Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
LIBRE news
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segnalazioni.
Spiare gli americani dal cielo, coi droni: i segreti della Nga
Scritto il 26/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Spiare i cittadini a casa loro, attraverso droni. Potrebbe essere la vera missione della misteriosa Nga, struttura-ombra di intelligence creata da Obama per effettuare sanguinosi bombardamenti aggirando il controllo democratico del Congresso. «E’ facile credere che questa potente agenzia di spionaggio possa ottenere carta bianca per fare ciò che vuole, qualora Trump si accorgesse di averne il potere. Dopotutto, chi farà pressione sul Congresso per fermarlo?». In un’analisi su “TheAntiMedia” ripresa da “Come Don Chisciotte”, Alice Salles sostiene che la nuovissima National Geospatial-Intelligence Agency, definita «un’oscura agenzia di spionagggio su cui l’ex presidente Barack Obama si è arrovellato sin dal 2009», faccia impallidire le rivelazioni-bomba di Edward Snowden sullo spionaggio “domestico” di massa allestito dalla Nsa. La Nga, che coordina l’attività dei droni Usa in tutto il mondo, è diventata sempre più importante, data «la passione di Obama» per i bombadamenti-fantasma, dal cielo, non autorizzati dal Parlamento ma direttamente dalla Casa Bianca. E ora «ci si aspetta che il presidente Trump esplori ulteriormente le opportunità offerte da questa rete di sorveglianza da miliardi di dollari», inserita – come la stessa Cia – sotto il comando del Dod, il dipartimento della difesa.
Il quartier generale dell’Nga è più imponente di quello della Cia, aggiunge la Selles: nel 2011, al completamento dell’opera, è costato 1,4 miliardi di dollari, cui si aggiunge un’altra mega-somma (1,7 miliardi) per strutture supplementari, a St. Louis. «Nel godersi il budget aggiuntivo che Obama le ha fornito, la Nga è diventato uno dei servizi segreti più oscuri proprio perché si basa sull’operatività dei droni», scrive Selles. «In quanto organo di governo che ha un solo compito – analizzare le immagini e i video catturati dai droni in Medio Oriente – la Nga è molto potente». Ma allora, «perché non ne abbiamo sentito parlare prima?». Semplice: perché il “compito” non è mai stato limitato al solo Medio Oriente. Se finora non è stata al centro di scandali, aggiunge l’analista, è solo perché – finora, per quanto se ne sa – ha evitato di puntare le telecamere sul suolo americano. Ma la tendenza non è rassicurante: di recente, la Nga «ha dato alla Cia il potere di condurre una guerra segreta tramite droni, nascondendo importanti informazioni su tali operazioni». Come? «Semplicemente, permettendo all’agenzia di svolgere missioni senza prima chiederne l’autorizzazione al Pentagono». Se ora Trump volesse far spiare gli americani, sarebbe pronto l’alibi della “sicurezza nazionale”, minacciata dai “terroristi”.
La Casa Bianca, aggiunge Selles, ha espresso il desiderio di rinnovare i poteri di spionaggio dell’era Obama «anche per controbattere i critici che negano la veridicità delle dichiarazioni del presidente sulle intercettazioni delle sue conversazioni assieme a quelle di cittadini stranieri sotto sorveglianza nel 2016». Ma intanto, un rapporto del Pentagono (marzo 2016) rivela che i droni «sono già stati utilizzati a livello nazionale in circa una ventina di occasioni, tra il 2006 e il 2015». Anche se alcune di queste operazioni riguardavano calamità naturali, operazioni della Guardia Nazionale e missioni di soccorso e recupero, «c’è anche il riferimento alla revisione di un articolo di legge sull’Air Force». Secondo il colonnello Dawn Zoldi, la tecnologia progettata per spiare obiettivi all’estero potrebbe presto essere utilizzata anche contro i cittadini americani. «Man mano che questo guerre si esauriranno – spiega il report – quelle risorse diverranno disponibili come supporto ad altri comandi combattenti (Cocom) o altre agenzie degli Stati Uniti, e la voglia di usarle anche in ambiente domestico per raccogliere immagini in volo continuerà a crescere».
Fino al 2015, la sorveglianza era talmente blanda che le funzionalità offerte dai sistemi con aerei senza pilota del Dod non venivano prese in considerazione da nessuna agenzia. «Senza leggi che specifichino le regole che queste agenzie del governo federale dovrebbero seguire, per chi controlla sarebbe difficile seguire il loro comportamento», osserva Selles. «Ma sarebbe meglio se ci fosse un’agenzia o un ramo dello stesso governo che supervisionasse ciò che il governo stesso sta facendo? La risposta in breve è no». Con il crescente timore che Trump voglia a riorganizzare la Nga, «vengono alla luce storie di dipartimenti nazionali di polizia che utilizzano i droni per spiare la gente del posto». Alcuni casi molto pubblicizzati, scrive Selles, hanno già coinvolto Baltimora e Compton, «dove la polizia locale ha usufruito della tecnologia di sorveglianza aerea senza che sia stato emesso un mandato d’arresto o la richiesta di una autorizzazione alle autorità locali o statali». Grazie a questi predecenti, si teme che Trump possa «innescare una nuova lotta nel suo continuo sforzo di combattere una guerra contro un immaginario, inesistente nemico. Dopotutto non è estraneo agli scandali e probabilmente non verrebbe preso neanche un po’ da rimorsi qualora decidesse di installare le telecamere ad alta definizione verso i suoi cittadini».
Spiare i cittadini a casa loro, attraverso droni. Potrebbe essere la vera missione della misteriosa Nga, struttura-ombra di intelligence creata da Obama per effettuare sanguinosi bombardamenti aggirando il controllo democratico del Congresso. «E’ facile credere che questa potente agenzia di spionaggio possa ottenere carta bianca per fare ciò che vuole, qualora Trump si accorgesse di averne il potere. Dopotutto, chi farà pressione sul Congresso per fermarlo?». In un’analisi su “TheAntiMedia” ripresa da “Come Don Chisciotte”, Alice Salles sostiene che la nuovissima National Geospatial-Intelligence Agency, definita «un’oscura agenzia di spionagggio su cui l’ex presidente Barack Obama si è arrovellato sin dal 2009», faccia impallidire le rivelazioni-bomba di Edward Snowden sullo spionaggio “domestico” di massa allestito dalla Nsa. La Nga, che coordina l’attività dei droni Usa in tutto il mondo, è diventata sempre più importante, data «la passione di Obama» per i bombadamenti-fantasma, dal cielo, non autorizzati dal Parlamento ma direttamente dalla Casa Bianca. E ora «ci si aspetta che il presidente Trump esplori ulteriormente le opportunità offerte da questa rete di sorveglianza da miliardi di dollari», inserita – come la stessa Cia – sotto il comando del Dod, il dipartimento della difesa.
Il quartier generale dell’Nga è più imponente di quello della Cia, aggiunge la Selles: nel 2011, al completamento dell’opera, è costato 1,4 miliardi di dollari, cui si aggiunge un’altra mega-somma (1,7 miliardi) per strutture supplementari, a St. Louis. «Nel Drone-spiagodersi il budget aggiuntivo che Obama le ha fornito, la Nga è diventato uno dei servizi segreti più oscuri proprio perché si basa sull’operatività dei droni», scrive Selles. «In quanto organo di governo che ha un solo compito – analizzare le immagini e i video catturati dai droni in Medio Oriente – la Nga è molto potente». Ma allora, «perché non ne abbiamo sentito parlare prima?». Semplice: perché il “compito” non è mai stato limitato al solo Medio Oriente. Se finora non è stata al centro di scandali, aggiunge l’analista, è solo perché – finora, per quanto se ne sa – ha evitato di puntare le telecamere sul suolo americano. Ma la tendenza non è rassicurante: di recente, la Nga «ha dato alla Cia il potere di condurre una guerra segreta tramite droni, nascondendo importanti informazioni su tali operazioni». Come? «Semplicemente, permettendo all’agenzia di svolgere missioni senza prima chiederne l’autorizzazione al Pentagono». Se ora Trump volesse far spiare gli americani, sarebbe pronto l’alibi della “sicurezza nazionale”, minacciata dai “terroristi”.
La Casa Bianca, aggiunge Selles, ha espresso il desiderio di rinnovare i poteri di spionaggio dell’era Obama «anche per controbattere i critici che negano la veridicità delle dichiarazioni del presidente sulle intercettazioni delle sue conversazioni assieme a quelle di cittadini stranieri sotto sorveglianza nel 2016». Ma intanto, un rapporto del Pentagono (marzo 2016) rivela che i droni «sono già stati utilizzati a livello nazionale in circa una ventina di occasioni, tra il 2006 e il 2015». Anche se alcune di queste operazioni riguardavano calamità naturali, operazioni della Guardia Nazionale e missioni di soccorso e recupero, «c’è anche il riferimento alla revisione di un articolo di legge sull’Air Force». Secondo il colonnello Dawn Zoldi, la tecnologia progettata per spiare obiettivi all’estero potrebbe presto essere utilizzata anche contro i cittadini americani. «Man mano che questo guerre si esauriranno – spiega il report – quelle risorse diverranno disponibili come supporto ad altri comandi Dawn Zoldi, colonnellocombattenti (Cocom) o altre agenzie degli Stati Uniti, e la voglia di usarle anche in ambiente domestico per raccogliere immagini in volo continuerà a crescere».
Fino al 2015, la sorveglianza era talmente blanda che le funzionalità offerte dai sistemi con aerei senza pilota del Dod non venivano prese in considerazione da nessuna agenzia. «Senza leggi che specifichino le regole che queste agenzie del governo federale dovrebbero seguire, per chi controlla sarebbe difficile seguire il loro comportamento», osserva Selles. «Ma sarebbe meglio se ci fosse un’agenzia o un ramo dello stesso governo che supervisionasse ciò che il governo stesso sta facendo? La risposta in breve è no». Con il crescente timore che Trump voglia a riorganizzare la Nga, «vengono alla luce storie di dipartimenti nazionali di polizia che utilizzano i droni per spiare la gente del posto». Alcuni casi molto pubblicizzati, scrive Selles, hanno già coinvolto Baltimora e Compton, «dove la polizia locale ha usufruito della tecnologia di sorveglianza aerea senza che sia stato emesso un mandato d’arresto o la richiesta di una autorizzazione alle autorità locali o statali». Grazie a questi predecenti, si teme che Trump possa «innescare una nuova lotta nel suo continuo sforzo di combattere una guerra contro un immaginario, inesistente nemico. Dopotutto non è estraneo agli scandali e probabilmente non verrebbe preso neanche un po’ da rimorsi qualora decidesse di installare le telecamere ad alta definizione verso i suoi cittadini».
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Spiare gli americani dal cielo, coi droni: i segreti della Nga
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Spiare i cittadini a casa loro, attraverso droni. Potrebbe essere la vera missione della misteriosa Nga, struttura-ombra di intelligence creata da Obama per effettuare sanguinosi bombardamenti aggirando il controllo democratico del Congresso. «E’ facile credere che questa potente agenzia di spionaggio possa ottenere carta bianca per fare ciò che vuole, qualora Trump si accorgesse di averne il potere. Dopotutto, chi farà pressione sul Congresso per fermarlo?». In un’analisi su “TheAntiMedia” ripresa da “Come Don Chisciotte”, Alice Salles sostiene che la nuovissima National Geospatial-Intelligence Agency, definita «un’oscura agenzia di spionagggio su cui l’ex presidente Barack Obama si è arrovellato sin dal 2009», faccia impallidire le rivelazioni-bomba di Edward Snowden sullo spionaggio “domestico” di massa allestito dalla Nsa. La Nga, che coordina l’attività dei droni Usa in tutto il mondo, è diventata sempre più importante, data «la passione di Obama» per i bombadamenti-fantasma, dal cielo, non autorizzati dal Parlamento ma direttamente dalla Casa Bianca. E ora «ci si aspetta che il presidente Trump esplori ulteriormente le opportunità offerte da questa rete di sorveglianza da miliardi di dollari», inserita – come la stessa Cia – sotto il comando del Dod, il dipartimento della difesa.
Il quartier generale dell’Nga è più imponente di quello della Cia, aggiunge la Selles: nel 2011, al completamento dell’opera, è costato 1,4 miliardi di dollari, cui si aggiunge un’altra mega-somma (1,7 miliardi) per strutture supplementari, a St. Louis. «Nel godersi il budget aggiuntivo che Obama le ha fornito, la Nga è diventato uno dei servizi segreti più oscuri proprio perché si basa sull’operatività dei droni», scrive Selles. «In quanto organo di governo che ha un solo compito – analizzare le immagini e i video catturati dai droni in Medio Oriente – la Nga è molto potente». Ma allora, «perché non ne abbiamo sentito parlare prima?». Semplice: perché il “compito” non è mai stato limitato al solo Medio Oriente. Se finora non è stata al centro di scandali, aggiunge l’analista, è solo perché – finora, per quanto se ne sa – ha evitato di puntare le telecamere sul suolo americano. Ma la tendenza non è rassicurante: di recente, la Nga «ha dato alla Cia il potere di condurre una guerra segreta tramite droni, nascondendo importanti informazioni su tali operazioni». Come? «Semplicemente, permettendo all’agenzia di svolgere missioni senza prima chiederne l’autorizzazione al Pentagono». Se ora Trump volesse far spiare gli americani, sarebbe pronto l’alibi della “sicurezza nazionale”, minacciata dai “terroristi”.
La Casa Bianca, aggiunge Selles, ha espresso il desiderio di rinnovare i poteri di spionaggio dell’era Obama «anche per controbattere i critici che negano la veridicità delle dichiarazioni del presidente sulle intercettazioni delle sue conversazioni assieme a quelle di cittadini stranieri sotto sorveglianza nel 2016». Ma intanto, un rapporto del Pentagono (marzo 2016) rivela che i droni «sono già stati utilizzati a livello nazionale in circa una ventina di occasioni, tra il 2006 e il 2015». Anche se alcune di queste operazioni riguardavano calamità naturali, operazioni della Guardia Nazionale e missioni di soccorso e recupero, «c’è anche il riferimento alla revisione di un articolo di legge sull’Air Force». Secondo il colonnello Dawn Zoldi, la tecnologia progettata per spiare obiettivi all’estero potrebbe presto essere utilizzata anche contro i cittadini americani. «Man mano che questo guerre si esauriranno – spiega il report – quelle risorse diverranno disponibili come supporto ad altri comandi combattenti (Cocom) o altre agenzie degli Stati Uniti, e la voglia di usarle anche in ambiente domestico per raccogliere immagini in volo continuerà a crescere».
Fino al 2015, la sorveglianza era talmente blanda che le funzionalità offerte dai sistemi con aerei senza pilota del Dod non venivano prese in considerazione da nessuna agenzia. «Senza leggi che specifichino le regole che queste agenzie del governo federale dovrebbero seguire, per chi controlla sarebbe difficile seguire il loro comportamento», osserva Selles. «Ma sarebbe meglio se ci fosse un’agenzia o un ramo dello stesso governo che supervisionasse ciò che il governo stesso sta facendo? La risposta in breve è no». Con il crescente timore che Trump voglia a riorganizzare la Nga, «vengono alla luce storie di dipartimenti nazionali di polizia che utilizzano i droni per spiare la gente del posto». Alcuni casi molto pubblicizzati, scrive Selles, hanno già coinvolto Baltimora e Compton, «dove la polizia locale ha usufruito della tecnologia di sorveglianza aerea senza che sia stato emesso un mandato d’arresto o la richiesta di una autorizzazione alle autorità locali o statali». Grazie a questi predecenti, si teme che Trump possa «innescare una nuova lotta nel suo continuo sforzo di combattere una guerra contro un immaginario, inesistente nemico. Dopotutto non è estraneo agli scandali e probabilmente non verrebbe preso neanche un po’ da rimorsi qualora decidesse di installare le telecamere ad alta definizione verso i suoi cittadini».
Spiare i cittadini a casa loro, attraverso droni. Potrebbe essere la vera missione della misteriosa Nga, struttura-ombra di intelligence creata da Obama per effettuare sanguinosi bombardamenti aggirando il controllo democratico del Congresso. «E’ facile credere che questa potente agenzia di spionaggio possa ottenere carta bianca per fare ciò che vuole, qualora Trump si accorgesse di averne il potere. Dopotutto, chi farà pressione sul Congresso per fermarlo?». In un’analisi su “TheAntiMedia” ripresa da “Come Don Chisciotte”, Alice Salles sostiene che la nuovissima National Geospatial-Intelligence Agency, definita «un’oscura agenzia di spionagggio su cui l’ex presidente Barack Obama si è arrovellato sin dal 2009», faccia impallidire le rivelazioni-bomba di Edward Snowden sullo spionaggio “domestico” di massa allestito dalla Nsa. La Nga, che coordina l’attività dei droni Usa in tutto il mondo, è diventata sempre più importante, data «la passione di Obama» per i bombadamenti-fantasma, dal cielo, non autorizzati dal Parlamento ma direttamente dalla Casa Bianca. E ora «ci si aspetta che il presidente Trump esplori ulteriormente le opportunità offerte da questa rete di sorveglianza da miliardi di dollari», inserita – come la stessa Cia – sotto il comando del Dod, il dipartimento della difesa.
Il quartier generale dell’Nga è più imponente di quello della Cia, aggiunge la Selles: nel 2011, al completamento dell’opera, è costato 1,4 miliardi di dollari, cui si aggiunge un’altra mega-somma (1,7 miliardi) per strutture supplementari, a St. Louis. «Nel Drone-spiagodersi il budget aggiuntivo che Obama le ha fornito, la Nga è diventato uno dei servizi segreti più oscuri proprio perché si basa sull’operatività dei droni», scrive Selles. «In quanto organo di governo che ha un solo compito – analizzare le immagini e i video catturati dai droni in Medio Oriente – la Nga è molto potente». Ma allora, «perché non ne abbiamo sentito parlare prima?». Semplice: perché il “compito” non è mai stato limitato al solo Medio Oriente. Se finora non è stata al centro di scandali, aggiunge l’analista, è solo perché – finora, per quanto se ne sa – ha evitato di puntare le telecamere sul suolo americano. Ma la tendenza non è rassicurante: di recente, la Nga «ha dato alla Cia il potere di condurre una guerra segreta tramite droni, nascondendo importanti informazioni su tali operazioni». Come? «Semplicemente, permettendo all’agenzia di svolgere missioni senza prima chiederne l’autorizzazione al Pentagono». Se ora Trump volesse far spiare gli americani, sarebbe pronto l’alibi della “sicurezza nazionale”, minacciata dai “terroristi”.
La Casa Bianca, aggiunge Selles, ha espresso il desiderio di rinnovare i poteri di spionaggio dell’era Obama «anche per controbattere i critici che negano la veridicità delle dichiarazioni del presidente sulle intercettazioni delle sue conversazioni assieme a quelle di cittadini stranieri sotto sorveglianza nel 2016». Ma intanto, un rapporto del Pentagono (marzo 2016) rivela che i droni «sono già stati utilizzati a livello nazionale in circa una ventina di occasioni, tra il 2006 e il 2015». Anche se alcune di queste operazioni riguardavano calamità naturali, operazioni della Guardia Nazionale e missioni di soccorso e recupero, «c’è anche il riferimento alla revisione di un articolo di legge sull’Air Force». Secondo il colonnello Dawn Zoldi, la tecnologia progettata per spiare obiettivi all’estero potrebbe presto essere utilizzata anche contro i cittadini americani. «Man mano che questo guerre si esauriranno – spiega il report – quelle risorse diverranno disponibili come supporto ad altri comandi Dawn Zoldi, colonnellocombattenti (Cocom) o altre agenzie degli Stati Uniti, e la voglia di usarle anche in ambiente domestico per raccogliere immagini in volo continuerà a crescere».
Fino al 2015, la sorveglianza era talmente blanda che le funzionalità offerte dai sistemi con aerei senza pilota del Dod non venivano prese in considerazione da nessuna agenzia. «Senza leggi che specifichino le regole che queste agenzie del governo federale dovrebbero seguire, per chi controlla sarebbe difficile seguire il loro comportamento», osserva Selles. «Ma sarebbe meglio se ci fosse un’agenzia o un ramo dello stesso governo che supervisionasse ciò che il governo stesso sta facendo? La risposta in breve è no». Con il crescente timore che Trump voglia a riorganizzare la Nga, «vengono alla luce storie di dipartimenti nazionali di polizia che utilizzano i droni per spiare la gente del posto». Alcuni casi molto pubblicizzati, scrive Selles, hanno già coinvolto Baltimora e Compton, «dove la polizia locale ha usufruito della tecnologia di sorveglianza aerea senza che sia stato emesso un mandato d’arresto o la richiesta di una autorizzazione alle autorità locali o statali». Grazie a questi predecenti, si teme che Trump possa «innescare una nuova lotta nel suo continuo sforzo di combattere una guerra contro un immaginario, inesistente nemico. Dopotutto non è estraneo agli scandali e probabilmente non verrebbe preso neanche un po’ da rimorsi qualora decidesse di installare le telecamere ad alta definizione verso i suoi cittadini».
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Re: Dove va l'America?
LE COMICHE DEI TEMPI DI GUERRA
Gli STRUMPTRUPPEN in declino irreversibile, strombazzano e magnificano le imprese del Berlusconi a Stelle e Strisce.
Tasse, la rivoluzione di Trump
Il Tesoro conferma: tasse alle imprese al 15%. "Taglio più grande della storia". La risposta di Donald alle critiche
di Orlando Sacchelli
2 ore fa
147
Chi sosterrà le megagalittiche spese militari dello Zio Sam???????
I meno abbienti???????
Gli STRUMPTRUPPEN in declino irreversibile, strombazzano e magnificano le imprese del Berlusconi a Stelle e Strisce.
Tasse, la rivoluzione di Trump
Il Tesoro conferma: tasse alle imprese al 15%. "Taglio più grande della storia". La risposta di Donald alle critiche
di Orlando Sacchelli
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Chi sosterrà le megagalittiche spese militari dello Zio Sam???????
I meno abbienti???????
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Re: Dove va l'America?
LA COERENZA FA PARTE DEGLI UOMINI AI VERTICI DELLE NAZIONI?????????????
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Le 355 navi da guerra di Trump economicamente non sostenibili
"Le 355 navi di Trump richiederebbero 102 miliardi di dollari l’anno in soli costi operativi. Per costruirle sarebbero necessari 18 anni"
Franco Iacch - Mer, 26/04/2017 - 10:27
commenta
La flotta di 355 navi promessa dal Presidente Donald Trump richiederebbe quasi venti anni e costerebbe più di cento miliardi di dollari l'anno. E’ quanto si legge nel rapporto del Congressional Budget Office (CBO) pubblicato poche ore fa.
“Sarebbe molto più complicato e costoso di quanto sembri”.
Le 355 navi di Trump
Il Presidente Donald Trump ha fatto suo il documento della US Navy denominato Force Structure Assessment, per la costruzione di una flotta di 355 unità, la più grande dalla fine della guerra fredda. Tale proposta, ritenuta ideale fino allo scorso gennaio, era superiore ai programmi di riarmo pubblicizzati da Trump durante la sua campagna elettorale. Quel numero è adesso diventato un obiettivo presidenziale. La US Navy propone di costruire il 14% delle unità in più rispetto a quanto stimato nel precedente obiettivo FSA del 2014 fissato a 308 navi. L’incremento è di quasi il 30% rispetto alla dimensione attuale della flotta che oggi si basa su 275 vettori. Tale piano di riarmo comporterebbe una spesa ulteriore stimata variabile di 4/5,5 miliardi di dollari l’anno per i prossimi trent’anni nel budget di costruzione della Marina attualmente fissato a 12,3 miliardi di dollari. Tale investimento aggirerebbe i dispositivi di legge per il controllo sul bilancio. Il Force Structure Assessment, oggi diventato un pilastro della Casa Bianca, era un documento ideale, scevro da qualsiasi controllo finanziario, ma rappresentava la posizione dei militari. Le 355 navi dell’FSA, erano da intendere come un numero ideale per un investimento fiscalmente impegnativo. Il Force Structure Assessment, ad esempio, non teneva conto di svariate voci, come i costi necessari per mantenere operativa la flotta di 355 unità, che potrebbe essere addirittura superiore ai costi di acquisizione. Era un numero espresso con autorità e fondato sul collettivo giudizio professionale della flotta, ma rappresentava un termine di riferimento ideale per le discussioni sui prossimi bilanci. Oggi è diventato il simbolo della Casa Bianca.
Il numero ideale per la Marina, senza alcun tipo di riferimento economico, sarebbe di 653 navi così da soddisfare tutte le esigenze globali con il minimo rischio. Per contrastare la Marina sovietica, l'amministrazione Reagan pubblicizzò una forza di 600 navi in grado di assicurare “ragionevoli probabilità di successo nella maggior parte delle contingenze”. Le unità americane schierabili durante la guerra fredda erano circa 500.
Nel piano di previsione, la US Navy richiede ulteriori 18 sottomarini d'attacco, portando il numero da 48 a 66 (aumento del 38%), e sedici unità di superficie tra cacciatorpediniere ed incrociatori. I vettori di difesa ed attacco missilistico passerebbero da 88 a 104 per un aumento pari al 18%. Il Corpo dei Marine otterrebbe dodici navi (quattro quelle d’assalto anfibio) per sostenere i rischieramenti nel globo. La US Navy, ripristina il vecchio obiettivo delle 52 Littoral Combat Ships (il Segretario alla Difesa uscente Ash Carter aveva bloccato l’acquisizione a 40 navi). Nessuna variazione proposta, infine, per la nuova flotta strategica Columbia, basata su dodici sottomarini.
La stima del Congressional Budget Office
La Marina Militare degli Stati Uniti potrebbe raggiungere il suo obiettivo di 355 navi entro il 2035, ma per stabilizzare tale numero nel tempo dovrebbe acquistare 329 navi in 30 anni. L' Ufficio di Bilancio del Congresso, infatti, rileva che la maggior parte delle navi attualmente in servizio, saranno ritirate entro il 2035. Tra il 2018 ed il 2048, ad esempio, la Marina statunitense dovrebbe acquistare dieci portaerei classe Gerald R. Ford in sostituzione della flotta Nimitz. Nell'ultimo decennio, il rateo di acquisizione annuale della US Navy è stato mediamente di 8/10 unità. Se venisse approvato il piano per le 355 unità, l’acquisizione annuale passerebbe inizialmente a 12 e poi a 15 navi. Negli ultimi sette anni, sono stati siglati contratti per 86 navi da combattimento.
Rispetto al Force Structure Assessment, il Congressional Budget Office stima anche i costi operativi totali. Una flotta di 355 navi costerebbe 102 miliardi di dollari l’anno, comprese manutenzione e personale. Il CBO, punto di riferimento del Congresso nel processo di redazione del bilancio federale, stima che la nuova flotta avrà bisogno di ulteriori 19.000 marinai in servizio attivo. Attualmente, il personale in divisa è di 324 mila unità.
Cinque presidenti, cinque punti di vista
I 18 anni necessari per costruire una flotta operativa di 355 navi pongono alcuni problemi. L’intero programma è potenzialmente spalmato su cinque diverse amministrazioni. Ogni Presidente potrebbe avere (quasi certamente la avrà) una priorità diversa: ciò esporrà il piano di riarmo navale alla natura ciclica dell'economia. Per definizione, la potenza di combattimento costituisce il denominatore comune tra guerra e strategia marittima tempo di pace. La ragionevole possibilità di successo in battaglia, infatti, dovrebbe essere calibrata contro quei nemici che l’amministrazione Trump dovrà localizzare e sperare di valutare nel modo corretto. Sulla stima della forza nemica, quindi, si plasma la letalità della propria forza. Il tutto, infine, contestualizzato in uno scenario moderno asimmetrico. Priorità, ambizioni, analisi: sono concetti altamente variabili in tempi di pace. Gli stessi nemici identificati dall’amministrazione Trump, potrebbero non essere considerati tali dai futuri presidenti. Potrebbero sorgerne anche di nuovi. Le risorse, quindi, dovranno tenere conto delle dimensioni geografiche e della assegnazione strategica della flotta.
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Le 355 navi da guerra di Trump economicamente non sostenibili
"Le 355 navi di Trump richiederebbero 102 miliardi di dollari l’anno in soli costi operativi. Per costruirle sarebbero necessari 18 anni"
Franco Iacch - Mer, 26/04/2017 - 10:27
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La flotta di 355 navi promessa dal Presidente Donald Trump richiederebbe quasi venti anni e costerebbe più di cento miliardi di dollari l'anno. E’ quanto si legge nel rapporto del Congressional Budget Office (CBO) pubblicato poche ore fa.
“Sarebbe molto più complicato e costoso di quanto sembri”.
Le 355 navi di Trump
Il Presidente Donald Trump ha fatto suo il documento della US Navy denominato Force Structure Assessment, per la costruzione di una flotta di 355 unità, la più grande dalla fine della guerra fredda. Tale proposta, ritenuta ideale fino allo scorso gennaio, era superiore ai programmi di riarmo pubblicizzati da Trump durante la sua campagna elettorale. Quel numero è adesso diventato un obiettivo presidenziale. La US Navy propone di costruire il 14% delle unità in più rispetto a quanto stimato nel precedente obiettivo FSA del 2014 fissato a 308 navi. L’incremento è di quasi il 30% rispetto alla dimensione attuale della flotta che oggi si basa su 275 vettori. Tale piano di riarmo comporterebbe una spesa ulteriore stimata variabile di 4/5,5 miliardi di dollari l’anno per i prossimi trent’anni nel budget di costruzione della Marina attualmente fissato a 12,3 miliardi di dollari. Tale investimento aggirerebbe i dispositivi di legge per il controllo sul bilancio. Il Force Structure Assessment, oggi diventato un pilastro della Casa Bianca, era un documento ideale, scevro da qualsiasi controllo finanziario, ma rappresentava la posizione dei militari. Le 355 navi dell’FSA, erano da intendere come un numero ideale per un investimento fiscalmente impegnativo. Il Force Structure Assessment, ad esempio, non teneva conto di svariate voci, come i costi necessari per mantenere operativa la flotta di 355 unità, che potrebbe essere addirittura superiore ai costi di acquisizione. Era un numero espresso con autorità e fondato sul collettivo giudizio professionale della flotta, ma rappresentava un termine di riferimento ideale per le discussioni sui prossimi bilanci. Oggi è diventato il simbolo della Casa Bianca.
Il numero ideale per la Marina, senza alcun tipo di riferimento economico, sarebbe di 653 navi così da soddisfare tutte le esigenze globali con il minimo rischio. Per contrastare la Marina sovietica, l'amministrazione Reagan pubblicizzò una forza di 600 navi in grado di assicurare “ragionevoli probabilità di successo nella maggior parte delle contingenze”. Le unità americane schierabili durante la guerra fredda erano circa 500.
Nel piano di previsione, la US Navy richiede ulteriori 18 sottomarini d'attacco, portando il numero da 48 a 66 (aumento del 38%), e sedici unità di superficie tra cacciatorpediniere ed incrociatori. I vettori di difesa ed attacco missilistico passerebbero da 88 a 104 per un aumento pari al 18%. Il Corpo dei Marine otterrebbe dodici navi (quattro quelle d’assalto anfibio) per sostenere i rischieramenti nel globo. La US Navy, ripristina il vecchio obiettivo delle 52 Littoral Combat Ships (il Segretario alla Difesa uscente Ash Carter aveva bloccato l’acquisizione a 40 navi). Nessuna variazione proposta, infine, per la nuova flotta strategica Columbia, basata su dodici sottomarini.
La stima del Congressional Budget Office
La Marina Militare degli Stati Uniti potrebbe raggiungere il suo obiettivo di 355 navi entro il 2035, ma per stabilizzare tale numero nel tempo dovrebbe acquistare 329 navi in 30 anni. L' Ufficio di Bilancio del Congresso, infatti, rileva che la maggior parte delle navi attualmente in servizio, saranno ritirate entro il 2035. Tra il 2018 ed il 2048, ad esempio, la Marina statunitense dovrebbe acquistare dieci portaerei classe Gerald R. Ford in sostituzione della flotta Nimitz. Nell'ultimo decennio, il rateo di acquisizione annuale della US Navy è stato mediamente di 8/10 unità. Se venisse approvato il piano per le 355 unità, l’acquisizione annuale passerebbe inizialmente a 12 e poi a 15 navi. Negli ultimi sette anni, sono stati siglati contratti per 86 navi da combattimento.
Rispetto al Force Structure Assessment, il Congressional Budget Office stima anche i costi operativi totali. Una flotta di 355 navi costerebbe 102 miliardi di dollari l’anno, comprese manutenzione e personale. Il CBO, punto di riferimento del Congresso nel processo di redazione del bilancio federale, stima che la nuova flotta avrà bisogno di ulteriori 19.000 marinai in servizio attivo. Attualmente, il personale in divisa è di 324 mila unità.
Cinque presidenti, cinque punti di vista
I 18 anni necessari per costruire una flotta operativa di 355 navi pongono alcuni problemi. L’intero programma è potenzialmente spalmato su cinque diverse amministrazioni. Ogni Presidente potrebbe avere (quasi certamente la avrà) una priorità diversa: ciò esporrà il piano di riarmo navale alla natura ciclica dell'economia. Per definizione, la potenza di combattimento costituisce il denominatore comune tra guerra e strategia marittima tempo di pace. La ragionevole possibilità di successo in battaglia, infatti, dovrebbe essere calibrata contro quei nemici che l’amministrazione Trump dovrà localizzare e sperare di valutare nel modo corretto. Sulla stima della forza nemica, quindi, si plasma la letalità della propria forza. Il tutto, infine, contestualizzato in uno scenario moderno asimmetrico. Priorità, ambizioni, analisi: sono concetti altamente variabili in tempi di pace. Gli stessi nemici identificati dall’amministrazione Trump, potrebbero non essere considerati tali dai futuri presidenti. Potrebbero sorgerne anche di nuovi. Le risorse, quindi, dovranno tenere conto delle dimensioni geografiche e della assegnazione strategica della flotta.
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Re: Dove va l'America?
OBAMACARE
http://www.lastampa.it/medialab/data-jo ... /obamacare
Sistema sanitario degli Stati Uniti d'America
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_s ... a_del_2010(Reindirizzamento da Obamacare)
http://www.lastampa.it/medialab/data-jo ... /obamacare
Sistema sanitario degli Stati Uniti d'America
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Re: Dove va l'America?
UncleTom ha scritto:OBAMACARE
http://www.lastampa.it/medialab/data-jo ... /obamacare
Sistema sanitario degli Stati Uniti d'America
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_s ... a_del_2010(Reindirizzamento da Obamacare)
Gli STRUMPTRUPPEN, si rendono ben conto che il loro idolo dopo quasi un quarto di secolo è irrimediabilmente al tramonto.
Quando esce dal sarcofago e si manifesta ai devoti, non crea più l’entusiasmo di una volta. Ha perso lo smalto.
Il faraone Totanberluskonen I ha poi anche venduto il Milan ai cinesi e i milanisti si sentono traditi perché pensavano che gli eredi continuassero la tradizione, come hanno fatto gli Agnellini di Torino.
Ma Marina che è attaccata ai soldi e deve far quadrare i bilanci, ha detto basta al giocattolo del vecchio genitore, che tra l’altro gli procurava consenso politico.
Il faraone non ha saputo creare un erede politico all’altezza della situazione.
Quando ha affidato il partito ad Angelino Alfano, ha dovuto riprenderselo in fretta e furia altrimenti perdeva l’elettorato.
Ci ha provato con il Gabibbo Bianco, Toti, ma non ha funzionato.
Ci ha provato a Milano con Parisi, ma è stato un altro fallimento.
Il centrodestra non ha più un punto di riferimento del livello del faraone.
Per questo motivo i giornali che hanno fatto riferimento per un quarto di secolo al faraone, adesso si sono scelti un “profeta” a stelle e striscie.
E lo onorano e adorano come il vecchio faraone.
Anche quando spara cazzate.
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Obamacare, vittoria di Trump
La Camera cancella la riforma
Chiara Sarra
^^^^^
Vittoria di Trump sulla Sanità: la Camera cancella l'Obamacare
Con 217 sì contro 213 no, la Camera ha approvato la riforma di Trump che smantella in gran parte quella voluta da Barack Obama
Chiara Sarra - Gio, 04/05/2017 - 21:02
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"L'Obamacare è morta", aveva promesso oggi Donald Trump.
E puntuale è arrivato il verdetto della Camera dei rappresentanti sulla controriforma sanitaria che smantella in gran parte quella voluta da Barack Obama.
Il provvedimento è passato, seppur con una maggioranza risicata (217 sì contro 213 no). Al Grand Old Party servivano 216 voti per approvare la legge. Una rivincita per il tycoon, dopo che lo scorso marzo il piano di riforma era stato ritirato perché mancavano i voti necessari per il via libera della Camera. Il testo dovrà ora passare il vaglio del Senato.
"Gli americani hanno sofferto per l'Obamacare", ha detto Trump in in conferenza stampa, "Ho detto tempo fa che non avrebbe funzionato. È una vittoria incredibile e lo sarà ancora di più quando ci sarà l'approvazione al Senato. Sono fiducioso che arriverà". "Benvenuti all'inizio della fine dell'Obamacare", esulta anche il vicepresidente Usa, Mike Pence, "Abbiamo fatto un passo importante per abrogare finalmente l'Obamacare e dare ai cittadini il sistema sanitario che meritano".
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Re: Dove va l'America?
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Macedonia: fabbrica fake news, intasca 10.000 euro al mese
Scritto il 07/5/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Ha festeggiato i 18 anni, quattro mesi fa, con una festa sontuosa nella sua città natale e ha dichiarato alla “Nbc News” che «senza il presidente eletto Donald Trump non sarebbe stato possibile». Ma che c’entra? Dimitri, il nome è di fantasia perché ha chiesto l’anonimato al giornalista che l’ha intervistato, è uno dei tanti adolescenti-smanettoni che si sono arricchiti durante la campagna elettorale americana. Di giorno va a scuola e di notte ‘sforna’ bufale in inglese. Nel piccolo paesino di Veles, in Macedonia, esistono delle vere e proprie ‘fabbriche’ di fake news: ogni giorno producono notizie false, ma scritte in modo tale da risultare vere a chi le legge sui social network e sui siti d’informazione. Come queste tre notizie, scritte da Dimitri e pubblicate su “Huffingtonpolitics.com”, la versione fake del HuffingtonPost: “Lo stilista di Michelle Obama si rifiuta di vestire Melania Trump”, “La regina Elisabetta ha invitato Trump”, l’attore George Lopez “promette di lasciare gli Usa a causa della vittoria di Trump”).
Come si è arricchito spacciando notizie false? In due modi. Scrivendo notizie false e vendendole ai siti d’informazione degli Stati Uniti e pubblicandole anche su siti, come “Usa Daily News 24”, per poi postarle su Facebook. Più clic si riceve più si guadagna (un centesimo per clic) grazie alle pubblicità di Google inserite nel sito. I soldi arrivano direttamente nel suo account Google AdSense, che solo nel mese di settembre ha visto un + 7.500 euro. Un sito che, come si può vedere, ha una bella grafica e sembra, a tutti gli effetti un sito web americano, in realtà è nato ed è stato registrato a Veles, come altri 200 che garantiscono tanti soldi ad almeno sei ‘squadre’ che sfornano fake news in questa cittadina di 55mila abitanti, diventata la miniera d’oro delle bufale sul web. Dimitri ha raccontato di aver guadagnato almeno 56mila euro negli ultimi sei mesi, superando di gran lunga il reddito dei genitori e di molte altre famiglie della sua città, dove il salario medio annuo è di 4.500 euro. La sua principale fonte di denaro? I sostenitori e gli elettori del presidente eletto Donald Trump che, inevitabilmente, hanno messo “Mi Piace” e condiviso sui social le tante notizie negative scritte ad arte su Hillary Clinton.
«Ho scritto, in inglese logicamente, gran parte delle bufale sullo scandalo delle email che ha investito la Clinton, e sulla sua (probabile) malattia, e per questo non adatta come presidente degli Usa”, ha dichiarato Dimitri all’emittente americana. Perché proprio Veles è la fabbrica delle bufale? Quasi un quarto dei macedoni è attualmente disoccupato, un tasso di circa cinque volte superiore a quello negli Stati Uniti. Poi la maggior parte dei ragazzi parla correntemente l’inglese. Chi produce notizie false guadagna talmente tanti soldi da poterli investire comprando case e appartamenti, fondando aziende e acquistando automobili costose. E, come accade in ogni parte del mondo, ora questi ragazzi sono diventati anche “più belli” agli occhi delle ragazze. «Non è un’attività criminale», ha affermato il sindaco della città, «perché», ha concluso, «tutto il denaro guadagnato dagli adolescenti viene tassato regolarmente».
(Luigi Garofalo, “Fake news, ha guadagnato 56mila euro in 6 mesi ‘fabbricando’ bufale. La storia di un 18enne macedone”, da “Key4Biz” del 18 gennaio 2017. Diretto da Raffaele Barberio, “Key4Biz” è un newsmagazine sulla “digital economy”, con aggiornamenti quotidiani sul mondo del web).
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Macedonia: fabbrica fake news, intasca 10.000 euro al mese
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Ha festeggiato i 18 anni, quattro mesi fa, con una festa sontuosa nella sua città natale e ha dichiarato alla “Nbc News” che «senza il presidente eletto Donald Trump non sarebbe stato possibile». Ma che c’entra? Dimitri, il nome è di fantasia perché ha chiesto l’anonimato al giornalista che l’ha intervistato, è uno dei tanti adolescenti-smanettoni che si sono arricchiti durante la campagna elettorale americana. Di giorno va a scuola e di notte ‘sforna’ bufale in inglese. Nel piccolo paesino di Veles, in Macedonia, esistono delle vere e proprie ‘fabbriche’ di fake news: ogni giorno producono notizie false, ma scritte in modo tale da risultare vere a chi le legge sui social network e sui siti d’informazione. Come queste tre notizie, scritte da Dimitri e pubblicate su “Huffingtonpolitics.com”, la versione fake del HuffingtonPost: “Lo stilista di Michelle Obama si rifiuta di vestire Melania Trump”, “La regina Elisabetta ha invitato Trump”, l’attore George Lopez “promette di lasciare gli Usa a causa della vittoria di Trump”).
Come si è arricchito spacciando notizie false? In due modi. Scrivendo notizie false e vendendole ai siti d’informazione degli Stati Uniti e pubblicandole anche su siti, come “Usa Daily News 24”, per poi postarle su Facebook. Più clic si riceve più si guadagna (un centesimo per clic) grazie alle pubblicità di Google inserite nel sito. I soldi arrivano direttamente nel suo account Google AdSense, che solo nel mese di settembre ha visto un + 7.500 euro. Un sito che, come si può vedere, ha una bella grafica e sembra, a tutti gli effetti un sito web americano, in realtà è nato ed è stato registrato a Veles, come altri 200 che garantiscono tanti soldi ad almeno sei ‘squadre’ che sfornano fake news in questa cittadina di 55mila abitanti, diventata la miniera d’oro delle bufale sul web. Dimitri ha raccontato di aver guadagnato almeno 56mila euro negli ultimi sei mesi, superando di gran lunga il reddito dei genitori e di molte altre famiglie della sua città, dove il salario medio annuo è di 4.500 euro. La sua principale fonte di denaro? I sostenitori e gli elettori del presidente eletto Donald Trump che, inevitabilmente, hanno messo “Mi Piace” e condiviso sui social le tante notizie negative scritte ad arte su Hillary Clinton.
«Ho scritto, in inglese logicamente, gran parte delle bufale sullo scandalo delle email che ha investito la Clinton, e sulla sua (probabile) malattia, e per questo non adatta come presidente degli Usa”, ha dichiarato Dimitri all’emittente americana. Perché proprio Veles è la fabbrica delle bufale? Quasi un quarto dei macedoni è attualmente disoccupato, un tasso di circa cinque volte superiore a quello negli Stati Uniti. Poi la maggior parte dei ragazzi parla correntemente l’inglese. Chi produce notizie false guadagna talmente tanti soldi da poterli investire comprando case e appartamenti, fondando aziende e acquistando automobili costose. E, come accade in ogni parte del mondo, ora questi ragazzi sono diventati anche “più belli” agli occhi delle ragazze. «Non è un’attività criminale», ha affermato il sindaco della città, «perché», ha concluso, «tutto il denaro guadagnato dagli adolescenti viene tassato regolarmente».
(Luigi Garofalo, “Fake news, ha guadagnato 56mila euro in 6 mesi ‘fabbricando’ bufale. La storia di un 18enne macedone”, da “Key4Biz” del 18 gennaio 2017. Diretto da Raffaele Barberio, “Key4Biz” è un newsmagazine sulla “digital economy”, con aggiornamenti quotidiani sul mondo del web).
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Re: Dove va l'America?
UN TEMPO ERA IL RIFERIMENTO DELLA DEMOCRAZIA. POI CON LA PIRAMIDE MASSONICO-FINANZIARIA E' DIVENTATA UNA DEMOCRATURA. ADESSO SI E' TRASFORMATA IN UNA DITTATURA, ANCHE SE ALL'FBI CI STANNO TUTT'ALTRO CHI STINCHI DI SANTO.
Trump licenzia il capo dell’Fbi James Comey
Indagava sui rapporti tra il tycoon e la Russia
“Non è più in grado” ha detto il presidente, motivando la cacciata con gli errori commessi sulle email
di Hillary Clinton. Ma i democratici attaccano: vuole insabbiare l’inchiesta sui suoi legami con Mosca
Mondo
“E’ necessario trovare una nuova leadership che permetta di ritrovare la fiducia pubblica nella missione dell’FBI”. Con queste parole Donald Trump ha licenziato il direttore dell’FBI, James Comey. Licenziamento “suggerito” a Trump dal segretario alla giustizia Jeff Sessions e dal suo vice, Ron Rosenstein, che citano la gestione delle indagini sulle mail di Hillary Clinton. In realtà, come fanno notare i democratici, Trump licenzia l’uomo che sta indagando sui suoi legami con la Russia
di Roberto Festa
Trump licenzia il capo dell’Fbi James Comey
Indagava sui rapporti tra il tycoon e la Russia
“Non è più in grado” ha detto il presidente, motivando la cacciata con gli errori commessi sulle email
di Hillary Clinton. Ma i democratici attaccano: vuole insabbiare l’inchiesta sui suoi legami con Mosca
Mondo
“E’ necessario trovare una nuova leadership che permetta di ritrovare la fiducia pubblica nella missione dell’FBI”. Con queste parole Donald Trump ha licenziato il direttore dell’FBI, James Comey. Licenziamento “suggerito” a Trump dal segretario alla giustizia Jeff Sessions e dal suo vice, Ron Rosenstein, che citano la gestione delle indagini sulle mail di Hillary Clinton. In realtà, come fanno notare i democratici, Trump licenzia l’uomo che sta indagando sui suoi legami con la Russia
di Roberto Festa
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Re: Dove va l'America?
....... C'ERA UNA VOLTA LA DEMOCRAZIA..............
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Craig Roberts: tradire chi li ha votati è la loro vera missione
Scritto il 10/5/17 • nella Categoria: idee Condividi
La svendita di Trump al termine della svendita di Obama, durata otto anni.
Istruttivo: ora abbiamo un presidente democratico che ha svenduto i suoi elettori, e un presidente repubblicano che ha appena fatto la stessa cosa.
Questo è un punto molto interessante, il cui significato sfugge alla maggior parte delle persone – ma non al presidente russo Vladimir Putin, che al summit del Club Valdai ha riassunto lo stato della democrazia occidentale in termini che riassumo così, parafrasandoli: “In Occidente, gli elettori non possono cambiare la politica attraverso le elezioni, perché le élite dominanti controllano chiunque sia eletto.
Le elezioni danno l’illusione della democrazia, ma il voto non cambia le politiche che favoriscono la guerra e le élite.
Pertanto, la volontà popolare è neutralizzata.
I cittadini vedono che il loro voto non ha alcuna influenza sugli affari del paese.
Ciò li rende impauriti, frustrati e arrabbiati: una combinazione di emozioni pericolose per l’élite dominante che, in risposta, orienta i poteri dello Stato contro il popolo, esortandoli con la propaganda a sostenere altre guerre.
Obama aveva promesso di uscire dall’Afghanistan o dall’Iraq, o forse da entrambi i paesi.
Aveva promesso di abolire lo “Stato di polizia” creato dal regime di George W. Bush.
E aveva promesso di concentrare le risorse americane sui problemi domestici, come l’assistenza sanitaria”.
Ma cosa ha fatto, Obama?
Ha esteso le guerre in corso e ne ha lanciate di nuove, ha distrutto la Libia e tentato di distruggere la Siria, ma è stato fermato dalla non-partecipazione britannica e dall’opposizione russa. Ha rovesciato i governi democratici in Honduras e in Ucraina.
Ha ampliato lo “Stato di polizia”. Ha iniziato la demonizzazione della Russia e di Putin.
Ha tradito nuovamente il popolo americano, permettendo all’industria assicurativa privata di scrivere il suo piano sanitario, conosciuto come Obamacare.
Gli interessi privati, di fatto, hanno predisposto direttamente il programma, che dirotta i fondi pubblici dall’assistenza sanitaria verso i loro profitti.
Tutto questo è stato dimenticato quando le élite governative e i media “presstiuti” al loro servizio hanno rifocalizzato la demonizzazione su Trump.
Improvvisamente, il presidente neo-eletto è diventato il principale pericolo per gli Stati Uniti e per il popolo americano.
Trump era un agente russo.
Aveva cospirato con Putin per rubare l’elezione a Hillary Clinton e rendere la Casa Bianca un partner della presunta riconfigurazione di Putin dell’Impero Sovietico.
Una sciocchezza furiosa, ma efficace.
Così Trump ha ceduto alla pressione e ha sacrificato il suo consigliere per la sicurezza nazionale, che aveva sostenuto la promessa di normalizzare i rapporti con la Russia.
Trump lo ha sostituito con un idiota russofobo che, a quanto pare, non vede l’ora di vedere nubi a forma di fungo atomico sulle città di tutto il mondo occidentale.
Perché i due presidenti succedutisi alla Casa Bianca hanno completamente “venduto” la gente che aveva votato per loro?
La risposta è che i presidenti non sono tanto potenti quanto i gruppi di interesse che prendono le decisioni.
Trump era d’accordo sull’idea di sganciarsi dalla Siria, ma poi ha commesso un ambiguo crimine di guerra, attaccando gratuitamente Siria con i missili Tomahawk.
Stava per normalizzare i rapporti con la Russia, ma ora il suo segretario di Stato annuncia che le sanzioni economiche statunitensi resteranno invariate, sulla Russia, finché Mosca non cede all’Ucraina la sua base navale sul Mar Nero, in Crimea.
È impossibile normalizzare le relazioni quando il loro costo, per l’altra parte, è il suicidio nazionale.
Nonostante la completa resa di Trump a quei poteri, il 2 maggio su “Npr” (National Public Radio) ho sentito della grezza propaganda, travestita da “opinione di esperti”, secondo cui Trump sarebbe allergico ai media, quando invece quello che tutti abbiamo visto è una massiccia preoccupazione dei media contro Trump, compreso il programma che stavo ascoltando.
“Npr”, ad esempio, aveva messo insieme “esperti” che dicevano che Trump avesse calunniato Obama, accusandolo di intercettare le sue comunicazioni.
“Npr” non ha detto niente sull’attacco del regime Obama contro Trump, accusato di aver cospirato con Putin per “scippare” l’elezione da Hillary Clinton.
Se c’era una calunnia era proprio quella, e invece il discorso, in radio, era tutto concentrato su come Obama potrebbe citare in giudizio Trump.
Ma perché l’oligarchia dominante utilizza ancora i suoi “presstituti” per combattere contro un presidente che si è arreso? Forse la risposta è che il vero potere sta “pestando” Trump a mo’ di avvertimento, in modo che nessun candidato faccia mai più un appello populista all’elettorato.
(Paul Craig Roberts, “Democrazia americana, un morto che cammina”, dal blog di Craig Roberts del 2 maggio 2017).
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Craig Roberts: tradire chi li ha votati è la loro vera missione
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La svendita di Trump al termine della svendita di Obama, durata otto anni.
Istruttivo: ora abbiamo un presidente democratico che ha svenduto i suoi elettori, e un presidente repubblicano che ha appena fatto la stessa cosa.
Questo è un punto molto interessante, il cui significato sfugge alla maggior parte delle persone – ma non al presidente russo Vladimir Putin, che al summit del Club Valdai ha riassunto lo stato della democrazia occidentale in termini che riassumo così, parafrasandoli: “In Occidente, gli elettori non possono cambiare la politica attraverso le elezioni, perché le élite dominanti controllano chiunque sia eletto.
Le elezioni danno l’illusione della democrazia, ma il voto non cambia le politiche che favoriscono la guerra e le élite.
Pertanto, la volontà popolare è neutralizzata.
I cittadini vedono che il loro voto non ha alcuna influenza sugli affari del paese.
Ciò li rende impauriti, frustrati e arrabbiati: una combinazione di emozioni pericolose per l’élite dominante che, in risposta, orienta i poteri dello Stato contro il popolo, esortandoli con la propaganda a sostenere altre guerre.
Obama aveva promesso di uscire dall’Afghanistan o dall’Iraq, o forse da entrambi i paesi.
Aveva promesso di abolire lo “Stato di polizia” creato dal regime di George W. Bush.
E aveva promesso di concentrare le risorse americane sui problemi domestici, come l’assistenza sanitaria”.
Ma cosa ha fatto, Obama?
Ha esteso le guerre in corso e ne ha lanciate di nuove, ha distrutto la Libia e tentato di distruggere la Siria, ma è stato fermato dalla non-partecipazione britannica e dall’opposizione russa. Ha rovesciato i governi democratici in Honduras e in Ucraina.
Ha ampliato lo “Stato di polizia”. Ha iniziato la demonizzazione della Russia e di Putin.
Ha tradito nuovamente il popolo americano, permettendo all’industria assicurativa privata di scrivere il suo piano sanitario, conosciuto come Obamacare.
Gli interessi privati, di fatto, hanno predisposto direttamente il programma, che dirotta i fondi pubblici dall’assistenza sanitaria verso i loro profitti.
Tutto questo è stato dimenticato quando le élite governative e i media “presstiuti” al loro servizio hanno rifocalizzato la demonizzazione su Trump.
Improvvisamente, il presidente neo-eletto è diventato il principale pericolo per gli Stati Uniti e per il popolo americano.
Trump era un agente russo.
Aveva cospirato con Putin per rubare l’elezione a Hillary Clinton e rendere la Casa Bianca un partner della presunta riconfigurazione di Putin dell’Impero Sovietico.
Una sciocchezza furiosa, ma efficace.
Così Trump ha ceduto alla pressione e ha sacrificato il suo consigliere per la sicurezza nazionale, che aveva sostenuto la promessa di normalizzare i rapporti con la Russia.
Trump lo ha sostituito con un idiota russofobo che, a quanto pare, non vede l’ora di vedere nubi a forma di fungo atomico sulle città di tutto il mondo occidentale.
Perché i due presidenti succedutisi alla Casa Bianca hanno completamente “venduto” la gente che aveva votato per loro?
La risposta è che i presidenti non sono tanto potenti quanto i gruppi di interesse che prendono le decisioni.
Trump era d’accordo sull’idea di sganciarsi dalla Siria, ma poi ha commesso un ambiguo crimine di guerra, attaccando gratuitamente Siria con i missili Tomahawk.
Stava per normalizzare i rapporti con la Russia, ma ora il suo segretario di Stato annuncia che le sanzioni economiche statunitensi resteranno invariate, sulla Russia, finché Mosca non cede all’Ucraina la sua base navale sul Mar Nero, in Crimea.
È impossibile normalizzare le relazioni quando il loro costo, per l’altra parte, è il suicidio nazionale.
Nonostante la completa resa di Trump a quei poteri, il 2 maggio su “Npr” (National Public Radio) ho sentito della grezza propaganda, travestita da “opinione di esperti”, secondo cui Trump sarebbe allergico ai media, quando invece quello che tutti abbiamo visto è una massiccia preoccupazione dei media contro Trump, compreso il programma che stavo ascoltando.
“Npr”, ad esempio, aveva messo insieme “esperti” che dicevano che Trump avesse calunniato Obama, accusandolo di intercettare le sue comunicazioni.
“Npr” non ha detto niente sull’attacco del regime Obama contro Trump, accusato di aver cospirato con Putin per “scippare” l’elezione da Hillary Clinton.
Se c’era una calunnia era proprio quella, e invece il discorso, in radio, era tutto concentrato su come Obama potrebbe citare in giudizio Trump.
Ma perché l’oligarchia dominante utilizza ancora i suoi “presstituti” per combattere contro un presidente che si è arreso? Forse la risposta è che il vero potere sta “pestando” Trump a mo’ di avvertimento, in modo che nessun candidato faccia mai più un appello populista all’elettorato.
(Paul Craig Roberts, “Democrazia americana, un morto che cammina”, dal blog di Craig Roberts del 2 maggio 2017).
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Re: Dove va l'America?
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“Bin Laden e Isis agli ordini dei Bush, entro 2 anni le prove”
Scritto il 12/5/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«Entro un paio d’anni il mondo verrà a sapere, ufficialmente, che Osama Bin Laden faceva parte della stessa organizzazione segreta di George W.Bush, la “Hathor Pentalpha”, alla quale appartiene lo stesso Al-Baghdadi, il leader dell’Isis». Non è una profezia, è una previsione. Porta la firma dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Un libro che ricostruisce il ruolo della supermassoneria internazionale nell’ambito di un particolare sistema di dominio che l’autore chiama “sovragestione”: strategia della tensione progettata da elementi dell’élite politica, economica, finanziaria e militare. Secondo Carpeoro, il “neoterrorismo” è direttamente coordinato da servizi segreti e affidato a manovalanza “islamista”, opportunamente coltivata. Al vertice della piramide si troverebbe una Ur-Lodge (superloggia) come la “Hathor Pentalpha”, fondata da Bush senior nel 1980. La “novità”, annunciata da Carpeoro alla web-radio “Forme d’Onda”, riguarda le rivelazioni che ci attendono: «Sono certo che Julian Assange è perfettamente al corrente di tutto ciò, ed è probabile che sarà Wikileaks a fornire le prove incontrovertibili dei legami più che imbarazzanti tra il vertice Usa, Al-Qaeda e il cosiddetto Stato Islamico».
Il primo a rivelare pubblicamente l’esistenza di 36 “superlogge-ombra” al vertice della massoneria internazionale è stato Gioele Magaldi, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, a fine 2014. Nella trattazione – di cui Magaldi assicura di poter fornire le prove, custodite in 6.000 pagine di documenti – l’autore scrive che proprio alla “Hathor”, creata dal clan Bush reclutando l’intero vertice “neocon” più leader europei come Blair e Sarkozy nonché il turco Erdogan, si deve l’incubazione dell’attentato epocale dell’11 Settembre, casus belli “perfetto” per scatenare le guerre in Afghanistan, in Iraq e, a ruota, nel resto del Medio Oriente, fino alla Libia e alla Siria. Ufficialmente, gli storici riconoscono il ruolo di Bin Laden in Afghanistan negli anni ‘80, finanziato dalla Cia: una celebre foto lo ritrae con un supermassone come Zbigniew Brzezinski, già stratega di Jimmy Carter. Un’altra foto, molto più recente, immortala – questa volta in Siria – l’inviato di Obama, il potente senatore John McCain, accanto all’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, stranamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq.
Alla lettura degli eventi, Magaldi fornisce il “collante invisibile” che spiega quegli incontri: Bin Laden e Al-Baghdadi, sostiene, sono stati entrambi affiliati alla “Hathor Pentalpha”, con il compito di fornire all’oligarchia occidentale il pretesto per le ultime guerre. Carpeoro aggiunge che a questa stessa “sovragestione” va ascritto l’opaco terrorismo che di recente ha colpito l’Europa, da Charlie Hebdo al Bataclan fino alla strage di Nizza, passando per gli attentati a Londra, a Bruxelles e in Germania. Massacri efferati, regolarmente “firmati” in modo simbolico (date, luoghi nomi), in modo da rivendicare, in codice, la matrice non islamica (ma sovra-massonica) degli ideatori.«Non bisognerebbe nemmeno chiamarli massoni», precisa Carpeoro, «ma sono loro ad accreditarsi così». La “novità” annunciata nella trasmissione web-radio dell’11 maggio è che il gioco, denunciato da più parti alla voce “terrorismo false flag”, sotto falsa bandiera e “fatto in casa”, sarà svelato definitivamente «entro un paio d’anni, carte alle mano», da più fonti, tra cui probabilmente la stessa Wikileaks, notoriamente in contatto con fonti di intelligence. «Sono convinto – aggiunge – che Assange abbia già più volte minacciato di esibire quei documenti, certamente in suo possesso, ogni volta che gli Usa hanno tentato di farlo estradare». E adesso, dice Carpeoro, prepariamoci: è solo questione di tempo, poi quelle carte usciranno. Così, anche i più scettici «avranno modo di fare qualche riflessione, sulla vera natura di questo neoterrorismo e sull’identità dei suoi reali, insospettabili mandanti».
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“Bin Laden e Isis agli ordini dei Bush, entro 2 anni le prove”
Scritto il 12/5/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«Entro un paio d’anni il mondo verrà a sapere, ufficialmente, che Osama Bin Laden faceva parte della stessa organizzazione segreta di George W.Bush, la “Hathor Pentalpha”, alla quale appartiene lo stesso Al-Baghdadi, il leader dell’Isis». Non è una profezia, è una previsione. Porta la firma dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Un libro che ricostruisce il ruolo della supermassoneria internazionale nell’ambito di un particolare sistema di dominio che l’autore chiama “sovragestione”: strategia della tensione progettata da elementi dell’élite politica, economica, finanziaria e militare. Secondo Carpeoro, il “neoterrorismo” è direttamente coordinato da servizi segreti e affidato a manovalanza “islamista”, opportunamente coltivata. Al vertice della piramide si troverebbe una Ur-Lodge (superloggia) come la “Hathor Pentalpha”, fondata da Bush senior nel 1980. La “novità”, annunciata da Carpeoro alla web-radio “Forme d’Onda”, riguarda le rivelazioni che ci attendono: «Sono certo che Julian Assange è perfettamente al corrente di tutto ciò, ed è probabile che sarà Wikileaks a fornire le prove incontrovertibili dei legami più che imbarazzanti tra il vertice Usa, Al-Qaeda e il cosiddetto Stato Islamico».
Il primo a rivelare pubblicamente l’esistenza di 36 “superlogge-ombra” al vertice della massoneria internazionale è stato Gioele Magaldi, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, a fine 2014. Nella trattazione – di cui Magaldi assicura di poter fornire le prove, custodite in 6.000 pagine di documenti – l’autore scrive che proprio alla “Hathor”, creata dal clan Bush reclutando l’intero vertice “neocon” più leader europei come Blair e Sarkozy nonché il turco Erdogan, si deve l’incubazione dell’attentato epocale dell’11 Settembre, casus belli “perfetto” per scatenare le guerre in Afghanistan, in Iraq e, a ruota, nel resto del Medio Oriente, fino alla Libia e alla Siria. Ufficialmente, gli storici riconoscono il ruolo di Bin Laden in Afghanistan negli anni ‘80, finanziato dalla Cia: una celebre foto lo ritrae con un supermassone come Zbigniew Brzezinski, già stratega di Jimmy Carter. Un’altra foto, molto più recente, immortala – questa volta in Siria – l’inviato di Obama, il potente senatore John McCain, accanto all’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, stranamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq.
Alla lettura degli eventi, Magaldi fornisce il “collante invisibile” che spiega quegli incontri: Bin Laden e Al-Baghdadi, sostiene, sono stati entrambi affiliati alla “Hathor Pentalpha”, con il compito di fornire all’oligarchia occidentale il pretesto per le ultime guerre. Carpeoro aggiunge che a questa stessa “sovragestione” va ascritto l’opaco terrorismo che di recente ha colpito l’Europa, da Charlie Hebdo al Bataclan fino alla strage di Nizza, passando per gli attentati a Londra, a Bruxelles e in Germania. Massacri efferati, regolarmente “firmati” in modo simbolico (date, luoghi nomi), in modo da rivendicare, in codice, la matrice non islamica (ma sovra-massonica) degli ideatori.«Non bisognerebbe nemmeno chiamarli massoni», precisa Carpeoro, «ma sono loro ad accreditarsi così». La “novità” annunciata nella trasmissione web-radio dell’11 maggio è che il gioco, denunciato da più parti alla voce “terrorismo false flag”, sotto falsa bandiera e “fatto in casa”, sarà svelato definitivamente «entro un paio d’anni, carte alle mano», da più fonti, tra cui probabilmente la stessa Wikileaks, notoriamente in contatto con fonti di intelligence. «Sono convinto – aggiunge – che Assange abbia già più volte minacciato di esibire quei documenti, certamente in suo possesso, ogni volta che gli Usa hanno tentato di farlo estradare». E adesso, dice Carpeoro, prepariamoci: è solo questione di tempo, poi quelle carte usciranno. Così, anche i più scettici «avranno modo di fare qualche riflessione, sulla vera natura di questo neoterrorismo e sull’identità dei suoi reali, insospettabili mandanti».
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Re: Dove va l'America?
Andrea Scanzi intervista Roger Waters: “Se ci sarà posto per me nella storia? Non me ne frega niente. Trump? Un ‘nincompoop'”
di Andrea Scanzi
Waters detesta le interviste. Da sempre. Il Fatto Quotidiano è l’unica testata italiana ammessa al suo cospetto, addirittura col permesso di riprendere venti minuti (dei circa trenta complessivi) con due telecamere: la trovate qui. Waters colleziona spigoli, dentro la sua testa c’è una galassia infinita di cicatrici che hanno generato la meraviglia immortale dei Pink Floyd. A venticinque anni dal precedente album di inediti, il creatore di The Wall torna con Is This The Life We Really Want?, in uscita il 2 giugno per Sony Music (in Italia il primo giugno)
di Andrea Scanzi | 13 maggio 2017
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Più informazioni su: Andrea Scanzi, New York, Pink Floyd
New York
Intervistare Dio non è facile. E Roger Waters, un po’, Dio si è sempre sentito. In Animals rileggeva il Salmo 23 tramutando l’Onnipotente in un Signore spietato col suo gregge (cioè noi). In Amused To Death asseriva che Dio voleva i massacri e la jihad. Anche nel nuovo disco si immagina di essere Dio. Un Dio che non riuscirebbe a essere drone, perché commosso dalle morti che provocherebbe: un Dio che, il giuncastro, proverebbe a usarlo un po’ meglio. A venticinque anni dal precedente album di inediti, il creatore di The Wall torna con Is This The Life We Really Want?, in uscita il 2 giugno per Sony Music (in Italia il primo giugno). Un disco d’altri tempi, di bellezza dolorosa e vertiginosa, con vette inaudite e l’universo watersiano di sempre: gli orologi, le bombe, i gabbiani, la guerra, il padre (qui meno del solito), i cani, la tecnologia, l’urlo (quel suo urlo), la radio, la tivù accesa, i cori. E una voce mai così profonda e definitiva. Colpiscono l’assenza di assoli e il ruolo quasi marginale delle chitarre: niente David Gilmour (pare che Waters e Goldrich volessero coinvolgerlo con due assoli, ma poi non se ne sia fatto di nulla). Niente Eric Clapton, presente nel primo disco solista. Niente Jeff Beck, semplicemente monumentale in Amused To Death. E niente Snowy White, che lo accompagnava già nel tour di Animals. E’ un disco nato con Nigel Godrich, storico produttore dei Radiohead e non solo. L’effetto finale ricorda quello tra Johnny Cash e Rick Rubin per il ciclo sublime delle American Recordings.
Waters detesta le interviste. Da sempre. Il Fatto Quotidiano è l’unica testata italiana ammessa al suo cospetto, addirittura col permesso di riprendere venti minuti (dei circa trenta complessivi) con due telecamere: la trovate qui. Waters colleziona spigoli, dentro la sua testa c’è una galassia infinita di cicatrici che hanno generato la meraviglia immortale dei Pink Floyd. Durante l’intervista gli capita di incupirsi e irrigidirsi. E’ come se, di continuo, i suoi occhi fossero attraversati da nubi foschissime. Che percepisce solo lui, poiché palesemente ipersenziente. Non a caso Nick Mason disse: “Quando Roger lasciò i Pink Floyd, ci sentimmo come l’Unione Sovietica dopo la morte di Stalin”. Ci sono argomenti che detesta toccare (il passato coi Pink Floyd, il rapporto con Gilmour) e altri di cui parlerebbe per ore (il padre, il presente). Intervistarlo è come stare sul ring e sperare che il campione che hai davanti, prima o poi, lasci sguarnita la difesa. Devi fare breccia e non è facile. A un certo punto accade. A metà intervista pare rasserenato, per quanto uno come lui possa esserlo. Sorride, addirittura. E poi torna corrucciato. Dio è così: non fa sconti. Vede doppie apocalissi ed è sopravvissuto a fatica allo sbarco di Anzio. Il lunatico è ancora nell’erba, il diamante è sempre pazzo. Ma risplende ancora. Cronaca di un incontro ravvicinato a New York con un genio inaudito.
Nel nuovo disco, così come in Animals, l’amore non è evasione ma catarsi e salvezza. Nelle sue opere c’è un’alternanza brutale tra “l’amore che giorno dopo giorno invecchia come la pelle di un moribondo”, come cantava in The Wall, e l’amore che assurge a unico “rifugio dai porci volanti”.
Per me è indubbiamente così. Se abbiamo la fortuna di vivere l’amore per una donna, un amore romantico ma anche di altri tipi, esso ha un effetto trascendentale su tutti gli aspetti dalla nostra vita. Nell’ambito di una relazione con una donna o un uomo, apriamo delle parti di noi che aumentano le nostre possibilità di essere empatici verso gli esseri umani in generale. Questo ci dà la possibilità di esprimere le nostre energie per entrare in empatia con gli altri e aiutarli, anziché entrare in conflitto con loro. E’ importantissimo per ognuno di noi, ma potenzialmente anche per il pianeta che stiamo distruggendo. Dobbiamo usare le nostre energie per capire come rendere sostenibile la vita per tutti e non solo per quei pochi come Trump, che sono potenti e ricchi, ma anche pazzi e disturbati in modo preoccupante.
di Andrea Scanzi
Waters detesta le interviste. Da sempre. Il Fatto Quotidiano è l’unica testata italiana ammessa al suo cospetto, addirittura col permesso di riprendere venti minuti (dei circa trenta complessivi) con due telecamere: la trovate qui. Waters colleziona spigoli, dentro la sua testa c’è una galassia infinita di cicatrici che hanno generato la meraviglia immortale dei Pink Floyd. A venticinque anni dal precedente album di inediti, il creatore di The Wall torna con Is This The Life We Really Want?, in uscita il 2 giugno per Sony Music (in Italia il primo giugno)
di Andrea Scanzi | 13 maggio 2017
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New York
Intervistare Dio non è facile. E Roger Waters, un po’, Dio si è sempre sentito. In Animals rileggeva il Salmo 23 tramutando l’Onnipotente in un Signore spietato col suo gregge (cioè noi). In Amused To Death asseriva che Dio voleva i massacri e la jihad. Anche nel nuovo disco si immagina di essere Dio. Un Dio che non riuscirebbe a essere drone, perché commosso dalle morti che provocherebbe: un Dio che, il giuncastro, proverebbe a usarlo un po’ meglio. A venticinque anni dal precedente album di inediti, il creatore di The Wall torna con Is This The Life We Really Want?, in uscita il 2 giugno per Sony Music (in Italia il primo giugno). Un disco d’altri tempi, di bellezza dolorosa e vertiginosa, con vette inaudite e l’universo watersiano di sempre: gli orologi, le bombe, i gabbiani, la guerra, il padre (qui meno del solito), i cani, la tecnologia, l’urlo (quel suo urlo), la radio, la tivù accesa, i cori. E una voce mai così profonda e definitiva. Colpiscono l’assenza di assoli e il ruolo quasi marginale delle chitarre: niente David Gilmour (pare che Waters e Goldrich volessero coinvolgerlo con due assoli, ma poi non se ne sia fatto di nulla). Niente Eric Clapton, presente nel primo disco solista. Niente Jeff Beck, semplicemente monumentale in Amused To Death. E niente Snowy White, che lo accompagnava già nel tour di Animals. E’ un disco nato con Nigel Godrich, storico produttore dei Radiohead e non solo. L’effetto finale ricorda quello tra Johnny Cash e Rick Rubin per il ciclo sublime delle American Recordings.
Waters detesta le interviste. Da sempre. Il Fatto Quotidiano è l’unica testata italiana ammessa al suo cospetto, addirittura col permesso di riprendere venti minuti (dei circa trenta complessivi) con due telecamere: la trovate qui. Waters colleziona spigoli, dentro la sua testa c’è una galassia infinita di cicatrici che hanno generato la meraviglia immortale dei Pink Floyd. Durante l’intervista gli capita di incupirsi e irrigidirsi. E’ come se, di continuo, i suoi occhi fossero attraversati da nubi foschissime. Che percepisce solo lui, poiché palesemente ipersenziente. Non a caso Nick Mason disse: “Quando Roger lasciò i Pink Floyd, ci sentimmo come l’Unione Sovietica dopo la morte di Stalin”. Ci sono argomenti che detesta toccare (il passato coi Pink Floyd, il rapporto con Gilmour) e altri di cui parlerebbe per ore (il padre, il presente). Intervistarlo è come stare sul ring e sperare che il campione che hai davanti, prima o poi, lasci sguarnita la difesa. Devi fare breccia e non è facile. A un certo punto accade. A metà intervista pare rasserenato, per quanto uno come lui possa esserlo. Sorride, addirittura. E poi torna corrucciato. Dio è così: non fa sconti. Vede doppie apocalissi ed è sopravvissuto a fatica allo sbarco di Anzio. Il lunatico è ancora nell’erba, il diamante è sempre pazzo. Ma risplende ancora. Cronaca di un incontro ravvicinato a New York con un genio inaudito.
Nel nuovo disco, così come in Animals, l’amore non è evasione ma catarsi e salvezza. Nelle sue opere c’è un’alternanza brutale tra “l’amore che giorno dopo giorno invecchia come la pelle di un moribondo”, come cantava in The Wall, e l’amore che assurge a unico “rifugio dai porci volanti”.
Per me è indubbiamente così. Se abbiamo la fortuna di vivere l’amore per una donna, un amore romantico ma anche di altri tipi, esso ha un effetto trascendentale su tutti gli aspetti dalla nostra vita. Nell’ambito di una relazione con una donna o un uomo, apriamo delle parti di noi che aumentano le nostre possibilità di essere empatici verso gli esseri umani in generale. Questo ci dà la possibilità di esprimere le nostre energie per entrare in empatia con gli altri e aiutarli, anziché entrare in conflitto con loro. E’ importantissimo per ognuno di noi, ma potenzialmente anche per il pianeta che stiamo distruggendo. Dobbiamo usare le nostre energie per capire come rendere sostenibile la vita per tutti e non solo per quei pochi come Trump, che sono potenti e ricchi, ma anche pazzi e disturbati in modo preoccupante.
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