La crisi dell'Europa

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UncleTom
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Draghi: uscire dall’euro si può, ma prima dovrete pagare

Scritto il 01/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




Uscire dall’Eurozona è possibile, ma prima bisogna saldare i conti. Lo ha detto lo stesso Mario Draghi, rispondendo a una domanda di due europarlamentari italiani, Marco Zanni e Marco Valli. Nella risposta, diffusa dall’agenzia “Reuters”, Draghi smentisce stesso: appena quattro anni fa, ricorda Tyler Durden, rispondendo a “Zero Hedge” il governatore della Bce aveva affermato che «non esiste un piano-B», rispetto alla permanenza nell’area euro. «Per la prima volta – scrive Durden – il governatore della Bce ha fornito un quadro, per quanto vago, che mostra cosa potrebbe accadere in caso di “exit”». Abbandonare l’euro non è più un tabù, dunque? Non prima, però, di aver ripianato i debiti con il sistema di pagamenti Target2. Dettaglio: «Le economie più deboli, tra cui l’Italia, la Spagna e la Grecia, hanno accumulato enormi debiti verso Target2, mentre la Germania si distingue come il più grande creditore, con crediti netti per 754,1 miliardi di euro». In altre parole: è la Germania che ci tiene legati all’euro, perché le conviene. E l’uscita di Draghi va letta come una minaccia esplicita, in particolare all’Italia, nel clima di inquietudine diffusosi tra Bruxelles, Berlino e Francoforte a partire dalla Brexit.

«Se un paese dovesse lasciare l’Eurosistema, i crediti o le passività della sua banca centrale nazionale verso la Bce dovrebbero essere risolti in toto», ha detto Draghi nella lettera, senza specificare in quale valuta dovrebbe aver luogo la “liquidazione”. Non è chiaro nemmeno quale sarebbe la reazione della Bce se un paese non “regolasse integralmente i suoi conti”, scrive Durden su “Zero Hedge”, in una nota tradotta da “Voci dall’Estero”. «In definitiva, la Bce non dispone di un esercito che garantisca il rispetto delle sue politiche». Come conferma la “Reuters”, il commento di Draghi costituisce «un vago riferimento da parte del governatore della Bce alla possibilità che l’Eurozona perda dei membri». Per Durden è «l’ammissione che un’Italexit è fin troppo possibile, e che tuttavia l’unico modo in cui la Bce lo permetterebbe sarebbe quello di far prima pagare all’Italia il suo conto Target2 di 357 miliardi di euro». Il beneficiario di questo mostruoso pagamento «sarebbe il paese che fa più affidamento sul persistere dello status quo: la Germania, che ha qualcosa come 754 miliardi di euro di “attività” nel sistema Target2, che potrebbero essere azzerate se uno o più paesi della zona euro dovessero uscire senza soddisfare i propri obblighi di pagamento».

Nella lettera, Draghi ha ribadito che gli squilibri sono dovuti al programma di acquisto titoli della Bce, nel quale molti dei venditori sono investitori stranieri con conti in Germania, e al conseguente riequilibrio dei portafogli. L’ammissione di Draghi che il “QuItaly” – o UscIta come è chiamata all’interno del paese – è una possibilità fin troppo reale, coincide con un’ondata di sentimenti anti-euro in Italia e in altri Stati dell’Eurozona, alimentati in parte dalla decisione senza precedenti della Gran Bretagna nel giugno scorso di lasciare l’Unione Europea. «La minaccia di default sui debiti transfrontalieri è stata spesso ritenuta un elemento di coesione della zona euro durante la crisi finanziaria», aggiunge Durden. «Gli squilibri Target2 sono peggiorati negli ultimi mesi, quando l’economista di Harvard Carmen Reinhart ha lanciato l’allarme su una fuga di capitali dall’Italia». Sotto la calma apparente dei bassi rendimenti dei titoli italiani, anche se recentemente risultano in crescita, si stanno accumulando enormi squilibri di capitali.

«L’ammissione di Draghi, da intendere quasi come una minaccia all’Italia, potrebbe aver aperto un nuovo vaso di Pandora per la stabilità europea, in aggiunta alle preoccupazioni per Trump, perché non solo Draghi ha confermato che l’uscita dalla zona euro è stata esplicitamente prevista dalla banca centrale, ma definisce anche le condizioni alle quali sarebbe presa in considerazione e consentita», sottolinea Durden. E, ancora più importante: una volta di più, tutto questo «fornisce la base per una “negoziazione” aggressiva, che potenzialmente può degenerare in una escalation di rancorose trattative tra l’Italia e la Germania, poiché la Bce ha messo di colpo in chiaro che il guadagno dell’Italia in una “ipotetica” uscita dalla zona euro costituirebbe una tremenda perdita per Berlino e per la Merkel». Lo stesso Durden si dice sicuro che, «in tempo brevissimo, emergerà anche la questione di “quanto” valga la pena per la Merkel prevenire tale perdita», la eventuale “fuga” dell’Italia. «Quanto al significato della dichiarazione di Draghi per i paesi con un debito Target2 molto inferiore, che potrebbero anche prendere in considerazione l’uscita dall’unione monetaria, la risposta è racchiusa in due parole: “via libera”».
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IL TORMENTONE



Euro, restare o uscire
di PierGiorgio Gawronski | 4 febbraio 2017


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Più informazioni su: Bce, Euro, Mario Draghi

PierGiorgio Gawronski
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Quali che siano le opinioni sulla rottamazione o meno dell’euro, il dibattito dovrebbe essere onesto e rispettoso. La prima regola è non attribuire agli interlocutori posizioni che non hanno. Prendiamo l’articolo del vice direttore de Il Fatto Quotidiano Stefano Feltri, che fa sue alcune osservazioni di Draghi.
Stefano attacca chi “sogna una moneta debole per affogare nell’inflazione problemi atavici”. Ma la moneta debole non serve certo ad affrontare i problemi atavici, bensì la crisi della domanda aggregata (la spesa delle famiglie) crollata nel 2008 e mai più ripresasi. Ora:
– che ci sia in Italia una depressione della domanda è fatto acclarato, riconosciuto anche dalla BCE. Che infatti ha orientato la politica monetaria in modo estremo al sostegno della domanda.
– che una crisi della domanda sia cosa grave, anche questo è fuori discussione. Se le famiglie, timorose del futuro, non comprano, le imprese non vendono, non ricavano, devono tagliare costi e produzione, licenziano, spaventano ancor più, in un circolo vizioso profondamente distruttivo. Difatti Draghi sta stampando trilioni di euro, che cerca di far arrivare alle famiglie (via prestiti bancari: un modo troppo indiretto!) per indurle a spendere.
– che una moneta debole aiuti la domanda, anche su questo non c’è dissenso possibile fra economisti (difatti Draghi ha pilotato l’euro al ribasso del 30% circa).
Uno può dire che l’euro offre altri benefici, ma non negare che la flessibilità dei cambi aiuterebbe l’economia a riprendersi. Secondo Stefano inoltre, chi vuole una moneta debole (come Draghi con l’euro?) ha poca sensibilità sociale: “senza curarsi della perdita di potere d’acquisto dei più indifesi a reddito fisso”. Ma i più indifesi sono i disoccupati; che beneficerebbero immediatamente di un rilancio degli ordinativi alle imprese.
Stefano definisce i no-euro: “imprenditori della paura…”. Al contrario, lo scopo delle politiche di domanda è tranquillizzare le famiglie sul fatto che un minimo di domanda aggregata nel sistema è garantito: dunque non debbono avere eccessivi timori e possono ricominciare a spendere con fiducia. L’accusa vale piuttosto per quelli che annunciano inevitabili apocalissi in caso di scioglimento dell’euro.
Secondo Stefano e Draghi, “cancellare la moneta unica… significa invertire … quel faticoso tragitto che è cominciato mettendo in comune carbone e acciaio sessant’anni fa” perché “l’integrazione è una storia coerente, non una sommatoria di tasselli indipendenti”. Non sono questi giochi di parole? Uno può cancellare la CECA (la comunità del carbone e dell’acciaio), come avvenne nel 1967, e integrarsi in altri settori (come avvenne in seguito)! Vale anche per l’euro.
Secondo Stefano e Draghi “per costruire un mercato unico la moneta unica era desiderabile se non addirittura essenziale”. Dunque, non era essenziale. Tanto è vero che il mercato unico europeo ha funzionato per decenni e bene senza l’euro. Era desiderabile? Solo ignorando tutti i guai che ha causato, che non erano stati previsti dagli eurocrati. “La paura era che, senza una moneta unica, i ripetuti cicli si svalutazioni avrebbero distorto le condizioni per una competizione equa e minato il mercato unico nel lungo periodo”. La paura… dunque non la realtà: stiamo parlando di un fantasma mai materializzatosi!
Il vertice della mistificazione arriva con la manipolazione di concetti economici complessi che possono confondere il lettore. Senza l’euro “Un’economia che avrebbe aumentato la sua produttività e competitività avrebbe potuto essere privata dei benefici che le spettavano, in termini di maggiori quote di mercato, a causa del deprezzamento della valuta nei Paesi concorrenti. E se alcuni paesi erano [fossero stati] pronti a praticare questa strategia predatoria ai danni dei vicini (beggar thy neighbour), perché gli altri avrebbero dovuto aprire a loro in modo permanente i propri confini?”.
A questo proposito è bene sapere che:
– I tassi di cambio si dicono “predatori” o “beggar thy neighbour” quando sono sottovalutati rispetto all’equilibrio. Riallineare i cambi per riportarli in equilibrio non è predatorio, è il contrario.
– L’equilibrio in questione è quello delle Partite Correnti della Bilancia dei Pagamenti. L’euro lo garantisce? I dati smentiscono senza appello questa tesi, implicita, di Stefano. Mai stati tanto gravi, gli squilibri, quanto con l’euro.


Quali sono i benefici che “spettano a un’economia che aumenta la sua produttività e competitività”? Stefano confonde – come molti giornalisti – due concetti molto diversi. A un’economia in crescita (di produttività) “spettano” maggiori quote di mercato (non maggiori surplus!). Purché non utilizzi metodi predatori “beggar thy neighbour”, sinonimo di “crescita eccessiva di competitività”. (Chi non ha chiaro questo punto farebbe bene a studiare).
Tutto ciò significa una sola cosa: che a un aumento delle esportazioni, legittimo, deve corrispondere un aumento analogo delle importazioni. Altrimenti? Immaginate un mondo con due paesi: G e R, dove l’export di G cresce sempre, ma non l’import. In questo mondo mercantilista, R riceve sempre più prodotti di G ma, non pagandoli con altri beni (esportazioni), li paga firmando cambiali: finché il debito (di R verso G) diventa insostenibile! Ecco perché aumentare all’infinito la produttività (tenore di vita) è lecito; mentre aumentare la competitività all’infinito – svalutando la moneta, o abbassando i prezzi per unità di prodotto senza rivalutare – non lo è. Questa regola (Art.1 statuto FMI) nell’ordine internazionale del dopoguerra ha sostituito il vecchio mercantilismo guerrafondaio. Strano come il diritto sia rovesciato nel mondo di Stefano: convinto di combattere i nazionalismi, ne sposa la logica economica, vecchia di 100 anni.
Il grafico sopra mostra come nel 1988 a un eccesso di competitività della Germania si sia potuto rapidamente ovviare (rivalutando il marco); mentre dal 2004 la presenza dell’euro impedisce un ritorno all’equilibrio, infranto da un’inflazione tedesca illegalmente più bassa del 2% concordato in Europa. Ma anche se tutto fosse dovuto ai guadagni di produttività tedeschi, è folle immaginare cambi fissi. P. es. il grafico qui sotto mostra la rivalutazione dello Yen nel periodo in cui il Giappone ha guadagnato produttività:


Continua Stefano: “Gli altri non sono imbecilli… eviteranno i comportamenti predatori ai loro danni… alzando barriere … o usando la nostra stessa leva monetaria”. Stefano sembra non sapere che anche il Giappone nel 1971-95 faceva del suo meglio per evitare l’apprezzamento dello Yen, ma senza moneta unica era impossibile impedirlo: ciò vale sempre quando qualcuno cerca di discostarsi troppo dall’equilibrio. Perciò un ritorno alla lira consentirebbe all’Italia solo di annullare il vantaggio competitivo predatorio accumulato dalla Germania. Ma non di accumulare a sua volta un vantaggio competitivo predatorio. Non è questo l’obiettivo di un ritorno alle monete nazionali di Francia Spagna Italia e Grecia. E se ci provassero non ci riuscirebbero. Nel 1970-99 nessuno mai ci provò.
Perciò non credo fondata l’alternativa di Stefano: “seguire la traiettoria di questi ultimi sessant’anni di costruzione dell’Europa o tornare, tra mille traumi, al continente ridotto alla fame dai suoi conflitti”. Né credo giusto chiamare chi ha idee diverse “predicatori di miracoli interessati soltanto a conquistarsi un po’ di visibilità e magari un seggio in qualche Parlamento”. Ci sono molti buoni argomenti a favore dell’euro (soprattutto: uscire dall’euro è difficile ma i politici sottovalutano la questione ): concentriamoci su quelli.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... e/3366870/
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IN QUESTA FASE POLITICA, PER QUESTO PROBLEMA, LA SENSIBILITA’ MORALE, POLITICA, SOCIALE DEI ROMENI E’ SUPERIORE ALLA NOSTRA.
DA NOI NON BASTEREBBE SCENDERE IN PIAZZA, MA DOVREBBERO COME MINIMO PIANTARE LE TENDE PER BIVACCARE MESI E MESI.
NOI CI SIAMO GRADUALMENTE ABITUATI E ADATTATI.
ORA PER RISOLVERE IL PROBLEMA DOVREMMO COPIARE LA RIVOLUZIONE FRANCESE.
MA DA 60 MILIONI A QUANTO SI RIDURREBBE LA POPOLAZIONE ITALIANA???????








Alta tensione in Romania: in piazza contro governo
Il governo romeno ha ritirato un decreto che depenalizzava la corruzione dopo le proteste. Ma la retromarcia non è bastata a interrompere la rivolta
Franco Grilli - Sab, 04/02/2017 - 22:26
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Circa 300mila persone sono scese in strada a protestare per il quinto giorno consecutivo in Romania, nonostante il governo socialdemocratico abbia annunciato il ritiro del polemico decreto per depenalizzare i reati di corruzione.

A dare l'annuncio del dietrofront è stato il premier, Sorin Grindeanu, che ha anche promesso di negoziare con l'opposizione un nuovo progetto di legge che abbia il più vasto appoggio possibile in Parlamento. Il decreto, approvato d'urgenza e a sorpresa martedì notte, depenalizza i casi di corruzione se causano perdite allo Stato di somme inferiori ai 44mila euro. Un indulto correlato inoltre riguarda 2.700 detenuti per reati minori, anche per corruzione, motivato dal governo con l'esigenza di svuotare le carceri sovraffollate.

L'indignazione popolare si è tradotta nelle più grandi proteste di massa dalla caduta del comunismo nel 1989, con circa 250mila persone scese in strada ogni notte da martedì. Nonostante l'annuncio del premier e la festa dei manifestanti, 200mila di questi a Bucarest sono rimasti di fronte alla sede del governo, continuando a urlare "ladri" e "traditori" contro i politici. Molti manifestanti chiedono le dimissioni del governo e nuove elezioni, nonostante il partito socialdemocratico sia al potere da appena un mese, dopo le parlamentari di dicembre. Manifestazioni parallele sono state organizzate in altre città.
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OGGI LE COMICHE



Ecco come arriverà l'eurolira

La nuova moneta virtuale sarebbe legata a distinte valute, libere di oscillare. Ma dovremo tagliare il debito



E CHI LO TAGLIA IL DEBITO?????????????????????????????

GENTILO'.......BATTAGLIO'????????????????????????????????
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LA RELIGIONE BUNGA-BUNGA IMPAZZA.

GIOVEDI’ SCORSO ERA DI SCENA IL PREDICATORE MARCELLO FOA, CHE TRA L’ALTRO HA LA SFORTUNA DI PUBBLICARE UNA SUA FOTO IN CUI PUO’ ESSERE CONSIDERATO IL FRATELLO DI MAURIZIO GASPARRI.

DA LA FABBRICA DEL FALSO:


Ma soprattutto, le verità scomode vengono neutralizzate riformulandole in maniera appropriata.


IN QUESTO CASO FOA AFFERMA UNA VERITA’, MA EVITA ACCURATAMENTE DI DIRE CHE IL PROFETA DELLA PROPAGANDA CHE PER DECENNI E’ SERVITA A PLASMARE LE MASSE DI CENTRODESTRA RENDENDOLE DOCILI, SI CHIAMA SILVIO BERLUSCONI DA HARDCORE.



02feb 17
Quando il cittadino si ribella e rifiuta di farsi manipolare

La propaganda che per decenni è servita a plasmare le masse rendendole docili, a mascherare la vera natura di decisioni prese in apparenza “nell’interesse del popolo”, a proclamare guerre e interventi militari basati su giustificazioni morali fallaci o totalmente inventate, quella propaganda oggi non funziona più.
Viviamo un’epoca è straordinaria perché un numero crescente di cittadini rifiuta di farsi ingannare, di vivere in un mondo dove le promesse restano virtuali mentre il malessere è sempre più reale e diffuso. L’influenza dei grandi media, fino a pochi anni fa debordante e incontrastata, soprattutto in Paesi come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti ma anche l’Italia, risulta ormai affievolita. La gente non crede più alla tv, ai giornali appiattiti sul mainstream, ai politici tradizionali. Cerca altrove, in primis su internet, le risposte ai propri dubbi, riscontri alle proprie esperienze, trova il coraggio di ribellarsi, di difendere il proprio benessere e la democrazia.
Un’onda incredibile si è alzata, le cui implicazioni sociali e politiche sono straordinarie, come ho spiegato in un intervento, che ho improvvisato l’altra sera a Milano. Ero andato al Palazzo delle Stelline ad assistere al convegno “Oltre l’euro per tornare grandi“, dove intervenivano, tra gli altri, amici come Alberto Bagnai, Claudio Borghi Aquilini, Mario Giordano, quando Matteo Salvini mi ha invitato a parlare sul palco.
Tema, naturalmente, l’informazione e la manipolazione dell’opinione pubblica. Che ho affrontato come di consueto, con passione civica. Sono nove minuti di denuncia ma anche di speranza. Buona visione a tutti.
Video:
Intervento di Marcello Foa – Convegno “Oltre l’Euro” – 31 gennaio 2017
http://blog.ilgiornale.it/foa/2017/02/0 ... anipolare/
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Le Pen, Rivoluzione Francese: via da euro, Ue e Nato

Scritto il 06/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




Addio all’euro, all’Ue a anche alla Nato, e largo ai referendum come strumento di democrazia diretta a supporto del governo. «Io sono la candidata della Francia del popolo contro la destra dei quattrini e la sinistra dei quattrini». A pochi mesi dalle elezioni, Marine Le Pen annuncia che, se diverrà presidente, procederà a due referendum. Uno sull’Europa, per uscire dall’euro e dall’Unione Europea: «Spero che il sistema europeo diventi per tutti solo un brutto ricordo». La Francia – altra notizia, clamorosa – si sgancerebbe anche dall’Alleanza Atlantica, tuttora impiegata in chiave anti-Russia: la Le Pen lascerebbe il “comando integrato” della Nato, con una decisione che rievoca il sovranismo anche militare di Charles De Gaulle. In più, Marine Le Pen – data in testa al primo turno, in programma per il 23 aprile – annuncia anche un referendum istituzionale, per introdurre la possibilità di andare alle urne, con un minimo di 500.000 firme, per chiedere di fare una nuova legge o per bocciarne una già adottata dal Parlamento. «Le Pen e la Francia scoprono i referendum come strumenti di democrazia partecipativa», scrive “La Stampa”, commentando il discorso con cui, a Lione, la Le Pen ha lanciato la campagna elettorale che sta facendo tremare Bruxelles.

«Da quando sono venute fuori le rivelazioni sugli stipendi intascati dalla moglie di Fillon per un’attività di assistente parlamentare, che probabilmente non ha mai svolto», la leader francese «è data sempre prima nei sondaggi relativi al primo turno delle presidenziali», scrive Leonardo Martinelli sul quotidiano torinese. «La sua battaglia, comunque, non è vinta, perché nelle stesse inchieste appare costantemente sconfitta al ballottaggio». In ogi caso, la Le Pen suona la carica: annuncia da subito 144 misure di governo, alcune rivoluzionarie, e si presenta in modo «altamente battagliero». Tanto per chiarire: «Da queste elezioni dipende il futuro della Francia come nazione libera», dice. «Non mi interesso solo al patrimonio materiale dei francesi – precisa – ma anche al loro capitale immateriale». Sul piano economico, Marine Le Pen vuole imporre una tassa del 3% su tutte le importazioni per finanziare l’aumento degli stipendi e delle pensioni più basse. E, come Trump, parla di «protezionismo intelligente», un sistema che permetterà, ad esempio, di tassare le società francesi che hanno delocalizzato all’estero per fabbricare prodotti da vendere poi sul mercato nazionale.

«Madame Le Pen ha scoperto le sue carte», prende nota Marco Bresolin, sempre sulla “Stampa”. «L’annuncio del referendum per uscire dalla Ue (e dalla Nato) conferma un’intenzione nota da tempo». Tutti sapevano che prima o poi sarebbe arrivato, «ma forse in pochi si aspettavano un’uscita netta così in anticipo, destinata a trascinare l’Europa al centro della campagna elettorale francese, per molto tempo». Mancano infatti ancora più di tre mesi all’elezione del nuovo presidente (il ballottaggio è fissato per il 7 maggio) e «sull’asse Bruxelles-Parigi, idem su quello tra Bruxelles e le altre capitali, saranno tre mesi di fibrillazioni». I sondaggi danno Marine Le Pen al primo posto davanti a tutti gli altri candidati alle presidenziali francesi. Solo lei raggiunge il 25%, il che – per contro – significa che il 75% le sarebbe avverso: «E i precedenti rivelano che in casi come questi i francesi si sono già dimostrati pronti a costruire una coalizione anti-Front nel nome del “voto utile” (Chirac fu sostenuto dai socialisti nel 2002 al ballottaggio con Le Pen padre)». Già, ma erano altri tempi: l’euro e Bruxelles non avevano ancora “terremotato” la vita dei francesi.

In ogni caso, Bruxelles «non può far finta di nulla, non può attendere il 7 maggio per preparare le eventuali contromosse», scrive Bresolin, perché – in contemporanea con la campagna elettorale francese – l’agenda a dodici stelle prevede una serie di appuntamenti-chiave: «In questi novanta giorni l’Ue dovrà iniziare a trattare il divorzio con la Gran Bretagna, che notificherà ufficialmente la sua intenzione di uscire dall’Unione entro la fine di marzo». Attenzione: «L’atteggiamento riservato a Londra sarà un messaggio anche alle altre capitali tentate dalla fuga». Ma non è tutto: «Tra meno di due mesi (il 25 marzo) Roma ospiterà il summit che avrà il compito di ridisegnare l’Europa del futuro. Domanda: che futuro potrebbe avere un’Europa che, dopo la Gran Bretagna, si trovasse orfana anche della Francia, uno dei sei paesi fondatori?». Il pensiero dominante a Bruxelles è che una “Frexit” non sarebbe la stessa cosa della Brexit, «semplicemente per il fatto che, già oggi, i ruoli di Francia e Gran Bretagna nella Ue sono molto diversi tra di loro. Parigi è uno dei pilastri dell’Unione e – a fasi alterne – anche locomotiva», aggiungre Bresolin. Londra, al contrario, si è sempre defilata, ottenendo un trattamento di favore: mai entrata nell’euro, e neppure nell’area Schengen.

Anche vista delle elezioni francesi, continua Bresolin, assume un’importanza speciale il vertice europeo di Roma. «Paul Magnette, leader della Vallonia, balzato agli onori delle cronache in autunno per aver tenuto sotto scacco il Ceta (accordo commerciale Ue-Canada), ha buttato lì una soluzione radicale: per il bene dell’Europa, il socialista belga ha auspicato che altri Stati prendano la strada della Gran Bretagna». Magnette ha citato la Polonia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria, «paesi che alcuni governi considerano ancora come “zavorre”», ma ha anche parlato di Danimarca e Svezia, «con cui si potrebbe restare legati solo da un meno vincolante accordo commerciale». L’Italia è invece allineata al suo maggiore avversario, Angela Merkel, che sostiene «un’Europa disegnata a cerchi concentrici, con gradi di integrazione variabili». Un’Europa che Bresolin definisce «più flessibile e dunque più dinamica», e che sarebbe «la ricetta per reagire alla Brexit», e anche «per scongiurare un risultato simile se anche i francesi, in caso di clamorosa vittoria di Le Pen, si trovassero a decidere il loro destino europeo con un referendum», cioè con un esercizio di democrazia: roba da mandare nel panico i signori dell’Ue, che hanno pianificato la devastazione neoliberista dell’economia europea a cominciare da quella italiana, rovinata dall’austerity.
iospero
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Re: La crisi dell'Europa

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Stefano Fassina

La Merkel ci porta sulla rotta del Titanic

A conclusione del vertice europeo di Malta, la cancelliera Merkel ha preannunciato che, il prossimo 25 marzo a Roma, i capi di Stato e di governo riuniti per celebrare il 60-esimo anniversario del Trattato di Roma, potrebbero impegnarsi in una dichiarazione per "un'Europa a più velocità".

In sostanza, l'accelerazione dell'integrazione da parte di alcuni membri della Ue. Le dichiarazioni della Cancelliera sono state subito accolte con entusiasmo qui da noi, in particolare da importanti figure politiche e istituzionali del versante progressista.

Mi permetto, con rispetto e stima, di chiedere a Romano Prodi, Laura Boldrini ed Enrico Letta un supplemento di valutazione. Attenzione: l'euro-zona, quindi l'Ue, è sulla rotta del Titanic. Accelerare l'integrazione economica e politica senza una radicale correzione di rotta implica anticipare lo scontro con l'iceberg della sofferenza economica e sociale interpretato, in assenza di alternative, dalle destre isolazioniste e xenofobe.

Attenzione: l'ordine economico e sociale dell'euro-zona è insostenibile non a causa dei ritardi dei lavativi affacciati sul mar mediterraneo, ma per disegno originario. Oramai non dovrebbero esserci più dubbi: fino a pochissimi anni fa era soltanto un pugno di coraggiosi economisti eterodossi (da noi Bagnai, Giacchè, Barra Caracciolo, Cesaratto, Zezza, Baccaro, D'Antoni, Somma, Amoroso e, in extremis, Luciano Gallino per ricordarne alcuni) a segnalare i nodi strutturali dell'insostenibilità dell'ordine economico e monetario fondato sulla svalutazione del lavoro. Da almeno un paio d'anni, si sono dovuti convincere anche illustri accademici più o meno mainstream: dai premi Nobel Stiglitz e Krugman a Luigi Zingales.

La ragione dell'insostenibilità è piuttosto semplice: i Trattati, il Fiscal Compact e l'impianto di politica economica del paese leader dell'Unione monetaria sono retti dal mercantilismo ordiliberista. Vuol dire che si affida la crescita alle esportazioni. Ossia, si fa svalutazione interna, in particolare svalutazione del lavoro, come fatto dal governo Schroeder con le mitiche "Riforme Hartz", per accaparrarsi la domanda interna di qualcun altro.

Il mercantilismo ordoliberista ha funzionato finché è stato praticato solo alcuni membri del club monetario mentre gli altri, quasi esclusivamente privati, compravano a debito dagli esportatori. Ovviamente, il neo-liberismo in versione teutonica si inceppa, determina cronico deficit di domanda, quando si generalizza.

Collassa quando arriva Mr Trump che, per ridurre il debito esterno di Washington e "salvare" i suoi lavoratori, smette di fare il consumatore di ultima istanza e di puntellare l'euro-zona. Forse la lettura dell'ultimo saggio di Joseph Stiglitz, interamente dedicato alla moneta unica ("The euro: how a common currency threatens the future of Europe"), tra qualche settimana disponibile in italiano grazie a Einaudi, può aiutare a capire.

La drammatica realtà di fronte a noi oramai, ex post, dovrebbe essere chiara: nella Ue e nell'eurozona-zona si è realizzato in forma estrema, con la complicità orgogliosa della famiglia socialista e ulivista, il disegno liberista saltato, per la rivolta delle classi medie, nei suoi epicentri: nel Regno Unito con la Brexit e negli Usa con la vittoria di Trump.

Mercato unico e euro sono stati, nonostante i nobili propositi di tanti "bravi progressisti", fattori di aggravamento della globalizzazione. Quindi, errori. Colpe gravi agli occhi del vasto popolo delle periferie economiche, sociali e culturali. Non a caso, sulla mappa elettorale, i bravi progressisti sono ovunque barricati nei quartieri bene delle città.

Allora, acceleriamo lungo la rotta del Titanic come suggerisce la Merkel concentrata, in modo miope, esclusivamente sull'interesse nazionale tedesco? Attenzione: arrivare all'agognato ministro del Tesoro dell'euro-zona che opera nel quadro dei Trattati e del Fiscal Compact vuol dire consegnarsi al soffocamento economico e sociale e alla completa colonizzazione politica. Vuol dire continuare a contraddire i principi di fondo della nostra costituzione. Insomma, continuare a seguire la cancelliera Merkel vuol dire divaricare ancor di più i popoli europei e accelerare il naufragio.

In teoria, l'accelerazione proposta dalla Merkel, formalmente presentata dal Benelux, potrebbe essere rigidamente condizionata a una radicale svolta pro-labour dei Trattati e dell'impianto di politica macroeconomica del Paese leader. Ma è una prospettiva completamente astratta dalla realtà.

Davvero qualcuno ritiene che vi sia consenso di popolo nei paesi core dell'euro-zona per introdurre le correzioni minime per dare un po' di respiro al lavoro e alle classi medie? Davvero qualcuno ritiene che possa maturare in Germania un largo consenso per archiviare il radicato orientamento mercantilista, suo tratto storico e politico distintivo? Davvero qualcuno è convinto che sia possibile modificare lo statuto della Bce affinché anche l'istituto di Francoforte possa fare quanto fa la Federal Reserve o la Banca d'Inghilterra?

Davvero qualcuno ritiene possibile convincere i campioni dell'ordoliberismo a limitare i movimenti di capitali, merci e servizi per proteggere i lavoratori? Sarebbero soltanto alcuni degli aggiustamenti necessari. Ma sono impraticabili sul piano politico.

Allora, fronteggiamo da soli la Cina, gli Stati Uniti di Trump, le migrazioni abnormi, i cambiamenti climatici e le guerre? No, ovviamente. Qui sta la differenza tra destra e sinistra. Noi vogliamo salvare la Ue dall'euro e costruire una confederazione tra Stati nazionali ri-democratizzati e rivitalizzati attraverso la riconquista di leve di politica economica fondamentali.

Certo, non ritorniamo a Breton Woods. Certo, la disponibilità della moneta è condizione necessaria ma non sufficiente: una politica macroeconomica alternativa è un impianto coerente di policies, come ricordano Aldo Barba e Massimo Pivetti in "La scomparsa della Sinistra in Europa".

Data l'oggettiva impossibilità della svolta, rimangono soltanto due possibili strade. Da un lato, il "divorzio amichevole" della moneta unica per recuperare allo Stato nazionale strumenti vitali e cooperazioni rafforzate su alcune funzioni come difesa e sicurezza. Dall'altro, rassegnarsi all'euro e riconoscere, con amarezza e onestà intellettuale, che la sinistra, in tutte le sue declinazioni, è finita con il crollo del Muro di Berlino e che la prima parte della nostra Costituzione è un cimelio da onorare all'insegna del politicamente corretto.

Una parte della sinistra europea consapevole e non rassegnata si ritroverà a Roma, in Campidoglio, l'11-12 marzo, non per celebrare i Trattati firmati nella capitale nel 1957, ma per svolgere il quarto summit per il "Plan B": un progetto cooperativo per il superamento dell'euro.
UncleTom
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Re: La crisi dell'Europa

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Allons enfants de la Patrie
Le jour de gloire est arrivé!



5 ore fa
1025


Ecco perché vincerà Le Pen

Luigi Mascheroni


FONTE: LE STRUMPTRUPPEN ITALIOTE
iospero
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da iospero »

Sondaggi Elezioni Francia: gli ultimi dati

Il sondaggio IFOP sulle intenzioni di voto dei francesi mostra una preferenza per Marine Le Pen al 25,5 per cento al primo turno del 23 aprile fino, in rialzo dell’1,5 per cento dal 1° febbraio.
Il centrista Macron, invece, riceverebbe il 20,5 per cento dei voti, in crescita dello 0,5 per cento rispetto allo stesso periodo.

Il candidato conservatore Francois Fillon segue al 18,5 per cento, in calo dalle preferenze precedentemente stimate al 21 per cento.
Fillon subisce il peso dell’ultimo scandalo che ha coinvolto lui e il favoreggiamento lavorativo in ambito politico alla moglie.

Anche il candidato socialista Benoit Hamon ha perso slancio dopo la sua nomina alle primarie, ed ora riesce a strappare solo il 15,5 per cento dei voti, in calo dal 18 per cento segnalato ad inizio mese.


Sondaggi elezioni Francia, chi vince tra Le Pen e Macron?

Secondo lo stesso sondaggio, le elezioni al secondo turno saranno vince da Macron.
La tendenza si invertirà a maggio, come dimostrato dai dati.

Emmanuel Macron, fondatore di En Marche!, si prepara a prevalere ampiamente su Marine Le Pen con il 66% dei voti, contro il 34% di preferenze per l’estrema destra.

L’indagine è stata condotta online il 5, 6 e 7 febbraio su un campione di 1.602 persone tra la popolazione francese maggiore di 18 anni e già registrata come elettore.

Chi è Emmanuel Macron nella vita privata? Un uomo fuori dagli schemi, appassionato di filosofia sin dalla gioventù, abile pianista, Emmanuel Macron è sposato con Brigitte Trogneux, sua ex professoressa del liceo, vent’anni più grande di lui. Un rapporto iniziato quando Macron era minorenne e lei aveva già tre figli, e coronato con le nozze nel 2007.

Per sapere chi è Emmanuel Macron bisogna tornare al 2014, anno in cui assume la guida del Ministero dell’Economia e guardare nei suoi studi, dapprima quelli di pianoforte al conservatorio di Amiens, sua città natale, e poi quelli dai gesuiti in filosofia, la sua grande passione.

Poi la laurea all’Ena, la prestigiosa scuola dove si forma l’elite politica francese e l’inizio della carriera nel mondo dell’economia come dirigente al Ministero e poi come banchiere per Rotschild. Dal 2006 al 2015 è stato iscritto al Partito Socialista, prima di fondare il suo movimento En Marche!, che Emmanuel Macron mette al di sopra della destra e della sinistra.
cielo 70
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Iscritto il: 18/03/2012, 10:43

Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da cielo 70 »

Ci sono 3 partiti di destra che se la battono. Come hanno fatto a finire peggio che in Italia? Spero che il vincitore delle primarie del partito socialista farà in tempo a recuperare.
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