La crisi dell'Europa

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…….SEMPRE LORO, I SUPERMASSONI.........

PEGGIO DELLO SCIAME DI COMETE CHE COLPI’ LA TERRA 11.000 ANNI FA DEVASTANDOLA.



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Attali, supermassone oligarchico: Macron, una mia creatura

Scritto il 24/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela.

E sottolinea: «Sono molto felice.

Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa».

Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue.

Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa».

Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista».

Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?».

A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller.

Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali, che in quelle pagine si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea.

Lo stesso Attali, nel 2016, è arrivato a invocare, per l’Europa, un’inversione di rotta in senso keynesiano e roosveltiano: stop al rigore, fine dell’austerity.

E adesso annuncia che, se arrivasse all’Eliseo, il suo pulillo Macron (già finanziere dei Rothschild) sarebbe «un grande presidente».

Se Emmanuel Macron si è affacciato alla politica ed è diventato prima consigliere dell’Eliseo, poi ministro e adesso probabile presidente della Repubblica, lo deve a Jacques Attali, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere della Sera”: «Economista, saggista e romanziere, Attali fu uno degli uomini più vicini a François Mitterrand e ha sempre coltivato un gusto bipartisan che nel 2008 lo portò a collaborare anche con l’allora presidente Nicolas Sarkozy».

Per redigere il rapporto “Liberare la crescita”, continua il “Corriere”, Attali «si avvalse dell’aiuto di un giovane, brillante e sconosciuto prodotto dell’Ena, la scuola dell’élite francese: Emmanuel Macron».

E ora, a pochi minuti dall’annuncio dei risultati, il 73enne Attali parla con un certo orgoglio del suo “enfant prodige”.

«L’unico pericolo, adesso – dice Attali – è pensare che sia già finita», mentre la partita del ballottaggio «bisognerà giocarla con intelligenza e attenzione alle ragioni dell’altra Francia, quella che esiste e che ha votato per Le Pen».

Attali si dichiara «molto colpito dal fatto che abbiano tutti, tranne Mélenchon, fatto dichiarazione di voto per Macron contro Marine Le Pen».

E’ la riedizione di una sorta di «fronte repubblicano contro l’estrema destra».

Un’alleanza che potrebbe aiutare Macron, qualora eletto il 7 maggio, a trovare una maggioranza in Parlamento, «visto l’allineamento di tanti leader degli altri partiti, da Fillon a destra a Hamon a sinistra».

Secondo Attali, «gli elettori di Marine Le Pen sperano nel ritorno a un’epoca che non esiste più, e che non potrà mai più tornare».

E’ il globalista, che parla: «Il mondo interconnesso è una realtà irreversibile».

Ma, aggiunge l’ex quasi-socialista Attali: «Macron può contribuire a governarlo e non subirlo».

Le maggiori qualità di Macron?

«Molto competente, serio, intelligente, aperto, capace di ascoltare gli altri e quindi in grado di prendere il meglio da chiunque, che sia di destra o di sinistra».

Il rilancio della Francia?

«La scuola, in particolare quella materna, e poi le misure per formare e rimettere nel mondo del lavoro i troppi disoccupati che ancora ci sono».

Il suo sussidio per i disoccupati «non è assistenzialismo, è formazione seria per renderli in grado di trovare un posto».

Centrale, per l’ultra-europeista Attali, «l’idea di puntare sull’Europa a partire dalla difesa comune, che è un progetto ormai pronto a essere varato», nonostante quello che definisce «il disastro rappresentato dalla Brexit», nonostante tutti gli indicatori economici raccontino che il Regno Unito stia letteralmente “volando”, dopo essersi sganciato dall’Ue, sia in termini finanziari che sul piano della crescita dei posti di lavoro.

Ma Attali punta ancora e sempre sulla sua creatura, l’Unione Europea, che di fatto ha messo in crisi tutti i paesi che ne fanno parte, tranne la Germania. «Distruggere il polo di potere rappresentato dall’Unione Europea», dice, «andrebbe a vantaggio delle altre sfere di influenza, e per ogni singolo paese europeo sarebbe una catastrofe».

Nel frattempo, in attesa del verdetto finale degli elettori, Attali si gode la “pole position” di Macron al primo turno: dopo quello studio economico realizzato insieme, racconta, «sono stato io a presentarlo a François Hollande nel 2010, e quando Hollande è diventato presidente lo ha chiamato come consigliere». Gongola, l’anziano Attali: «Devo riconoscere che provo un certo orgoglio nell’avere capito per primo che Emmanuel era un ragazzo di grandi qualità».

Il “coming out” di Attali nei confronti di Macron, uomo dei Rothschild, finisce per sottolineare, ancora una volta, il ruolo probabilmente decisivo, nel “back-office” del potere, svolto dalle 36 Ur-Lodges (logge madri, internazionali e apolidi) di cui parla Magaldi, che ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali) insieme all’attuale ministro dell’economia Pier Carlo Padoan.

Della “Three Eyes” farebbero parte anche Mario Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi.

Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Edmund Burke” (Domenico Siniscalco, Ignazio Visco), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia”).

In Francia, sempre secondo Magaldi, il presidente uscente François Hollande milita in due circuiti supermassonici “progressisti”, la Ur-Lodge “Ferdinand Lassalle” e la “Fraternité Verte”, che però avrebbe deluso, “tradendo” il mandato iniziale (porre fine all’austerity) a causa di minacce e blandizie.

Ora è in campo Macron, che è “en marche” insieme ai Rothschild e alla “Three Eyes” del suo mentore Attali.
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Politica

Elezioni Francia: per favore, Macron non è il Renzi francese

di Pierfranco Pellizzetti | 24 aprile 2017

Stando ai primi dati, in testa alle Presidenziali francesi si piazza l’insipido e sfuggente Emmanuel Macron, con i suoi discorsetti passe-partout scritti dal ghostwriter di turno e il sospetto di essere telecomandato da qualche spin-doctor. Il presunto “nuovo che avanza” come investimento di una cifretta a molti zeri nella consulenza d’immagine. A conferma che l’attuale stagione di politica post democratica ruota in larga misura attorno ai capitali che si è disposti a investire.
Probabilmente, tra due settimane sarà costui il prossimo inquilino dell’Eliseo, stando al fatto che la sua contendente Marine Le Pen sembra piuttosto zavorrata: dai lasciti paterni (sia pure rifiutati), per cui poco convince l’appello unitario nel nome del generale De Gaulle (che l’imbarazzante genitore Jean-Marie, limitrofo all’OAS, avrebbe voluto vedere morto), come dalle spese pazze con la paghetta europea, che ne accreditano l’appartenenza alla Casta politicante che pretenderebbe di osteggiare.

Da qui una domanda marginale: quali rimbalzi della vicenda transalpina sono ipotizzabili dalle nostre parti? Se la Le Pen ai ballottaggi non supererà quel 30% di voti accreditati dalle proiezioni, risulterà evidente che la xenofobia eurofobica non oltrepassa la soglia di una pur consistente minoranza. La qual cosa dovrebbe ridimensionare le aspettative di Matteo Salvini quale ipotetico perno di aggregazione dell’intera destra italiana, rilanciando le pretese egemoniche dell’ormai incartapecorito eppure sempre pervicace “rieccolo” Silvio Berlusconi.
Altrettanto male suonerebbe la vittoria di Macron per le velleità di Matteo Renzi, che pure ne condivide il look dei pantaloni a tubo di stufa e un accenno di basetta; oltre all’aspirazione di canalizzare simpatie e consensi dell’establishment. Ma il giovanotto di Amiens si è abilmente liberato dall’impiccio della forma-partito tradizionale, l’antico boy scout dell’Arno nei meandri della politica politicante ci si è impelagato fino al collo. E del resto tra il 39enne francese e il 42enne nostrano corre la differenza dell’essere stato l’uno il manager di fiducia dei banchieri Rothschild e l’altro dell’avere il babbo finanziato dalla Cassa di Risparmio di Firenze. Sicché il nostro ex (e aspirante futuro) premier può fare quello che vuole, ma non riesce mai a liberarsi dall’aura di Strapaese che lo avvolge in permanenza.
Semmai l’italico corrispondente di Macron sarebbe piuttosto Enrico Letta, attualmente parcheggiato a Parigi in riserva della Repubblica.
Comunque un campionario desolante, a riprova che questo gioco politico liofilizzato, con un personale fermamente determinato a dare conferma del superamento di ogni distinzione tra destra e sinistra in quanto cooptato nella corporazione trasversale del potere, ormai può mettere in campo solo pallidi fantasmi e sconfortanti caricature. Personaggi interessati soltanto a intercettare consensi con stereotipi che vellicano il ventre molle di una pubblica opinione raccogliticcia e umorale. Incanaglita.
Questo per dire che nulla di realmente risolvente può arrivare alla politica in crisi da questi ambienti e questi personaggi. Si tratti di Renzi o Salvini, Letta o pure Di Maio, con le sue ignobili battute a effetto sui taxi di morte carichi di immigrati.
Probabilmente occorrerà spostare l’attenzione altrove, magari all’ipotesi di rifondare la democrazia e riqualificare la vita pubblica a partire dalle città. Come propone la sindaco di Barcellona Ada Colau, indicendo dal 9 all’11 giugno un incontro nella sua città, con la partecipazione degli aderenti al movimento Fearless Cities, città senza paura. I promotori di un nuovo municipalismo collegato in rete, in cui la partecipazione e il controllo civici sono assicurati dalla vicinanza ai problemi.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... e/3540246/
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L’oligarca Rothschild o la Le Pen? Vinceranno paura e odio

Scritto il 24/4/17 • nella Categoria: idee Condividi




Il risultato del primo turno delle presidenziali francesi regala al candidato di plastica Emmanuel Macron, l’uomo dei Rothschild, le apparenti maggiori possibilità di vittoria per il secondo appuntamento alle urne, quello del 7 maggio, quando dovrà vedersela con Marine Le Pen. I quattro candidati più votati (Macron, Le Pen, Fillon, Mélenchon) si sono spartiti l’80 per cento dei voti, collocandosi ciascuno poco sopra o poco sotto il 20 per cento. Con un dato di partenza così basso, il meccanismo del ballottaggio non potrà mai a giocarsi sul consenso per sé, ma sul dissenso verso l’altro candidato. Non vincerà il più amato e apprezzato, perderà il più odiato e temuto. Entrambi i candidati sono in grado di attirare su di sé le principali forme di dissenso già sperimentate in questi anni nel discorso pubblico dei paesi occidentali. Ognuna di queste forme ha i suoi intellettuali organici, i suoi media di riferimento, i suoi argomenti dominanti. Prendiamo Emmanuel Macron. È un prodotto sfornato direttamente dalle officine dell’élite atlantista come un avatar telegenico che deve dare un volto elettoralmente fungibile agli interessi della grande finanza, di cui è espressione immediata.

Una volta consumato oltre ogni dire l’impresentabile presidente Hollande, l’élite filo-Nato e filo-Ue ha equipaggiato in fretta e furia il giovane Emmanuel con tutto il corredo retorico del “nuovo” e del “dinamico” (il suo partito istantaneo si chiama “En Marche!”, ossia “In Cammino!”), senza poterlo tuttavia riparare completamente dalla verità che lo riguarda né dalla repulsione di chi conosce questa verità: Macron è l’ennesimo fantoccio neoliberista, un continuatore delle politiche neocolonialiste che hanno fatto della Francia uno dei maggiori perturbatori della pace negli ultimi anni, un distruttore dei diritti del lavoro. Ha dalla sua parte le grandi Tv e i grandi giornali dell’oligarchia francese, che sono organici al suo mondo di provenienza, ma questo elemento di forza – pur potentissimo – sconta il fatto che la corrente principale dei media è sempre più invisa a decine di milioni di persone, che si informano su altri canali e hanno altri intellettuali di riferimento.

Dal canto suo, Marine Le Pen non è certo una candidata artificiale e il suo Front National non è un partito finto, bensì una forza popolare radicata da decenni, durante i quali ha assunto un profilo staccato dalle caratteristiche fasciste impresse dal suo fondatore, e padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, ormai espulso dal partito. Ma le dinamiche elettorali hanno inerzie e resistenze molto lunghe, che riguardano l’identità e la psicologia di grandi masse di elettori. Saranno in tanti a continuare a votare in base a pregiudiziali destra-sinistra: la lunga storia xenofoba del partito a guida Le Pen farà turare ancora milioni di nasi, cui non basterà il suo profilo sociale, il suo radicamento nei quartieri operai, i suoi progetti di ripresa della sovranità rispetto alle tecnocrazie europoidi, perché temeranno le sue ricette più dure in tema di immigrazione e di sicurezza pubblica. Marine Le Pen ha una certa presa popolare attraverso i media fuori dal mainstream, ma non le sarà risparmiata alcuna forma di manipolazione e “spin” mediatico da parte di un sistema disposto a vendere cara la pelle, con uno schieramento impressionante di politici già in lotta per far vincere Macron.

La cosa può anche non funzionare. Gli esempi recenti non mancano. Di fronte al Brexit e all’ascesa di Donald Trump la linea di difesa aggressivissima del “kombinat” politico-mediatico non ha retto nelle urne, dove i risultati sono stati quelli opposti al suo volere. Tanto che sono dovuti scattare dei “piani B”: sia a Londra che a Washington sono riusciti, sì, a normalizzare le scelte dei governi nati dai terremoti elettorali, ma con grande fatica e incertezza, in uno scenario di crisi sistemica meno manovrabile dall’élite: se sei un guerrafondaio neoconservatore russofobo e sei riuscito a castrare le velleità di The Donald, beh, la cosa ti va lo stesso di lusso, date le circostanze, ma alla Casa Bianca preferivi comunque avere qualcun altro. Anche in Italia, con il referendum costituzionale del 4 dicembre, il risultato è stato opposto a quello voluto dai padroni del vapore, al punto che Matteo Renzi è stato ridimensionato, con un governo che intanto galleggia senza progetto. Tuttavia, nelle forme in cui avviene l’espressione della volontà popolare, conta parecchio il tipo di sistema elettorale. Il ballottaggio francese ha caratteristiche importantissime che influiscono sulle possibilità reali di vittoria. E vincere implica trasformare un 20 per cento in un 51 per cento in appena quindici giorni.

Se con piccole variazioni percentuali Macron non avesse raggiunto il ballottaggio e lo avesse conquistato qualcun altro, avremmo misurato l’avversione a quell’altro candidato con altri criteri. Ad esempio, come si sarebbero evolute le posizioni anti-Ue e anti-Nato del candidato della sinistra, Mélenchon, di fronte alle analoghe posizioni della Le Pen? Sarebbe stata un’altra dinamica, o no? E se al ballottaggio fosse giunto il gollista Fillon, che voleva ripristinare un dialogo amichevole con la Russia spazzando le sanzioni, come sarebbe cambiata la geografia elettorale? E se Marine Le Pen non fosse giunta al ballottaggio, come avrebbero votato i suoi elettori? Avrebbe prevalso un euroscettico o un atlantista sfegatato Dato il sistema del ballottaggio, Macron prende il via comunque da favorito, perché una parte massiccia delle personalità e delle formazioni sociali che pure non lo ha votato teme di più Le Pen e si mobiliterà in tal senso. Ora non si tratta tanto dello schieramento – davvero scontato – dell’élite, ma anche delle associazioni nei quartieri, dei sindacati a livello locale, di tutta una miriade di organizzazioni con radici popolari.

Certo, è un mondo che stavolta ha dato al candidato socialista Benoît Hamon soltanto un miserrimo 6 per cento dei voti, ma è anche un mondo che ha una lunga storia dove dire ‘non’ a Le Pen è stata sempre una pregiudiziale inflessibile, quartiere per quartiere, villaggio per villaggio. Buona parte degli elettori di sinistra di Mélenchon condivide molti più punti programmatici sociali con la presidente del Fronte Nazionale che con il rampollo della finanza predatoria. Ma per Marine Le Pen conquistare quei voti significa dover demolire un “di più” di sfiducia verso il portato storico e ideologico che lei rappresenta. È prevedibile che farà allora di tutto per presentarsi come l’Alternativa possibile, cercando di erodere il Fronte che già si è costituito contro di lei, pescando tanto a sinistra, quanto fra gli euroscettici che pure hanno votato il moderato Fillon. In mezzo al risultato colpisce la disfatta totale dei socialisti francesi, che ripete quella dei socialisti olandesi di marzo. La sinistra socialdemocratica europea è in rotta, e le sue residue bandiere le consegna a difendere un bidone della banca Rothschild.

(Pino Cabras, “#Macron, #LePen, chi perderà di più?”, da “Megachip” del 24 aprile 2017).
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Magaldi: 25 aprile, niente da festeggiare. Nemmeno a Parigi


Scritto il 25/4/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Come si fa a celebrare il 25 aprile, continuando a restare indifferenti alla macelleria sociale in atto e allo svuotamento della democrazia?».

Gioele Magaldi considera «stucchevole retorica» quella che si nasconde in tanta ipocrisia, riproposta in salsa “antifascista” ma senza spendere una parola sul “totalitarismo” di oggi, quello dell’élite tecnocratica e finanziaria che sta spolpando l’Italia e l’Europa.


Piuttosto, bisognerebbe creare le condizioni per poter «celebrare la liberazione di oggi e quella di domani», di cui peraltro non ci sono avvisaglie nemmeno nella Francia che ha appena piazzato Emmanuel Macron in “pole position”, in vista del ballottaggio per le presidenziali del 7 maggio. Macron, il canditato dell’élite targato Rothschild?

«Farà piangere i francesi: sarà anche peggio di Sarkozy e Hollande, di cui è il perfetto continuatore».

Il problema?

Sta nel sistema politico transalpino, giunto alla paralisi: partiti che si annullano a vicenda, tutti fermi attorno al 20%, mentre l’unica vera alternativa in campo – Marine Le Pen – fa ancora troppa paura, nonostante i lodevoli sforzi per far dimenticare il passato fascistoide del Front National.

Verdetto già scritto, dunque: «Vincerà Macron, gli avversari della Le Pen giocheranno sul velluto.

Ed è una pessima notizia, per i francesi».

Un vero peccato, aggiunge Magaldi, in collegamento con David Gramiccioli di “Colors Radio”, perché Marine Le Pen «ha compiuto una grande evoluzione, decisamente apprezzabile: il Front National non è più quello di un tempo, si è laicizzato, anche al prezzo del duro scontro con il fondatore Jean-Marie Le Pen, padre di Marine».

Magaldi è autore del saggio “Massoni” e presiede il Movimento Roosevelt, soggetto “metapartitico” che ora guarda con interesse a Michele Emiliano, condividendo le critiche al sistema Ue e l’apertura al dialogo con i 5 Stelle.

«Io rispetto Marine Le Pen», insiste: «Trovo condivisibili alcune sue idee, altre meno.

Certo, non l’avrei votata.

Ma meno che mai avrei votato per Macron, canditato accuratamente “fabbricato” lasciare la situazione della Francia esattamente com’è».

In questo, ammette Magaldi, bisogna “ringraziare” anche le massonerie transalpine, coalizzate contro la Le Pen «per via di antiche ruggini tra la libera muratoria e la destra nazionalista francese».

Ripensamenti, tra i grembiulini?

Magaldi lo spera: «Data la sconfitta dei raggruppamenti tradizionali, destra e sinistra, forse si avvicina la possibilità di nuove alchimie.

E conto molto sul fatto che parecchi massoni, finora sul fronte conservatore, cambino idea e si schierino con i progressisti».

Ma il futuro immediato resta grigio.

Per Magaldi, paradossalmente, l’Italia è messa meno peggio: pur nel suo caos, il Belpaese potrebbe partorire idee e soluzioni rompendo vecchi schemi, operazione che in Francia, invece, sembra ancora impossibile.

«Dell’enorme frammentazione politica – dice – può stupirsi solo chi non ha seguito il sistematico, scientifico disgregarsi della proposta politica socialista, defintivamente naufragata con l’imprensentabile Hollande».

L’attuale candidato socialista, «il povero Benoît Hamon», ha tentato di giocare in controtendenza «rispolverando temi da sinistra radicale, istanze sociali avanzate, come del resto aveva fatto lo stesso Hollande, all’epoca».

E’ colpa di Hollande, non di Hamon, se il Ps è stato umiliato con appena il 6,3% dei voti.

«Hollande – continua Magaldi – si era candidato come campione anti-merkeliano per un diverso paradigma europeo.

Poi invece ha tradito il patto col popolo e si è ridotto al ruolo di cagnolino, di pecorone: peggio ancora di Sarkozy, che almeno aveva espresso una sua personalità precisa».

E’ così che si è arrivati a Macron, continua Magaldi: il candidato “made in Rotschild” «non regala fremiti, non ha alcun appeal: è stato costruito a tavolino, sapientemente, con grandi finanziamenti».

Obiettivo dell’operazione-Macron: portare all’Eliseo una fotocopia dei predecessori, entrambi proni ai voleri del super-potere finanziario europeo.

Macron sarebbe un docile continuatore del sedicente neogollista Sarkozy e del finto-socialista Hollande: prolungherebbe la politica di rigore, senza soluzione di continuità.

«Ma se il sistema politico francese è così bloccato – aggiunge Magaldi – la responsabilità è anche di Marine Le Pen: se l’alternativa all’euro-sistema dei diktat è lei, alla fine la maggioranza le preferità Macron, come quando gli elettori si coalizzarono e votarono Chirac, turandosi il naso, pur di sbarrare la strada a Jean-Marie Le Pen».

Se la signora del Front National non è ancora abbastanza rassicurante per la maggioranza dei francesi, tantomeno – e lo si è visto al primo turno – lo sono gli uomini del Ps: «Per avere un progetto politico vincente e percepito come appetibile – conclude Magaldi – bisogna creare tutt’altra narrazione, lontana anni luce dall’atteggiamento fasullo e fellone dei socialisti francesi».

Morale: «Dopo aver avuto Hollande per cinque anni, con Macron il malinteso continuerà: e per i francesi ci sarà ancora più da piangere».
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LA PROPAGANDA DEI TEMPI DI GUERRA





Francia, Macron contestato dagli operai: "Marine presidente!"

In visita a una fabbrica della Whirpool pronta a delocalizzare, il candidato centrista viene contestato dagli operai al grido di "Marine presidente"




Ivan Francese - Mer, 26/04/2017 - 17:30
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Operai e classi popolari di Francia votano Marine Le Pen, voltando le spalle al candidato centrista Emmanuel Macron.

Il mantra che da tempo viene ripetuto per illustrare la geografia sociale del voto francese sembra confermato da un episodio significativo andato in scena questa mattina ad Amiens.

Nella locale fabbrica della Whirlpool, gli operai hanno accolto l'ex ministro dell'Economia con una salva di fischi mentre la candidata frontista, in visita nelle stesse ore, non ha ricevuto lo stesso trattamento. I dipendenti dell'azienda di elettrodomestici, anzi, hanno intonato il coro "Marine Presidente". Macron, che peraltro è originario proprio di Amiens, ha visitato una fabbrica in subbuglio: le maestranze sono in agitazione da tempo per la decisione dell'azienda americana di delocalizzare la produzione in Polonia a partire dal 2018.

Il candidato all'Eliseo aveva deciso di avviare la seconda parte della campagna elettorale per le presidenziali proprio dalla sua città e la tappa in fabbrica era un appuntamento irrinunciabile. Tuttavia la sua sortita non è piaciuta agli operai, che hanno inscenato una contestazione che certo non è piaciuta a Macron: "Cerco di risolvere i problemi, non di strumentalizzarli - ha spiegato il diretto interessato, polemizzando con la rivale al ballottaggio - Io ho passato un'ora e mezzo con i sindacati, senza giornalisti. La signora Le Pen è arrivata qui per dieci minuti a favore di telecamere solo perchè sapeva che io sarei venuto".

La leader del Front National, dal canto suo, non ha perso occasione per attaccare l'avversario e incassare il plauso degli operai: "Con me la fabbrica non chiude: continuate a combattere, potete contare su di me."
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VIAGGIO ALL’INFERNO – BIGLIETTO DI SOLA ANDATA


La discussione con l’amico G. va avanti da mesi.

Lui, classe 1935, dove la madre, da piccolo, dallo spioncino dell’epoca, gli faceva vedere i fascisti che prelevavano coloro che non la pensavano come i nazi-fasci; che è poi stato costretto a vivere da fuggitivo con la madre in montagna rifugiato con altri in un chiesa, sostiene che fosse giusto quello che è stato fatto in Italia dopo l’8 settembre del 1943.

Io, invece, faccio un giudizio storico su quegli eventi.

Comprendo molto bene le scelte fatte in quel contesto storico, senza la palla di vetro che indicasse cosa sarebbe successo 74 anni dopo.

Ma il tradimento di chi oggi che vuol fare tornare i fantasmi del passato, è incommensurabile, abominevole.

I credenti delle varie religioni, sostengono una vita migliore dope questa.

Gli islamici eterosessuali, vengono ingolositi dalla presenza nell’aldilà di 72 vergini a testa, secondo i dettami del Corano.

Gli atei, invece, sostengono che tutto termina con la morte.

Comunque sia, ogni uomo ha il sacrosanto diritto di vivere tutto il tempo che la sua macchina umana gli permette.

Ed è un crimine, che un uomo o gli Stati in guerra, si arroghi, arroghino, il diritto di ridurre la scadenza naturale di ognuno.

Per quanto letto, non sono sicuro che quei ragazzi e ragazze che hanno sacrificato la loro vita tra il ’43 e il ’45 affinchè altri disponessero di una vita migliore, se fossero stati a conoscenza di come sarebbe andata a finire nei primi anni del terzo millennio, avrebbero sacrificato così facilmente la loro vita.




28 apr 2017 10:07

LA STORIA SI RIPETE. SEMPRE

– UN AUSTRIACO SU QUATTRO VUOLE IL RITORNO DI UN ALTRO FUHRER

– IL 43% SI AUGURA UN “UOMO FORTE” AL POTERE ED IL 23% VUOLE UN EREDE DI HITLER

– ADDIRITTURA IL 31% DEGLI INTERVISTATI RITIENE CHE IL NAZISMO ABBIA AVUTO LATI POSITIVI PER L’AUSTRIA - -



Da Libero Quotidiano

C'è un Paese che vota Adolf Hitler. Per essere precisi, quasi il quarto di un Paese. Si parla dell'Austria, che vorrebbe nuovamente il Führer. È quanto emerge da un sondaggio dell'istituto SORA e di un'associazione per lo studio della storia contemporanea di Vienna, secondo il quale gli austriaci sono più insoddisfatti della democrazia rispetto a dieci anni fa.


Dunque, parola alle cifre. Il 43% degli intervistati si augura un "uomo forte" alla guida del Paese, e addirittura il 23% desidera invece un nuovo Führer, e un cambio di "sistema", ovvero l'addio alla democrazia (dieci anni fa, solo il 14% si diceva a favore di un simile cambio).

Una grossa fetta di austriaci, insomma, vorrebbe non fare più i conti con il Parlamento e con le elezioni. E ancora, dalla rilevazione, emerge che il 31% degli intervistati ritiene che in nazismo abbia avuto anche lati positivi per l'Austria.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 146652.htm
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Harry Potter all’Eliseo: partiti (e cittadini) non servono più


Scritto il 03/5/17 • nella Categoria: idee Condividi




Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.

E’ la fotografia – inquietante – che ormai scattano, sul fronte web, gli analisti più critici e pessimisti, allarmati da quello che appare uno scenario quotidiano di guerra, alimentato da crisi continue (economiche, finanziarie, climatiche, demografiche) e devastazioni sempre più dirompenti, di cui l’esodo biblico dei migranti sembra solo la vetta di un iceberg che persino gli osservatori meglio documentati faticano a misurare per intero, data la sua imponderabile vastità, in continua evoluzione. Un terremoto costante, senza più argini da parte di alcuna istituzione: il diritto internazionale sembra un residuato archeologico, smarrito nel feroce caos quotidiano, tra proiezioni, statistiche e “fake news” televisive, dove nessuno sembra in grado allungare davvero lo sguardo nemmeno sul semestre seguente, nell’unica certezza che il potere – quello dei veri decisori – sia lontanissimo, irraggiungibile e neppure coeso, ma dilaniato al suo interno da scontri durissimi. Guerre segrete senza quartiere, di cui al pubblico, qualche volta, può arrivare soltanto l’eco. Nonostante questo, si recita – ancora – lo spettacolo delle elezioni, la democrazia rappresentativa, che sa ancora generare fenomeni di auto-ipnosi fino alla tifoseria, dalla Brexit al referendum italiano, dal voto per la Casa Bianca a quello per la presidenza francese.

I soliti esperti si affrettano a dichiarare chiusa la partita, in Francia, con la scontata vittoria di Macron, mentre altri osservatori – come il direttore di “Limes”, Lucio Caracciolo – preferiscono la prudenza: messi insieme, i due candidati antisistema (Le Pen e Mélenchon) sono il “primo partito” francese, e non è detto che i grandi sconfitti del primo turno riescano a far convergere i loro voti sul “maghetto” dei Rothschild. Che cosa poi riuscirebbe davvero a fare la Le Pen, se eletta, non è dato immaginarlo. Se non altro, il suo Front National è un super-partito a tutto tondo, tradizionale, fatto di sezioni e votazioni congressuali. Un “luogo della democrazia” dove il consenso cresce per gradi, confrontando opzioni e programmi. Cioè esattamente quello che è andato scomparendo altrove, dall’ectoplasma post-politico del Pd renziano fino all’estremo esperimento “apartitico” di Macron, che celebra l’estinzione definitiva dell’entità-partito come ponte, teorico e pratico, tra il cittadino e l’istituzione. Sembra il compimento del Vangelo di Lewis Powell, 1971: svuotare la democrazia per demolire la sinistra dei diritti sociali, da cui l’azione della Trilaterale e i cantori della “crisi della democrazia”. Un piano inclinato, inesorabile: la Guerra del Golfo, e l’11 Settembre, il Medio Oriente trasformato in inferno per profughi. Fino alla follia della guerra con la Russia, subita da un’Europa letteralmente frastornata, messa in croce dall’Eurozona.

Rassegnatevi: i partiti non servono, non serviranno più. E’ il messaggio che proviene dal mezzo successo francese di Macron. Mettetevi l’anima in pace: è finita per sempre l’epoca delle assemblee, dei delegati. E’ già nella spazzatura della storia, insieme ai sindacati. E in Italia, la presunta alternativa in campo – il Movimento 5 Stelle – è guidato da un leader che licenzia chiunque non gli piaccia. Non è mai stato celebrato un solo congresso. Le periodiche votazioni, che pure avvengono, si svolgono online. E chi partecipa può scegliere solo in base a un menù predefinito, a monte, da un vertice-fantasma che nessuno ha eletto. L’avatar Macron è il futuro che ci aspetta? Certamente sì, scommettono i più esasperati, se i cittadini non si decidono a riappropriarsi della loro sovranità essenziale, fondata sulla partecipazione. Gli strumenti di ieri sono tutti caduti, archiviati, rottamati. Per contro, cresce la frustrazione degli esclusi, che sospettano di essere ormai la grande maggioranza. Un vastissimo popolo, ancora immobile. Strattonato dalle crisi a testata multipla – lavoro, sicurezza – e intimidito ogni giorno da notizie spaventose, attentati, previsioni angoscianti. La scomparsa del futuro è ormai spacciata per normalità. Il calcio tiene ancora banco, più che mai. E nelle tabaccherie furoreggia il Superenalotto. C’è chi sostiene che i grandi decisori siano inquieti, che temano la rabbia dei delusi, elettoralmente espressa dai cosiddetti populismi. Ma basta fare un giro su Facebook, su WhatsApp, per scoprire che non ci sono rivoluzioni culturali in vista.
UncleTom
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da UncleTom »

I cugini franzosi, i Galli di Asterix, non sono messi meglio di noi.


I dati del sito francese dove si scaricano i quotidiani in pdf., ieri riportava questi dati:


JOURNAL La Capitale Bruxelles du Mercredi 3 Mai 2017.pdf
23 15.64 Mb 03.05.2017 10:52

NB. 23 sono i numeri dei prelievi o visite.


Journal L Independant du mercredi 03 mai 2017.pdf
52 12.62 Mb 03.05.2017 09:10


Journal EL MASSA 03.05.2017.pdf
125 3.64 Mb 03.05.2017 00:25


Journal LA TRIBUNE Du Mercredi 3 Mai 2017.pdf
97 1.8 Mb 03.05.2017 00:02


Journal INFO SOIR Du Mercredi 3 Mai 2017.pdf
95 8.46 Mb 03.05.2017 00:01


JOURNAL Paris Turf du Mercredi 3 Mai 2017.pdf
93 10.49 Mb 03.05.2017 10:12


Journal La Repubblica 3 Maggio 2017.pdf
157 18.4 Mb 03.05.2017 11:50


Tutti surclassati, in quanto visite/prelievi dai quotidiani sportivi:

Journal La Gazzetta dello Sport 03-05-2017.pdf
730 39.57 Mb 03.05.2017 04:22


Journal Quotidien de sport du mercredi 3 Mai 2017.pdf
1224 23.27 Mb 03.05.2017 07:17


Neppure lo storico LE MONDE con 2 supplementi, tiene il passo al quotidiano sportivo

Journal LE MONDE et 2 supplements du mercredi 3 mai 2017.pdf
983 6.34 Mb 03.05.2017 00:01
UncleTom
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da UncleTom »

A DOMANDA RISPONDO FURIO COLOMBO
Marine Le Pen: ecco perché
il pericolo è grande


CARO FURIO COLOMBO, per tante ragioni, la politica
francese può andare per strade diverse, che non ci riguardano.
Perché tanta tensione pro o contro la Le
Pen?

AMALIA POLITOLOGI ED ESPERTI di affari internazionali ci
hanno sempre detto che siamo tutti legati alla stessa
corda, come nelle spedizioni alpine. Se qualcuno cade,
tutti sentono lo strappo e il pericolo. Ma non cadono
tutti. O meglio questo accadeva prima. Adesso, se uno
cade, cadono tutti. Di quale prima stiamo parlando? E
di quale dopo, che sarebbe il tempo in cui viviamo?
Tutto si spiega con l’elezione di Trump a presidente
degli Stati Uniti. Trump è un uomo che non crede nel
futuro, anzi non lo concepisce, una specie di vice-dio
che comprende nel suo unico status il prima, il dopo e
l’adesso. Del presente si congratula con se stesso perché
ne è l’autore. Il futuro non interessa perché lui non
lo può toccare. Dunque vuole che guardiamo tutti al
passato, dal carbone alla meccanica pre-elettronica, e
a un mondo semplificato in cui lui può mettere le mani.
Trump ha spaccato un’epoca. Era esattamente il progetto
reazionario di Marine Le Pen, che però, senza
Trump, finiva sempre in minoranza.
Succederà ancora? Questa è la ragione che tiene tanti
con il fiato sospeso. Ora Le Pen si muove non più contro
la cultura di buona parte del mondo libero, ma in compagnia
di una parte importante di una cultura cambiata
e alterata, con venature di nostalgia che comprendono
anche il fascismo (e nel caso Le Pen, l’orrore
della Francia di Vichy). Basti ricordare che è arrivata
al punto da negare l’ignominia francese del Vel d’Hiv,
lo stadio trasformato in campo di concentramento a
cielo aperto per gli ebrei di Parigi (compresi centinaia
di bambini) rastrellati dalla polizia francese in attesa
di consegnarli ai trasportatori di Auschwitz (1944).
L’ossessione del passato è comunque la stella polare
sia del mondo secondo Le Pen (figlia, padre, nipote e
milioni di seguaci) sia del mondo secondo Trump (60
milioni di elettori). Nessuno può dire se la sinergia funzionerà
o se la Francia democratica sarà più forte
dell’America liberal di Clinton. Ma non sarà un’attesa
tranquilla.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano
00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2
l e t te re @ i l fa t to q u o t i d i a n o. i t


| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 4 Maggio 2017
UncleTom
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da UncleTom »

Quando non si vuole che vengano pubblicati certi articoli, si ricorre anche a questo.


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