra due anni si ridiscuterà del futuro dell'Europa».
Una stabilità che, storicamente, sembra impossibile...
«Solo nei primi anni del dopoguerra abbiamo avuto un esecutivo forte e duraturo, poi la situazione è degenerata. Se continuiamo così conteremo come Malta».
Bastano le riforme e un governo stabile per aggredire la montagna del debito?
«La Guardia di Finanza ha stimato in 109 miliardi le tasse non pagate. Recuperando 50 miliardi si comincia a rimborsare il debito pubblico, con gli altri si modernizzano le infrastrutture, costruendo per esempio case anti-sismiche».
Il Tesoro avrebbe potuto fare di più in un periodo in cui c'è lo scudo Bce?
«Certamente. Negli ultimi 24 mesi avrebbe dovuto allungare di più la vita media del debito con l'emissione di titoli a 40-50 anni per importi robusti».
Ma quando Draghi cambierà rotta saremo in grado di sostenere il peso del debito?
«I tassi di interesse andrebbero al 15% se usciamo dall'euro. Dobbiamo capire che non si deve svalutare, ma lavorare. Non mettiamo a posto i conti con l'Italexit».
Non è che i poteri forti si stanno accorgendo che l'euro li danneggia?
«Non ho mai visto né grandi vecchi, né burattinai. Ci sono piccoli centri di potere e un Paese che non si è dato istituzioni moderne in grado di invogliare i detentori di capitali a diventare capitalisti».
Mediobanca sta difendendo un mondo che rischia di sparire?
«Le sue considerazioni potrebbero non essere infondate».
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Re: La crisi dell'Europa
i nazionalismi sono peggio possono soffocare la libertà di un popolo,chi ricerca l'uscita dall'europa è solo alla ricerca del potere.I primi a pagarne le conseguenze dall'uscita dell'euro sarebbero i lavoratori che con l'inflazione a due cifre vedranno drasticamente tagliato il reddito.L'unica possibilità è cambiare questa europa farne un'europa federale dove i popoli europei esprimono la loro sovranità attraverso il parlamento europeo
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Re: La crisi dell'Europa
I TRUMP OLINI NOSTRANI NON MOLLANO
Ma l'allarmismo ormai non attacca più
Giancarlo Mazzuca - Dom, 29/01/2017 - 12:22
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«La vita oltre l'euro». Quando, tre anni fa, scrissi un libro con questo titolo assieme all'imprenditore Ernesto Preatoni, nonostante il mio pessimismo, non pensavo che i nodi sarebbero venuti al pettine in così poco tempo.
Quelle che allora sembravano le farneticazioni di due euroscettici ante-litteram si stanno, purtroppo, avverando tanto che il pollice in giù sulla moneta unica è stato ora emesso come anticipato l'altro giorno dal Giornale persino dal salotto buono della finanza italiana, Mediobanca. Un suo dossier riservato parla chiaro: il nostro debito pubblico, agganciati all'euro, rischia di andare definitivamente in tilt per via dei prossimi aumenti dei tassi d'interesse a livello internazionale mentre la crescita zero è sempre più sotto zero.
Se nel 2013, parola di Piazzetta Cuccia, Italexit, con la conversione del nostro disavanzo in lire, ci avrebbe fatto risparmiare 285 miliardi, oggi il margine positivo dell'operazione si ridurrebbe a 8, ma sarebbe ugualmente un'operazione in attivo. Abbiamo perso troppo tempo, obnubilati dalla parola «Europa» che ci ha riempito la bocca e ottuso il cervello. Adesso se ne stanno accorgendo tutti, ma quando, in quel libro, parlammo di «euromorbo», venimmo accusati di essere disfattisti tout court. Eppure anche allora le cifre parlavano chiaro e il naufragio del Titanic-Italia contro l'iceberg del debito appariva già evidente. Proprio nella prefazione a quel volumetto, l'economista Paolo Savona aveva cercato di spiegare il fatto quasi masochistico di aver accettato di denominare il debito pubblico in una moneta fuori dal nostro diretto controllo, in pratica una divisa «straniera», per giunta in mano a quei governanti europei che avevano e hanno una concezione della politica economica non certo condivisa dagli italiani
E' vero, una nostra uscita dall'euro, adesso più di qualche anno fa, non sarebbe certo indolore, a cominciare dalla stessa inflazione che schizzerebbe ancora più in alto, ma, a questo punto, si tratterebbe del minore dei mali. Basta ricordare cosa succedeva negli anni Settanta, con l'aumento dei prezzi a due cifre e con le svalutazioni competitive della liretta che, in qualche modo, davano fiato al made in Italy. Il mercato del lavoro di quegli anni era incredibile, con tante possibilità per i giovani d'allora: avevamo davanti un futuro che, purtroppo, non c'è più anche perché la tecnologia ha cancellato e cancellerà tante professioni. Non solo: con gli ultimi governi, da Mario Monti in poi, siamo andati avanti per forza d'inerzia. Abbiamo perso tutto e, quel che è peggio, non abbiamo tracciato nessuna strada alternativa da imboccare.
E' chiaro, a questo punto, che non c'è più tempo da perdere: abbiamo dato troppa retta ai «guru» di Bruxelles e di casa nostra, i «Bocconi boys», che hanno continuato a terrorizzarci su una possibile uscita dall'euro, agitando lo spauracchio del crac ineluttabile dietro al ritorno alla lira. Allarmismo, il loro, inutile e controproducente.
Un po' come è successo, nel 2016, con Brexit: quando gli inglesi sono usciti dall'Europa - ma non dall'euro perché loro, veri marpioni, non sono mai entrati nel club monetario e si sono tenuti ben stretti la loro sterlina -, vennero previste le peggiori nefandezze per gli scenari economici d'oltremanica. Proprio l'altro giorno abbiamo, invece, scoperto che, nell'ultimo trimestre dell'anno scorso, quando la frittata del referendum era già stata fatta, il Pil britannico è salito dello 0,6 per cento, con una crescita annua (2,2) maggiore di quella inizialmente stimata. E, allora, di cosa stiamo parlando?
Ma l'allarmismo ormai non attacca più
Giancarlo Mazzuca - Dom, 29/01/2017 - 12:22
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«La vita oltre l'euro». Quando, tre anni fa, scrissi un libro con questo titolo assieme all'imprenditore Ernesto Preatoni, nonostante il mio pessimismo, non pensavo che i nodi sarebbero venuti al pettine in così poco tempo.
Quelle che allora sembravano le farneticazioni di due euroscettici ante-litteram si stanno, purtroppo, avverando tanto che il pollice in giù sulla moneta unica è stato ora emesso come anticipato l'altro giorno dal Giornale persino dal salotto buono della finanza italiana, Mediobanca. Un suo dossier riservato parla chiaro: il nostro debito pubblico, agganciati all'euro, rischia di andare definitivamente in tilt per via dei prossimi aumenti dei tassi d'interesse a livello internazionale mentre la crescita zero è sempre più sotto zero.
Se nel 2013, parola di Piazzetta Cuccia, Italexit, con la conversione del nostro disavanzo in lire, ci avrebbe fatto risparmiare 285 miliardi, oggi il margine positivo dell'operazione si ridurrebbe a 8, ma sarebbe ugualmente un'operazione in attivo. Abbiamo perso troppo tempo, obnubilati dalla parola «Europa» che ci ha riempito la bocca e ottuso il cervello. Adesso se ne stanno accorgendo tutti, ma quando, in quel libro, parlammo di «euromorbo», venimmo accusati di essere disfattisti tout court. Eppure anche allora le cifre parlavano chiaro e il naufragio del Titanic-Italia contro l'iceberg del debito appariva già evidente. Proprio nella prefazione a quel volumetto, l'economista Paolo Savona aveva cercato di spiegare il fatto quasi masochistico di aver accettato di denominare il debito pubblico in una moneta fuori dal nostro diretto controllo, in pratica una divisa «straniera», per giunta in mano a quei governanti europei che avevano e hanno una concezione della politica economica non certo condivisa dagli italiani
E' vero, una nostra uscita dall'euro, adesso più di qualche anno fa, non sarebbe certo indolore, a cominciare dalla stessa inflazione che schizzerebbe ancora più in alto, ma, a questo punto, si tratterebbe del minore dei mali. Basta ricordare cosa succedeva negli anni Settanta, con l'aumento dei prezzi a due cifre e con le svalutazioni competitive della liretta che, in qualche modo, davano fiato al made in Italy. Il mercato del lavoro di quegli anni era incredibile, con tante possibilità per i giovani d'allora: avevamo davanti un futuro che, purtroppo, non c'è più anche perché la tecnologia ha cancellato e cancellerà tante professioni. Non solo: con gli ultimi governi, da Mario Monti in poi, siamo andati avanti per forza d'inerzia. Abbiamo perso tutto e, quel che è peggio, non abbiamo tracciato nessuna strada alternativa da imboccare.
E' chiaro, a questo punto, che non c'è più tempo da perdere: abbiamo dato troppa retta ai «guru» di Bruxelles e di casa nostra, i «Bocconi boys», che hanno continuato a terrorizzarci su una possibile uscita dall'euro, agitando lo spauracchio del crac ineluttabile dietro al ritorno alla lira. Allarmismo, il loro, inutile e controproducente.
Un po' come è successo, nel 2016, con Brexit: quando gli inglesi sono usciti dall'Europa - ma non dall'euro perché loro, veri marpioni, non sono mai entrati nel club monetario e si sono tenuti ben stretti la loro sterlina -, vennero previste le peggiori nefandezze per gli scenari economici d'oltremanica. Proprio l'altro giorno abbiamo, invece, scoperto che, nell'ultimo trimestre dell'anno scorso, quando la frittata del referendum era già stata fatta, il Pil britannico è salito dello 0,6 per cento, con una crescita annua (2,2) maggiore di quella inizialmente stimata. E, allora, di cosa stiamo parlando?
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Re: La crisi dell'Europa
EPPURE, GIANCARLO MAZZUCA NON E’ DI PRIMO PELO.
Giancarlo Mazzuca (Forlì, 25 luglio 1948) è un giornalista, scrittore e politico italiano, direttore de Il Resto del Carlino dal 2002 al 2008, direttore de Il Giorno per un breve periodo nel 2003 e dal 2013 al 2016 e deputato della XVI Legislatura
https://it.wikipedia.org/wiki/Giancarlo_Mazzuca
SEMBRA PERO’ UNO STUDENTELLO AI PRIMI MESI DELLA BOCCONI.
E' chiaro, a questo punto, che non c'è più tempo da perdere: abbiamo dato troppa retta ai «guru» di Bruxelles e di casa nostra, i «Bocconi boys», che hanno continuato a terrorizzarci su una possibile uscita dall'euro, agitando lo spauracchio del crac ineluttabile dietro al ritorno alla lira. Allarmismo, il loro, inutile e controproducente.
BUNGA-BUNGA ORA ET SIEMPRE,…… VAMOS
Se non è all’altezza lui, la faccia fare ad altri del giro.
Ma elenchi dettagliatamente cosa succede in tutti i settori della società italiana se si prende la decisione di uscire dall’Euro.
Come la racconta lui è solo miserabile propaganda senza nessuna pezza d’appoggio.
Si può leggere altrove una dichiarazione del fondatore della religione del Bunga-Bunga:
Noi vogliamo la vittoria delle persone di buon senso, che non ne possono più della politica fatta di chiacchiere e di risse. Sono le persone che si sono stancate di andare a votare e alle quali vogliamo ridare fiducia. E sono la maggioranza degli italiani. Se sapremo convincerli, vinceremo le elezioni''
Mazzuca, provi a mettere in pratica quanto afferma poco sopra il fondatore.
Provi a convincere gli italiani con dati plausibili, non con le solite chiacchiere al vento per merli boccaloni.
Giancarlo Mazzuca (Forlì, 25 luglio 1948) è un giornalista, scrittore e politico italiano, direttore de Il Resto del Carlino dal 2002 al 2008, direttore de Il Giorno per un breve periodo nel 2003 e dal 2013 al 2016 e deputato della XVI Legislatura
https://it.wikipedia.org/wiki/Giancarlo_Mazzuca
SEMBRA PERO’ UNO STUDENTELLO AI PRIMI MESI DELLA BOCCONI.
E' chiaro, a questo punto, che non c'è più tempo da perdere: abbiamo dato troppa retta ai «guru» di Bruxelles e di casa nostra, i «Bocconi boys», che hanno continuato a terrorizzarci su una possibile uscita dall'euro, agitando lo spauracchio del crac ineluttabile dietro al ritorno alla lira. Allarmismo, il loro, inutile e controproducente.
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Se non è all’altezza lui, la faccia fare ad altri del giro.
Ma elenchi dettagliatamente cosa succede in tutti i settori della società italiana se si prende la decisione di uscire dall’Euro.
Come la racconta lui è solo miserabile propaganda senza nessuna pezza d’appoggio.
Si può leggere altrove una dichiarazione del fondatore della religione del Bunga-Bunga:
Noi vogliamo la vittoria delle persone di buon senso, che non ne possono più della politica fatta di chiacchiere e di risse. Sono le persone che si sono stancate di andare a votare e alle quali vogliamo ridare fiducia. E sono la maggioranza degli italiani. Se sapremo convincerli, vinceremo le elezioni''
Mazzuca, provi a mettere in pratica quanto afferma poco sopra il fondatore.
Provi a convincere gli italiani con dati plausibili, non con le solite chiacchiere al vento per merli boccaloni.
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Re: La crisi dell'Europa
COSA C'E' DI MEGLIO, PER SPUTTANARE LA SINISTRA EUROPEA, SE NON METTERE UN SINISTRO A GUIDARE LA GRECIA???????????
IL GIOCHINO COMUNICATIVO DIVENTA SEMPLICE ED ELEMENTARE.
VEDI COSA SUCCEDE SE VANNO I PROGESSISTI AL POTERE!!!!!
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Una famiglia greca su 2 campa della pensione di un parente
Scritto il 31/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Tagli a sangue la spesa pubblica, imponi tasse folli, elimini la moneta sovrana. E ottieni, esattamente, la Grecia: dove, si apprende, un cittadino su due sopravvive, lottando contro la fame, solo grazie alla piccola pensione percepita da un membro della famiglia. E’ la fotografia perfetta del rigore “germanico” imposto all’Europa con la moneta unica, che impedisce allo Stato di proteggere la comunità nazionale e promuovere investimenti vitali per il lavoro. Gli ultimi dati su Atene sono spaventatosi. Li pubblica “Keep Talking Greece”, in un aggiornamento sulla situazione finanziaria dei nuclei familiari in Grecia. «Quasi la metà delle famiglie vive della sola pensione di un familiare, i tre quarti hanno subìto un peggioramento delle proprie condizioni economiche, e quasi altrettanti si aspettano ulteriori peggioramenti nell’anno in corso, a testimonianza di un paese che ha perso ogni speranza nel futuro», scrive “Voci dall’Estero”, che ha tradotto il report statistico, secondo cui, appunto, «la metà dei nuclei familiari in Grecia dichiara che l’unica fonte di reddito di cui dispone è la pensione di un membro della famiglia».
Secondo il sondaggio, condotto a novembre 2016 dall’associazione piccole imprese (Ime Gsevee) su un campione di mille nuclei familiari distribuiti in tutto il paese, il 49,2% delle famiglie non ha alcuna altra fonte di reddito, a parte la (piccola) pensione di un familiare. I greci sono letteralmente allo stremo: tre su quattro hanno «subìto un declino significativo del proprio reddito nel corso dell’anno 2016». Dati impietosi: il 37,1 % dei nuclei familiari dice di vivere con meno 10.000 euro all’anno; il 37,9 % campa del proprio magro salario, e il 9 % dipende principalmente dai redditi provenienti da attività commerciali. Attenzione: un nucleo familiare su tre ha almeno un componente della famiglia disoccupato, ciò significa una stima di 1,1 milioni di famiglie. E i disoccupati di lungo periodo contano per il il 73,3 % di tutti i senza lavoro. Se il lavoro c’è, è poca cosa: il 22,4 % dei nuclei familiari ha un componente occupato della famiglia che guadagna meno del salario mensile minimo, pari a 586 euro lordi. Intanto, in una famiglia ogni dieci, un parente ha già lasciato il paese. E il futuro è nero: il 73,5 % degli intervistati si aspetta un peggioramento ulteriore della propria situazione finanziaria, fra tasse arretrate che non potrà pagare e mutui bancari troppo salati.
Il report suggerisce che «La crisi finanziaria di lungo periodo, la cui vittima principale è la classe media, non sta portando solo a un ulteriore declino dei redditi e a un ampliamento delle disuguaglianze, ma minaccia apertamente la coesione sociale». In compenso i conti pubblici sarebbero in via di risanamento? Certo, come nel vecchio adagio “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”. «La cosiddetta terapia, che consiste nel continuo aumento delle tasse, dirette e indirette, può anche portare a un avanzo fiscale primario, ma questo – sintetizzano gli autori del report – non si riflette in alcun beneficio per i contribuenti in termini di qualche forma di servizio pubblico, e anzi al tempo stesso viene ridotta la spesa per la sanità e l’istruzione». Questo è l’orrore su cui si specchia, in Grecia, l’Europa delle élite oggi affidata all’ordoliberismo della Merkel: strangolato lo Stato, a sua volta costretto a strangolare i cittadini (più tasse, meno servizi vitali), l’imposizione dell’euro si manifesta per quello che è: un’operazione senza anestesia, inflitta a un’Europa senza futuro. Pagano tutti, a cominciare dai più deboli.
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Una famiglia greca su 2 campa della pensione di un parente
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Tagli a sangue la spesa pubblica, imponi tasse folli, elimini la moneta sovrana. E ottieni, esattamente, la Grecia: dove, si apprende, un cittadino su due sopravvive, lottando contro la fame, solo grazie alla piccola pensione percepita da un membro della famiglia. E’ la fotografia perfetta del rigore “germanico” imposto all’Europa con la moneta unica, che impedisce allo Stato di proteggere la comunità nazionale e promuovere investimenti vitali per il lavoro. Gli ultimi dati su Atene sono spaventatosi. Li pubblica “Keep Talking Greece”, in un aggiornamento sulla situazione finanziaria dei nuclei familiari in Grecia. «Quasi la metà delle famiglie vive della sola pensione di un familiare, i tre quarti hanno subìto un peggioramento delle proprie condizioni economiche, e quasi altrettanti si aspettano ulteriori peggioramenti nell’anno in corso, a testimonianza di un paese che ha perso ogni speranza nel futuro», scrive “Voci dall’Estero”, che ha tradotto il report statistico, secondo cui, appunto, «la metà dei nuclei familiari in Grecia dichiara che l’unica fonte di reddito di cui dispone è la pensione di un membro della famiglia».
Secondo il sondaggio, condotto a novembre 2016 dall’associazione piccole imprese (Ime Gsevee) su un campione di mille nuclei familiari distribuiti in tutto il paese, il 49,2% delle famiglie non ha alcuna altra fonte di reddito, a parte la (piccola) pensione di un familiare. I greci sono letteralmente allo stremo: tre su quattro hanno «subìto un declino significativo del proprio reddito nel corso dell’anno 2016». Dati impietosi: il 37,1 % dei nuclei familiari dice di vivere con meno 10.000 euro all’anno; il 37,9 % campa del proprio magro salario, e il 9 % dipende principalmente dai redditi provenienti da attività commerciali. Attenzione: un nucleo familiare su tre ha almeno un componente della famiglia disoccupato, ciò significa una stima di 1,1 milioni di famiglie. E i disoccupati di lungo periodo contano per il il 73,3 % di tutti i senza lavoro. Se il lavoro c’è, è poca cosa: il 22,4 % dei nuclei familiari ha un componente occupato della famiglia che guadagna meno del salario mensile minimo, pari a 586 euro lordi. Intanto, in una famiglia ogni dieci, un parente ha già lasciato il paese. E il futuro è nero: il 73,5 % degli intervistati si aspetta un peggioramento ulteriore della propria situazione finanziaria, fra tasse arretrate che non potrà pagare e mutui bancari troppo salati.
Il report suggerisce che «La crisi finanziaria di lungo periodo, la cui vittima principale è la classe media, non sta portando solo a un ulteriore declino dei redditi e a un ampliamento delle disuguaglianze, ma minaccia apertamente la coesione sociale». In compenso i conti pubblici sarebbero in via di risanamento? Certo, come nel vecchio adagio “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”. «La cosiddetta terapia, che consiste nel continuo aumento delle tasse, dirette e indirette, può anche portare a un avanzo fiscale primario, ma questo – sintetizzano gli autori del report – non si riflette in alcun beneficio per i contribuenti in termini di qualche forma di servizio pubblico, e anzi al tempo stesso viene ridotta la spesa per la sanità e l’istruzione». Questo è l’orrore su cui si specchia, in Grecia, l’Europa delle élite oggi affidata all’ordoliberismo della Merkel: strangolato lo Stato, a sua volta costretto a strangolare i cittadini (più tasse, meno servizi vitali), l’imposizione dell’euro si manifesta per quello che è: un’operazione senza anestesia, inflitta a un’Europa senza futuro. Pagano tutti, a cominciare dai più deboli.
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Re: La crisi dell'Europa
L'ORA DEL SALUMIERE............
Salvini: "L'euro è un moneta finita. Il futuro dell'Italia è senza"
Salvini presenta il progetto Oltre l'euro. "Con noi solo chi condivide questa lotta". E Borghi spiega come lasciare la moneta unica
Sergio Rame - Mar, 31/01/2017 - 18:19
commenta
Matteo Salvini rilancia la battaglia della Lega Nord per un superamento della moneta unica.
Presentando un convegno e un pamphlet dal titolo Oltre l'euro, per tornare grandi, il segretario federale della Lega Nord ha chiarito che un "rapporto eventuale o presunto con Berlusconi non passa attraverso alchimie o listoni", ma attraverso la condivisione da parte di Forza Italia del piano leghista di uscita dall'euro.
Salvini ha presentato il convegno, organizzato dal gruppo degli euroscettici Enf (Europa delle nazioni e della libertà) e che è anche il nome di un libretto informativo con la prefazione dell'economista Alberto Bagnai. "Non ci alleeremo con nessuno che sostiene questa folle Unione europea - ha chiarito Salvini - l'euro è stato uno dei più grandi crimini economico e sociali compiuti davanti all'umanità". Secondo il leader del Carroccio quella portata avanti dagli euroscettici è "una campagna di verità". "Chi nega che l'uscita dall'euro sia necessaria - ha, poi, attaccato - è ingenuo, prezzolato o in malafede e noi non ci alleiamo con chi è ingenuo, prezzolato o in malafede". In conferenza stampa con il responsabile economico Claudio Borghi Aquilini e l'europarlamentare Marco Zanni, ex Cinque Stelle da poco confluito nel gruppo Enf, Salvini ha auspicato, quindi, è che "su questo tutto il Parlamento si unisca".
"Chiunque si voglia alleare con noi deve condividere parte fondante di questo libricino", ha insistito Salvini mostrando il manuale (scaricalo qui). Durante la conferenza stampa che ha preceduto il convegno di questa sera, Borghi ha illustrato parte del piano, a suo giudizio, "molto dettagliato", che la Lega Nord ha in programma per il superamento dell'euro. Tra le ricette elencate da Borghi vi sarebbe, una volta usciti dall'euro, il "pagamento immediato di tutti i debiti della Pubblica amministrazione in titoli di Stato di piccolo taglio". Secondo l'economista, lo Stato non farebbe debito aggiuntivo ma metterebbe in circolo titoli di Stato liberamente trasferibili con cui si possono pagare le tasse. "L'uscita dall'euro - ha sostenuto, dal canto suo Zanni - è una condizione necessaria ma non sufficiente: noi abbiamo un piano oltre l'euro. Chi non ha un piano B è un folle, perchè il futuro per l'Italia, se rimaniamo in questo progetto, sarà la Grecia".
Salvini: "L'euro è un moneta finita. Il futuro dell'Italia è senza"
Salvini presenta il progetto Oltre l'euro. "Con noi solo chi condivide questa lotta". E Borghi spiega come lasciare la moneta unica
Sergio Rame - Mar, 31/01/2017 - 18:19
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Matteo Salvini rilancia la battaglia della Lega Nord per un superamento della moneta unica.
Presentando un convegno e un pamphlet dal titolo Oltre l'euro, per tornare grandi, il segretario federale della Lega Nord ha chiarito che un "rapporto eventuale o presunto con Berlusconi non passa attraverso alchimie o listoni", ma attraverso la condivisione da parte di Forza Italia del piano leghista di uscita dall'euro.
Salvini ha presentato il convegno, organizzato dal gruppo degli euroscettici Enf (Europa delle nazioni e della libertà) e che è anche il nome di un libretto informativo con la prefazione dell'economista Alberto Bagnai. "Non ci alleeremo con nessuno che sostiene questa folle Unione europea - ha chiarito Salvini - l'euro è stato uno dei più grandi crimini economico e sociali compiuti davanti all'umanità". Secondo il leader del Carroccio quella portata avanti dagli euroscettici è "una campagna di verità". "Chi nega che l'uscita dall'euro sia necessaria - ha, poi, attaccato - è ingenuo, prezzolato o in malafede e noi non ci alleiamo con chi è ingenuo, prezzolato o in malafede". In conferenza stampa con il responsabile economico Claudio Borghi Aquilini e l'europarlamentare Marco Zanni, ex Cinque Stelle da poco confluito nel gruppo Enf, Salvini ha auspicato, quindi, è che "su questo tutto il Parlamento si unisca".
"Chiunque si voglia alleare con noi deve condividere parte fondante di questo libricino", ha insistito Salvini mostrando il manuale (scaricalo qui). Durante la conferenza stampa che ha preceduto il convegno di questa sera, Borghi ha illustrato parte del piano, a suo giudizio, "molto dettagliato", che la Lega Nord ha in programma per il superamento dell'euro. Tra le ricette elencate da Borghi vi sarebbe, una volta usciti dall'euro, il "pagamento immediato di tutti i debiti della Pubblica amministrazione in titoli di Stato di piccolo taglio". Secondo l'economista, lo Stato non farebbe debito aggiuntivo ma metterebbe in circolo titoli di Stato liberamente trasferibili con cui si possono pagare le tasse. "L'uscita dall'euro - ha sostenuto, dal canto suo Zanni - è una condizione necessaria ma non sufficiente: noi abbiamo un piano oltre l'euro. Chi non ha un piano B è un folle, perchè il futuro per l'Italia, se rimaniamo in questo progetto, sarà la Grecia".
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Re: La crisi dell'Europa
CAPITAN STARNAZZA
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Barnard: leggete a chi vanno i miliardi della Bce. E vomitate
Scritto il 01/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Mi prenderei a sberle. Avevo un documento agghiacciante in scrivania e non l’ho aperto per mesi. Dentro c’è la verità su chi Mario Draghi sta veramente finanziando coi miliardi del Quantitative Easing (Qe) mentre storce il naso se Roma chiede 20 euro per gli abruzzesi in ipotermia, sfollati da mesi, con morti in casa e la vita devastata, o per mettere 11 euro in più nel Job Act infame di Renzi e Poletti. Quando io gridavo a La7 “Criminali!” contro gli eurocrati, l’autore del programma, Alessandro Montanari, mi si avvinghiava alla giacca dietro le quinte e mi rampognava fino alla diarrea. Quel genio di Oliviero Beha mi rampognò in diretta, è in video. Ma voi leggete sotto, mentre pensate ai sofferenti d’Italia. Bacinella del vomito a portata di mano, raccomando. Il pdf in questione mi arrivò a fine ottobre via mail da Amsterdam, fonte autorevole oltre ogni dubbio. M’ingannò, porcaputtana, il subject mail che era “Draghi finanzia il Climate Change”. Pensai, ok, ci arrivo, un attimo, c’è la Siria, Trump, il referendum… Ma dentro quel pdf c’era ben di peggio. Ora alcuni fatti spiegati alla nonna per capire il resto dell’incubo Ue.
La Banca Centrale Europea crea tutti gli euro che esistono. E’ una specie di governo di questa Ue. Dopo appena 13 anni la moneta unica aveva letteralmente fatto a pezzi ogni singolo paese dell’Eurozona, Germania inclusa (diedi i dati in Tv 3.000 volte). Tutto il mondo finanziario extra europeo sapeva (e sa) che l’euro è fallito. A quel punto l’unico modo perché l’unione monetaria non crollasse in una catastrofe economica da libri di storia era se il creatore dell’euro, la Bce, si metteva a comprare una gran massa dei beni finanziari emessi dagli Stati-euro che ormai erano visti come semi-spazzatura dal mondo. Questo per artificialmente tenerne i prezzi e gli interessi a un livello di decenza. Draghi con la Bce lo fece: l’operazione si chiama Quantitative Easing (Qe). Ma non bastò, anzi, le cose andarono anche peggio per motivi che già scrissi 3 milioni di volte. Il problema era che anche le aziende private nell’Eurozona andavano da vomitare.
Dovete sapere che anche le aziende emettono beni finanziari, cioè titoli. E allora Draghi alla disperazione si presentò l’anno scorso a giugno e annunciò un altro Qe, però questa volta per le aziende, col nome di Cspp. E si mise a comprare miliardi in titoli di aziende per puntellarle anche se semidecomposte. Dovete capire che un’azienda ha in pratica due modi di finanziarsi con prestiti: chiedere in banca o emettere titoli. E Draghi annuncia che ora la Bce gli compra i titoli. Ok. Uno dice: be’, se serve a salvare il mobilificio di Ancona con 80 operai, perché no? La risposta è tragica e ci apre sulle porte dell’infamia della Bce. Le piccole aziende non possono emettere titoli, sono condannate alla gogna del prestito da banche, fine. Infatti la Bce di Draghi precisò che avrebbe acquistato titoli di aziende “corporate”. Che significa? Che avrebbe comprato i titoli dei cani grossi, come Telecom, o Vw. Ops! Ma per noi italiani già questa è una sciagura, perché da noi le piccole medie aziende sono il 98% delle imprese e creano il 78% della ricchezza dell’Italia. Sfiga. Crepate. Titoli Benetton? Certo che li compriamo, dice Draghi.
E allora uno apre il pdf che mi arrivò a fine ottobre per mail, e scopre, transazioni bancarie alla mano, a chi stanno andando i 125 miliardi che Draghi ha programmato di sborsare per ‘puntellare’ le aziende. E uno vomita. Petrolieri, mega imprese di servizi, industrie di armi, auto di stralusso, nucleare, colossi delle privatizzazioni, giganti dal fashion o del farmaco, persino casinò e produttori di champagne. Centoventicinque miliardi di regali a ’sti tizi. Operaio, commessa, crepate in Liguria, Marche, Puglia… L’ipotermico di Teramo? Ma scherziamo? Mille eurooooo? Ma cosa pretende? Palate di miliardi di euro invece a Shell, Eni, Repsol, Total, una trentina di aziende spagnole di servizi del gas, produttori di centrali nucleari come Teollisuuden, come Siemens, e Urenco. Poi gli Agnelli con la finanziaria Fiat Exor (Ferrari), Renault, Mercedes, Vw. Poi criminali di guerra come Thales, che hanno venduto armi in Africa sulla puzza di milioni di cadaveri. Poi i nemici giurati dell’acqua pubblica, cioè i colossi francesi Vivendi e Suèz. E ancora i super-colossi: Solvay, Nestlé, Coca Cola, Unilever, Novartis, Michelin, Ryanair, Luis Vuitton, Danone, assicurazioni Allianz, Deutsche Telekom, Bayer, Telefonica, Moët & Chandon, e il mostro delle scommesse Novomatic…
Soldiiiiiiiiiiiiii yes! La Bce fa proprio l’interesse del pubblico, con qualcosa come 17.900 piccole medie aziende europee che sono il cuore dell’impiego in Ue totalmente fuori dal festino. Ecco cosa dovete rispondere a chi vi rampogna “Ci vuole più Europa”. Basterebbe questo articolo per tagliargli la gola, a ’sti assassini. In Italia ’sta porcata vede fiumi di soldi versati in prima fila ai super big dell’energia, ma nessuno becca palate di liquidi come l’Eni; seguono Snam, Enel, Terna, Hera, e altri minori. Poi: Atlantia (Mediobanca, Goldman Sachs, BlackRock e Cassa Risp. Torino), le Generali, Telecom Italia, Luxottica, e i soliti Agnelli con Exor. E tu che caXXo vuoi? Tu chi sei, cittadino? Chi sei, sfigato piccolo imprenditore? Chi siamo noi, eh?, da quando Jaques Attali, uno dei padri della Bce, ci definì «la plebaglia europea»? Eccovi una notizia. Anche se, mi si perdoni, non sono immani tragedie come i 104 indagati del Pd di Travaglio-Gomez, la Raggi e la Cgil che fa i ruttini sul Job Act. Good luck Italians, good luck piccoli imprenditori e dipendenti che mai avete capito un caXXo.
(Paolo Barnard, “A chi vanno i miliardi della Bce – zitta centrItalia, crepa”, dal blog di Barnard del 30 gennaio 2017).
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Barnard: leggete a chi vanno i miliardi della Bce. E vomitate
Scritto il 01/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Mi prenderei a sberle. Avevo un documento agghiacciante in scrivania e non l’ho aperto per mesi. Dentro c’è la verità su chi Mario Draghi sta veramente finanziando coi miliardi del Quantitative Easing (Qe) mentre storce il naso se Roma chiede 20 euro per gli abruzzesi in ipotermia, sfollati da mesi, con morti in casa e la vita devastata, o per mettere 11 euro in più nel Job Act infame di Renzi e Poletti. Quando io gridavo a La7 “Criminali!” contro gli eurocrati, l’autore del programma, Alessandro Montanari, mi si avvinghiava alla giacca dietro le quinte e mi rampognava fino alla diarrea. Quel genio di Oliviero Beha mi rampognò in diretta, è in video. Ma voi leggete sotto, mentre pensate ai sofferenti d’Italia. Bacinella del vomito a portata di mano, raccomando. Il pdf in questione mi arrivò a fine ottobre via mail da Amsterdam, fonte autorevole oltre ogni dubbio. M’ingannò, porcaputtana, il subject mail che era “Draghi finanzia il Climate Change”. Pensai, ok, ci arrivo, un attimo, c’è la Siria, Trump, il referendum… Ma dentro quel pdf c’era ben di peggio. Ora alcuni fatti spiegati alla nonna per capire il resto dell’incubo Ue.
La Banca Centrale Europea crea tutti gli euro che esistono. E’ una specie di governo di questa Ue. Dopo appena 13 anni la moneta unica aveva letteralmente fatto a pezzi ogni singolo paese dell’Eurozona, Germania inclusa (diedi i dati in Tv 3.000 volte). Tutto il mondo finanziario extra europeo sapeva (e sa) che l’euro è fallito. A quel punto l’unico modo perché l’unione monetaria non crollasse in una catastrofe economica da libri di storia era se il creatore dell’euro, la Bce, si metteva a comprare una gran massa dei beni finanziari emessi dagli Stati-euro che ormai erano visti come semi-spazzatura dal mondo. Questo per artificialmente tenerne i prezzi e gli interessi a un livello di decenza. Draghi con la Bce lo fece: l’operazione si chiama Quantitative Easing (Qe). Ma non bastò, anzi, le cose andarono anche peggio per motivi che già scrissi 3 milioni di volte. Il problema era che anche le aziende private nell’Eurozona andavano da vomitare.
Dovete sapere che anche le aziende emettono beni finanziari, cioè titoli. E allora Draghi alla disperazione si presentò l’anno scorso a giugno e annunciò un altro Qe, però questa volta per le aziende, col nome di Cspp. E si mise a comprare miliardi in titoli di aziende per puntellarle anche se semidecomposte. Dovete capire che un’azienda ha in pratica due modi di finanziarsi con prestiti: chiedere in banca o emettere titoli. E Draghi annuncia che ora la Bce gli compra i titoli. Ok. Uno dice: be’, se serve a salvare il mobilificio di Ancona con 80 operai, perché no? La risposta è tragica e ci apre sulle porte dell’infamia della Bce. Le piccole aziende non possono emettere titoli, sono condannate alla gogna del prestito da banche, fine. Infatti la Bce di Draghi precisò che avrebbe acquistato titoli di aziende “corporate”. Che significa? Che avrebbe comprato i titoli dei cani grossi, come Telecom, o Vw. Ops! Ma per noi italiani già questa è una sciagura, perché da noi le piccole medie aziende sono il 98% delle imprese e creano il 78% della ricchezza dell’Italia. Sfiga. Crepate. Titoli Benetton? Certo che li compriamo, dice Draghi.
E allora uno apre il pdf che mi arrivò a fine ottobre per mail, e scopre, transazioni bancarie alla mano, a chi stanno andando i 125 miliardi che Draghi ha programmato di sborsare per ‘puntellare’ le aziende. E uno vomita. Petrolieri, mega imprese di servizi, industrie di armi, auto di stralusso, nucleare, colossi delle privatizzazioni, giganti dal fashion o del farmaco, persino casinò e produttori di champagne. Centoventicinque miliardi di regali a ’sti tizi. Operaio, commessa, crepate in Liguria, Marche, Puglia… L’ipotermico di Teramo? Ma scherziamo? Mille eurooooo? Ma cosa pretende? Palate di miliardi di euro invece a Shell, Eni, Repsol, Total, una trentina di aziende spagnole di servizi del gas, produttori di centrali nucleari come Teollisuuden, come Siemens, e Urenco. Poi gli Agnelli con la finanziaria Fiat Exor (Ferrari), Renault, Mercedes, Vw. Poi criminali di guerra come Thales, che hanno venduto armi in Africa sulla puzza di milioni di cadaveri. Poi i nemici giurati dell’acqua pubblica, cioè i colossi francesi Vivendi e Suèz. E ancora i super-colossi: Solvay, Nestlé, Coca Cola, Unilever, Novartis, Michelin, Ryanair, Luis Vuitton, Danone, assicurazioni Allianz, Deutsche Telekom, Bayer, Telefonica, Moët & Chandon, e il mostro delle scommesse Novomatic…
Soldiiiiiiiiiiiiii yes! La Bce fa proprio l’interesse del pubblico, con qualcosa come 17.900 piccole medie aziende europee che sono il cuore dell’impiego in Ue totalmente fuori dal festino. Ecco cosa dovete rispondere a chi vi rampogna “Ci vuole più Europa”. Basterebbe questo articolo per tagliargli la gola, a ’sti assassini. In Italia ’sta porcata vede fiumi di soldi versati in prima fila ai super big dell’energia, ma nessuno becca palate di liquidi come l’Eni; seguono Snam, Enel, Terna, Hera, e altri minori. Poi: Atlantia (Mediobanca, Goldman Sachs, BlackRock e Cassa Risp. Torino), le Generali, Telecom Italia, Luxottica, e i soliti Agnelli con Exor. E tu che caXXo vuoi? Tu chi sei, cittadino? Chi sei, sfigato piccolo imprenditore? Chi siamo noi, eh?, da quando Jaques Attali, uno dei padri della Bce, ci definì «la plebaglia europea»? Eccovi una notizia. Anche se, mi si perdoni, non sono immani tragedie come i 104 indagati del Pd di Travaglio-Gomez, la Raggi e la Cgil che fa i ruttini sul Job Act. Good luck Italians, good luck piccoli imprenditori e dipendenti che mai avete capito un caXXo.
(Paolo Barnard, “A chi vanno i miliardi della Bce – zitta centrItalia, crepa”, dal blog di Barnard del 30 gennaio 2017).
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