Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
14 feb 2017 19:20
AMERICA FATTA A MAGLIE
- FUORI UNO. MICHAEL FLYNN CI HA MESSO DEL SUO, È STATO SPIATO, E LA SUA TESTA È ROTOLATA, TRUMP NON PUÒ PERMETTERSI OMBRE SUL GOVERNO
- LA BONISSIMA EMILY RATAJKOWSKI RIVELA CHE UN GIORNALISTA DEL ‘NEW YORK TIMES’ HA CHIAMATO MELANIA TRUMP ‘UNA PUTTANA’ E LA FIRST LADY OTTIENE PUBBLICHE SCUSE DAL QUOTIDIANO
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Fuori uno. Il prosciugamento della palude di Washington che Donald Trump ha promesso agli americani ha trovato il primo ostacolo grave, che è costato la testa al consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Il quale ci ha messo del suo, un militare dalla testa dura esempio del pessimo rapporto tra gerarchie con le stellette e intelligence ed agenzie federali;
ha coltivato telefonate in fondo innocenti o di peccato veniale con l'ambasciatore russo, ha parlato con lui delle insensate sanzioni imposte da Barack Obama già in vacanza di potere, poi ha assicurato al vicepresidente Mike Pence e ad altri membri del governo e dello staff della Casa Bianca di non avere mai avuto quelle conversazioni. Ma qualcuno le ha leaked, spiate e fatte trapelare.
Così’ un peccato veniale è diventato mortale ed imperdonabile, suscitando l’ ira funesta del presidente, che a Flynn aveva dato grande fiducia ripagandolo così dell'appoggio precoce in campagna elettorale.
In mezzo c'è la vera questione, che nessun giornale naturalmente solleva, pago della vittoria che ritiene essere un grosso smacco per la Casa Bianca, ovvero che Flynn è stato fin dalla prima indicazione di nomina spiato, e che queste spiate sono arrivate a chi di dovere, che siano i democratici, che è naturalmente vero, che sia la stessa Casa Bianca, magari attraverso quei repubblicani che tra Camera e Senato, soprattutto Senato, nella persona di John McCain come protagonista, fanno la fronda a Donald Trump e la guerra a Mosca.
Sono degli imbecilli, o dei traditori, non solo perché senza questo presidente il Partito Repubblicano tra un anno e mezzo, elezioni di metà mandato, perderebbe senza alcun dubbio il primato conquistato ovunque, ma anche perché Putin già da un po’ aveva mollato Flynn sapendolo indebolito come interlocutore, ed è il segretario di Stato, Rex Tillerson, l'uomo che dovrà gestire da navigato mediatore quale è, un rapporto con la Russia che sarà tutt'altro che idilliaco.
Donald Trump intende cambiare i rapporti internazionali, dal Medio Oriente alla Corea del Nord alla Cina, per questo ha sacrificato Flynn, non devono esserci ombre né persone ricattabili.
Ciò non toglie che sia furioso e che questa furia stia per investire se non subito in un tempo breve l'uomo che tiene i rapporti col partito e la struttura, e del quale oramai non solamente l’ala dura dei consiglieri di Trump è insoddisfatta e scontenta, ovvero il capo dello staff Reince Priebus. Già presidente del comitato elettorale repubblicano, poco prima della convention dell'estate scorsa aveva smesso di fare la guerra al candidato Trump, anzi lo ha in qualche modo accreditato, e in cambio ha avuto uno degli incarichi più importanti del governo parallelo.
Ma in questo periodo di gestione del potere ha anche dimostrato una straordinaria fragilità e debolezza nei confronti dei vecchi canacci del partito e anche scarsa conoscenza della macchina di Washington, che finora l'ha infinocchiato per bene.
Come mai si domandano dalle pagine di Breitbart, il giornale conservatore ancora ispirato da Steve Bannon, la nomina del Segretario alla Giustizia ha tardato così tanto ad essere approvata in Senato? Questo ritardo ha seriamente compromesso la gestione della vicenda del bando temporaneo ai 7 Paesi dai quali si esportano terroristi.
Fosse già stato in carica Jeff Sessions, navigato senatore dell'Alabama, le cose sarebbero andate diversamente, e per esempio non sarebbe stata in carica supplente la Yates, che poi la Casa Bianca ha dovuto licenziare per aver preso posizione contro il bando. Ma la signora è anche la stessa che ha gestito la vicenda Flynn, del quale la anchor Laura Ingraham ha detto ieri che è stato ucciso da almeno 1000 colpi di leaks,che vanno equamente divisi tra FBI CIA e Dipartimento di Giustizia.
Non solo, ci sarebbero almeno 50 funzionari in ruoli medio-alti a Washington che sono sfuggiti allo spoils system e sono militanti a tempo pieno della dottrina Obama. Insomma, la Washington che Donald Trump intende sconfiggere e dare da mangiare ai pescecani, prima di morire si difenderà con tutte le armi che ha a disposizione, intelligence e media in prima fila.
Significa questo che il presidente è in una difficoltà seria? No, perché l'economia va a gonfie vele come non accadeva da decenni, e perché denaro fresco arriverà dalle prime conseguenze delle leggi di deregulation dei prossimi mesi; no, perché nel giro di qualche settimana arriverà l'annunciato taglio alle tasse alle imprese che dovrebbero addirittura scendere al 15%, quindi consentire una spinta agli investimenti straordinaria;
no, perché sia pur tra mille polemiche anche il ritorno alla separazione tra banche commerciali e banche di finanza sarà una misura estremamente popolare, e di nuovo la gente saprà dove investire e come il proprio denaro, e perché è ormai senso comune che a quella commistione si debbano speculazioni senza controllo che hanno portato alla crisi del 2008.
Ma no anche perché, ultima Intel, ogni settimana c'è un'azienda che annuncia che aprirà una filiale negli Stati Uniti o che rientra dall'estero mettendo fine alla delocalizzazione a buon mercato. Ne’ la visita di Justin Trudeau, il premier canadese ultimo esemplare di centro-sinistra nel giro degli alleati importanti, ha creato a Trump alcun problema.
I giornali canadesi oggi la descrivono come una vittoria nazionale, ma la verità è che Trudeau si è accontentato, e non era poco, di essere certo che una revisione del Nafta, l'accordo commerciale USA Canada Messico, toccherebbe soprattutto il Messico, e il modo andra’ trovato risparmiando lui e la popolarità del suo governo, e anche quando si è opposto, rivendicando il diritto all'asilo, ha poi immediatamente aggiunto di non volere in alcun modo intromettersi nella gestione dei profughi di altre nazioni.
Trudeau è giovane e belloccio e a questo Trump non può porre rimedio, ma ha esibito con soddisfazione in un meeting di donne manager e capitani d'azienda la figlia Ivanka, lasciando Trudeau piuttosto stordito. Qualche giorno prima con i giapponesi in visita aveva invece esibito la moglie Melania, anche lì con ottimi risultati , rispondendo col gesto alle chiacchiere incessanti che vogliono la first lady senza ruolo ed esiliata sia pur di lusso.
La signora Trump ha incassato un'altra soddisfazione e non di poco conto, ovvero che il New York Times è stato costretto a pubblica reprimenda di un giornalista probabilmente esperto di moda e costume che a una sfilata di New York aveva parlato della first lady come di una puttana, non rendendosi conto che qualche volta gli astanti non si limitano a ridacchiare e ad essere d'accordo col metodo della calunnia perenne. Infatti la top model Emily Ratajkowski lo ha sbugiardato obbligando il New York Times a pubblicazione della reprimenda.
Sono scaramucce, la guerra continua, ma sono le ragioni per le quali il direttore del Wall Street Journal in una lunga e accesa assemblea con la redazione qualche giorno fa ha spiegato che il suo giornale segue un altro metodo e che non intende far parte del fronte dei media contro Trump, a partire dall'uso del linguaggio. Per esempio i 7 paesi del bando non sono 7 paesi a maggioranza musulmana, ma sono i 7 paesi indicati come pericolosi in uno studio sugli ingressi negli Stati Uniti effettuato dalla presidenza Obama.
Vaglielo a dire a Crozza, che ha pensato a Sanremo di far ridere qualcuno citando Philip Roth, il quale di Donald Trump ha detto che è un imbecille, ignorante, semi analfabeta, che usa non più di una settantina di parole per esprimersi. Ora, Trump parla come ormai sappiamo, ma è laureato in business alla Wharton school della università di Pennsylvania, ovvero è un Ivy League, uscito da una delle otto università più prestigiose d'America. Philip Roth puo’ infischiarsene e fare lo stronzo, è quello che ha scritto Lamento di Portnoy e Pastorale Americana. Crozza dovrebbe almeno far ridere.
AMERICA FATTA A MAGLIE
- FUORI UNO. MICHAEL FLYNN CI HA MESSO DEL SUO, È STATO SPIATO, E LA SUA TESTA È ROTOLATA, TRUMP NON PUÒ PERMETTERSI OMBRE SUL GOVERNO
- LA BONISSIMA EMILY RATAJKOWSKI RIVELA CHE UN GIORNALISTA DEL ‘NEW YORK TIMES’ HA CHIAMATO MELANIA TRUMP ‘UNA PUTTANA’ E LA FIRST LADY OTTIENE PUBBLICHE SCUSE DAL QUOTIDIANO
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Fuori uno. Il prosciugamento della palude di Washington che Donald Trump ha promesso agli americani ha trovato il primo ostacolo grave, che è costato la testa al consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Il quale ci ha messo del suo, un militare dalla testa dura esempio del pessimo rapporto tra gerarchie con le stellette e intelligence ed agenzie federali;
ha coltivato telefonate in fondo innocenti o di peccato veniale con l'ambasciatore russo, ha parlato con lui delle insensate sanzioni imposte da Barack Obama già in vacanza di potere, poi ha assicurato al vicepresidente Mike Pence e ad altri membri del governo e dello staff della Casa Bianca di non avere mai avuto quelle conversazioni. Ma qualcuno le ha leaked, spiate e fatte trapelare.
Così’ un peccato veniale è diventato mortale ed imperdonabile, suscitando l’ ira funesta del presidente, che a Flynn aveva dato grande fiducia ripagandolo così dell'appoggio precoce in campagna elettorale.
In mezzo c'è la vera questione, che nessun giornale naturalmente solleva, pago della vittoria che ritiene essere un grosso smacco per la Casa Bianca, ovvero che Flynn è stato fin dalla prima indicazione di nomina spiato, e che queste spiate sono arrivate a chi di dovere, che siano i democratici, che è naturalmente vero, che sia la stessa Casa Bianca, magari attraverso quei repubblicani che tra Camera e Senato, soprattutto Senato, nella persona di John McCain come protagonista, fanno la fronda a Donald Trump e la guerra a Mosca.
Sono degli imbecilli, o dei traditori, non solo perché senza questo presidente il Partito Repubblicano tra un anno e mezzo, elezioni di metà mandato, perderebbe senza alcun dubbio il primato conquistato ovunque, ma anche perché Putin già da un po’ aveva mollato Flynn sapendolo indebolito come interlocutore, ed è il segretario di Stato, Rex Tillerson, l'uomo che dovrà gestire da navigato mediatore quale è, un rapporto con la Russia che sarà tutt'altro che idilliaco.
Donald Trump intende cambiare i rapporti internazionali, dal Medio Oriente alla Corea del Nord alla Cina, per questo ha sacrificato Flynn, non devono esserci ombre né persone ricattabili.
Ciò non toglie che sia furioso e che questa furia stia per investire se non subito in un tempo breve l'uomo che tiene i rapporti col partito e la struttura, e del quale oramai non solamente l’ala dura dei consiglieri di Trump è insoddisfatta e scontenta, ovvero il capo dello staff Reince Priebus. Già presidente del comitato elettorale repubblicano, poco prima della convention dell'estate scorsa aveva smesso di fare la guerra al candidato Trump, anzi lo ha in qualche modo accreditato, e in cambio ha avuto uno degli incarichi più importanti del governo parallelo.
Ma in questo periodo di gestione del potere ha anche dimostrato una straordinaria fragilità e debolezza nei confronti dei vecchi canacci del partito e anche scarsa conoscenza della macchina di Washington, che finora l'ha infinocchiato per bene.
Come mai si domandano dalle pagine di Breitbart, il giornale conservatore ancora ispirato da Steve Bannon, la nomina del Segretario alla Giustizia ha tardato così tanto ad essere approvata in Senato? Questo ritardo ha seriamente compromesso la gestione della vicenda del bando temporaneo ai 7 Paesi dai quali si esportano terroristi.
Fosse già stato in carica Jeff Sessions, navigato senatore dell'Alabama, le cose sarebbero andate diversamente, e per esempio non sarebbe stata in carica supplente la Yates, che poi la Casa Bianca ha dovuto licenziare per aver preso posizione contro il bando. Ma la signora è anche la stessa che ha gestito la vicenda Flynn, del quale la anchor Laura Ingraham ha detto ieri che è stato ucciso da almeno 1000 colpi di leaks,che vanno equamente divisi tra FBI CIA e Dipartimento di Giustizia.
Non solo, ci sarebbero almeno 50 funzionari in ruoli medio-alti a Washington che sono sfuggiti allo spoils system e sono militanti a tempo pieno della dottrina Obama. Insomma, la Washington che Donald Trump intende sconfiggere e dare da mangiare ai pescecani, prima di morire si difenderà con tutte le armi che ha a disposizione, intelligence e media in prima fila.
Significa questo che il presidente è in una difficoltà seria? No, perché l'economia va a gonfie vele come non accadeva da decenni, e perché denaro fresco arriverà dalle prime conseguenze delle leggi di deregulation dei prossimi mesi; no, perché nel giro di qualche settimana arriverà l'annunciato taglio alle tasse alle imprese che dovrebbero addirittura scendere al 15%, quindi consentire una spinta agli investimenti straordinaria;
no, perché sia pur tra mille polemiche anche il ritorno alla separazione tra banche commerciali e banche di finanza sarà una misura estremamente popolare, e di nuovo la gente saprà dove investire e come il proprio denaro, e perché è ormai senso comune che a quella commistione si debbano speculazioni senza controllo che hanno portato alla crisi del 2008.
Ma no anche perché, ultima Intel, ogni settimana c'è un'azienda che annuncia che aprirà una filiale negli Stati Uniti o che rientra dall'estero mettendo fine alla delocalizzazione a buon mercato. Ne’ la visita di Justin Trudeau, il premier canadese ultimo esemplare di centro-sinistra nel giro degli alleati importanti, ha creato a Trump alcun problema.
I giornali canadesi oggi la descrivono come una vittoria nazionale, ma la verità è che Trudeau si è accontentato, e non era poco, di essere certo che una revisione del Nafta, l'accordo commerciale USA Canada Messico, toccherebbe soprattutto il Messico, e il modo andra’ trovato risparmiando lui e la popolarità del suo governo, e anche quando si è opposto, rivendicando il diritto all'asilo, ha poi immediatamente aggiunto di non volere in alcun modo intromettersi nella gestione dei profughi di altre nazioni.
Trudeau è giovane e belloccio e a questo Trump non può porre rimedio, ma ha esibito con soddisfazione in un meeting di donne manager e capitani d'azienda la figlia Ivanka, lasciando Trudeau piuttosto stordito. Qualche giorno prima con i giapponesi in visita aveva invece esibito la moglie Melania, anche lì con ottimi risultati , rispondendo col gesto alle chiacchiere incessanti che vogliono la first lady senza ruolo ed esiliata sia pur di lusso.
La signora Trump ha incassato un'altra soddisfazione e non di poco conto, ovvero che il New York Times è stato costretto a pubblica reprimenda di un giornalista probabilmente esperto di moda e costume che a una sfilata di New York aveva parlato della first lady come di una puttana, non rendendosi conto che qualche volta gli astanti non si limitano a ridacchiare e ad essere d'accordo col metodo della calunnia perenne. Infatti la top model Emily Ratajkowski lo ha sbugiardato obbligando il New York Times a pubblicazione della reprimenda.
Sono scaramucce, la guerra continua, ma sono le ragioni per le quali il direttore del Wall Street Journal in una lunga e accesa assemblea con la redazione qualche giorno fa ha spiegato che il suo giornale segue un altro metodo e che non intende far parte del fronte dei media contro Trump, a partire dall'uso del linguaggio. Per esempio i 7 paesi del bando non sono 7 paesi a maggioranza musulmana, ma sono i 7 paesi indicati come pericolosi in uno studio sugli ingressi negli Stati Uniti effettuato dalla presidenza Obama.
Vaglielo a dire a Crozza, che ha pensato a Sanremo di far ridere qualcuno citando Philip Roth, il quale di Donald Trump ha detto che è un imbecille, ignorante, semi analfabeta, che usa non più di una settantina di parole per esprimersi. Ora, Trump parla come ormai sappiamo, ma è laureato in business alla Wharton school della università di Pennsylvania, ovvero è un Ivy League, uscito da una delle otto università più prestigiose d'America. Philip Roth puo’ infischiarsene e fare lo stronzo, è quello che ha scritto Lamento di Portnoy e Pastorale Americana. Crozza dovrebbe almeno far ridere.
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Re: Dove va l'America?
QUANDO LA RELIGIONE BUNGA-BUNGA OPERAVA IN GRAN SEGRETO DIETRO LE QUINTE
LIBRE news
Recensioni
segnalazioni.
Ricchi mai così ricchi, e ora gli Obama passano alla cassa
Scritto il 15/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Barack Obama ha certamente fatto la sua parte. Durante i suoi otto anni di mandato i profitti delle imprese sono aumentati. La ricchezza dei 400 americani più ricchi è cresciuta tra i 1.570 e i 2.400 miliardi di dollari. La disuguaglianza sociale è aumentata ad un ritmo sempre più veloce. Con Obama alla Casa Bianca, il mercato azionario ha vissuto una delle sue corse di maggior successo in tutta la storia (il Dow Jones Industrial Average è aumentato del 148 %, ancora più di quanto aumentò con Ronald Reagan). In soldoni, secondo “Cnn-Money”, «le partecipazioni al Dow di Jp Morgan Chase e Goldman Sachs sono schizzate alle stelle dopo il bailout [2008-2009] e non sono lontano dai loro massimi storici. Le azioni di Apple sono aumentate più del 415% da quando [Obama] è diventato presidente. Amazon di un sorprendente 900%. E Facebook, che si è messa sul mercato negli ultimi mesi del primo mandato di Obama nel 2012, è arrivata al 230% dal suo prezzo base». Il “New York Times” gongolava, l’anno scorso: «I fatti sono indiscutibili: gli anni di Obama sono stati tra i migliori di sempre per gli investitori azionari, fin dagli albori del 20° secolo».
«Pensate solo che se io fossi stato abbastanza lungimirante da acquistare quote di un fondo azionario a basso costo il primo giorno di insediamento di Obama, il 20 gennaio 2009, avrei triplicato i miei soldi. Performance del mercato azionario a questo livello, sono state superate raramente». Anche “Time Magazine” aggiunge che, durante il periodo di Obama, «le azioni Usa hanno più che triplicato i soldi degli investitori, generando rendimenti totali (includoso il valore dei dividendi reinvestiti) del 235% … mentre azioni di società con sede in Europa, Giappone, e in altri paesi con economie sviluppate hanno guadagnato solo il 96% in totale». Così sembra giusto che, dopo aver fatto diventare ancora più ricchi i già immensamente ricchi, a spese della classe operaia, Obama dovrà ricevere una adeguata ricompensa. Sia lui che sua moglie sembrano essere, certamente, di questo parere. Di recente abbiamo letto un titolo sorprendente: “Obama potrebbe incassare fino a 242 milioni di dollari dopo aver lasciato Washington”. Il titolo si basa su uno studio condotto da un ricercatore della Business School della American University di Washington.
Lo studio titolava – un po ‘meno clamorosamente: “Come i presidenti fanno i milioni”, e ritiene che «gli Obama potrebbero guadagnare fino a 242.500 milioni con discorsi, presentazioni di libri e pensioni (presumendo un’età di pensionamento di 70 anni). Non male, per una coppia che era entrata alla Casa Bianca con un patrimonio netto di 1,3 milioni di dollari». La grande domanda che si pone questo studio è se gli Obama supereranno i Clinton nell’accumulare ricchezza dopo aver lasciato la Casa Bianca. «Gli Obama potrebbero uguagliare o addirittura superare i 75 milioni che i Clinton hanno fatto nei primi 15 anni fuori dalla Casa Bianca? Sembra possibile. Il presidente Obama lascia il suo incarico con due bestseller da aggiungere ai circa 40 milioni di dollari in diritti d’autore che incasserà insieme a Michelle. Aggiungiamo 3 milioni in redditi da pensione e almeno 50 discorsi l’anno, per un minimo di 200.000 dollari l’uno, e si è già vicino ai 200 milioni al lordo delle imposte. Dovrebbe bastare per piazzare gli Obamas nella parte alta della lista delle più ricche ex prime famiglie».
Il “Washington Post” suggerisce altre possibilità: «Qualsiasi multinazionale sarebbe felice di avere un ex presidente al tavolo della sua direzione. Questi incarichi sociali pagano bene, con stipendi a sei cifre più benefit e viaggi con jet privato da e per gli incontri. Obama ha detto che in futuro non vuole viaggiare su aerei commerciali». Gli Obama sono già ricchi. L’editorialista Andrew Lisa osserva: «Barack Obama ha guadagnato 400.000 dollari all’anno per otto anni. Il presidente riceve anche un rimborso spese di 50.000 dollari l’anno, un rimborso per spese di viaggio non tassabili per 100.000 dollari e un budget di spese di rappresentanza di 19.000 dollari». Il 15 aprile 2016, il presidente Obama ha presentato le dichiarazioni dei redditi 2015, che mostrano che lui e la first lady Michelle Obama hanno congiuntamente un reddito lordo di 436.065 dollari. Hanno pagato 81.472 dollari di tasse in base al loro tasso di imposta del 18,7 per cento.Secondo “CelebrityNetWorth.com”, Obama ha un patrimonio netto di 12.2 milioni di dollari e Michelle Obama non è da meno, con un patrimonio netto di 11,8 milioni. Le trattenute per la pensione di Obama per il 2017 saranno di 207.800 dollari.
Dopo aver lasciato la Casa Bianca il 20 gennaio e dopo una vacanza a Palm Springs, in California, Obama e la sua famiglia hanno programmato di trasferirsi in un quasi-palazzo nella zona di Kalorama a nord-ovest di Washington, Dc. La casa, con nove camere da letto e otto bagni, è su tre piani, più un livello inferiore, per “Forbes”; è una «residenza lussuosa in un quartiere desiderabile, costruita nel 1928, su 760 metri quadrati», per “Business Insider”, che aggiunge: «Possono essere considerati nuovi vicini di casa degli Obama, a Kalorama, sia il fondatore di Amazon Jeff Bezos, che la famiglia di Ivanka Trump e Jared Kushner, in quanto tutti hanno recentemente comprato casa in quel quartiere. Gli Obamas affitteranno la casa da Joe Lockhart, che è stato addetto stampa alla Casa Bianca del presidente Bill Clinton e resteranno fino a quando la figlia minore, Sasha, finirà la high-school. La casa era stata messa in vendita a 5,3 milioni di dollari prima di essere ritirata dal mercato a maggio scorso». “Forbes” stima che la proprietà abbia un valore di 7 milioni, una cifra che dovrebbe aumentare di altri 300.000 dollari nel corso del prossimo anno.
Gli Obama pagheranno un fitto mensile di 22.000 dollari per la loro residenza. Inoltre, possiedono una casa da 1,5 milioni a Chicago e, se dobbiamo credere al “Washington Post”, «Obama, che è un appassionato di golf, è stato visto alla ricerca di una casa a Rancho Mirage [nella zona di Palm Springs], dove il golf è considerato una religione». Il “Palm Desert Patch” dice che, secondo voci di corridoio, la famiglia Obama sta cercando di acquistare una casa a Rancho Mirage, possibilmente nell’esclusivo quartiere di Thunderbird Heights, «zona conosciuta come “il parco giochi dei presidenti”». Karl Marx e Friedrich Engels, più di un secolo e mezzo fa, dicevano che «il capo di uno Stato moderno» non era altro che «un funzionario che deve gestire gli affari di tutta la classe dirigente». Cosa che è più che mai oscenamente trasparente e vera: i funzionari di questo “esecutivo” sono quelli che vengono meglio pagati da sempre.
(David Walsh, “Gli Obama passano alla cassa”, da “Wsws.org” del 3 febbraio 2017, post tradotto da Bosque Primario per “Come Don Chisciotte”).
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Ricchi mai così ricchi, e ora gli Obama passano alla cassa
Scritto il 15/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Barack Obama ha certamente fatto la sua parte. Durante i suoi otto anni di mandato i profitti delle imprese sono aumentati. La ricchezza dei 400 americani più ricchi è cresciuta tra i 1.570 e i 2.400 miliardi di dollari. La disuguaglianza sociale è aumentata ad un ritmo sempre più veloce. Con Obama alla Casa Bianca, il mercato azionario ha vissuto una delle sue corse di maggior successo in tutta la storia (il Dow Jones Industrial Average è aumentato del 148 %, ancora più di quanto aumentò con Ronald Reagan). In soldoni, secondo “Cnn-Money”, «le partecipazioni al Dow di Jp Morgan Chase e Goldman Sachs sono schizzate alle stelle dopo il bailout [2008-2009] e non sono lontano dai loro massimi storici. Le azioni di Apple sono aumentate più del 415% da quando [Obama] è diventato presidente. Amazon di un sorprendente 900%. E Facebook, che si è messa sul mercato negli ultimi mesi del primo mandato di Obama nel 2012, è arrivata al 230% dal suo prezzo base». Il “New York Times” gongolava, l’anno scorso: «I fatti sono indiscutibili: gli anni di Obama sono stati tra i migliori di sempre per gli investitori azionari, fin dagli albori del 20° secolo».
«Pensate solo che se io fossi stato abbastanza lungimirante da acquistare quote di un fondo azionario a basso costo il primo giorno di insediamento di Obama, il 20 gennaio 2009, avrei triplicato i miei soldi. Performance del mercato azionario a questo livello, sono state superate raramente». Anche “Time Magazine” aggiunge che, durante il periodo di Obama, «le azioni Usa hanno più che triplicato i soldi degli investitori, generando rendimenti totali (includoso il valore dei dividendi reinvestiti) del 235% … mentre azioni di società con sede in Europa, Giappone, e in altri paesi con economie sviluppate hanno guadagnato solo il 96% in totale». Così sembra giusto che, dopo aver fatto diventare ancora più ricchi i già immensamente ricchi, a spese della classe operaia, Obama dovrà ricevere una adeguata ricompensa. Sia lui che sua moglie sembrano essere, certamente, di questo parere. Di recente abbiamo letto un titolo sorprendente: “Obama potrebbe incassare fino a 242 milioni di dollari dopo aver lasciato Washington”. Il titolo si basa su uno studio condotto da un ricercatore della Business School della American University di Washington.
Lo studio titolava – un po ‘meno clamorosamente: “Come i presidenti fanno i milioni”, e ritiene che «gli Obama potrebbero guadagnare fino a 242.500 milioni con discorsi, presentazioni di libri e pensioni (presumendo un’età di pensionamento di 70 anni). Non male, per una coppia che era entrata alla Casa Bianca con un patrimonio netto di 1,3 milioni di dollari». La grande domanda che si pone questo studio è se gli Obama supereranno i Clinton nell’accumulare ricchezza dopo aver lasciato la Casa Bianca. «Gli Obama potrebbero uguagliare o addirittura superare i 75 milioni che i Clinton hanno fatto nei primi 15 anni fuori dalla Casa Bianca? Sembra possibile. Il presidente Obama lascia il suo incarico con due bestseller da aggiungere ai circa 40 milioni di dollari in diritti d’autore che incasserà insieme a Michelle. Aggiungiamo 3 milioni in redditi da pensione e almeno 50 discorsi l’anno, per un minimo di 200.000 dollari l’uno, e si è già vicino ai 200 milioni al lordo delle imposte. Dovrebbe bastare per piazzare gli Obamas nella parte alta della lista delle più ricche ex prime famiglie».
Il “Washington Post” suggerisce altre possibilità: «Qualsiasi multinazionale sarebbe felice di avere un ex presidente al tavolo della sua direzione. Questi incarichi sociali pagano bene, con stipendi a sei cifre più benefit e viaggi con jet privato da e per gli incontri. Obama ha detto che in futuro non vuole viaggiare su aerei commerciali». Gli Obama sono già ricchi. L’editorialista Andrew Lisa osserva: «Barack Obama ha guadagnato 400.000 dollari all’anno per otto anni. Il presidente riceve anche un rimborso spese di 50.000 dollari l’anno, un rimborso per spese di viaggio non tassabili per 100.000 dollari e un budget di spese di rappresentanza di 19.000 dollari». Il 15 aprile 2016, il presidente Obama ha presentato le dichiarazioni dei redditi 2015, che mostrano che lui e la first lady Michelle Obama hanno congiuntamente un reddito lordo di 436.065 dollari. Hanno pagato 81.472 dollari di tasse in base al loro tasso di imposta del 18,7 per cento.Secondo “CelebrityNetWorth.com”, Obama ha un patrimonio netto di 12.2 milioni di dollari e Michelle Obama non è da meno, con un patrimonio netto di 11,8 milioni. Le trattenute per la pensione di Obama per il 2017 saranno di 207.800 dollari.
Dopo aver lasciato la Casa Bianca il 20 gennaio e dopo una vacanza a Palm Springs, in California, Obama e la sua famiglia hanno programmato di trasferirsi in un quasi-palazzo nella zona di Kalorama a nord-ovest di Washington, Dc. La casa, con nove camere da letto e otto bagni, è su tre piani, più un livello inferiore, per “Forbes”; è una «residenza lussuosa in un quartiere desiderabile, costruita nel 1928, su 760 metri quadrati», per “Business Insider”, che aggiunge: «Possono essere considerati nuovi vicini di casa degli Obama, a Kalorama, sia il fondatore di Amazon Jeff Bezos, che la famiglia di Ivanka Trump e Jared Kushner, in quanto tutti hanno recentemente comprato casa in quel quartiere. Gli Obamas affitteranno la casa da Joe Lockhart, che è stato addetto stampa alla Casa Bianca del presidente Bill Clinton e resteranno fino a quando la figlia minore, Sasha, finirà la high-school. La casa era stata messa in vendita a 5,3 milioni di dollari prima di essere ritirata dal mercato a maggio scorso». “Forbes” stima che la proprietà abbia un valore di 7 milioni, una cifra che dovrebbe aumentare di altri 300.000 dollari nel corso del prossimo anno.
Gli Obama pagheranno un fitto mensile di 22.000 dollari per la loro residenza. Inoltre, possiedono una casa da 1,5 milioni a Chicago e, se dobbiamo credere al “Washington Post”, «Obama, che è un appassionato di golf, è stato visto alla ricerca di una casa a Rancho Mirage [nella zona di Palm Springs], dove il golf è considerato una religione». Il “Palm Desert Patch” dice che, secondo voci di corridoio, la famiglia Obama sta cercando di acquistare una casa a Rancho Mirage, possibilmente nell’esclusivo quartiere di Thunderbird Heights, «zona conosciuta come “il parco giochi dei presidenti”». Karl Marx e Friedrich Engels, più di un secolo e mezzo fa, dicevano che «il capo di uno Stato moderno» non era altro che «un funzionario che deve gestire gli affari di tutta la classe dirigente». Cosa che è più che mai oscenamente trasparente e vera: i funzionari di questo “esecutivo” sono quelli che vengono meglio pagati da sempre.
(David Walsh, “Gli Obama passano alla cassa”, da “Wsws.org” del 3 febbraio 2017, post tradotto da Bosque Primario per “Come Don Chisciotte”).
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Re: Dove va l'America?
ECCO PERCHE’ THE MC DONALD, PIACE TANTO ALLE STRUMPTRUPPEN ITALIOTE.
17 feb 2017 19:31
TRUMP RENDE LEGALI LE MAZZETTE PETROLIFERE E WALL STREET VOLA
– LE COMPAGNIE QUOTATE NON DOVRANNO DICHIARARE SE PAGANO GOVERNI STRANIERI PER LE CONCESSIONI DEI POZZI
– WARREN BUFFET (PRO-HILLARY) INVESTE 12 MILIARDI NELLA BORSA DEI RECORD. E DONALD NON HA ANCORA ABBASSATO LE TASSE…
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Ugo Bertone per Libero Quotidiano
Al settimo giorno le Borse Usa hanno deciso di tirare il fiato. Ma la pausa è motivata più dalla volontà di incassare i profitti accumulati nella lunga corsa innescata dall' attesa degli sgravi fiscali già anticipati da Donald Trump che non da un cambio dell' umore degli operatori. È difficile, del resto, trovare un altro rally così robusto e continuo, per giunta senza picchi di volatilità dei prezzi (a conferma che i rischi restano bassi).
In sintesi: nell' ultima settimana i tre indici principali hanno segnato cinque record storici assoluti, tra cui spicca il livello stellare toccato dal paniere più importante, quello dello Standard & Poor' s: 20 mila miliardi di dollari di capitalizzazione. Per giunta, la corsa ha coinvolto buona parte delle Borse non americane, come dimostra il primato toccato dall' indice Ftse Global, ai massimi da due anni.
Una febbre che ha coinvolto le società più amiche del presidente, a partire da Goldman Sachs, tornata sui livelli del 2007. Ma anche i «nemici», come Apple balzata a un nuovo incredibile valore di oltre 700 miliardi di dollari (più di una volta e mezza di Piazza Affari). O Warren Buffett che nello scorso dicembre, dopo aver dichiarato il suo voto per Hillary, si è affrettato a investire su Wall Street (12 miliardi) confidando nel tocco di Trump
La corsa della Borsa Usa, infatti, non è una moda o una semplice manifestazione di simpatia da parte degli americani ricchi. Il rally targato Trump, ancor prima dell' annuncio della promessa «rivoluzione fiscale» (basata su robusti tagli delle aliquote) è il frutto dell' azione del Presidente, che promette così di galvanizzare i fondi pensione e i piani di accumulo della classe media.
Solo promesse? In realtà Trump si è già mosso. Nel giorno di San Valentino Donald Trump ha firmato la sua prima legge da presidente, denominata H.J. Res 41, che allenta le regole per le società petrolifere e minerarie quotate a Wall Street. «È una decisione importante. Stiamo semplificando la regolamentazione del settore energia - ha commentato lo stesso Trump - tanta gente sta tornando al lavoro».
Pozzi di petrolio
È l' effetto della legislazione che riapre la porta ai nuovi gasdotti, ma anche alla robusta ripresa delle estrazioni di shale oil che stanno mettendo a dura prova il potere di Opec e Russia che dall' inizio dell' anno hanno tagliato la produzione per provocare un rialzo dei prezzi, finora contenuto.
Ma la parte più innovativa e «politicamente scorretta» del provvedimento riguarda il diritto per le società dell' energia quotate a Wall Street di non rendere noti i pagamenti ai governi stranieri per garantirsi lo sfruttamento delle risorse.
Un' inversione di rotta che garantirà un vantaggio competitivo alle Big Oil Usa. È la prima delle modifiche alla Dodd Frank, il sistema di norme sulla trasparenza introdotto dopo la crisi dei subprime, cui presto seguiranno gli interventi che, secondo la Casa Bianca, daranno più spinta agli investimenti e al lavoro, una priorità condivisa dai mercati, i primi sostenitore del presidente.
17 feb 2017 19:31
TRUMP RENDE LEGALI LE MAZZETTE PETROLIFERE E WALL STREET VOLA
– LE COMPAGNIE QUOTATE NON DOVRANNO DICHIARARE SE PAGANO GOVERNI STRANIERI PER LE CONCESSIONI DEI POZZI
– WARREN BUFFET (PRO-HILLARY) INVESTE 12 MILIARDI NELLA BORSA DEI RECORD. E DONALD NON HA ANCORA ABBASSATO LE TASSE…
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Ugo Bertone per Libero Quotidiano
Al settimo giorno le Borse Usa hanno deciso di tirare il fiato. Ma la pausa è motivata più dalla volontà di incassare i profitti accumulati nella lunga corsa innescata dall' attesa degli sgravi fiscali già anticipati da Donald Trump che non da un cambio dell' umore degli operatori. È difficile, del resto, trovare un altro rally così robusto e continuo, per giunta senza picchi di volatilità dei prezzi (a conferma che i rischi restano bassi).
In sintesi: nell' ultima settimana i tre indici principali hanno segnato cinque record storici assoluti, tra cui spicca il livello stellare toccato dal paniere più importante, quello dello Standard & Poor' s: 20 mila miliardi di dollari di capitalizzazione. Per giunta, la corsa ha coinvolto buona parte delle Borse non americane, come dimostra il primato toccato dall' indice Ftse Global, ai massimi da due anni.
Una febbre che ha coinvolto le società più amiche del presidente, a partire da Goldman Sachs, tornata sui livelli del 2007. Ma anche i «nemici», come Apple balzata a un nuovo incredibile valore di oltre 700 miliardi di dollari (più di una volta e mezza di Piazza Affari). O Warren Buffett che nello scorso dicembre, dopo aver dichiarato il suo voto per Hillary, si è affrettato a investire su Wall Street (12 miliardi) confidando nel tocco di Trump
La corsa della Borsa Usa, infatti, non è una moda o una semplice manifestazione di simpatia da parte degli americani ricchi. Il rally targato Trump, ancor prima dell' annuncio della promessa «rivoluzione fiscale» (basata su robusti tagli delle aliquote) è il frutto dell' azione del Presidente, che promette così di galvanizzare i fondi pensione e i piani di accumulo della classe media.
Solo promesse? In realtà Trump si è già mosso. Nel giorno di San Valentino Donald Trump ha firmato la sua prima legge da presidente, denominata H.J. Res 41, che allenta le regole per le società petrolifere e minerarie quotate a Wall Street. «È una decisione importante. Stiamo semplificando la regolamentazione del settore energia - ha commentato lo stesso Trump - tanta gente sta tornando al lavoro».
Pozzi di petrolio
È l' effetto della legislazione che riapre la porta ai nuovi gasdotti, ma anche alla robusta ripresa delle estrazioni di shale oil che stanno mettendo a dura prova il potere di Opec e Russia che dall' inizio dell' anno hanno tagliato la produzione per provocare un rialzo dei prezzi, finora contenuto.
Ma la parte più innovativa e «politicamente scorretta» del provvedimento riguarda il diritto per le società dell' energia quotate a Wall Street di non rendere noti i pagamenti ai governi stranieri per garantirsi lo sfruttamento delle risorse.
Un' inversione di rotta che garantirà un vantaggio competitivo alle Big Oil Usa. È la prima delle modifiche alla Dodd Frank, il sistema di norme sulla trasparenza introdotto dopo la crisi dei subprime, cui presto seguiranno gli interventi che, secondo la Casa Bianca, daranno più spinta agli investimenti e al lavoro, una priorità condivisa dai mercati, i primi sostenitore del presidente.
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Re: Dove va l'America?
4 ore fa
791
Effetto Trump: agli americani
piace la stretta sugli immigrati
Raffaello Binelli
MA SPOPRATTUTTO PIACE ALLE STRUMPTRUPPEN ITALIOTE CHE NON VEDONO L'ORA DI ENTRARE IN AZIONE.
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Raffaello Binelli
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Re: Dove va l'America?
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Jack Ma: globalismo-canaglia, se non distribuisce ricchezza
Scritto il 25/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Quando Thomas Fridman ha pubblicato il suo bestseller “Il mondo è piatto”, nel 2005, la globalizzazione sembrava una strategia perfetta per gli Usa. Il loro discorso era questo: noi ci teniamo la proprietà intellettuale, la tecnologia e il marchio, e lasciamo il resto del lavoro ad altri paesi come Messico e Cina». La “lezione” la impartisce il professor Jack Ma, insegnante di liceo e poi fondatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, al World Economic Forum di Davos. «Le multinazionali americane hanno incassato milioni e milioni di dollari dalla globalizzazione. Quando mi sono laureato all’università in Cina ho provato ad acquistare un cercapersone. Costava l’equivalente di 250 dollari, io ne guadagnavo 10 al mese come insegnante. Ma il prezzo per produrlo era 8 dollari. Ibm e Microsoft facevano più utili delle più 4 più grandi banche cinesi messe insieme: dove sono finiti quei soldi?». La risposta è facile, e avvilente: in paradisi fiscali. «Apple ha quasi 300 miliardi di dollari parcheggiati al riparo del fisco, in smisurati patrimoni personali, mentre Bill Gates destina tutto in beneficienza, in settori che decide lui, e in investimenti finanziari che hanno gonfiato la bolla di Wall Street», scrive “Dagospia”, in una nota che riprende servizi di “Forbes” e “Business Insider”.
«Trent’anni fa – ha aggiunto Ma – le compagnie americane di cui i cinesi avevano sentito parlare erano Ford e Boeing. Oggi sono nella Silicon Valley. E a Wall Street, dove sono stati investiti tutti i profitti. La crisi finanziaria ha cancellato 19,2 trilioni di dollari», cioè quasi 20.000 miliardi, «e ha distrutto 34 milioni di posti di lavoro. Immaginate cosa sarebbe successo se quei soldi fossero stati investiti nel Midwest, per sviluppare industrie e infrastrutture, e soprattutto educazione per chi non se la può permettere?». Un’accusa chiarissima: «Non sono gli altri paesi a rubarvi il lavoro, è colpa della vostra strategia: siete voi che non avete distribuito i profitti nel modo giusto». Jack Ma è convinto che non ci sarà nessuna guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, come si paventa da alcune affermazioni rese da Donald Trump durante la sua campagna elettorale. A difendere la globalizzazione e il libero mercato è intervenuto perfino il presidente cinese Xi Jinping, parlando all’apertura del Forum di Davos. Molto dell’economia cinese si basa proprio sull’export verso l’Occidente e verso gli Usa. L’applicare tasse ai prodotti della Cina potrebbe dare un colpo molto forte alle industrie del paese.
Jack Ma ha fatto notare che il problema non è la globalizzazione, da cui gli Usa hanno ricavato «tonnellate di soldi», ma il modo in cui tale moneta è stata spesa, senza diffondere la ricchezza nella società. «Negli ultimi trent’anni – ha detto – l’America ha avuto 13 guerre al costo di 14,20 trilioni di dollari. Cosa sarebbe successo se avessero speso parte di quei soldi per costruire infrastrutture, aiutare impiegati e operai?». Il grande imprenditore cinese non è affatto spaventato da Trump, che considera «una persona dalla mente aperta, capace di ascoltare». Jack Ma ha appena incontrato il nuovo inquilino della Casa Bianca, proponendo Alibaba come piattaforma commerciale per le piccole e medie imprese americane. «Secondo Jack Ma, questo potrebbe fruttare agli Usa circa un milione di posti di lavoro».
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Jack Ma: globalismo-canaglia, se non distribuisce ricchezza
Scritto il 25/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Quando Thomas Fridman ha pubblicato il suo bestseller “Il mondo è piatto”, nel 2005, la globalizzazione sembrava una strategia perfetta per gli Usa. Il loro discorso era questo: noi ci teniamo la proprietà intellettuale, la tecnologia e il marchio, e lasciamo il resto del lavoro ad altri paesi come Messico e Cina». La “lezione” la impartisce il professor Jack Ma, insegnante di liceo e poi fondatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, al World Economic Forum di Davos. «Le multinazionali americane hanno incassato milioni e milioni di dollari dalla globalizzazione. Quando mi sono laureato all’università in Cina ho provato ad acquistare un cercapersone. Costava l’equivalente di 250 dollari, io ne guadagnavo 10 al mese come insegnante. Ma il prezzo per produrlo era 8 dollari. Ibm e Microsoft facevano più utili delle più 4 più grandi banche cinesi messe insieme: dove sono finiti quei soldi?». La risposta è facile, e avvilente: in paradisi fiscali. «Apple ha quasi 300 miliardi di dollari parcheggiati al riparo del fisco, in smisurati patrimoni personali, mentre Bill Gates destina tutto in beneficienza, in settori che decide lui, e in investimenti finanziari che hanno gonfiato la bolla di Wall Street», scrive “Dagospia”, in una nota che riprende servizi di “Forbes” e “Business Insider”.
«Trent’anni fa – ha aggiunto Ma – le compagnie americane di cui i cinesi avevano sentito parlare erano Ford e Boeing. Oggi sono nella Silicon Valley. E a Wall Street, dove sono stati investiti tutti i profitti. La crisi finanziaria ha cancellato 19,2 trilioni di dollari», cioè quasi 20.000 miliardi, «e ha distrutto 34 milioni di posti di lavoro. Immaginate cosa sarebbe successo se quei soldi fossero stati investiti nel Midwest, per sviluppare industrie e infrastrutture, e soprattutto educazione per chi non se la può permettere?». Un’accusa chiarissima: «Non sono gli altri paesi a rubarvi il lavoro, è colpa della vostra strategia: siete voi che non avete distribuito i profitti nel modo giusto». Jack Ma è convinto che non ci sarà nessuna guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, come si paventa da alcune affermazioni rese da Donald Trump durante la sua campagna elettorale. A difendere la globalizzazione e il libero mercato è intervenuto perfino il presidente cinese Xi Jinping, parlando all’apertura del Forum di Davos. Molto dell’economia cinese si basa proprio sull’export verso l’Occidente e verso gli Usa. L’applicare tasse ai prodotti della Cina potrebbe dare un colpo molto forte alle industrie del paese.
Jack Ma ha fatto notare che il problema non è la globalizzazione, da cui gli Usa hanno ricavato «tonnellate di soldi», ma il modo in cui tale moneta è stata spesa, senza diffondere la ricchezza nella società. «Negli ultimi trent’anni – ha detto – l’America ha avuto 13 guerre al costo di 14,20 trilioni di dollari. Cosa sarebbe successo se avessero speso parte di quei soldi per costruire infrastrutture, aiutare impiegati e operai?». Il grande imprenditore cinese non è affatto spaventato da Trump, che considera «una persona dalla mente aperta, capace di ascoltare». Jack Ma ha appena incontrato il nuovo inquilino della Casa Bianca, proponendo Alibaba come piattaforma commerciale per le piccole e medie imprese americane. «Secondo Jack Ma, questo potrebbe fruttare agli Usa circa un milione di posti di lavoro».
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Re: Dove va l'America?
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Google oscura il web pro-Trump: colpo di Stato in arrivo?
Scritto il 25/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«In una escalation repressiva della libertà di parola degna di una Cina comunista, Google ha lanciato una purga per smantellare i siti web che appoggiano il presidente Trump».
Lo denuncia Mike Adams, tra gli “editor” del sito “NaturalNews.com”, «cancellato da Google, attraverso la rimozione di oltre 140.000 pagine di contenuti che trattano di prevenzione di malattie, terapie nutrizionali, ricerche scientifiche sulla contaminazione ambientale e molto altro».
La rete è in subbuglio per questa evidente violazione della libertà di espressione, dopo che la censura di Google denunciata da “Natural News” è diventata virale sui social, nelle interviste radio e negli articoli su tutti i media indipendenti.
“Natural News”, dice Adams in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è stato presa di mira, probabilmente, perché non solo ha pubblicamente previsto la vittoria del presidente Trump molto prima che si verificasse, ma ha apertamente appoggiato le politiche di Trump «atte a proteggere l’America, drenare la palude e ripristinare la repubblica».
Ma l’oscuramento di “Natural News” è solo «la prima mossa di una vasta purga della libertà di parola da parte di Google per mettere a tacere le voci pro-Trump in tutta la rete».
Dopo il primo annuncio di Adams, che denunciava «la scioccante censura di “Natural News” da parte di Google», l’editor è stato contattato da diversi gestori di siti che affermano di essere stati messi offline anch’essi più o meno nello stesso momento.
Il sito “Is My Website Penalized” (il mio sito è penalizzato?) mostra che almeno 470 siti web sono stati declassati o addirittura bannati da Google nell’ultimo mese.
«Probabilmente molti di questi 470 siti meritavano di essere messi offline per codice maligno o infezioni da malware», ammette Adams, che però esclude che il problema riguardasse “Natural News”, come confermato da Google Search Console.
«Natural News è stato bannato attraverso una “decisione umana” che non ha alcuna giustificazione ed è stata emanata senza alcun preavviso né possibilità di appello».
Di fatto, continua Adamas, «qualcuno di Google ha semplicemente deciso che non gli piacevano i contenuti di “Natural News”, e ha premuto l’interruttore “memory hole” (buco della memoria) sull’intero sito in un attimo, un po’ come quando hanno fatto detonare gli esplosivi ad alto potenziale per abbattere l’Edificio 7», cioè il palazzo di Manhattan crollato l’11 Settembre senza essere stato colpito né dagli aerei, né dagli incendi.
«Questo – continua Adams – si aggiunge al sabotaggio economico commesso contro “InfoWars”», quando Adroll, la piattaforma per la pubblicità di Google, «ha tolto la pubblicità a “InfoWars” senza preavviso», con un danno, secondo “InfoWars”, di 3 milioni di dollari.
«Due giorni prima, “Breitbart News” è stato preso di mira con la rimozione di Milo Yiannopoulos, grazie a dei video-leaks orchestrati da gruppi di facciata legati a George Soros».
Attenzione: «E’ il preludio di un’enorme false-flag o di un golpe contro il presidente Trump?».
La faccenda è serissima, sottolinea Mike Adams: «Per quale ragione Google si darebbe tanto disturbo impegnandosi nella oltraggiosa censura e nel sabotaggio economico di due dei maggiori media indipendenti al mondo, in un’azione censoria consecutiva che quasi grida “urgenza!”?».
La risposta è ovvia: «Qualcosa di grosso sta per essere messo in atto contro Trump, e le maggiori voci a sostegno di Trump vengono silenziate in modo sistematico, una ad una, per essere certi che nessun media indipendente possa contrastare la narrazione ufficiale che verrà propagandata dai media spacciatori di fake news (Cnn, WashPo, Nyt, etc.)».
Per Adams, «questo non è altro che fascismo».
Succede «quando le multinazionali eseguono gli ordini dello Stato Profondo che pianifica di causare disordini di massa o morte per rimuovere Trump dal potere».
Tra gli altri “pericoli”, secondo Adams, c’è anche la possibilità che Trump «possa rendere pubblica la verità sui legami con la pedofilia di importanti politici di Washington».
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Google oscura il web pro-Trump: colpo di Stato in arrivo?
Scritto il 25/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«In una escalation repressiva della libertà di parola degna di una Cina comunista, Google ha lanciato una purga per smantellare i siti web che appoggiano il presidente Trump».
Lo denuncia Mike Adams, tra gli “editor” del sito “NaturalNews.com”, «cancellato da Google, attraverso la rimozione di oltre 140.000 pagine di contenuti che trattano di prevenzione di malattie, terapie nutrizionali, ricerche scientifiche sulla contaminazione ambientale e molto altro».
La rete è in subbuglio per questa evidente violazione della libertà di espressione, dopo che la censura di Google denunciata da “Natural News” è diventata virale sui social, nelle interviste radio e negli articoli su tutti i media indipendenti.
“Natural News”, dice Adams in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è stato presa di mira, probabilmente, perché non solo ha pubblicamente previsto la vittoria del presidente Trump molto prima che si verificasse, ma ha apertamente appoggiato le politiche di Trump «atte a proteggere l’America, drenare la palude e ripristinare la repubblica».
Ma l’oscuramento di “Natural News” è solo «la prima mossa di una vasta purga della libertà di parola da parte di Google per mettere a tacere le voci pro-Trump in tutta la rete».
Dopo il primo annuncio di Adams, che denunciava «la scioccante censura di “Natural News” da parte di Google», l’editor è stato contattato da diversi gestori di siti che affermano di essere stati messi offline anch’essi più o meno nello stesso momento.
Il sito “Is My Website Penalized” (il mio sito è penalizzato?) mostra che almeno 470 siti web sono stati declassati o addirittura bannati da Google nell’ultimo mese.
«Probabilmente molti di questi 470 siti meritavano di essere messi offline per codice maligno o infezioni da malware», ammette Adams, che però esclude che il problema riguardasse “Natural News”, come confermato da Google Search Console.
«Natural News è stato bannato attraverso una “decisione umana” che non ha alcuna giustificazione ed è stata emanata senza alcun preavviso né possibilità di appello».
Di fatto, continua Adamas, «qualcuno di Google ha semplicemente deciso che non gli piacevano i contenuti di “Natural News”, e ha premuto l’interruttore “memory hole” (buco della memoria) sull’intero sito in un attimo, un po’ come quando hanno fatto detonare gli esplosivi ad alto potenziale per abbattere l’Edificio 7», cioè il palazzo di Manhattan crollato l’11 Settembre senza essere stato colpito né dagli aerei, né dagli incendi.
«Questo – continua Adams – si aggiunge al sabotaggio economico commesso contro “InfoWars”», quando Adroll, la piattaforma per la pubblicità di Google, «ha tolto la pubblicità a “InfoWars” senza preavviso», con un danno, secondo “InfoWars”, di 3 milioni di dollari.
«Due giorni prima, “Breitbart News” è stato preso di mira con la rimozione di Milo Yiannopoulos, grazie a dei video-leaks orchestrati da gruppi di facciata legati a George Soros».
Attenzione: «E’ il preludio di un’enorme false-flag o di un golpe contro il presidente Trump?».
La faccenda è serissima, sottolinea Mike Adams: «Per quale ragione Google si darebbe tanto disturbo impegnandosi nella oltraggiosa censura e nel sabotaggio economico di due dei maggiori media indipendenti al mondo, in un’azione censoria consecutiva che quasi grida “urgenza!”?».
La risposta è ovvia: «Qualcosa di grosso sta per essere messo in atto contro Trump, e le maggiori voci a sostegno di Trump vengono silenziate in modo sistematico, una ad una, per essere certi che nessun media indipendente possa contrastare la narrazione ufficiale che verrà propagandata dai media spacciatori di fake news (Cnn, WashPo, Nyt, etc.)».
Per Adams, «questo non è altro che fascismo».
Succede «quando le multinazionali eseguono gli ordini dello Stato Profondo che pianifica di causare disordini di massa o morte per rimuovere Trump dal potere».
Tra gli altri “pericoli”, secondo Adams, c’è anche la possibilità che Trump «possa rendere pubblica la verità sui legami con la pedofilia di importanti politici di Washington».
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Re: Dove va l'America?
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Craig Roberts: golpe in vista, Trump è già un uomo morto
Scritto il 01/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.Il “New York Times” riporta che «le agenzie di intelligence americane hanno cercato di capire se la campagna elettorale Trump era collusa con i russi sulla pirateria informatica o con altri sforzi per influenzare le elezioni». E’ l’offensiva del “Deep State”, che si sta riprendendo il potere. Trump in carcere? «E’ possibile che accadrà proprio questo», scrive Craig Roberts, in un post su “Sputnik News” tradotto da Costantino Ceoldo per “Come Don Chisciotte”. Il prestigioso analista americano, già “editor” del “Wall Street Journal”, ricorda che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il complesso militare e di sicurezza decise che «il flusso di profitti e potere derivante dalla guerra e dai pericoli di una guerra era troppo grande per essere ceduto», consegnato alla tranquillità di in un’era di pace. «Questo complesso ha manipolato un debole e inesperto presidente Truman in una gratuita guerra fredda con l’Unione Sovietica», basata sul nulla: «Fu creata la menzogna, accettata dal popolo americano credulone, che il comunismo internazionale voleva conquistare il mondo». Assurdo: Stalin aveva liquidato Trotskij e tutti gli alfieri della “rivoluzione permanente”, estesa a tutto il mondo, puntando invece sul “socialismo in un solo paese”.Ma l’establishment americano «ha abbozzato e contribuito all’inganno», gonfiando il super-potere dell’apparato militare-industriale fino a preoccupare Dwitght Eisenhower, che nel 1961 – nel suo ultimo discorso – mise in guardia il popolo contro la vocazione eversiva del business della guerra: «Tre milioni e mezzo di uomini e donne sono direttamente impegnati nell’apparato della difesa», disse. «Ogni anno spendiamo per la sicurezza militare più del reddito netto di tutte le società degli Stati Uniti. Questa congiunzione di un apparato militare immenso e di una grande industria degli armamenti è nuova, nell’esperienza americana. L’influenza totale – economica, politica, anche spirituale – si fa sentire in ogni città, ogni Parlamento, ogni ufficio del governo federale». Una necessità geopolitica con «gravi implicazioni», per Eisenhower: «Dobbiamo guardarci dall’acquisizione di una influenza ingiustificata, visibile o invisibile, da parte del complesso militar-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di un potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici».E ancora: «Non dovremmo mai dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza vigile e competente può costringere il corretto ingranamento del grande apparato industriale e militare di difesa con i nostri metodi e gli obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme». Gli avvisi di Eisenhower, osserva Craig Roberts, erano centrati. «Tuttavia, erano basati su “una cittadinanza vigile e competente”, che gli Stati Uniti non hanno. La popolazione americana è in gran parte stupida e si sta dirigendo, in tutto lo spettro ideologico da sinistra a destra, all’autodistruzione». I media, stampa e televisione, che «servono da propagandisti per il potere del complesso militar-industriale e le élite di Wall Street», ormai «si accertano che gli americani non abbiano nulla se non informazioni false ed orchestrate: ogni famiglia e persona che accende la Tv o si legge un giornale è programmata per vivere in una realtà falsa ed orchestrata che serve quei pochi che comprendono l’apparato di governo». L’altro problema? «Trump ha sfidato questo apparato, senza rendersi conto che è più potente di un semplice presidente degli Stati Uniti».Durante il secondo mandato di Obama, la Russia e il suo presidente «sono stati demonizzati dal complesso militar-industriale e dai neoconservatori utilizzando i media “presstitute”», scrice Craig Roberts. «La demonizzazione ha facilitato la capacità dei media “presstitute” controllati, come il “New York Times”, il “Washington Post”, Cnn, Msnbc ed il resto, di associare il contatto con la Russia e gli articoli che mettevano in discussione le tensioni orchestrate tra Stati Uniti e Russia, con attività sospette, forse anche tradimento». Trump e i suoi consiglieri? «Erano troppo inesperti per rendersi conto che la conseguenza del licenziamento di Flynn è stata quella di validare questa associazione orchestrata della presidenza Trump con l’intelligence russa». E ora abbiamo «le puttane dei media e le puttane della politica» impegnate a porre la stessa domanda utilizzata per infangare il presidente Nixon e forzarne le dimissioni: “Che cosa sapeva il presidente e quando lo sapeva?”. Trump sapeva che il generale Flynn aveva parlato con l’ambasciatore russo settimane prima che Trump abbia detto che lo aveva fatto? Flynn ha fatto l’indicibile, parlare con un russo: perché Trump gli ha detto di farlo?I fornitori di false notizie, cioè i grandi media «bugiardi spregevoli», secondo Craig Roberts «stanno usando insinuazioni irresponsabili per intrappolare il presidente Trump in una rete di tradimento». Ecco il titolo del “New York Times”: «Gli assistenti della campagna di Trump hanno avuto contatti ripetuti con l’intelligence russa». Quello a cui stiamo assistendo, insiste l’analista, è una campagna da parte dello Stato Profondo, «che usa le sue puttane dei media per organizzare l’impeachment di Trump». In altre parole, «quelli al lavoro per ribaltare le elezioni presidenziali del 2016 sono così sicuri del loro successo che dichiarano pubblicamente la loro preferenza per un colpo di Stato sulla democrazia». Ad esempio, «il guerrafondaio neoconservatore sionista Bill Kristol ha espresso la sua preferenza per un colpo di Stato». Craig Roberts lo definisce «liberale progressista di sinistra, allineato con l’Uno Percento contro la “razzista, misogina, omofobica” classe operaia, i “deplorevoli” che hanno eletto Trump». In campo anche gli artisti, come «il musicista disinformato Moby», il quale «si è sentito in dovere di scrivere sciocchezze ignoranti su Facebook», per dire che «il dossier russo su Trump è reale», il presidente «è ricattato dal governo russo, non solo per essersi fatto pisciare addosso da prostitute russe, ma per cose molto più nefaste». In più, «l’amministrazione Trump è in collusione con il governo russo, e lo è stata fin dal primo giorno».Aggiunge Craig Roberts: «Ora che Trump è stato contaminato dalle “associazioni con lo spionaggio russo” i repubblicani idioti, secondo “Bloomberg”, si sono “uniti alle chiamate dei democratici per uno sguardo più approfondito sui contatti tra la squadra del presidente Trump e gli agenti dello spionaggio russo», cosa che «indica un crescente senso di pericolo politico all’interno del partito qualora emergessero nuovi rapporti su ampi contatti tra i due». Naturalmente – puntualizza Craig Roberts – non vi è alcuna prova di tali contatti: sono solo insinuazioni, su cui si basa la campagna per deporre Trump. Il licenziamento di Flynn, il generale “sacrificato” nel tentativo di placare le polemiche, ha solo peggiorato la situazione: viene presentato come un’ammissione di colpevolezza, mentre la Cia «continua a passare notizie false alle “presstitute”». Conclude Craig Roberts, amaramente: «Fin dall’inizio ho avvertito che Trump mancava dell’esperienza e delle conoscenze per scegliere un governo che gli stesse accanto e servisse la sua agenda. Trump ha ora licenziato l’unica persona su cui avrebbe potuto contare. La conclusione più ovvia è che Trump è carne morta».Negli Usa, «continua a guadagnare credibilità la tesi di Chris Hedges secondo la quale la rivoluzione è l’unico modo con cui gli americani possono rivendicare il proprio paese». Trump è stato crocifisso alle parole pronunciate alla vigilia delle elezioni, quando disse: «L’establishment di Washington, e le grandi aziende finanziarie e dei media che lo finanziano, esiste per una sola ragione: per proteggersi ed arricchirsi». Questo, aggiunse, «è un crocevia della storia della nostra civiltà che determinerà se noi, il popolo, recupereremo il controllo sul nostro governo». L’establishment politico, il Deep State: «Sta tentando di tutto per fermarci», disse Trump. Ed è «lo stesso gruppo responsabile per i nostri trattati commerciali disastrosi, la massiccia immigrazione illegale e le politiche estere che hanno fatto sanguinare questo paese fino a prosciugarlo». La classe politica «ha portato alla distruzione delle nostre fabbriche e dei nostri posti di lavoro, che fuggono in Messico, Cina e altri paesi in tutto il mondo». Un nemico potentissimo: «Si tratta di una struttura di potere globale che è responsabile per le decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, spogliato il nostro paese della sua ricchezza e messo quei soldi nelle tasche di un pugno di grandi aziende ed entità politiche». Parole a cui oggi lo Stato Profondo sta inchiodando Trump, a colpi di finti scandali mediatici, verso l’impeachment.
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Craig Roberts: golpe in vista, Trump è già un uomo morto
Scritto il 01/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.Il “New York Times” riporta che «le agenzie di intelligence americane hanno cercato di capire se la campagna elettorale Trump era collusa con i russi sulla pirateria informatica o con altri sforzi per influenzare le elezioni». E’ l’offensiva del “Deep State”, che si sta riprendendo il potere. Trump in carcere? «E’ possibile che accadrà proprio questo», scrive Craig Roberts, in un post su “Sputnik News” tradotto da Costantino Ceoldo per “Come Don Chisciotte”. Il prestigioso analista americano, già “editor” del “Wall Street Journal”, ricorda che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il complesso militare e di sicurezza decise che «il flusso di profitti e potere derivante dalla guerra e dai pericoli di una guerra era troppo grande per essere ceduto», consegnato alla tranquillità di in un’era di pace. «Questo complesso ha manipolato un debole e inesperto presidente Truman in una gratuita guerra fredda con l’Unione Sovietica», basata sul nulla: «Fu creata la menzogna, accettata dal popolo americano credulone, che il comunismo internazionale voleva conquistare il mondo». Assurdo: Stalin aveva liquidato Trotskij e tutti gli alfieri della “rivoluzione permanente”, estesa a tutto il mondo, puntando invece sul “socialismo in un solo paese”.Ma l’establishment americano «ha abbozzato e contribuito all’inganno», gonfiando il super-potere dell’apparato militare-industriale fino a preoccupare Dwitght Eisenhower, che nel 1961 – nel suo ultimo discorso – mise in guardia il popolo contro la vocazione eversiva del business della guerra: «Tre milioni e mezzo di uomini e donne sono direttamente impegnati nell’apparato della difesa», disse. «Ogni anno spendiamo per la sicurezza militare più del reddito netto di tutte le società degli Stati Uniti. Questa congiunzione di un apparato militare immenso e di una grande industria degli armamenti è nuova, nell’esperienza americana. L’influenza totale – economica, politica, anche spirituale – si fa sentire in ogni città, ogni Parlamento, ogni ufficio del governo federale». Una necessità geopolitica con «gravi implicazioni», per Eisenhower: «Dobbiamo guardarci dall’acquisizione di una influenza ingiustificata, visibile o invisibile, da parte del complesso militar-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di un potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici».E ancora: «Non dovremmo mai dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza vigile e competente può costringere il corretto ingranamento del grande apparato industriale e militare di difesa con i nostri metodi e gli obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme». Gli avvisi di Eisenhower, osserva Craig Roberts, erano centrati. «Tuttavia, erano basati su “una cittadinanza vigile e competente”, che gli Stati Uniti non hanno. La popolazione americana è in gran parte stupida e si sta dirigendo, in tutto lo spettro ideologico da sinistra a destra, all’autodistruzione». I media, stampa e televisione, che «servono da propagandisti per il potere del complesso militar-industriale e le élite di Wall Street», ormai «si accertano che gli americani non abbiano nulla se non informazioni false ed orchestrate: ogni famiglia e persona che accende la Tv o si legge un giornale è programmata per vivere in una realtà falsa ed orchestrata che serve quei pochi che comprendono l’apparato di governo». L’altro problema? «Trump ha sfidato questo apparato, senza rendersi conto che è più potente di un semplice presidente degli Stati Uniti».Durante il secondo mandato di Obama, la Russia e il suo presidente «sono stati demonizzati dal complesso militar-industriale e dai neoconservatori utilizzando i media “presstitute”», scrice Craig Roberts. «La demonizzazione ha facilitato la capacità dei media “presstitute” controllati, come il “New York Times”, il “Washington Post”, Cnn, Msnbc ed il resto, di associare il contatto con la Russia e gli articoli che mettevano in discussione le tensioni orchestrate tra Stati Uniti e Russia, con attività sospette, forse anche tradimento». Trump e i suoi consiglieri? «Erano troppo inesperti per rendersi conto che la conseguenza del licenziamento di Flynn è stata quella di validare questa associazione orchestrata della presidenza Trump con l’intelligence russa». E ora abbiamo «le puttane dei media e le puttane della politica» impegnate a porre la stessa domanda utilizzata per infangare il presidente Nixon e forzarne le dimissioni: “Che cosa sapeva il presidente e quando lo sapeva?”. Trump sapeva che il generale Flynn aveva parlato con l’ambasciatore russo settimane prima che Trump abbia detto che lo aveva fatto? Flynn ha fatto l’indicibile, parlare con un russo: perché Trump gli ha detto di farlo?I fornitori di false notizie, cioè i grandi media «bugiardi spregevoli», secondo Craig Roberts «stanno usando insinuazioni irresponsabili per intrappolare il presidente Trump in una rete di tradimento». Ecco il titolo del “New York Times”: «Gli assistenti della campagna di Trump hanno avuto contatti ripetuti con l’intelligence russa». Quello a cui stiamo assistendo, insiste l’analista, è una campagna da parte dello Stato Profondo, «che usa le sue puttane dei media per organizzare l’impeachment di Trump». In altre parole, «quelli al lavoro per ribaltare le elezioni presidenziali del 2016 sono così sicuri del loro successo che dichiarano pubblicamente la loro preferenza per un colpo di Stato sulla democrazia». Ad esempio, «il guerrafondaio neoconservatore sionista Bill Kristol ha espresso la sua preferenza per un colpo di Stato». Craig Roberts lo definisce «liberale progressista di sinistra, allineato con l’Uno Percento contro la “razzista, misogina, omofobica” classe operaia, i “deplorevoli” che hanno eletto Trump». In campo anche gli artisti, come «il musicista disinformato Moby», il quale «si è sentito in dovere di scrivere sciocchezze ignoranti su Facebook», per dire che «il dossier russo su Trump è reale», il presidente «è ricattato dal governo russo, non solo per essersi fatto pisciare addosso da prostitute russe, ma per cose molto più nefaste». In più, «l’amministrazione Trump è in collusione con il governo russo, e lo è stata fin dal primo giorno».Aggiunge Craig Roberts: «Ora che Trump è stato contaminato dalle “associazioni con lo spionaggio russo” i repubblicani idioti, secondo “Bloomberg”, si sono “uniti alle chiamate dei democratici per uno sguardo più approfondito sui contatti tra la squadra del presidente Trump e gli agenti dello spionaggio russo», cosa che «indica un crescente senso di pericolo politico all’interno del partito qualora emergessero nuovi rapporti su ampi contatti tra i due». Naturalmente – puntualizza Craig Roberts – non vi è alcuna prova di tali contatti: sono solo insinuazioni, su cui si basa la campagna per deporre Trump. Il licenziamento di Flynn, il generale “sacrificato” nel tentativo di placare le polemiche, ha solo peggiorato la situazione: viene presentato come un’ammissione di colpevolezza, mentre la Cia «continua a passare notizie false alle “presstitute”». Conclude Craig Roberts, amaramente: «Fin dall’inizio ho avvertito che Trump mancava dell’esperienza e delle conoscenze per scegliere un governo che gli stesse accanto e servisse la sua agenda. Trump ha ora licenziato l’unica persona su cui avrebbe potuto contare. La conclusione più ovvia è che Trump è carne morta».Negli Usa, «continua a guadagnare credibilità la tesi di Chris Hedges secondo la quale la rivoluzione è l’unico modo con cui gli americani possono rivendicare il proprio paese». Trump è stato crocifisso alle parole pronunciate alla vigilia delle elezioni, quando disse: «L’establishment di Washington, e le grandi aziende finanziarie e dei media che lo finanziano, esiste per una sola ragione: per proteggersi ed arricchirsi». Questo, aggiunse, «è un crocevia della storia della nostra civiltà che determinerà se noi, il popolo, recupereremo il controllo sul nostro governo». L’establishment politico, il Deep State: «Sta tentando di tutto per fermarci», disse Trump. Ed è «lo stesso gruppo responsabile per i nostri trattati commerciali disastrosi, la massiccia immigrazione illegale e le politiche estere che hanno fatto sanguinare questo paese fino a prosciugarlo». La classe politica «ha portato alla distruzione delle nostre fabbriche e dei nostri posti di lavoro, che fuggono in Messico, Cina e altri paesi in tutto il mondo». Un nemico potentissimo: «Si tratta di una struttura di potere globale che è responsabile per le decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, spogliato il nostro paese della sua ricchezza e messo quei soldi nelle tasche di un pugno di grandi aziende ed entità politiche». Parole a cui oggi lo Stato Profondo sta inchiodando Trump, a colpi di finti scandali mediatici, verso l’impeachment.
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Re: Dove va l'America?
LUI SI CHE SE NE INTENDE
Trump adesso sfida i giudici:
"Un nuovo bando ai migranti"
Il divieto sugli ingressi negli Usa in vigore il 16 marzo. Via l'Iraq dalla lista nera. I siriani trattati come tutti i rifugiati
di Sergio Rame
2 ore fa
187
Trump adesso sfida i giudici:
"Un nuovo bando ai migranti"
Il divieto sugli ingressi negli Usa in vigore il 16 marzo. Via l'Iraq dalla lista nera. I siriani trattati come tutti i rifugiati
di Sergio Rame
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Re: Dove va l'America?
..SE NE SONO ACCORTE ADESSO LE STRUMPTRUPPEN.
MEGLIO TARDI CHE MAI???
19 minuti fa
"La Cia ci spia con tv e telefoni
Francoforte base degli hacker"
Luca Romano
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Re: Dove va l'America?
UncleTom ha scritto:..SE NE SONO ACCORTE ADESSO LE STRUMPTRUPPEN.
MEGLIO TARDI CHE MAI???
19 minuti fa
"La Cia ci spia con tv e telefoni
Francoforte base degli hacker"
Luca Romano
Wikileaks, ecco come la Cia spiava (e spia) tutti noi
Wikileaks pubblica migliaia di file riservati sulla Cia: non solo telefoni e pc ma anche le tv hackerate per penetrare nei nostri segreti. Una delle centrali operative è a Francoforte. I rischi sulla proliferazioni delle cyber armi
Luca Romano - Mar, 07/03/2017 - 16:25
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Si torna a parlare di Wikileaks. O meglio, di quello che il portale web di Julian Assange ha scoperto sul gigantesco sistema di spionaggio messo in atto dagli americani.
Questa volta al centro del dibattito finiscono 8.761 file. Una mole enorme di dati su una speciale divisione della Cia, impegnata nello sviluppo di software e hardware per compiere operazioni di spionaggio. Sistemi, ovviamente top secret, in grado di violare ogni momento della vita di ciascuno di noi. Come scrive Repubblica, che ha avuto accesso a questi file in esclusiva, questo scandalo potrebbe aprire una nuova crisi in seno alla Central intelligence agency. Visto e considerato che questi file, pubblicati oggi, sarebbero solo "la punta dell'iceberg" del materiale scottante, che deve comunque ancora essere analizzato con attenzione dagli esperti informatici.
Wikileaks parla della "maggiore fuga di dati di intelligence della storia". Questo progetto va sotto il nome di 'Vault 7' e il primo gruppo di documenti pubblicato oggi, intitolato "Anno zero", mostra i sistemi di hacking della Cia, con software maligni e armi informatiche utilizzate dall'agenzia di spionaggio Usa. Da un primo esame dei documenti, che Wikileaks spiega di aver ottenuto da una persona che ha avuto accesso a questa rete quando la Cia ne ha perso il controllo, emergono anche alcuni riferimenti all'Italia. Ad esempio questo: la Cia si è interessata ad Hacking Team, l'azienda milanese di cybersecurity che nel 2015 subì un attacco hacker: "I dati pubblicati su internet - scrive la Cia - includono qualsiasi cosa uno possa immaginare che un'azienda abbia nelle proprie infrastrutture nell'interesse di apprendere da essi e di usare (questo) lavoro già esistente, si è deciso di analizzare alcune porzioni di dati pubblicati".
Tra i dati vi sarebbero anche quelli relativi ai tecnici della Cia, con tanto di nomi e cognomi (Wikileaks in questo caso si è guardata bene dal pubblicarli). Il team di Assange ha pubblicato online solo una porzione di questo enorme database, ed ha anche fatto sapere che, per il momento, non intende diffondere le cyber armi in possesso all'Agenzia. Questo fino a quando "non emergerà un consenso sulla natura tecnica e politica di questo programma e su come questi armamenti vanno analizzati, resi innocui e pubblicati" . Il motivo della scelta: "Ogni singola arma cibernetica che finisce in circolazione si può diffondere nel mondo nel giro di pochi secondi per finire usata da stati rivali, cyber mafie come anche hacker teenager".
Ma di che tipo di cyber armi stiamo parlando? Si tratterebbe di un vero e proprio arsenale di malware e decine di falle nei software che permetterebbero di spiare decine di prodotti, compresi iPhone di Apple, Android di Google, Windows di Microsoft e televisioni Samsung, che possono trasformarsi in microfoni nascosti. Per le proprie operazioni la Cia avrebbe utilizzato sia software commerciali che open source.
Tutti gli strumenti degli 007, a onor del vero, possono essere usati per vari scopi, compresa la lotta contro il terrorismo. Ma non si possono escludere altri utilizzi. WikiLeaks è convinta, inoltre, che la Cia si sia dotata di un gruppo autonomo che lavora sull'attività hacker senza dover dipendere dalla Nsa, l'agenzia finita al centro dello scandalo intercettazioni alcuni anni fa. I file di cui Wikileaks è venuta in possesso dimostrerebbero che in Europa la centrale operativa è il Centro ingegneristico di Cyber Intelligence Europe (Ccie), con sede a Francoforte (Germania), in una base militare Usa. Questo centro si occupa di diversi Paesi, dall'Europa (compresa l'Italia) al Nord Africa e al Medio Oriente. Vi sono anche precise regole da seguire da parte del personale che vi lavora, in particolari sull'uso degli hotel.
WikiLeaks mette in guardia dai pericoli che possono derivare da questi armamenti elettronici: "La diffusione incontrollata di questi strumenti, che scaturisce dalla difficoltà di arginarle e contemporaneamente dal loro grande valore di mercato, è paragonabile al commercio internazionale di armamenti".
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