Dove va l'America?

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UncleTom
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AL DESTRUME INDIGENO I PICCOLI HITLER CHE CRESCONO PIACCIONO SEMPRE.


Trump, una rivoluzione in 7 giorni
Gen 28, 2017
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Matteo Carnieletto
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Donald Trump è un ciclone: si candida, stende Hillary Clinton, si prende la Casa Bianca e comincia a picconare otto anni di amministrazione Obama, dalla sanità pubblica fino ai rapporti con la Russia. Il modo di fare del tycoon è totalmente diverso rispetto a quello dei suoi predecessori. È un imprenditore, uno che sa scendere a patti e arrivare ai compromessi a lui più favorevoli (questa è ovviamente la sua versione).
È passata una settimana dal giuramento di Donald Trump. E lui ha già stravolto tutto. Secondo quanto fa sapere l’Agi, “nessun presidente della storia moderna degli Stati Uniti ha cominciato il suo mandato con una tale quantità di iniziative sui temi più disparati e in così breve tempo”.
Il 20 gennaio, giorno del suo insediamento, il tycoon ha firmato un ordine per cominciare a smantellare la riforma sanitaria del suo predecessore. Tre giorni dopo, il 23 gennaio, Trump ha ordinato di ritirare gli Usa dal Tpp, l’accordo di associazione transpacifico, che già in campagna elettorale aveva definito “un disastro potenziale” per gli Usa. Nello stesso giorno, il tycoon ha firmato un ordine per proibire l’utilizzo di fondi del governo per sovvenzionare le Ong che praticano o danno consigli sull’aborto. Lunedì ha firmato anche un terzo ordine esecutivo per bloccare nuove assunzioni nel governo federale, eccetto che per le Forze armate. Il 24 gennaio Trump ha dato il via libera a due grandi (e controversi) progetti di oleodotto che Obama aveva congelato a causa dell’impatto sull’ambiente.
È del 25 gennaio l’ordine esecutivo per avviare la costruzione nel giro di “mesi” del muro alla frontiera con il Messico, una delle sue principali promesse in campagna elettorale. Trump ha ordinato anche di creare altri centri di detenzione per clandestini, aumentare il numero degli agenti di controllo alle frontiere e interrompere i fondi federali a città come Chicago, New York e Los Angeles, che proteggono dall’espulsione gli immigrati irregolari. Chi pagherà questo benedetto muro? In campagna elettorale il tycoon ha più volte detto che il contribuente americano non avrebbe sborsato un dollaro e che sarebbe stato tutto accollato al Messico. Ma le cose non sono così definite e scoppia la polemica. Trump e il presidente Pena Nieto si parlano venerdì, senza appianare le divergenze, ma concordando sul fatto di non tornare a parlare in pubblico del muro, almeno per il momento.
Il 27 gennaio, il tycoon firma al Pentagono gli ordini esecutivi per concretizzare la promessa di proibire l’ingresso dei musulmani in Usa; e di fatto trasforma la politica di asilo in parte della sua strategia contro il terrorismo e di sicurezza. I decreti ordinano la sospensione dell’accoglienza ai rifugiati per 120 giorni in modo da poter esaminare i meccanismi di accettazione e assicurarsi che gli estremisti non mettano piede sul territorio statunitense; bloccano in maniera indefinita l’ingresso di rifugiati siriani e sospendono per 90 giorni la concessione di visti a cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana con una storia di terrorismo: Libia, Sudan, Somalia, Siria, Iraq, Yemen e Iran. E questo è solo l’inizio: perché – come ha detto in un tweet una dei consiglieri della Casa Bianca, Kellyanne Conway – Trump è un presidente “altamente energico” e “Washington deve ancora adeguarsi”. Insomma, siamo solo all’inizio dell’era Trump.
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26gen 17
Trump spiazza tutti: è di destra. Ma anche di sinistra
Ricevo diversi messaggi di amici e lettori intelligenti e aperti di spirito che, talvolta da destra e talaltra di sinistra, sono interdetti di fronte a Trump: non riescono a collocarlo.
I liberisti non apprezzano le possibili barriere tariffarie, quelli di sinistra temono che possa diventare un dittatore. La mia impressione è che, per una volta, sbaglino tutti, per una ragione in fondo semplice: Trump è il primo vero presidente “liquido” per riprendere la citatissima definizione di Bauman ovvero un presidente che esce dagli schemi politici tradizionali.
Vediamo:
è il primo inquilino della Casa Bianca che ammette l’esistenza di importanti sacche di povertà nella società americana e si propone di risolverle. Nel suo orizzonte economico la creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti è una priorità che antepone agli interessi, finora prevalenti, dei gruppi multinazionali. E’ il primo presidente ad accogliere a poche ore dall’insediamento i sindacati e a promettere migliori opportunità di lavoro in America per le classi più disagiate. Questi sono discorsi di sinistra, che però la sinistra sia europea sia americana nemmeno considera.
Trump al contempo non vuole creare un nuovo Stato assistenzialista ma ritiene di indurre l’America a riscoprire le proprie virtù ovvero a generare una crescita economica e sociale basata sullo sviluppo e la prosperità degli Stati Uniti. Confida che siano i privati a creare nuovi posti di lavoro, proponendo un baratto: basta delocalizzazioni in cambio di sgravi fiscali e deregulation. Questo è un discorso di destra che però la destra mainstream non contempla considerandoli eretici.
Trump dice basta all’esportazione di democrazia e agli interventi militari all’estero, che hanno accomunato Bush e Obama. Promette un esercito forte ma da usare a fini difensivi. Il suo è un discorso pacifista che però la sinistra non riconosce.
Trump, al contempo, propone la linea dura contro l’estremismo islamico e l’immigrazione clandestina, non sostiene le campagne con fondi pubblici a favore dell’aborto e quelle di sostengo alla LGBT. In questo caso è ovviamente di destra e per una volta sono tutti d’accordo.
Poi ci sono posizioni estreme sull’ecologia, che piacciono a pochi (incluso il sottoscritto). Ci sono le contraddizioni aperte, come la presenza di uomini della Goldman Sachs nel suo governo, che stride con le promesse formulate in campagna elettorale di introdurre una nuova versione del Glass Steagall Act. O come lo strabismo nella lotta al fondamentalismo islamico, che trasuda diffidenza nei confronti dell’Iran ma ignora finora il ruolo di Paesi sponsor dell’Isis come Arabia Saudita e Qatar.
Mettete tutto assieme e ne viene fuori un quadro contrastato, che impedisce una sua caratterizzazione precisa. Sì, certo è di destra ma il partito repubblicano non lo ama. Per certi versi è di sinistra, ma nemmeno il partito democratico lo sopporta. E questo per la ragione che lo contraddistingue più di ogni altra: non appartiene all’establishment che ha governato l’America e il mondo negli ultimi 30 anni. Non ne condivide gli obiettivi di politica estera, non ammette che i diritti e le sovranità nazionali siano schiacciati e svuotati da organismi internazionali onnipotenti ma nella loro essenza non democratici. Non ama la globalizzazione senza freni e aborrisce l’idea di un Governo Mondiale; di conseguenza osteggia le aziende che non esitano a depauperare il tessuto economico nazionale per conseguire esclusivamente il profitto. Difende una società radicata nei valori (famiglia, no all’aborto, identità) e la preferisce a quella multietnica e omologata che è stata incoraggiata e diffusa dalle precedenti amministrazioni democratiche e repubblicane, le cui divergenze erano più di facciata che sostanziali.
Trump è un liberale e al contempo si dimostra sensibile agli interessi della classe lavoratrice a cui desidera ridare prospettiva e benessere; è un fan dell’economia di mercato che, però, da patriota qual è, vuole compatibile con gli interessi strategici ed economici del proprio Paese; difende una società stabile, sovrana ma in cui l’ascensione sociale sia una possibilità concreta e non uno slogan retorico.
Non è detto, sia chiaro, che riesca nei suoi intenti. Oggi nessuno può dire se sarà un grande o un pessimo presidente. Ma rappresenta la prima risposta originale alla grande crisi della società moderna occidentale, una crisi a cui fino ad oggi i partiti tradizionali di destra o di sinistra non hanno saputo dar soluzione.
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23gen 17
Razzisti contro Trump

Nino Spirlì


Lunedì, 23 gennaio 2017 – Santa Emerenziana – influenzato, a casa. A Taurianova
Già! Razzisti, ipocriti e menzogneri. Stampa fasulla e piazze pagate da chi ha preparato, con molto tempo a disposizione, un qualche migliaio di ridicoli cappellini rosa sciocco come le zucche in essi contenute. Crape vuote come un cesso abbandonato in discarica, che possono contare, però, nei tromboncini di certi giornalucci, cartacei e virtuali, che se la cantano e se la suonano fra di loro. Tutti contro il neoPresidente. Sono curioso di vedere quanti saranno a mantenere fede ai giuramenti di queste ore e a non correre a leccare il culo a Trump nei prossimi mesi. Bergoglio compreso, ridicolo nelle sue esternazioni politiche delle ultime ore. Menzione d’onore, poi, per la nostra televisione di Stato, che utilizza per il suo tg ufficiale immagini di una manifestazione sportiva di un ventennio fa per “condire” un servizietto sulle donne che manifestano contro il 45° Presidente degli USA. Menzogna su menzogna. A imperitura vergogna del giornalista che l’ha confezionato e del direttore che l’ha autorizzato!!!
(Che mi tocca fare! Io, che non amo l’America, sono costretto a difenderne il Presidente. … Fortunatamente, una delle cose migliori che le siano capitate negli ultimi mesi!)
E le “contestatrici”, dico loro, chi sono???

Mi rifiuto di credere che rappresentino anche solo lo 0,0000000001% del popolo femminile americano.
Si vede lontano un miglio che si tratti di quattro poveracce, stile punkabbestia, che avrebbero sfilato anche contro l’altezza della Statua della Libertà, contro la dentiera del Papa o la mutanda lenta di madonna… Disadattate prezzolate e galvanizzate, magari, da qualche regalino di polverine magiche.
Trump fa bene a fottersene. Come e quanto ce ne fottiamo noi, che lo aspettavamo!
L’America e il Mondo avevano bisogno di un controbilanciamento americano alla perfezione politica di Putin. Una sorta di nuovo asse Reagan Gorbaciov (quella bella accoppiata dei tempi d’oro del riavvicinamento e della pace), ma in tempo di guerra vera. Con la massomafia che la fa da grande, dopo la sciagura dell’ottennio del presidente di colore con signora finta ortolana al seguito. Smargiassa e gradassa sui mercati, la massoneria si è ingigantita con la nascita e il battesimo del terrorismo islamico, con le guerre sui territori del medio oriente e del nordafrica, con la destabilizzazione sociomorale dell’europa. Tutte partorite dalle menti malate di un establishment creato ad hoc nelle stanze del potere colorato di nero e biondo. Però… Però! Obama e Clinton hanno perso. E, con loro, tutti quei potentati che ci hanno portati alla fame, all’umiliazione, alla schiavitù.
Talmente schiavi, che oggi ci impongono di andare a marciare e urlare contro Donald. Fortunatamente, a parte qualche demente e disadattato, qualche starletta invecchiata nel mito del pisello, qualche attore inguaiato con la salute e dedito, ormai, più alla pillola blu che all’amato alcool, qualche giornalista che venderebbe sua madre tumulata pur di apparire, tutti noi siamo lucidi e non ci caschiamo, nella rete delle provocazioni.
Restiamo rispettosi in attesa. Osserviamo. Per giudicare.
Cosa che consigliamo anche al frettoloso papampero, panzer senza pilota e che sta allontanando migliaia di veri Cristiani dalla sua chiesa razzista vera, ma non dalla Chiesa. #nonciriuscirà
Fra me e me.

UncleTom
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Dal Blog di Emanuele Ricucci

23gen 17
Odiate Trump ma ricordate che morite di fame come sudditi d’Europa. Il villaggio globale è una montagna di merd@
Se te lo voti, non va bene. Se lo tiri fuori dal cilindro nemmeno. Se fa il petroliere, no. Ma neanche se proviene dalla Columbia University. Se è saggio e talentuoso, se la politica la fa da sempre. Se è raccomandato o circonciso. Il presidente non va bene, se parla in nome di certi valori. Trump s’insedia. Gente che urla, chi si denuda. Chi spacca vetrine, chi piange. Donne che farfugliano di sesso e utero. “Sono bella e brutta ma sono mia”, “il presidente non può toccarmi, non dovrà guardarmi, non dovrà pensarmi”, che pare di stare a piazza del Popolo nel ’68 come al tempo del moralismo femminista: alle 16.30 odio gli uomini, alle 17.30 a letto con gli uomini.
Le donne di tutto il globo sono incazzate con Trump il porco che non rispetta il delicato universo femminile, sempre mentre in Somalia una donna viene infibulata, a Rotterdam un’altra non esce la sera perché è vittima di stalking in seguito alle violenze di uno stronzo ed un’altra ancora di una sassaiola di cani con la barba che praticano la shari’a.
Ipocrisia universale, adolescenziale. Proteste ovunque, le star(esse, per essere al passo con la Boldrini) del globo impazzite. Pompini, cazzi, minacce. Tutto tristemente tratto da una storia vera.
Trump si è insediato dopo essere stato democraticamente eletto, scelto dal popolo americano in maggioranza. Questo il dato oggettivo – che sacro vocabolo – a livello politico.
Isteria. Ovunque.
Ma non eravamo gli emancipatissimi del progresso? Talmente tanto che si sta bene tutti insieme, con lo stesso sesso, nello stesso mercato, con lo stesso Dio, nello stesso mondo piccolo, piccolo, tanto siamo maturi da non dover fare a cazzotti come nel ‘43? Ma guarda tu se anche una sana rosicata deve essere trasformata in un affare di Stato internazionale, in una drammatica condizione di causa-effetto a livello planetario, in cui si scomodano i massimi sistemi sociologici e politologici. Ma non si può proprio fare che ognuno si fa la democrazia che gli pare, visto che siamo così liberi?
A me, questo villaggio vacanze globale inizia a starmi pesantemente sul cavolo. Anche a me Kim Jong Un fa paura. Un cicciopazzo pericolosissimo, armato di atomica e assurde manie da dittatore. Uno che fucila i dormienti, silura i distratti e mette tutti i coreani, incapaci dignitosamente di sacrificarsi come un tempo eravamo abituati a fare noi europei, in ordine di altezza. Anche a me non vanno bene un sacco di cose. Che la ndrangheta mi ammazza quelli con le palle che non pagano il pizzo, che l’Isis mi massacra Palmira. Che Saviano è considerata l’unica speranza culturale ed intellettuale di questo Paese.
Culturalmente posso dissentire. Posso scriverne un pezzo e prendermi gli insulti ma tengo la linea. La linea dell’orizzonte. Posso farmi andare di traverso il panino con nduja e melanzane parlando di TTP, di Soros, delle vongole misurate dall’Europa, dallo strapotere dell’egemonia culturale imperante che, in quanto cristiano, mi vede come una spina sotto la pianta del piede. Fuori tempo, fuori corso, fuori luogo. E invece io vivo, e ardisco come posso, e piango tutti i miei fratelli cristiani un po’ stuprati e gettati in una fosse comune, un po’ decapitati o crocefissi, ovunque. Posso tirare sonore testate al muro del tempo presente, che in realtà sembra più un trapassato prossimo, ma non perdo la lucidità. Anche se scenderei in piazza più che volentieri, come ho sempre fatto.
Meschina falsità collettiva.
A Roma protestano le donne, a Latina gli spazzacamini, a Viterbo i norcini e a Rocca Priora i gelatai. Signore, Signori, Signor*, Trump non è il mio presidente! Nel vero senso della parola. Noi abbiamo Gentiloni e Mattarella. E Trump è negli States, come la Le Pen è in Francia. Non siamo un popolo di idealisti, siamo vouyeur.
Basta! Ripensiamoci, e per qualche ora spegniamo l’internet che ci fa male, a tutti, me compreso.
UncleTom
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“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.”
Primo Levi




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Ma i Neocon che fine hanno fatto?
GLI SCONFITTI DI CUI NON SI PARLA
Con la vittoria di Trump hanno perso in tanti: la Clinton e i democratici americani; George Soros e le sue femministe a libro paga; Goldman Sachs e i sauditi che speravano di avere una Presidente che li ripagasse dei milioni di dollari che in questi anni le hanno generosamente donato; la Cia e l’apparato tecno-militare che con il pacifista Obama, ha fatto affari d’oro tra guerre umanitarie e traffici d’armi democratici.
Ma tra i grandi sconfitti dall’elezione di Trump ci sono sopratutto loro: i Neocon, l’élite intellettuale (di destra!) che in questi anni ha dominato il dibattito politico americano (ed anche europeo) sui media, nelle università, nei think tank, occupando le aree strategiche e i gangli del potere: dalla Cia, al Dipartimento di Stato, dal Pentagono, alla Casa Bianca, al mainstream.
Eh si, perché i Neocon sono stati la più influente corrente intellettuale degli ultimi 15 anni, capace di condizionare la politica estera americana sia di Bush che di Obama.
CHI SONO?
Nati nei campus universitari tra gli ambienti liberal (alcuni addirittura erano ex trotzkisti), traslocarono nel movimento conservatore negli anni’80; ufficialmente erano giovani intellettuali di sinistra convertiti all’anti-comunismo duro e puro e animati da un desiderio di maggiore interventismo americano negli affari del mondo. Ma qualcuno dice che furono traghettati dentro il Gop, da precisi centri di potere con lo scopo di snaturare la destra americana.
Il loro obiettivo? Portare l’idealismo della sinistra, a destra, annientando il realismo isolazionista del movimento conservatore e trascinandolo in una politica estera fatta di guerre umanitarie e progressiste.
Tenuti ai margini da Ronald Reagan, e tutto sommato anche da Bush padre, hanno invece avuto un peso nella teoria della “guerra umanitaria” di Bill Clinton; ma sono diventati influenti (anzi egemoni) dopo l’11 Settembre con Bush figlio quando molti di loro furono nominati ai vertici del Partito Repubblicano e con ruoli alla Casa Bianca e nell’establishment; ruoli che in molti hanno conservato con Obama e sopratutto con la Clinton, Segretario di Stato.
Il loro PNAC (Project for the New American Century) è stato lo strumento teorico e operativo per costruire “la leadership globale americana”; e la guerra in Iraq, il loro primo grande “capolavoro” (più che quella in Afghanistan) perché diede corpo alla missione salvifica del mondo che gli strateghi si erano posti.
Max Boot, uno degli esponenti di punta del movimento, lo spiegò nel 2002 sul Wall Street Journal alla vigilia dell’invasione: “I Neoconservatori credono nell’uso della potenza americana per promuovere gli ideali americani all’estero”.
In parole povere: esportare la democrazia con le bombe risponde agli interessi strategici Usa e serve a salvare il mondo dalla barbarie.
La loro ossessione per le guerre umanitarie ha trovato poi in Obama il Presidente ideale: perché non c’è nulla di meglio che un “pacifista” per giustificare bombe e regime change.
Certo l’accordo con l’Iran non l’hanno approvato (per molti di loro Teheran doveva essere bombardata), ma dalla Primavera araba in poi (Libia, Egitto, Siria, Yemen, Ucraina), Obama è riuscito a fare quello che neppure Bush avrebbe mai fatto; con loro somma gioia.
IL #NEVERTRUMP DEI NEOCON
Quando Trump è comparso sulla scena politica, tra gli sberleffi dei radical-chic e la diffidenza ostile del vertici del Gop, i Neocon hanno preso le distanze in maniera violenta. Non poteva essere altrimenti: Trump ha ricordato che la guerra in Iraq è stata “la peggiore decisione” per l’America, e fu costruita su una bugia (quella sulle armi chimiche); che l’intervento in Libia è stato sbagliato; che in Siria bisognava combattere l’Isis e non aiutarlo; che la strategia di “abbattere” Assad si è rivelata un errore; che Putin non è il criminale dittatore in procinto di invadere l’Occidente, ma un possibile alleato degli Usa nella lotta all’islamismo; che la Nato è un’alleanza obsoleta e costosa per gli Stati Uniti.
Troppo per i poveri Neocon spaventati da un candidato non disposto (almeno a parole) ad appoggiare “l’avanzata della libertà” a suon di bombe e rivoluzioni “colorate”.
E così, nel marzo scorso, oltre 100 di loro hanno firmato una lettera aperta per prendere le distanze da Trump: “siamo in disaccordo tra di noi su molte cose ma uniti nell’opposizione ad una Presidenza Trump”; lo hanno accusato di essere “selvaggiamente incoerente” in politica estera, “disonesto”, “ricattatore” verso gli alleati, “ammiratore di dittatori stranieri come Putin”, “pericoloso per l’America” e per il suo ruolo nel mondo e “totalmente inadatto alla carica”.
Tra i firmatari, sostenitori della guerra in Iraq come Eliot Cohen, vice segretari di Stato e membri di spicco del Pentagono sotto Bush, come Robert Zoellick e Dov Zakheim, capi di aziende del settore Difesa come Bryan Mc Grath e molti altri membri della Comunità della Sicurezza Nazionale dei repubblicani.
Alcuni di loro si sono limitati a non votare Trump; altri hanno addirittura fatto “ritorno a casa” scegliendo la Clinton più in linea con le loro visioni politiche guerrafondaie.
Tra questi Robert Kagan uno dei teorici della guerre di George Bush, che in campagna elettorale ha deciso di lasciare il Partito Repubblicano con un edorsement a favore della Clinton più in linea con le sue visioni guerrafondaie, non prima di aver definito Trump un “egomaniaco” e un “miliardario fasullo che porterà l’America dritta dritta verso il fascismo”.
D’altro canto, la moglie di Kagan è quella Victoria Nuland, figura di spicco nell’amministrazione Obama e protagonista del “colpo di Stato”, camuffato in rivoluzione democratica, orchestrato da Soros e dalla Clinton in Ucraina (della signora Nuland e del suo attivismo in Ucraina abbiamo parlato a lungo qui).
E ORA?
Ora la vittoria di Trump sembra cacciare nell’ombra questi teorici delle bombe umanitarie, volto influente del grande Partito della Guerra, trasversale alla destra e alla sinistra, finanziato da Wall Street e protetto dalla Cia, che si è imposto in America in questi anni.
La loro sconfitta è anche il segno della frattura insanabile che si è creata tra questa élite “illuminata” e l’elettorato conservatore, storicamente più isolazionista e più centrato sui bisogni reali dell’America che non sull’esportazione della democrazia con le bombe.
Ma siamo solo agli inizi e non sappiamo se la politica estera del nuovo Presidente manterrà le promesse di una linea più “pacifica” e indirizzata a cercare nel mondo nuovi amici, più che a inventarsi nemici.
Certo per ora colpisce vedere alcuni Neocon ammettere gli errori di un interventismo illimitato e della “esuberanza ideologica” e approdare ad un più prudente realismo in politica estera. Il fronte ideologico che in questi anni ha legittimato i disastri americani in Medio Oriente e la destabilizzazione di intere aree del mondo, si sta sgretolando? Forse.
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Trump: congelata l’accoglienza per 120 giorni e stop ai cittadini di sette paesi musulmani per 3 mesi


Mondo


Il presidente americano firma altri due ordini esecutivi e sospende il programma di ammissione dei rifugiati di Obama. Tagliato di oltre la metà il numero dei rifugiati che gli Stati Uniti prevedevano di accettare quest’anno, ingresso di quelli siriani sospeso a tempo indeterminato. Valutato caso per caso chi ha la Green card e proviene da Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen. L'obiettivo è "proteggere il Paese dall'ingresso di terroristi stranieri"

di F. Q. | 28 gennaio 2017

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 11,1 mila


Più informazioni su: Donald Trump, Immigrazione, Usa


Donald Trump procede senza timori lungo la sua rotta e a poco più di una settimana dal suo insediamento firma altri due ordini esecutivi al Pentagono, per il rafforzamento dell’esercito e per aumentare i controlli e “proteggere il Paese dall’ingresso di terroristi stranieri”. Il presidente americano ha sospeso per 120 giorni il programma di ammissione di tutti i rifugiati, programma varato da Barack Obama. Poi ha sospeso per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen. E anche chi ha la green card ma proviene da questi Stati sarà valutato caso per caso sulla concessione del permesso di entrata nel Paese. Infine, ha sospeso a tempo indeterminato l’ingresso dei rifugiati provenienti dalla Siria. “L’ingresso di cittadini e rifugiati siriani” è “dannoso per gli interessi del Paese”, ha scritto il presidente, che sta trasformando la politica di asilo in una parte fondamentale della strategia anti-terroristica e di difesa della nuova amministrazione americana.

Trump ha inoltre tagliato di oltre la metà il numero dei rifugiati che gli Stati Uniti prevedevano di accettare quest’anno, portandolo a 50mila. L’ordine esecutivo prevede di dare priorità ai quelli appartenenti a minoranze perseguitate per motivi religiosi. Secondo il provvedimento, le autorità locali e statali dovrebbero avere un ruolo nel decidere se i rifugiati si possano insediare. “Vogliamo essere sicuri – ha commentato Trump durante la cerimonia al Pentagono di investitura del segretario alla Difesa James Mattis – di non avere nel nostro Paese le stesse minacce che hanno i nostri soldati all’estero”, e ha ammonito: “Non dimenticheremo mai la lezione dell’11 settembre. Vogliamo solo accogliere coloro che appoggiano il nostro Paese e amano profondamente il nostro popolo”. In un precedente intervista alla televisione cristiana Cbn, aveva spiegato che la decisione è volta a proteggere soprattutto la minoranza cristiana.



Se Trump ricorda l’11 settembre, sostenendo che “la politica del dipartimento di Stato impedì ai funzionari consolari di esaminare adeguatamente le richieste di visto di alcuni dei 19 stranieri che finirono con l’uccidere circa 3mila americani“, dimentica però che gli autori degli attentati provenivano dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto e anche dal Libano, tutti Paesi che Trump non ha inserito nel suo provvedimento e in alcuni dei quali possiede asset. I sette Paesi a maggioranza islamica colpiti dall’ordine esecutivo, per evitare, secondo il presidente Usa, di far entrare terroristi stranieri, sono Siria, Libia, Iraq, Iran, Somalia, Yemen e Sudan. “Omessa” anche la Turchia, dove Trump ha due grattacieli, Paese a maggioranza islamica colpito recentemente da un’ondata di attentati.

La sospensione per 90 giorni della concessione dei visti per i sette Paesi a maggioranza musulmana ha lo scopo di dare il tempo al dipartimento dell’Homeland Security, al Dipartimento di Stato e al direttore della National Intelligence per determinare quali informazioni siano necessarie per ogni Paese, al fine di garantire che i visti non vengano rilasciati a persone che costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale. L’ordine chiede anche una revisione per creare un singolo processo di controllo delle persone che entrano nel Paese, che potrebbe includere più interrogatori di persona, ricerche su un database più ampio di documenti di identità o moduli di domanda di ingresso molto più lunghi. Con il sistema attuale invece, solo alcune richieste per un visto prevedono gli interrogatori. Trump ha infine ordinato di velocizzare il sistema biometrico per tracciare, attraverso le impronte digitali, le entrate e le uscite di tutti i viaggiatori negli Usa. Questa sì una decisione in linea con la precedente amministrazione Obama, che voleva avviare l’attuazione di controlli biometrici all’uscita negli aeroporti più grandi del Paese entro il 2018.

Nel suo giro di vite sui controlli Trump ha sospeso con effetto immediato anche il programma Visa interview waiver, che consentiva ai cittadini stranieri titolati di chiedere il rinnovo del visto senza affrontare il colloquio personale con le autorità diplomatiche Usa. Sempre per impedire l’ingresso negli Stati Uniti di “terroristi islamici radicali”, il presidente dal Pentagono ha poi annunciato che saranno “rafforzate le forze armate degli Stati Uniti” con “nuovi aerei, nuove navi, nuove risorse e nuovi strumenti per i nostri uomini e donne in uniforme”. “Mentre prepariamo il budget per la difesa da presentare al Congresso, che ne sarà felice, la nostra forza militare non sarà messa in discussione da nessuno così come la nostra dedizione per la pace. Vogliamo la pace”, ha aggiunto Trump.
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…IL PRANZO E’ SERVITO…..

PER GLI ADORATORI DEL BUNGA-BUNGA E’ ARRIVATO IL PROFETA A STELLE E STRISCE.





Trump: "Servono controlli sui
migranti. Guardate i pasticci in
Europa"



Ma se sto casino l’hanno creato gli ammericà!!!!


CORNUTI, MAZZIATI E SODOMIZZATI.

SE IL BUON GIORNO SI VEDE DAL MATTINO, COSA CI ASPETTA NEI PROSSIMI GIORNI, NELLE PROSSIME SETTIMANE, NEI PROSSIMI MESI????????????????????????????????????????????
UncleTom
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NEL 1978, NOI ABBIAMO AVUTO COME PRESIDENTE UN PARTIGIANO.

LORO HANNO PER PRESIDENTE UN FURBACCIONE.




Usa, stop a rifugiati. Trump: ‘Guardate caos Ue’
Ma il presidente salva i Paesi con cui fa affari


Migliaia di persone protestano davanti alla Casa Bianca. Retromarcia sui controlli delle Green card
E anche i repubblicani sono critici. Media: “Nessun attentatore dell’11 settembre dagli stati al bando”
UncleTom
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“Questo è razzismo
La gente deve reagire”

Halter: favore all’Isis, passo indietro nella storia

FRANCESCA PACI

Marek Halter termina un incontro sulla memoria a Lille e risponde al telefono sospirando, «ci risiamo». Per lui, scrittore ebreo polacco formatosi in Francia cercando nella cultura europea l’antidoto al totalitarismo, le notizie che vengono da oltreoceano sono tamburi di guerra.
Malala ha detto di avere il cuore in pezzi all’idea degli Stati Uniti che chiudono le frontiere a sette paesi musulmani. Lei come si sente? «Mi sento come uno che è figlio del ghetto di Varsavia, che è cresciuto nell’Europa dei muri e che, dopo l’ aver creduto nella fine non della Storia ma della storia delle frontiere, si ritrova nel 2017 a sentire la gente discriminata per la religione, la provenienza geografica, le origini. Quando andai a Berlino in occasione della riunificazione della città c’era un concerto di Bach e sul muro che cadeva c’era scritto “Nietzsche è morto e Dio è tornato”. Avevamo speranza nell’umanità, il mondo stava cambiando, credevamo in un nuovo inizio. Adesso vediamo invece il razzismo riemergere in Austria, in Ungheria, in Polonia e in America, uno dei paesi più importanti, un uomo solo al comando che vuole alzare barriere e deportare i musulmani». Pensa che Trump farà davvero quanto annunciato? «Personalmente credo che Trump non resterà al suo posto più di due anni e che nel frattempo la gente si ribellerà, vedremo grandi manifestazioni. L’idea dell’America esclusivamente per gli americani non è solo razzista ma antiamericana, ci riporta indietro nella Storia». E se non fosse cosi? C’e’ il rischio di una guerra? «La guerra che io temo è una guerra religiosa, il tipo peggiore di guerra perchè quan do ammazzi nel nome di Dio lo fai a cuor leggero e sognando il paradiso». Pogrom contro i musulmani? «Certo. Lo stato Islamico non aspetta altro per sollevare i musulmani integrati. In Francia per esempio, la Le Pen non volta almeno. Ma, come in tutta Europa, la destra razzista cresce, l’odio monta, il fascismo sta tornando». Il fascismo come negli anni ’30? «É sempre lo stesso ma oggi per fortuna abbiamo internet, possiamo denunciarne l’ascesa. Se mio padre avesse avuto Facebook nel ghetto di Varsavia chissà. Ma soprattutto dobbiamo fare presto, il Mein Kampf è di nuovo disponibile in libreria, dobbiamo unirci sfruttando i social: sappiamo che Trump ha dichiarato guerra ai musulmani ma anche alle donne, ai sudamericani, agli ambientalisti, alla maggioranza degli americani. Abbiamo la chance di reagire».


Da pagina 9 de La Stampa del 29/01/2017
UncleTom
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Re: Dove va l'America?

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ANCHE IL MONDO NON SCHERZA.

STA RIBOLLENDO TUTTO.

FINO A DOVE PUO' TENERE???????????????????????





Usa, 16 procuratori generali contro stretta sui migranti: “Incostituzionale. Libertà religiosa principio fondamentale per America”


Mondo


In centinaia in tutto il Paese hanno manifestato negli aeroporti contro l'ordine esecutivo del presidente. Anche Mitch McConnell, leader della maggioranza al Senato, ha criticato il provvedimento. Merkel: "Mossa ingiustificata". Hollande: "Rispettare il principio dell'accoglienza". Boris Johnson: "Divisivo e sbagliato". Lega Araba: "Preoccupante". E il tycoon consegna a Bannon, il suo controverso chief strategist, un ruolo di primo piano nel Consiglio nazionale per la sicurezza

di F. Q. | 29 gennaio 2017

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 906

Più informazioni su: Donald Trump, Migranti, Usa


Donald Trump blocca per quattro mesi l’accesso dei rifugiati in Usa e sospende per tre mesi gli ingressi dei cittadini provenienti da sette paesi islamici (Iraq, Iran, Siria, Somalia, Sudan, Libia e Yemen), giudicati a rischio terrorismo. L’ordine esecutivo firmato dal presidente Usa ha scatenato le proteste dei cittadini americani, che hanno manifestato negli aeroporti chiedendo il “rilascio” dei migranti fermati e l’accoglienza dei rifugiati. Contro la mossa del presidente domenica si sono schierati i procuratori generali di 15 stati e della capitale che hanno emesso una dichiarazione congiunta con cui condannano come incostituzionale il bando. Gli attorney general sostengono che la libertà religiosa è un principio fondamentale del Paese, auspicando che l’ordine esecutivo sia ritirato e impegnandosi nel frattempo a garantire che il minor numero possibile di persone soffrano per questa situazione. Gli Stati cui appartengono i firmatari sono, oltre a Washington, California, New York, Pennsylvania, Massachusetts, Hawaii, Virginia, Oregon, Connecticut, Vermont, Illinois, New Mexico, Iowa, Maine e Maryland.

Pimi avvertimenti anche dal Partito repubblicano. Mitch McConnell, leader della maggioranza al Senato, prende le distanze dall’ordine esecutivo. Alla Abc l’esponente del Grand Old Party ha detto che è positivo rafforzare i controlli sull’immigrazione ma, ha precisato, “penso anche che sia importante ricordare che alcune delle nostre fonti migliori contro il terrorismo islamico sono i musulmani, sia in questo Paese che all’estero. Dobbiamo stare attenti mentre lo facciamo”. Dalla Casa Bianca, intanto, smentiscono il caos negli scali. Il capo dello staff Reince Priebus, ha dichiarato che sabato 28 gennaio 325mila viaggiatori sono entrati nel Paese e solo 109 sono stati fermati. “Gran parte di loro sono usciti. Abbiamo ancora una ventina di persone che restano detenute”, ha sostenuto, prevedendo che saranno presto rilasciate se sono in regola.

Nel pieno della bufera, dalla Casa Bianca arriva una parziale retromarcia. Reince Preibus, capo dello staff, ha sostenuto che il bando non avrà effetti sui possessori della green card, che consente ad uno straniero di risiedere in Usa per un periodo di tempo illimitato. Il capo dello staff del presidente ha tuttavia sottolineato alla Nbc che gli agenti di frontiera hanno il “potere discrezionale” di detenere e interrogare i viaggiatori che arrivano da Paesi a rischio.


Sul fronte europeo, invece, il giudizio più duro contro Trump è arrivato dalla Germania, dove Angela Merkel ha bollato come “ingiustificato” il provvedimento. La cancelliera tedesca, ha spiegato il portavoce Steffen Seibert, “è convinta che anche la necessaria lotta al terrorismo non giustifica” una misura del genere “solo in base all’origine o al credo” delle persone. Ma è lo stesso presidente a rispondere via twitter a lei e agli altri leader europei – Hollande e May – che lo hanno criticato. “Il nostro Paese ha bisogno di confini forti e di controlli rigidi, ADESSO – ha scritto – Guardate a quello che sta succedendo in Europa e, anzi, in tutto il mondo – un caos orribile!”.


Anche la Lega Araba ha preso posizione sul provvedimento. Il segretario generale della, Ahmed Aboul Gheit, si è detto “profondamente preoccupato” per le “restrizioni ingiustificate”, scrive l’agenzia egiziana Mena. Misure che, secondo l’organizzazione dei Paesi arabi, potrebbero produrre “effetti negativi“.

Da parte sua, dopo aver annunciato il 28 gennaio di voler applicare il “Principio di reciprocità”, dall’Iran – Paese incluso nella ‘black list’ – è arrivata la prima risposta ufficiale: il governo di Teheran ha convocato l’ambasciatore svizzero (che rappresenta gli interessi americani nel Paese) e gli ha consegnato una lettera di protesta contro lo stop agli ingressi. Nella missiva si sottolinea “l’approccio discriminatorio nei confronti dei cittadini iraniani”, spiegando che la decisione si basa su “pretesti infondati e discriminatori, inaccettabili, in contrasto con le convenzioni sui diritti umani” e “con l’accordo” tra i due Paesi del 1955.

Incurante delle proteste in tutto il mondo, Trump – riferisce la Cnn – avrebbe intenzione di andare anche oltre in quella che appare sempre di più come né più né meno che una caccia alle streghe sotto il pretesto della sicurezza. Secondo quanto rivelato da alcune fonti, il direttore per gli affari politici della Casa Bianca, Stephen Miller, starebbe discutendo con i funzionari del dipartimento alla Sicurezza interna la possibilità di chiedere ai visitatori stranieri quali sono i siti web ed i social media sui quali sono soliti navigare e di condividere i loro contatti sul cellulare. In caso di un loro rifiuto, potrebbe essere negato loro di entrare negli Stati Uniti.

Ruolo speciale per Bannon nel Consiglio nazionale per la sicurezza – E in un altro ordine esecutivo, Trump aggiunge un posto fisso nel Consiglio nazionale per la sicurezza (Nsc) per il suo chief strategist Steve Bannon, una delle figure più controverse della sua amministrazione, ridimensionando il ruolo del direttore della National intelligence (“troppo politicizzata” aveva accusato in passato) e del presidente dello Stato maggiore congiunto. Bannon, è ex finanziere e patron del sito di destra Breitbart News, strumento mediatico che ha suggellato l’alleanza fra Trump e i gruppi della destra radicale, all’insegna degli obiettivi comuni: guerra all’immigrazione, all’ingresso di rifugiati siriani e alla minaccia di un movimento come Black Lives Matter. Con la decisione del presidente, Bannon parteciperà a tutte le discussioni di alto livello, mentre gli altri due dirigenti, a differenza del passato, saranno ammessi solo quando si tratteranno questioni legate alle loro aree di competenza. Il National security Council, guidato dal generale Mike Flynn, è l’organo principale che consiglia il presidente sulla sicurezza nazionale e sugli affari esteri.

Hollande e May contro Trump. Proteste negli aeroporti Usa – L’ordine esecutivo sullo stop ai migranti ha incontrato anche la netta opposizione del giudice federale di New York che ha emanato un’ordinanza straordinaria per impedire i rimpatri forzati. Primi ministri, scrittori, intellettuali e docenti universitari, così come cittadini e guru della Silicon Valley hanno poi protestato per ore al Jfk di New York come in altri aeroporti. In Europa, il primo paese a contestare il blocco è stato la Francia, seppure restando nella dialettica della diplomazia. Il presidente francese Francois Hollande nella telefonata con Donald Trump ha sottolineato la convinzione della Francia che “la battaglia avviata per la difesa delle nostre democrazie sarà efficace soltanto se inserita nel rispetto dei principi su cui sono fondate, in particolare l’accoglienza dei rifugiati“. L’Eliseo ha poi aggiunto che “di fronte a un mondo instabile e incerto, ripiegarsi su se stessi è un atteggiamento senza sbocco”. Paolo Gentiloni, invece, si è limitato a un tweet: “L’Italia è ancorata ai propri valori. Società aperta, identità plurale, nessuna discriminazione. Sono i pilastri dell’Europa”.
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