Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
SE NEL MEZZO DELLA NOTTE PROFONDA, REGISTRIAMO:
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VUOL DIRE CHE E’ DI BUON AUSPICIO?????????????????????????????????????????????
LA SINISTRA PUO’ RIPARTIRE????????????????????????????????????????????????????
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
...O ALMENO DOVREBBE RIPARTIRE,.........VISTO CHE.......:
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
Scritto il 02/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto. Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo. Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato. Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante. Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro. I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.
I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica. In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato). Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale. L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile. Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.
Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo. I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi. La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale. Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato. Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.
Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici. Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra. Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento. Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro. La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale. Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.
(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
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La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto. Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo. Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato. Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante. Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro. I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.
I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica. In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato). Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale. L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile. Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.
Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo. I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi. La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale. Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato. Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.
Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici. Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra. Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento. Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro. La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale. Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.
(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
UncleTom ha scritto:SE NEL MEZZO DELLA NOTTE PROFONDA, REGISTRIAMO:
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e intanto a Padova
Da repubblica.it
Il prof di Padova che sfida Lega e dem: "Così dai cittadini riparte la sinistra"
Nella città del Santo il movimento di Arturo Lorenzoni, Coalizione civica, vanta 1700 iscritti contro i 700 del Pd. L'onda lunga di un fenomeno nuovo che va da Belluno a Verona
dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI
PADOVA - Massimo Bitonci vanta un album fotografico da sceriffo doc. Un'immagine immortala l'ex sindaco leghista di Padova, impallinato e ricandidato dal centrodestra unito alle amministrative di giugno, mentre punta il dito contro il campanello di una famiglia, colpevole di aver offerto ospitalità a un profugo. Un altro scatto ricorda il giorno in cui, sgomberati i chioschi del kebab, si è presentato con i cani nelle cucine per i poveri, aperte da suor Lia vicino alla stazione dei treni.
Arturo Lorenzoni incarna invece la faccia opposta del neo-trumpismo in salsa veneta. Il suo primo atto politico, dopo una vita accademica da docente di economia dell'energia, è stato sedersi a mangiare una minestra con i barboni e gli immigrati della "madre Teresa" padovana. Niente fotografi per il candidato di Coalizione civica, il movimento popolare che scuote il centrosinistra, puntando a trasformare il Veneto nel modello nazionale di un nuovo "riformismo partecipato", lontano dai partiti. E riflettori spenti anche sulla stretta di mano di ieri con Giuliano Pisapia, che a Milano lavora a un'aggregazione simile, capace di riunire progressisti, cattolici e ambientalisti che non si riconoscono né nel Pd di Renzi, né nel Mdp di Bersani. Profilo basso, ma relazioni larghe e numeri già imbarazzanti. Per incoraggiare Lorenzoni, nella città del Santo è arrivata Ada Colao, che spinta da una coalizione civica è clamorosamente riuscita a diventare prima cittadina di Barcellona.
Alle cifre non servono commenti. A Padova il nuovo centrosinistra di Coalizione civica conta 1700 tesserati: il Pd supera di poco i 700. Alle Comunarie i 5 Stelle di Grillo hanno messo in corsa Simone Borile con 108 web-preferenze, anche qui contestate dallo sconfitto. Le urne saranno l'ingresso di un altro pianeta, che annuncia il testa a testa tra Bitonci e Sergio Giordani, candidato di un Pd che si è rifiutato di fare le primarie.
Ma a due mesi dal voto il fenomeno delle coalizioni civiche di sinistra, che mobilitano associazioni, volontariato, giovani, start-up, operai e intellettuali, è già un terremoto politico. A Verona per fermare il "tosismo ereditario", che minaccia di candidare a sindaco la promessa sposa del primo cittadino cacciato da Salvini, con Michele Bertucco monta il medesimo fenomeno di base. A Belluno il sindaco progressista Jacopo Massaro, con il suo Pd all'opposizione, si ripresenta con il pool di liste civiche che hanno lanciato la città delle Alpi tra le capitali del benessere. A Venezia, Treviso e Vicenza non si vota, ma l'unica opposizione all'autoritarismo della destra e al populismo di Grillo sono già i comitati di cittadini di centrosinistra decisi ad arginare con la solidarietà la tentazione globale dell'"uomo solo al comando". "Esperienze come quelle della Coalizione civica di Padova e di altre realtà venete - dice il filosofo Umberto Curi - sono il primo e più coerente tentativo di uscire dalla crisi di sistema e dal fallimento dei tentativi fatti per reagire ad essa".
L'idea, nell'Italia post-referendum, è "rifondare la democrazia inclusiva che Pd e Mdp non riescono a intercettare", consegnando il Paese all'asse culturale Salvini-Grillo. La novità è che a muoversi non sono gli apparati delusi, ma gruppi trasversali sempre più, esordienti della politica uniti dalla voglia di "partecipare alla pari e in modo trasparente alle decisioni" di quartieri, paesi e città. "L'orizzonte è l'Europa - dice Arturo Lorenzoni - ma oggi noi pensiamo solo a Padova, che merita una svolta e di uscire dalla vergogna". La tentazione è ridimensionare il caso-Padova all'antico dibattito sulla polverizzazione della sinistra nel Nordest. Da una parte la destra unita, al centro i 5 Stelle decisivi nei ballottaggi, dall'altra la sinistra implosa che si auto-condanna a un'opposizione marginale. "Il punto invece - dice il politologo Paolo Feltrin - è che il Veneto sintetizza la crisi istituzionale del Paese. Sono saltate le banche, le aziende, le parrocchie e i partiti. I riferimenti tradizionali del potere sono scomparsi. È chiaro che i cittadini si uniscono per ricostruire una società in cui sentono di contare. Il doppio turno elettorale garantisce i partiti storici: ma il percorso è al capolinea, se non lo diranno i ballottaggi di giugno lo sanciranno le politiche". A Padova si semplifica così: "Basta con i lobbisti locali dei mandarini nazionali".
Massimo Bitonci, mal sopportato dal governatore leghista Luca Zaia, è figlio del patto Ghedini-Salvini. Sergio Giordani, presidente dell'Interporto e imposto da Renzi, vanta l'appoggio dell'ex sindaca berlusconiana Giustina Destro, dei consiglieri cacciati da Forza Italia e di esponenti di An, ma pure del sindaco "rosso" ed europarlamentare Flavio Zanonato. "Le coalizioni civiche - dice Piero Ruzzante, leader ulivista veneto uscito dal Pd - sono la risposta ai partiti da salotto che vendono l'anima per un pugno di voti che poi non prendono. Il Veneto ancora una volta può essere un laboratorio. La prima missione resta fermare il populismo alimentato dalla paura: ma l'impresa epocale è riconsegnare il riformismo alla gente, offrendo alla democrazia un'alternativa ai partiti spiazzati dalla rapidità iniqua del capitalismo hi-tech". Il professore
Lorenzoni e la sua Coalizione civica ieri sera hanno cominciato da una cena-bio a base di erbette, offerta da una volontaria per raccogliere fondi. Lo slogan c'è: "Padova merita", pronto a diventare "l'Italia merita". Mancano solo i soldi per stampare i manifesti.
" Possibile" di Padova - Comitato Elena Cornaro ha condiviso il post di Arturo Lorenzoni sindaco per Padova
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Fausto Corvino
POLITICA
Un partito a sinistra del Pd, a cosa serve? Prendiamo spunto dal Portogallo
La sinistra italiana è ormai un universo autosufficiente. Un aggregato di forze politiche in cui c’è un po’ di tutto, al punto che se d’improvviso tutti gli altri partiti scomparissero per magia, ci sarebbero ancora abbastanza proposte politiche per coprire tutto l’arco parlamentare senza cadere in particolari contraddizioni. In questo senso la sinistra italiana è diventata una riproposizione in miniatura di un classico panorama politico nazionale.
C’è un partito di centro-destra, il Pd, che sostanzialmente propone come antidoto alla disoccupazione e alla stagnazione economica la flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro. C’è un partito di centro-sinistra, diviso in due tra gli scissionisti dell’Mdp e Sinistra Italiana, che ritiene che non si possa uscire dalla crisi se non attraverso un forte intervento pubblico a suon di investimenti. C’è un partito di centro, il Campo Progressista di Pisapia, dalle posizioni piuttosto indefinite, educato, composto, istituzionale, apparentemente disinteressato alle questioni di politica economica, e quindi perfetto per soddisfare le aspirazioni radical-chic metropolitane. E per finire, andando oltre le forze rappresentate in Parlamento, ci sono tanti piccoli partiti radicali legati a un linguaggio ed a un’iconografia da fare accapponare la pelle alla sinistra che è al governo.
Secondo molti commentatori la recente scissione del Pd sarebbe incomprensibile e frutto soltanto di rivalità personali. Io sono in completo disaccordo, perché è difficile pensare a una scissione con più giustificazioni teoriche di questa. Ciò non esclude che le giustificazioni programmatiche siano state usate da singoli attori come pretesto per dare sfogo a risentimenti personali, o per risolvere problemi legati alla composizione delle liste, e neppure che la ricaduta brusca in un orizzonte proporzionale abbia dato la luce verde agli scissionisti. Ma da un punto di vista formale non sembra esserci nulla di contraddittorio. Il Pd renziano e quello dei fuoriusciti sono in disaccordo praticamente su tutto. Il lavoro, la scuola, la pubblica amministrazione, le riforme costituzionali, la separazione di ruoli tra segretario del partito e capo del governo. Volendo porre la questione in termini più simbolici, davvero non si capisce come un gruppo politico che presenta il suo programma sulle note di “bandiera rossa” possa supportare il governo di un Premier che dopo la sconfitta al referendum va in visita alla Silicon Valley per cercare nuova ispirazione e capire come arginare i populismi europei.
Detto ciò però, resta da chiedersi seriamente, secondo me, a cosa serva esattamente la sinistra della sinistra, e che ruolo possa avere oggi in Italia. Negli ultimi mesi una risposta sembra essere arrivata dal Portogallo, dove una coalizione della sinistra più moderata e di quella più radicale ha inaspettatamente preso le redini del governo e in meno di due anni ha ridotto deficit, debito pubblico e disoccupazione, riportando il Paese a crescere. Tutto ciò è avvenuto perché i socialisti del Premier António Costa da una parte e i deputati del Bloco de esquerda e del Partito comunista Portoghese dall’altro si sono incontrati a metà strada. I primi hanno accettato di mettere in atto un piano keynesiano di rilancio dell’economia, aumentando i salari minimi, le pensioni, riducendo le ore di lavoro, investendo nuovi fondi nel settore pubblico, in particolare nella sanità e nell’istruzione. I secondi, di tradizione anticapitalista e antiimperialista, sono scesi a compromesso, e in cambio di questo programma anti-austerity, hanno lasciato in uno stato di latenza le loro pretese più radicali, come ad esempio l’uscita dall’euro o dalla Nato. I risultati sono stati folgoranti, se consideriamo che il Portogallo ha un debito pubblico enorme (poco meno di 250 miliardi di euro), che mai il deficit è stato così basso (2,1 percento del Pil) da quando è tornata la democrazia nel 1974, e che la disoccupazione è calata per la prima volta da 8 anni a questa parte.
Non c’è quindi da sorprendersi del fatto che Lisbona sia diventata meta di pellegrinaggio per i socialdemocratici europei che cercano un modo per arginare il loro lento crollo e allo stesso tempo costruire una risposta credibile alla destra populista ora in ascesa e più in generale a tutti i movimenti centrifughi che agitano l’Unione Europea. In questa ottica il ruolo dei piccoli partiti non è certo marginale. Ma è possibile riproporre lo schema portoghese in un sistema come quello italiano in cui l’unica sponda disponibile per i piccoli partiti di sinistra è un partito di centro-destra come il Pd? Il rischio, chiaramente, con l’attuale legge elettorale è che gli scissionisti e Sinistra Italiana vadano da soli per raccogliere i voti di chi si sente lontano dal nuovo Pd per poi portarli in dono allo stesso Pd in un’alleanza post elettorale.
E in effetti la nota e dichiarata contrarietà del Movimento 5 Stelle ad ogni forma di alleanza, il rischio dell’ingovernabilità, e il fatto che ci troviamo ormai in una situazione tripolare fornirebbero la giustificazione per i più arditi e disparati tentativi di alleanza. In un’eventuale coalizione post-elettorale di tutte le forze che si dichiarano di sinistra è obiettivamente molto difficile che si raggiunga un compromesso progressista come quello portoghese, soprattutto se consideriamo le posizioni politiche da cui partirebbe il principale azionista di questa eventuale coalizione, il Pd renziano. Gioverebbe forse a tutti gli attori minori dell’arcipelago che galleggia alla sinistra del Pd un chiarimento pre-elettorale sui limiti che si daranno a urne chiuse nel redigere programmi di governo di eventuali alleanze. Ciò renderebbe sicuramente più credibile la loro proposta elettorale, perché confuterebbe, o confermerebbe, il rischio che i voti di chi a sinistra vota contro Renzi tornino ripuliti e impacchettati allo stesso ex Premier.
POLITICA
Un partito a sinistra del Pd, a cosa serve? Prendiamo spunto dal Portogallo
La sinistra italiana è ormai un universo autosufficiente. Un aggregato di forze politiche in cui c’è un po’ di tutto, al punto che se d’improvviso tutti gli altri partiti scomparissero per magia, ci sarebbero ancora abbastanza proposte politiche per coprire tutto l’arco parlamentare senza cadere in particolari contraddizioni. In questo senso la sinistra italiana è diventata una riproposizione in miniatura di un classico panorama politico nazionale.
C’è un partito di centro-destra, il Pd, che sostanzialmente propone come antidoto alla disoccupazione e alla stagnazione economica la flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro. C’è un partito di centro-sinistra, diviso in due tra gli scissionisti dell’Mdp e Sinistra Italiana, che ritiene che non si possa uscire dalla crisi se non attraverso un forte intervento pubblico a suon di investimenti. C’è un partito di centro, il Campo Progressista di Pisapia, dalle posizioni piuttosto indefinite, educato, composto, istituzionale, apparentemente disinteressato alle questioni di politica economica, e quindi perfetto per soddisfare le aspirazioni radical-chic metropolitane. E per finire, andando oltre le forze rappresentate in Parlamento, ci sono tanti piccoli partiti radicali legati a un linguaggio ed a un’iconografia da fare accapponare la pelle alla sinistra che è al governo.
Secondo molti commentatori la recente scissione del Pd sarebbe incomprensibile e frutto soltanto di rivalità personali. Io sono in completo disaccordo, perché è difficile pensare a una scissione con più giustificazioni teoriche di questa. Ciò non esclude che le giustificazioni programmatiche siano state usate da singoli attori come pretesto per dare sfogo a risentimenti personali, o per risolvere problemi legati alla composizione delle liste, e neppure che la ricaduta brusca in un orizzonte proporzionale abbia dato la luce verde agli scissionisti. Ma da un punto di vista formale non sembra esserci nulla di contraddittorio. Il Pd renziano e quello dei fuoriusciti sono in disaccordo praticamente su tutto. Il lavoro, la scuola, la pubblica amministrazione, le riforme costituzionali, la separazione di ruoli tra segretario del partito e capo del governo. Volendo porre la questione in termini più simbolici, davvero non si capisce come un gruppo politico che presenta il suo programma sulle note di “bandiera rossa” possa supportare il governo di un Premier che dopo la sconfitta al referendum va in visita alla Silicon Valley per cercare nuova ispirazione e capire come arginare i populismi europei.
Detto ciò però, resta da chiedersi seriamente, secondo me, a cosa serva esattamente la sinistra della sinistra, e che ruolo possa avere oggi in Italia. Negli ultimi mesi una risposta sembra essere arrivata dal Portogallo, dove una coalizione della sinistra più moderata e di quella più radicale ha inaspettatamente preso le redini del governo e in meno di due anni ha ridotto deficit, debito pubblico e disoccupazione, riportando il Paese a crescere. Tutto ciò è avvenuto perché i socialisti del Premier António Costa da una parte e i deputati del Bloco de esquerda e del Partito comunista Portoghese dall’altro si sono incontrati a metà strada. I primi hanno accettato di mettere in atto un piano keynesiano di rilancio dell’economia, aumentando i salari minimi, le pensioni, riducendo le ore di lavoro, investendo nuovi fondi nel settore pubblico, in particolare nella sanità e nell’istruzione. I secondi, di tradizione anticapitalista e antiimperialista, sono scesi a compromesso, e in cambio di questo programma anti-austerity, hanno lasciato in uno stato di latenza le loro pretese più radicali, come ad esempio l’uscita dall’euro o dalla Nato. I risultati sono stati folgoranti, se consideriamo che il Portogallo ha un debito pubblico enorme (poco meno di 250 miliardi di euro), che mai il deficit è stato così basso (2,1 percento del Pil) da quando è tornata la democrazia nel 1974, e che la disoccupazione è calata per la prima volta da 8 anni a questa parte.
Non c’è quindi da sorprendersi del fatto che Lisbona sia diventata meta di pellegrinaggio per i socialdemocratici europei che cercano un modo per arginare il loro lento crollo e allo stesso tempo costruire una risposta credibile alla destra populista ora in ascesa e più in generale a tutti i movimenti centrifughi che agitano l’Unione Europea. In questa ottica il ruolo dei piccoli partiti non è certo marginale. Ma è possibile riproporre lo schema portoghese in un sistema come quello italiano in cui l’unica sponda disponibile per i piccoli partiti di sinistra è un partito di centro-destra come il Pd? Il rischio, chiaramente, con l’attuale legge elettorale è che gli scissionisti e Sinistra Italiana vadano da soli per raccogliere i voti di chi si sente lontano dal nuovo Pd per poi portarli in dono allo stesso Pd in un’alleanza post elettorale.
E in effetti la nota e dichiarata contrarietà del Movimento 5 Stelle ad ogni forma di alleanza, il rischio dell’ingovernabilità, e il fatto che ci troviamo ormai in una situazione tripolare fornirebbero la giustificazione per i più arditi e disparati tentativi di alleanza. In un’eventuale coalizione post-elettorale di tutte le forze che si dichiarano di sinistra è obiettivamente molto difficile che si raggiunga un compromesso progressista come quello portoghese, soprattutto se consideriamo le posizioni politiche da cui partirebbe il principale azionista di questa eventuale coalizione, il Pd renziano. Gioverebbe forse a tutti gli attori minori dell’arcipelago che galleggia alla sinistra del Pd un chiarimento pre-elettorale sui limiti che si daranno a urne chiuse nel redigere programmi di governo di eventuali alleanze. Ciò renderebbe sicuramente più credibile la loro proposta elettorale, perché confuterebbe, o confermerebbe, il rischio che i voti di chi a sinistra vota contro Renzi tornino ripuliti e impacchettati allo stesso ex Premier.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
VIAGGIO SUL PIANETA TERRA
Nel paese dove un tempo c’era anche la sinistra. Quella sinistra che si era meritata il credito durante la Resistenza contro il fascismo. Poi…..
Scrive Piercamillo Davigo, a pagina 11 del suo libro:
IL SISTEMA DELLA CORRUZIONE
Capitolo II
Perché fu abbattuto un sistema politico
Nel 1992, con il crollo delle ideologie, era anche entrata in crisi la tradizionale forma partito come strumento di aggregazione del consenso e soggetto destinatario dell’assoluta fedeltà degli iscritti.
Ricordo che in una trasmissione televisiva, poco dopo l’arresto di un importante esponente locale del Pds, un inscritto a quel partito commentò il fatto dicendo che da trent’anni andava alle feste dell’Unità come volontario a cuocere le salamelle e che ora veniva a sapere che, mentre lui girava le salamelle sulla griglia i suoi capi rubavano, e concludeva affermando che dovevano finire in galera.
Nota personale.
Quanti sono in Italia che si sono trovati nelle stesse condizioni???
Nel paese dove un tempo c’era anche la sinistra. Quella sinistra che si era meritata il credito durante la Resistenza contro il fascismo. Poi…..
Scrive Piercamillo Davigo, a pagina 11 del suo libro:
IL SISTEMA DELLA CORRUZIONE
Capitolo II
Perché fu abbattuto un sistema politico
Nel 1992, con il crollo delle ideologie, era anche entrata in crisi la tradizionale forma partito come strumento di aggregazione del consenso e soggetto destinatario dell’assoluta fedeltà degli iscritti.
Ricordo che in una trasmissione televisiva, poco dopo l’arresto di un importante esponente locale del Pds, un inscritto a quel partito commentò il fatto dicendo che da trent’anni andava alle feste dell’Unità come volontario a cuocere le salamelle e che ora veniva a sapere che, mentre lui girava le salamelle sulla griglia i suoi capi rubavano, e concludeva affermando che dovevano finire in galera.
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Quanti sono in Italia che si sono trovati nelle stesse condizioni???
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Sicuramente non era un partito completamente al di fuori delle ruberie; ma da qui a pensare che fosse come gli altri, allora uno non deve fidarsi di nessuno solo perché abita in Italia?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Pd, Ricolfi: “Il rapporto tra sinistra e popolo non esistepiù. Renzi? Populismo dall’alto”
di Alessandro Sarcinelli | 23 aprile 2017
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Più informazioni su: Matteo Renzi, PD, Populismo
“Matteo Renzi ha trasformato il Pd in un partito di populismo dall’alto”. Questo il pensiero del sociologo Luca Ricolfi che alla fiera “Tempo di Libri” di Milano ha presentato il suo ultimo saggio “Sinistra e popolo” (Longanesi). “Tutta la polemica antitedesca di Renzi – continua – è di stampo populista, così come la polemica contro le auto blu e gli stipendi d’oro”. Ma Ricolfi accusa di populismo anche gli altri principali partiti dal Movimento 5 Stelle, alla Lega e Forza Italia. Con una piccola eccezione: “Non sono populisti quei partitucoli che nessuno conosce dell’area di centro: Casini, Alfano e le ceneri di Monti”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... o/3537776/
di Alessandro Sarcinelli | 23 aprile 2017
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“Matteo Renzi ha trasformato il Pd in un partito di populismo dall’alto”. Questo il pensiero del sociologo Luca Ricolfi che alla fiera “Tempo di Libri” di Milano ha presentato il suo ultimo saggio “Sinistra e popolo” (Longanesi). “Tutta la polemica antitedesca di Renzi – continua – è di stampo populista, così come la polemica contro le auto blu e gli stipendi d’oro”. Ma Ricolfi accusa di populismo anche gli altri principali partiti dal Movimento 5 Stelle, alla Lega e Forza Italia. Con una piccola eccezione: “Non sono populisti quei partitucoli che nessuno conosce dell’area di centro: Casini, Alfano e le ceneri di Monti”.
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