Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
2. ROSSANA ROSSANDA
Simonetta Fiori per la Repubblica
«Ci saremmo dovuti vedere da me a Parigi giovedì. È stato un attacco improvviso, fulminante». Rossana Rossanda ricorda l' amico Valentino. Procede a fatica, ha appena terminato di scrivere un articolo per il Manifesto ed è molto stanca. Però si sforza, mossa da quella forza che solo i sentimenti possono dare.
Quando vi siete sentiti l' ultima volta?
«La settimana scorsa. Abbiamo commentato i risultati dell' elezione francese. Ma con Valentino non si parlava solo dei destini del mondo».
Parlavate anche di voi.
«Sì, si preoccupava per me. Anche nell' ultima telefonata mi ha chiesto se mi occorressero dei libri o altre cose».
L' umore com' era?
«Non buono. Era malandato. Non si sentiva più di scrivere, di partecipare alla vita politica. E questo lo rendeva infelice».
Però domenica ha votato alle primarie del Pd.
«Non lo sapevo. Spero non abbia votato Renzi, che io detesto ».
Da quanti anni vi conoscevate?
«Dal 1966, da più di cinquant' anni. Io ero responsabile della commissione Cultura dentro il Pci, Valentino lavorava a Rinascita e faceva parte della commissione economica».
Tre anni dopo avete dato vita al "Manifesto". E nel novembre di quello stesso anno foste tutti espulsi dal Partito.
«Sì, ma con le buone maniere. Nessuno gridò al "traditore" o al "serpente viscido"».
Ricorda Valentino in quei frangenti?
«No, ero troppo concentrata sul mio malumore».
Quando rievocava la storia del "Manifesto", Parlato si distingueva per umiltà. Diceva di essere «il più modesto», quasi «una figura di secondo piano».
«No, la verità è che era molto più generoso di noi. Io sono dura e cattiva, Valentino buono e ben disposto».
Lui diceva che intellettualmente era lei la più attrezzata.
«Non si può dire questo. Nel campo della cultura economica ne sapeva molto più di noi. Era amico di Federico Caffè. E quando usciva la relazione annuale della Banca d' Italia era lui a spiegarci le cose. Io forse ero più versata nelle scienze umanistiche mentre Luigi Pintor era un giornalista magnifico, l' eccellenza ».
Con Lucio Magri non si prendevano molto. Una volta la spiegò così: «Lucio era raziocinante e incline alla teoria, io un arrangista fatalista. Due modi diversi di stare al mondo».
«Arrangista? Forse perché cercava di andare d' accordo con personalità complesse, un compito non facile. Fatalista perché preferiva evitare gli scontri cruenti. Su Valentino si poteva sempre contare».
Si fece carico della direzione del "Manifesto" in vari passaggi.
«E io lo affiancai in momenti diversi. Più che un giornale eravamo un gruppo di amici legato da passioni grandi. E questo è stato anche il nostro limite».
Perché un limite?
«Perché per durare nel tempo si ha bisogno di una struttura organizzata e gerarchizzata. Mi ricordo una volta che Luigi provò a mandare una lettera con una specie di ordine di servizio: bisognava stare al giornale entro una certa ora, etc etc. La redazione organizzò una manifestazione di protesta. Era nel clima di quegli anni, al principio dei Settanta: non erano ammesse le regole. Ma un giornale così non funziona facilmente».
Qual è stato il ruolo di Parlato nella storia del "Manifesto"?
«Fondamentale. Si è sempre occupato della gestione economica. È stato quello che ci ha salvato quando incombeva la minaccia della chiusura. Valentino è riuscito sempre a cavarsela ».
Com' erano i suoi rapporti con Pintor dentro il giornale?
«Personalità diverse, ma in sintonia. Erano entrambi convinti che prima di scrivere un articolo occorresse avere in mente un titolo. Poi l' articolo sarebbe venuto da sé. Io non ero d' accordo. E non mi sognavo di anteporre il titolo all' articolo».
Anche Pintor non aveva un carattere facile.
«Sì, Luigi e io eravamo più spigolosi. Anche nel rapporto con i collaboratori. Quando Umberto Eco cominciò a scrivere per noi, Luigi ne era come infastidito e lo mise nelle condizioni di andarsene. Valentino non l' avrebbe mai mandato via».
Un tratto che vi accomunava - ha scritto Parlato - era l' antidogmatismo. Lo stesso che vi infondeva «non solo il coraggio ma anche il gusto di dire no».
«Venendo tutti dal Pci, non poteva essere diversamente. E comunque fare per tanti anni un giornale quotidiano, senza una lira, senza un editore e senza un partito alle spalle, è stata un' impresa pazzesca. E questo ci ha resi compagni di vita, oltre che di lavoro».
Lui si è sempre ritratto come uno scettico.
«Ma era un modo di apparire più che di essere. Sicuramente era molto ironico. Ma un gruppo di scettici non avrebbe mai vissuto la nostra esperienza».
Non si perdonava il suicidio di Magri. Aveva l' impressione di non aver fatto abbastanza per dissuaderlo.
«Io ho voluto aiutare Lucio accompagnandolo in Svizzera. Con Valentino non ne ho mai parlato. È una mia mancanza. Ma sono cose di cui è difficile parlare».
Vi sentivate spesso?
«Quasi tutti i giorni. Lui pensava che io fossi troppo rigida, nel giudizio sulle persone. Lui era molto più benevolo, generoso. Mi mancherà molto».
Simonetta Fiori per la Repubblica
«Ci saremmo dovuti vedere da me a Parigi giovedì. È stato un attacco improvviso, fulminante». Rossana Rossanda ricorda l' amico Valentino. Procede a fatica, ha appena terminato di scrivere un articolo per il Manifesto ed è molto stanca. Però si sforza, mossa da quella forza che solo i sentimenti possono dare.
Quando vi siete sentiti l' ultima volta?
«La settimana scorsa. Abbiamo commentato i risultati dell' elezione francese. Ma con Valentino non si parlava solo dei destini del mondo».
Parlavate anche di voi.
«Sì, si preoccupava per me. Anche nell' ultima telefonata mi ha chiesto se mi occorressero dei libri o altre cose».
L' umore com' era?
«Non buono. Era malandato. Non si sentiva più di scrivere, di partecipare alla vita politica. E questo lo rendeva infelice».
Però domenica ha votato alle primarie del Pd.
«Non lo sapevo. Spero non abbia votato Renzi, che io detesto ».
Da quanti anni vi conoscevate?
«Dal 1966, da più di cinquant' anni. Io ero responsabile della commissione Cultura dentro il Pci, Valentino lavorava a Rinascita e faceva parte della commissione economica».
Tre anni dopo avete dato vita al "Manifesto". E nel novembre di quello stesso anno foste tutti espulsi dal Partito.
«Sì, ma con le buone maniere. Nessuno gridò al "traditore" o al "serpente viscido"».
Ricorda Valentino in quei frangenti?
«No, ero troppo concentrata sul mio malumore».
Quando rievocava la storia del "Manifesto", Parlato si distingueva per umiltà. Diceva di essere «il più modesto», quasi «una figura di secondo piano».
«No, la verità è che era molto più generoso di noi. Io sono dura e cattiva, Valentino buono e ben disposto».
Lui diceva che intellettualmente era lei la più attrezzata.
«Non si può dire questo. Nel campo della cultura economica ne sapeva molto più di noi. Era amico di Federico Caffè. E quando usciva la relazione annuale della Banca d' Italia era lui a spiegarci le cose. Io forse ero più versata nelle scienze umanistiche mentre Luigi Pintor era un giornalista magnifico, l' eccellenza ».
Con Lucio Magri non si prendevano molto. Una volta la spiegò così: «Lucio era raziocinante e incline alla teoria, io un arrangista fatalista. Due modi diversi di stare al mondo».
«Arrangista? Forse perché cercava di andare d' accordo con personalità complesse, un compito non facile. Fatalista perché preferiva evitare gli scontri cruenti. Su Valentino si poteva sempre contare».
Si fece carico della direzione del "Manifesto" in vari passaggi.
«E io lo affiancai in momenti diversi. Più che un giornale eravamo un gruppo di amici legato da passioni grandi. E questo è stato anche il nostro limite».
Perché un limite?
«Perché per durare nel tempo si ha bisogno di una struttura organizzata e gerarchizzata. Mi ricordo una volta che Luigi provò a mandare una lettera con una specie di ordine di servizio: bisognava stare al giornale entro una certa ora, etc etc. La redazione organizzò una manifestazione di protesta. Era nel clima di quegli anni, al principio dei Settanta: non erano ammesse le regole. Ma un giornale così non funziona facilmente».
Qual è stato il ruolo di Parlato nella storia del "Manifesto"?
«Fondamentale. Si è sempre occupato della gestione economica. È stato quello che ci ha salvato quando incombeva la minaccia della chiusura. Valentino è riuscito sempre a cavarsela ».
Com' erano i suoi rapporti con Pintor dentro il giornale?
«Personalità diverse, ma in sintonia. Erano entrambi convinti che prima di scrivere un articolo occorresse avere in mente un titolo. Poi l' articolo sarebbe venuto da sé. Io non ero d' accordo. E non mi sognavo di anteporre il titolo all' articolo».
Anche Pintor non aveva un carattere facile.
«Sì, Luigi e io eravamo più spigolosi. Anche nel rapporto con i collaboratori. Quando Umberto Eco cominciò a scrivere per noi, Luigi ne era come infastidito e lo mise nelle condizioni di andarsene. Valentino non l' avrebbe mai mandato via».
Un tratto che vi accomunava - ha scritto Parlato - era l' antidogmatismo. Lo stesso che vi infondeva «non solo il coraggio ma anche il gusto di dire no».
«Venendo tutti dal Pci, non poteva essere diversamente. E comunque fare per tanti anni un giornale quotidiano, senza una lira, senza un editore e senza un partito alle spalle, è stata un' impresa pazzesca. E questo ci ha resi compagni di vita, oltre che di lavoro».
Lui si è sempre ritratto come uno scettico.
«Ma era un modo di apparire più che di essere. Sicuramente era molto ironico. Ma un gruppo di scettici non avrebbe mai vissuto la nostra esperienza».
Non si perdonava il suicidio di Magri. Aveva l' impressione di non aver fatto abbastanza per dissuaderlo.
«Io ho voluto aiutare Lucio accompagnandolo in Svizzera. Con Valentino non ne ho mai parlato. È una mia mancanza. Ma sono cose di cui è difficile parlare».
Vi sentivate spesso?
«Quasi tutti i giorni. Lui pensava che io fossi troppo rigida, nel giudizio sulle persone. Lui era molto più benevolo, generoso. Mi mancherà molto».
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IL RICORDO
Militante e maestro Lezioni di giornalismo e ironia: “Di brutte figure non è mai morto nessuno”
PARLATO CHE INSEGNAVA RIDENDO
» GIORGIO MELETTI
Nel tardo pomeriggio del
16 aprile 2000 Valentino
Parlato rassicurò
con tono allegro e saggio un
giornalista che poteva essere
suo figlio ed era andato a intervistarlo,
regalandogli una
grande lezione di giornalismo e
di vita: “Non ti devi preoccupare.
Di figure di merda non è mai
morto nessuno”. C’era in quella
frase la grandezza di un maestro:
senso dell’umorismo, autoironia,
distacco, cinismo (fase
suprema dell’onestà intellettuale)
erano il vestito elegante
della sua passione politica e
professionale. E lì il vestito buono
ci voleva, nella domenica elettorale
in cui il presidente del
Consiglio Massimo D’Alema si
giocava tutto (e tutto stava per
perdere) alle regionali.
Il maestro si era reso complice
di un’azione che al giovane
collega sembrava (sbagliando)
di pura impostura
giornalistica ma che
il direttore pretendeva:
i seggi
chiudevano alle
22 e per i
tempi tipografici
l’intervista
al direttore del
M an i f es t o a ndava
scritta prima
dei risultati.
“Si fa così”, istruiva
Valentino, “io ti spiego quello
che penso di D'Alema e della
sua idea dell’Italia e tu scrivi
l’intervista. Quando vedi i primi
exit poll aggiusta l’attacco:
se D’Alema vince, cosa che non
credo, mi fai dire che il voto è
l'autoritratto del Paese che se
lo fa piacere, se perde mi fai dire
che la sua strategia non porta
lontano. Tanto la sostanza
politica non cambia per un po’
di voti in più o in meno”.
Così teneva legati l’at tenzione
al prodotto giornalistico,
frutto anche dei trucchi del mestiere,
e lo sguardo lungo sulle
dinamiche politiche
e sul destino della
sinistra e del
Paese. Sorrideva,
sicuro del
suo mestiere:
“Secondo me
f u nz i o na ” .
L’i nt e r v i s t at o r e
era scettico. “E se
non funziona pazienza”.
Rise e pronunciò
la massima immortale.
Riletta oggi, quell’inte rvista
rilasciata quasi per gioco –
tra una sigaretta, una risata e
un colpo di tosse – appare lucida
e profetica sui canovacci,
anche se gli attori sono cambiati.
“Faccio parte di quella
categoria di persone secondo le
quali non c’è un buon governo
senza un buon ideale. E invece
l’elettorato italiano tende ormai
ad accettare l’idea di buon
governo anche senza un ideale
forte sottostante”. “D’Alema e
Berlusconi si imitano a vicenda,
fanno il medesimo gioco di
accattivarsi gli umori più ovvii
del Paese”.
“Capisco il punto di vista del
presidente del Consiglio: siamo
nel 2000, c’è la new economy,
siamo in Europa e quindi
la battaglia è tra chi vuole
correre e chi vuole stare fermo.
Se D’Alema vuole diventare
leader di un moderno partito
borghese e pensa che la battaglia
da fare sia contro la Cgil di
quel rompiscatole passatista
di Sergio Cofferati, si illude che
i conflitti siano solo di retroguardia,
contro gli operai conservatori.
Invece il comunismo
vede i conflitti dell’a v v enire.
Come Candide, D’Alema
pensa che ci stiamo avviando a
vivere nel migliore dei mondi
pos sibil i”. “Rifondazione comunista
è tornata a schierarsi
con lui per non rischiare la
scomparsa con la corsa solitaria.
Qui sta l'errore: l’i m p e r ativo
del primum vivere porta
alla morte certa. La verità è che
non si può vivere senza affrontare
anche il rischio di morire,
su questo Marco Pannella ha
dato significative lezioni”.
D'Alema perse le elezioni, si
dimise da palazzo Chigi e dovette
abbandonare buona parte
dei suoi sogni di gloria (non
tutti). Quell’intervista che
Parlato inventò senza tirarsela,
solo per dare una mano a un
collega in difficoltà (la sua generosità
era rara nella politica
e nel giornalismo), è ancora viva.
E fu un successo.
Il lunedì mattina, con i giornali
in edicola pieni di notizie
sulla disfatta elettorale del
centrosinistra, il maestro telefonò
all’intervistatore per
prendere in giro le sue preoccupazioni.
“Non sai quante telefonate
di congratulazioni.
Tutti che si complimentano
per l’acume della mia analisi
del voto. Vedi come funzionano
le cose?”. Il maestro rideva
e ridendo insegnava.
Twitter@giorgiomeletti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Militante e maestro Lezioni di giornalismo e ironia: “Di brutte figure non è mai morto nessuno”
PARLATO CHE INSEGNAVA RIDENDO
» GIORGIO MELETTI
Nel tardo pomeriggio del
16 aprile 2000 Valentino
Parlato rassicurò
con tono allegro e saggio un
giornalista che poteva essere
suo figlio ed era andato a intervistarlo,
regalandogli una
grande lezione di giornalismo e
di vita: “Non ti devi preoccupare.
Di figure di merda non è mai
morto nessuno”. C’era in quella
frase la grandezza di un maestro:
senso dell’umorismo, autoironia,
distacco, cinismo (fase
suprema dell’onestà intellettuale)
erano il vestito elegante
della sua passione politica e
professionale. E lì il vestito buono
ci voleva, nella domenica elettorale
in cui il presidente del
Consiglio Massimo D’Alema si
giocava tutto (e tutto stava per
perdere) alle regionali.
Il maestro si era reso complice
di un’azione che al giovane
collega sembrava (sbagliando)
di pura impostura
giornalistica ma che
il direttore pretendeva:
i seggi
chiudevano alle
22 e per i
tempi tipografici
l’intervista
al direttore del
M an i f es t o a ndava
scritta prima
dei risultati.
“Si fa così”, istruiva
Valentino, “io ti spiego quello
che penso di D'Alema e della
sua idea dell’Italia e tu scrivi
l’intervista. Quando vedi i primi
exit poll aggiusta l’attacco:
se D’Alema vince, cosa che non
credo, mi fai dire che il voto è
l'autoritratto del Paese che se
lo fa piacere, se perde mi fai dire
che la sua strategia non porta
lontano. Tanto la sostanza
politica non cambia per un po’
di voti in più o in meno”.
Così teneva legati l’at tenzione
al prodotto giornalistico,
frutto anche dei trucchi del mestiere,
e lo sguardo lungo sulle
dinamiche politiche
e sul destino della
sinistra e del
Paese. Sorrideva,
sicuro del
suo mestiere:
“Secondo me
f u nz i o na ” .
L’i nt e r v i s t at o r e
era scettico. “E se
non funziona pazienza”.
Rise e pronunciò
la massima immortale.
Riletta oggi, quell’inte rvista
rilasciata quasi per gioco –
tra una sigaretta, una risata e
un colpo di tosse – appare lucida
e profetica sui canovacci,
anche se gli attori sono cambiati.
“Faccio parte di quella
categoria di persone secondo le
quali non c’è un buon governo
senza un buon ideale. E invece
l’elettorato italiano tende ormai
ad accettare l’idea di buon
governo anche senza un ideale
forte sottostante”. “D’Alema e
Berlusconi si imitano a vicenda,
fanno il medesimo gioco di
accattivarsi gli umori più ovvii
del Paese”.
“Capisco il punto di vista del
presidente del Consiglio: siamo
nel 2000, c’è la new economy,
siamo in Europa e quindi
la battaglia è tra chi vuole
correre e chi vuole stare fermo.
Se D’Alema vuole diventare
leader di un moderno partito
borghese e pensa che la battaglia
da fare sia contro la Cgil di
quel rompiscatole passatista
di Sergio Cofferati, si illude che
i conflitti siano solo di retroguardia,
contro gli operai conservatori.
Invece il comunismo
vede i conflitti dell’a v v enire.
Come Candide, D’Alema
pensa che ci stiamo avviando a
vivere nel migliore dei mondi
pos sibil i”. “Rifondazione comunista
è tornata a schierarsi
con lui per non rischiare la
scomparsa con la corsa solitaria.
Qui sta l'errore: l’i m p e r ativo
del primum vivere porta
alla morte certa. La verità è che
non si può vivere senza affrontare
anche il rischio di morire,
su questo Marco Pannella ha
dato significative lezioni”.
D'Alema perse le elezioni, si
dimise da palazzo Chigi e dovette
abbandonare buona parte
dei suoi sogni di gloria (non
tutti). Quell’intervista che
Parlato inventò senza tirarsela,
solo per dare una mano a un
collega in difficoltà (la sua generosità
era rara nella politica
e nel giornalismo), è ancora viva.
E fu un successo.
Il lunedì mattina, con i giornali
in edicola pieni di notizie
sulla disfatta elettorale del
centrosinistra, il maestro telefonò
all’intervistatore per
prendere in giro le sue preoccupazioni.
“Non sai quante telefonate
di congratulazioni.
Tutti che si complimentano
per l’acume della mia analisi
del voto. Vedi come funzionano
le cose?”. Il maestro rideva
e ridendo insegnava.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
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Carpeoro: ucciso il socialismo, era l’antidoto all’orrore Ue
Scritto il 04/5/17 • nella Categoria: idee Condividi
Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.
Alla tragedia del leader socialdemocratico svedese, ucciso a Stoccolma nel 1986 da un killer mai identificato, Carpeoro ha dedicato lunghe pagine del suo lavoro sui legami occulti tra massoneria, servizi segreti e terroristi (il sistema della “sovragestione”). Ed è tornato sul tema a margine del simposio “Le forme della democrazia”, promosso dal Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Cos’è stato, il socialismo? Cos’è oggi, e cosa potrebbe essere domani? «Non è stato un pensiero statico, ha avuto un’evoluzione storica, politica», e ora è stato letteralmente rimosso. «Da dov’era partito, il socialismo? Da molto lontano», esordisce Carpeoro: da un periodo di grande riflessione spirituale. «Senza scomodare i Rosacroce», già nel ‘600 si trovano svariate opere proto-socialiste: “Utopia” di Tommaso Moro, “La città del sole” di Tommaso Campanella, “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone. Fino ad arrivare a opere meno conosciute, come quelle di Johann Valentin Andreae, presunto autore dei manifesti rosacrociani dell’epoca, che chiude la sua esistenza scrivendo “Christianopolis”, dove racconta il naufragio in un’isola (Caphar Salama) che viene governata in maniera socialista.
«Perché la chiamo socialista? Perché una serie di capisaldi di queste opere caratterizzeranno la fase che Marx, con intento quasi spregiatorio, chiamerà “socialismo utopistico”». Ma la parola “utopia”, ricorda Carpeoro, non esisteva nemmeno, prima di Tommaso Moro. «L’ha inventata lui. E’ un neologismo di origine greca, significa “non luogo”. Lo stesso Marx, dunque, citando il “socialismo utopistico”, si richiama a Tommaso Moro». E come nasce, il socialismo utopistico? Ha varie declinazioni: è anarchica quella di Pierre-Joseph Proudhon, quasi mistica quella di Henri de Saint-Simon. Ci sono interpretazioni più pragmatiche, e c’è una declinazione, «forse la più illuminata», che è quella di Auguste Blanqui. «Ma in tutte queste declinazioni ci sono i capisaldi di quello che, secondo gli utopisti del ‘600, doveva essere lo Stato perfetto, la comunità perfetta, con l’abolizione della proprietà privata». In sostanza, «si cominciava a riconoscere il diritto delle persone a vivere secondo dignità e aspettative». Perché questi diritti vengano finalmente riconosciuti in modo istituzionale ci vorrà Eleanor Roosevelt, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite nel 1948. «Ma queste idee erano state in qualche modo anticipate già quattro secoli prima». Giustizia e libertà. Tradotto: una società che riconosca il giusto a ognuno, dando a ciascuno la possibilità di scegliere. «Sembra una cosa semplice, no? Eppure, noi ancora non l’abbiamo creata, una società così».
Nella sua storia, aggiunge Carpeoro, il movimento socialista si è continuamente frammentato. Lo dimostra la stessa storia del Psi italiano, fondato a Genova nel 1892 da Filippo Turati, «che sarà forse il socialista più coerente», fedele all’impostazione iniziale del progetto ottocentesco, rivoluzionario. Obiettivo: la “guerra” alla società classista del sistema capitalistico, che sottomette e sfrutta contadini e operai. Due mosse: prima la rivoluzione, per abbattere il sistema padronale, e poi l’abolizione delle classi sociali. Come? “Socializzando” i mezzi di produzione, l’economia, le industrie, e distribuendo le terre ai contadini. Poi irrompe Marx, che «istituzionalizza questa sorta di diagnosi», e pensa a come realizzare il disegno rivoluzionario e la fase successiva. «Marx chiama tutto questo “socialismo scientifico”, da contrapporre a quello che lui, disprezzandolo un po’, chiamava “socialismo utopistico”». Ma l’obiettivo, aggiunge Carpeoro, non era forse arrivare comunque all’utopia? «L’eliminazione delle classi cos’è, se non la realizzazione di “Utopia”, della “Nuova Atlantide”, della “Città del Sole”?». In ogni caso, poteva il “fiume” socialista restare interamente ancorato a questo schema? No, ovviamente. E così cominciano le divisioni.
«La prima scissione, nel mondo socialista, è quella degli anarchici», ricorda Carpeoro. «Per loro non esiste la fase intermedia, si annulla tutto: nella loro visione, la dissoluzione dello Stato capitalistico è una fase contestuale all’impulso rivoluzionario». Poco dopo, vanno per la loro strada anche i comunisti: «Hanno una visione schematica, per la quale bisogna arrivare con quei passaggi, alla soluzione», che è sempre rivoluzionaria. Rimane il nucleo socialista, che – in Italia come in Europa – si divide a sua volta: nascono i “riformisti”, che restano anti-capitalisti e combattono per la giustizia sociale, ma rinunciano alla rivoluzione come mezzo per ottenerla. Poi ci sono quelli che, successivamente, si chiameranno “socialdemocratici”, come Leonida Bissolati, «i quali aboliscono anche il passaggio finale, l’abbattimento del capitalismo», e quando poi si radicheranno anche nel Pci prenderanno il nome di “miglioristi”. Secondo loro è irrealistica la rinuncia al sistema liberale. Semmai, il capitalismo va corretto con continue migliorie, per guarirne le distorsioni. Nell’800 c’era stato anche il filone dei “socialisti libertari”, che «declineranno il socialismo esclusivamente all’interno dei diritti civili e delle libertà, senza più occuparsi di strategie di governo».
Il socialismo libertario, spiega Carperoro, era ciò che era rimasto di un’ulteriore scissione, quella di Mazzini: litigando con Garibaldi, l’ideologo del Risorgimento si era portato via «quel nucleo che poi diventerà l’area laica», repubblicani e Partito d’Azione). Ma, superata la tragedia della Prima Guerra Mondiale – intervisti, neutralisti – e poi il blackout planetario del nazifascismo, nel dopoguerra «dagli anni ‘70 in poi, l’unica direttiva che lentamente si afferma, nel socialismo, è quella socialdemocratica», alimentata anche dalla guerra fredda: nel fatidico 1956 il leader sovietico Khrushev alimenta grandi speranze con la denuncia dei crimini di Stalin, ma nello stesso anno non riesce a evitare la sanguinosa repressione della rivolta popolare scoppiata in Unghieria, replicata nel ‘68 con il soffocamento della “Primavera di Praga”. «In realtà – prosegue Carpeoro – si avvia quella che nel ‘70 si chiamerà “terza via”, cioè la possibilità di trovare una composizione della società, correggendone le deviazioni, verso una maggiore giustizia sociale: cosa che la socialdemocrazia europea considerava assolutamente irrinunciabile».
E questa linea, particolarmente efficace perché moderata nelle forme quanto incisiva nei contenuti, «trova un eroe assolutamente straordinario», anche se è «un personaggio di cui non parla mai nessuno». Straordinario «da tutti i punti di vista (anche dal mio, perché era massone come me)», ammette Carpeoro, parlando di Olof Palme. «E’ stato uno dei personaggi più fulgidi del ‘900. Vi invito a leggere i suoi scritti, e soprattutto a rimetterlo sulle bandiere». Il leader svedese, intanto, «è la prima vittima di una congiura contro il socialismo». Attenzione: «Nell’arco di vent’anni, i grandi leader socialisti europei vengono tutti cancellati, in circostanze ambigue. Olof Palme viene ucciso mentre è presidente del Consiglio, in Svezia. E non è che ne sia parlato molto in Europa. Ancora oggi si parla di Che Guevara, non di Olof Palme. Ma è un eroe». E viene ucciso da killer rispetto ai quali «emergono connessioni con ambienti dell’estrema destra e anche, purtroppo, della massoneria: in un telegramma piuttosto equivoco, alla vigilia dell’attentato, Licio Gelli scrive a un parlamentare americano, Philip Guarino, che nel giro di pochi giorni “la palma svedese” sarebbe “caduta”, come la Svezia pullulasse di palme».
Lo stesso Craxi, ricorda Carperoro, vinse lo storico congresso del Psi al Midas, da cui nacque la sua leadership, «con un programma che al 50% era quello di Olof Palme, che era il padre nobile di tutti questi socialisti europei». Poi ovviamente «ognuno è libero di considerare i seguaci degni o non degni, ma resta il fatto che Palme aveva dato un programma socialista all’Europa». Dopo il drammatico “avvertimento” rappresentato dall’omicidio di Stoccolma, nessuno dei seguaci di Palme gli sopravviverà – politicamente, quantomeno. «Craxi, in circostanze che non riesco a considerare nitide (e con tutti i suoi errori, certo) viene comunque rimosso dalla vita politica italiana. Poi viene rimosso Mitterrand, in Francia. E viene rimosso Schmidt in Germania, con uno scandaletto. E pensate che, dopo tutte queste concatenazioni nel giro di pochi anni, poi la si faccia casualmente, l’Europa unita, nel modo in cui è stata fatta?». Per Carpeoro, c’è poco da cianciare di complottismo: «Sono stati eliminati i vertici di un movimento politico che aveva un capofila importante».
Palme, già attivissimo come leader del suo partito, ha poi svolto due mandati come presidente del Consiglio, in Svezia, «e il secondo l’ha fatto coram populo». Disse: «Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli le unghie ogni tanto». E’ questo il ruolo del socialismo, sottolinea Carpeoro: «Per questo il socialismo è necessario, è indispensabile a questa società. Anche perché, senza socialismo (come, del resto, senza liberismo) questa società non può camminare. Deve avere due ruote, un polo conservatore e un polo progressista. E possibilmente, questi due poli devono essere talmente di qualità che il fatto che si possano alternare al potere deve dipendere solo dalle condizioni del momento». Il liberismo sfrenato? «Non ha fatto male, all’America, appena è stato introdotto da Reagan. Poi però ci si doveva fermare. Se qualcuno ti progetta un regime oligarchico ultraliberista e senza regole per vent’anni, ti vuoi meravigliare se poi il risultato sono le banche che saltano, i soldi che non viaggiano, l’economia che non gira? E’ una forma di staticità della società, e la società non può essere statica».
Di fronte alla drastica possibilità di nazionalizzare le aziende, Olof Palme adottò una soluzione intermedia, ispirata alla teoria dell’economista Rudolf Meidner: una quota ai lavoratori, una quota di controllo allo Stato e una quota al privato. «Non per tutto: solo per le aziende in difficoltà. E ha funzionato, in Svezia. Il problema è che poi Palme l’hanno ammazzato». E in Italia? «Se avessero adottato lo schema Meidner, anche da noi, forse molte aziende in difficoltà sarebbero sopravvissute, e i sacrifici richiesti alle nostre maestranze sarebbero stati vissuti in maniera diversa». Non c’è bisogno di tornare all’antico, all’assistenzialismo dell’Iri, basterebbe la leva dei benefici fiscali, alla portata di uno Stato che possedesse quote di aziende. Perché non è successo? «Perché noi non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che Palme ha osato fare, in Svezia, dal ‘69 in poi». Rimettere mano, oggi, alla “contaminazione” socialista? Assolutamente sì, come stimolo ideologico: «Progetto e ideologia sono la stessa cosa: non puoi fare un progetto se non hai un’ideologia. E l’aver trasformato l’ideologia in un insulto è la riprova che a questo sistema, le cose che hanno idee, fanno paura. Il potere le teme, vuole cose senza idee. Vogliono un encefalogramma piatto come quello di Renzi, dove non ci sono onde».
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Carpeoro: ucciso il socialismo, era l’antidoto all’orrore Ue
Scritto il 04/5/17 • nella Categoria: idee Condividi
Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.
Alla tragedia del leader socialdemocratico svedese, ucciso a Stoccolma nel 1986 da un killer mai identificato, Carpeoro ha dedicato lunghe pagine del suo lavoro sui legami occulti tra massoneria, servizi segreti e terroristi (il sistema della “sovragestione”). Ed è tornato sul tema a margine del simposio “Le forme della democrazia”, promosso dal Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Cos’è stato, il socialismo? Cos’è oggi, e cosa potrebbe essere domani? «Non è stato un pensiero statico, ha avuto un’evoluzione storica, politica», e ora è stato letteralmente rimosso. «Da dov’era partito, il socialismo? Da molto lontano», esordisce Carpeoro: da un periodo di grande riflessione spirituale. «Senza scomodare i Rosacroce», già nel ‘600 si trovano svariate opere proto-socialiste: “Utopia” di Tommaso Moro, “La città del sole” di Tommaso Campanella, “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone. Fino ad arrivare a opere meno conosciute, come quelle di Johann Valentin Andreae, presunto autore dei manifesti rosacrociani dell’epoca, che chiude la sua esistenza scrivendo “Christianopolis”, dove racconta il naufragio in un’isola (Caphar Salama) che viene governata in maniera socialista.
«Perché la chiamo socialista? Perché una serie di capisaldi di queste opere caratterizzeranno la fase che Marx, con intento quasi spregiatorio, chiamerà “socialismo utopistico”». Ma la parola “utopia”, ricorda Carpeoro, non esisteva nemmeno, prima di Tommaso Moro. «L’ha inventata lui. E’ un neologismo di origine greca, significa “non luogo”. Lo stesso Marx, dunque, citando il “socialismo utopistico”, si richiama a Tommaso Moro». E come nasce, il socialismo utopistico? Ha varie declinazioni: è anarchica quella di Pierre-Joseph Proudhon, quasi mistica quella di Henri de Saint-Simon. Ci sono interpretazioni più pragmatiche, e c’è una declinazione, «forse la più illuminata», che è quella di Auguste Blanqui. «Ma in tutte queste declinazioni ci sono i capisaldi di quello che, secondo gli utopisti del ‘600, doveva essere lo Stato perfetto, la comunità perfetta, con l’abolizione della proprietà privata». In sostanza, «si cominciava a riconoscere il diritto delle persone a vivere secondo dignità e aspettative». Perché questi diritti vengano finalmente riconosciuti in modo istituzionale ci vorrà Eleanor Roosevelt, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite nel 1948. «Ma queste idee erano state in qualche modo anticipate già quattro secoli prima». Giustizia e libertà. Tradotto: una società che riconosca il giusto a ognuno, dando a ciascuno la possibilità di scegliere. «Sembra una cosa semplice, no? Eppure, noi ancora non l’abbiamo creata, una società così».
Nella sua storia, aggiunge Carpeoro, il movimento socialista si è continuamente frammentato. Lo dimostra la stessa storia del Psi italiano, fondato a Genova nel 1892 da Filippo Turati, «che sarà forse il socialista più coerente», fedele all’impostazione iniziale del progetto ottocentesco, rivoluzionario. Obiettivo: la “guerra” alla società classista del sistema capitalistico, che sottomette e sfrutta contadini e operai. Due mosse: prima la rivoluzione, per abbattere il sistema padronale, e poi l’abolizione delle classi sociali. Come? “Socializzando” i mezzi di produzione, l’economia, le industrie, e distribuendo le terre ai contadini. Poi irrompe Marx, che «istituzionalizza questa sorta di diagnosi», e pensa a come realizzare il disegno rivoluzionario e la fase successiva. «Marx chiama tutto questo “socialismo scientifico”, da contrapporre a quello che lui, disprezzandolo un po’, chiamava “socialismo utopistico”». Ma l’obiettivo, aggiunge Carpeoro, non era forse arrivare comunque all’utopia? «L’eliminazione delle classi cos’è, se non la realizzazione di “Utopia”, della “Nuova Atlantide”, della “Città del Sole”?». In ogni caso, poteva il “fiume” socialista restare interamente ancorato a questo schema? No, ovviamente. E così cominciano le divisioni.
«La prima scissione, nel mondo socialista, è quella degli anarchici», ricorda Carpeoro. «Per loro non esiste la fase intermedia, si annulla tutto: nella loro visione, la dissoluzione dello Stato capitalistico è una fase contestuale all’impulso rivoluzionario». Poco dopo, vanno per la loro strada anche i comunisti: «Hanno una visione schematica, per la quale bisogna arrivare con quei passaggi, alla soluzione», che è sempre rivoluzionaria. Rimane il nucleo socialista, che – in Italia come in Europa – si divide a sua volta: nascono i “riformisti”, che restano anti-capitalisti e combattono per la giustizia sociale, ma rinunciano alla rivoluzione come mezzo per ottenerla. Poi ci sono quelli che, successivamente, si chiameranno “socialdemocratici”, come Leonida Bissolati, «i quali aboliscono anche il passaggio finale, l’abbattimento del capitalismo», e quando poi si radicheranno anche nel Pci prenderanno il nome di “miglioristi”. Secondo loro è irrealistica la rinuncia al sistema liberale. Semmai, il capitalismo va corretto con continue migliorie, per guarirne le distorsioni. Nell’800 c’era stato anche il filone dei “socialisti libertari”, che «declineranno il socialismo esclusivamente all’interno dei diritti civili e delle libertà, senza più occuparsi di strategie di governo».
Il socialismo libertario, spiega Carperoro, era ciò che era rimasto di un’ulteriore scissione, quella di Mazzini: litigando con Garibaldi, l’ideologo del Risorgimento si era portato via «quel nucleo che poi diventerà l’area laica», repubblicani e Partito d’Azione). Ma, superata la tragedia della Prima Guerra Mondiale – intervisti, neutralisti – e poi il blackout planetario del nazifascismo, nel dopoguerra «dagli anni ‘70 in poi, l’unica direttiva che lentamente si afferma, nel socialismo, è quella socialdemocratica», alimentata anche dalla guerra fredda: nel fatidico 1956 il leader sovietico Khrushev alimenta grandi speranze con la denuncia dei crimini di Stalin, ma nello stesso anno non riesce a evitare la sanguinosa repressione della rivolta popolare scoppiata in Unghieria, replicata nel ‘68 con il soffocamento della “Primavera di Praga”. «In realtà – prosegue Carpeoro – si avvia quella che nel ‘70 si chiamerà “terza via”, cioè la possibilità di trovare una composizione della società, correggendone le deviazioni, verso una maggiore giustizia sociale: cosa che la socialdemocrazia europea considerava assolutamente irrinunciabile».
E questa linea, particolarmente efficace perché moderata nelle forme quanto incisiva nei contenuti, «trova un eroe assolutamente straordinario», anche se è «un personaggio di cui non parla mai nessuno». Straordinario «da tutti i punti di vista (anche dal mio, perché era massone come me)», ammette Carpeoro, parlando di Olof Palme. «E’ stato uno dei personaggi più fulgidi del ‘900. Vi invito a leggere i suoi scritti, e soprattutto a rimetterlo sulle bandiere». Il leader svedese, intanto, «è la prima vittima di una congiura contro il socialismo». Attenzione: «Nell’arco di vent’anni, i grandi leader socialisti europei vengono tutti cancellati, in circostanze ambigue. Olof Palme viene ucciso mentre è presidente del Consiglio, in Svezia. E non è che ne sia parlato molto in Europa. Ancora oggi si parla di Che Guevara, non di Olof Palme. Ma è un eroe». E viene ucciso da killer rispetto ai quali «emergono connessioni con ambienti dell’estrema destra e anche, purtroppo, della massoneria: in un telegramma piuttosto equivoco, alla vigilia dell’attentato, Licio Gelli scrive a un parlamentare americano, Philip Guarino, che nel giro di pochi giorni “la palma svedese” sarebbe “caduta”, come la Svezia pullulasse di palme».
Lo stesso Craxi, ricorda Carperoro, vinse lo storico congresso del Psi al Midas, da cui nacque la sua leadership, «con un programma che al 50% era quello di Olof Palme, che era il padre nobile di tutti questi socialisti europei». Poi ovviamente «ognuno è libero di considerare i seguaci degni o non degni, ma resta il fatto che Palme aveva dato un programma socialista all’Europa». Dopo il drammatico “avvertimento” rappresentato dall’omicidio di Stoccolma, nessuno dei seguaci di Palme gli sopravviverà – politicamente, quantomeno. «Craxi, in circostanze che non riesco a considerare nitide (e con tutti i suoi errori, certo) viene comunque rimosso dalla vita politica italiana. Poi viene rimosso Mitterrand, in Francia. E viene rimosso Schmidt in Germania, con uno scandaletto. E pensate che, dopo tutte queste concatenazioni nel giro di pochi anni, poi la si faccia casualmente, l’Europa unita, nel modo in cui è stata fatta?». Per Carpeoro, c’è poco da cianciare di complottismo: «Sono stati eliminati i vertici di un movimento politico che aveva un capofila importante».
Palme, già attivissimo come leader del suo partito, ha poi svolto due mandati come presidente del Consiglio, in Svezia, «e il secondo l’ha fatto coram populo». Disse: «Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli le unghie ogni tanto». E’ questo il ruolo del socialismo, sottolinea Carpeoro: «Per questo il socialismo è necessario, è indispensabile a questa società. Anche perché, senza socialismo (come, del resto, senza liberismo) questa società non può camminare. Deve avere due ruote, un polo conservatore e un polo progressista. E possibilmente, questi due poli devono essere talmente di qualità che il fatto che si possano alternare al potere deve dipendere solo dalle condizioni del momento». Il liberismo sfrenato? «Non ha fatto male, all’America, appena è stato introdotto da Reagan. Poi però ci si doveva fermare. Se qualcuno ti progetta un regime oligarchico ultraliberista e senza regole per vent’anni, ti vuoi meravigliare se poi il risultato sono le banche che saltano, i soldi che non viaggiano, l’economia che non gira? E’ una forma di staticità della società, e la società non può essere statica».
Di fronte alla drastica possibilità di nazionalizzare le aziende, Olof Palme adottò una soluzione intermedia, ispirata alla teoria dell’economista Rudolf Meidner: una quota ai lavoratori, una quota di controllo allo Stato e una quota al privato. «Non per tutto: solo per le aziende in difficoltà. E ha funzionato, in Svezia. Il problema è che poi Palme l’hanno ammazzato». E in Italia? «Se avessero adottato lo schema Meidner, anche da noi, forse molte aziende in difficoltà sarebbero sopravvissute, e i sacrifici richiesti alle nostre maestranze sarebbero stati vissuti in maniera diversa». Non c’è bisogno di tornare all’antico, all’assistenzialismo dell’Iri, basterebbe la leva dei benefici fiscali, alla portata di uno Stato che possedesse quote di aziende. Perché non è successo? «Perché noi non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che Palme ha osato fare, in Svezia, dal ‘69 in poi». Rimettere mano, oggi, alla “contaminazione” socialista? Assolutamente sì, come stimolo ideologico: «Progetto e ideologia sono la stessa cosa: non puoi fare un progetto se non hai un’ideologia. E l’aver trasformato l’ideologia in un insulto è la riprova che a questo sistema, le cose che hanno idee, fanno paura. Il potere le teme, vuole cose senza idee. Vogliono un encefalogramma piatto come quello di Renzi, dove non ci sono onde».
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LUCA RICOLFI
SINISTRA
E POPOLO
IL CONFLITTO POLITICO
NELL’ERA DEI POPULISMI
PREMESSA
Quando, quasi quindici anni fa, scrissi Perché siamo antipatici? non immaginavo proprio che le cose sarebbero andate come sono andate.
In quel libro mi occupavo della sinistra e del <<complesso dei migliori>>, una grave malattia che affliggeva l’establishment progressista del tempo, e ne rendeva gli esponenti profondamente antipatici ad almeno metà degli italiani.
Al centro di quella malattia vi erano l’astrattezza del linguaggio, l’indifferenza ai fatti, la distanza dal senso comune, l’infatuazione per il politicamente corretto, il sentimento di superiorità morale.
In breve e prima di tutto, la convinzione – tanto sincera quanto infondata – di rappresentare <<la parte migliore del paese>>.
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COMMENTO
Quando Ricolfi scrisse Perché siamo antipatici? era in auge il partito denominato Democratici di Sinistra, ed è stato guidato da:
A guidare la fase costituente del partito è stato Massimo D'Alema;
dal 1998 al 2001 il segretario è stato Walter Veltroni, dal 2001 fino allo scioglimento avvenuto nel 2007, segretario è stato Piero Fassino.
Fonte Wikipedia
Che D’Alema non suscitasse simpatia, ci può anche stare. Veltroni e Fassino non erano dei “mostri” politici, ma non erano antipatici.
Oppure NO?. Ricolfi non indica chi suscitava antipatia negli italiani.
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IL CONFLITTO POLITICO
NELL’ERA DEI POPULISMI
PREMESSA
Quando, quasi quindici anni fa, scrissi Perché siamo antipatici? non immaginavo proprio che le cose sarebbero andate come sono andate.
In quel libro mi occupavo della sinistra e del <<complesso dei migliori>>, una grave malattia che affliggeva l’establishment progressista del tempo, e ne rendeva gli esponenti profondamente antipatici ad almeno metà degli italiani.
Al centro di quella malattia vi erano l’astrattezza del linguaggio, l’indifferenza ai fatti, la distanza dal senso comune, l’infatuazione per il politicamente corretto, il sentimento di superiorità morale.
In breve e prima di tutto, la convinzione – tanto sincera quanto infondata – di rappresentare <<la parte migliore del paese>>.
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COMMENTO
Quando Ricolfi scrisse Perché siamo antipatici? era in auge il partito denominato Democratici di Sinistra, ed è stato guidato da:
A guidare la fase costituente del partito è stato Massimo D'Alema;
dal 1998 al 2001 il segretario è stato Walter Veltroni, dal 2001 fino allo scioglimento avvenuto nel 2007, segretario è stato Piero Fassino.
Fonte Wikipedia
Che D’Alema non suscitasse simpatia, ci può anche stare. Veltroni e Fassino non erano dei “mostri” politici, ma non erano antipatici.
Oppure NO?. Ricolfi non indica chi suscitava antipatia negli italiani.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
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E POPOLO
Ero convinto, allora, che quel male, per quanto non completamente nuovo (Natalia Ginzburg lo aveva già denunciato nei primi anni Ottanta), avesse avuto in Berlusconi il fattore scatenante.
Che fosse, in altre parole, un male sempre esistito ma divenuto devastante solo dopo il 1994, con la discesa in campo del Cavaliere e la nascita, in Italia, di una vera destra, capace di parlare alla maggioranza del paese e di conquistare il governo.
Da questa visione delle cose discendevano due conseguenze logiche.
La prima è che il complesso dei migliori fosse una malattia specificamente italiana, e che nelle altre democrazie, in Europa come negli Stati Uniti, destra e sinistra sapessero affrontarsi con maggiore lealtà.
La seconda è che, con il tramonto della stella di Berlusconi, da quella malattia la sinistra sarebbe riuscita ad affrancarsi.
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E POPOLO
Ero convinto, allora, che quel male, per quanto non completamente nuovo (Natalia Ginzburg lo aveva già denunciato nei primi anni Ottanta), avesse avuto in Berlusconi il fattore scatenante.
Che fosse, in altre parole, un male sempre esistito ma divenuto devastante solo dopo il 1994, con la discesa in campo del Cavaliere e la nascita, in Italia, di una vera destra, capace di parlare alla maggioranza del paese e di conquistare il governo.
Da questa visione delle cose discendevano due conseguenze logiche.
La prima è che il complesso dei migliori fosse una malattia specificamente italiana, e che nelle altre democrazie, in Europa come negli Stati Uniti, destra e sinistra sapessero affrontarsi con maggiore lealtà.
La seconda è che, con il tramonto della stella di Berlusconi, da quella malattia la sinistra sarebbe riuscita ad affrancarsi.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LA LUNGA AGONIA DI UNA REPUBBLICA NATA DALLA RESISTENZA AL FASCISMO
Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte”.
Roberto Saviano
Inizia così Marco Damilano, il suo articolo sul L’Espresso oggi in edicola, “Un altro giro di giostra":
Le primarie del 30 aprile che hanno rieletto Matteo Renzi segretario del Pd sono state interpretate da inquilini del Palazzo cancellerie europee, fondi di investimento, lobbysti domestici come l’avvio della Grande Giostra.
Il circuito è partito, con le sue lucette e i suoi cavallucci, e terminerà i suoi giri colorati solo il giorno delle elezioni nel 2018 o quando sarà, perché il leader ri-eletto è stato a dir poco vago, o forse no, ci sarà un altro giro di giostra,…….
Vabbè, Marco Damilano fa una carrellata sul potere, del secondo livello, che conta e controlla questa sponda dell’Atlantico.
Ma la sinistra in tutto questo dove stà???????
Dobbiamo scomodare per forza Ugo Foscolo???????
“All’ombra dei cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro?.......”
Sono più che certo che in molti italiani l’Idea della sinistra non è morta, ma sono i rappresentanti di questa sinistra, che non hanno neppure più il coraggio di recitare la parte degli ZOMBI.
SVEGLIATEVI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte”.
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Inizia così Marco Damilano, il suo articolo sul L’Espresso oggi in edicola, “Un altro giro di giostra":
Le primarie del 30 aprile che hanno rieletto Matteo Renzi segretario del Pd sono state interpretate da inquilini del Palazzo cancellerie europee, fondi di investimento, lobbysti domestici come l’avvio della Grande Giostra.
Il circuito è partito, con le sue lucette e i suoi cavallucci, e terminerà i suoi giri colorati solo il giorno delle elezioni nel 2018 o quando sarà, perché il leader ri-eletto è stato a dir poco vago, o forse no, ci sarà un altro giro di giostra,…….
Vabbè, Marco Damilano fa una carrellata sul potere, del secondo livello, che conta e controlla questa sponda dell’Atlantico.
Ma la sinistra in tutto questo dove stà???????
Dobbiamo scomodare per forza Ugo Foscolo???????
“All’ombra dei cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro?.......”
Sono più che certo che in molti italiani l’Idea della sinistra non è morta, ma sono i rappresentanti di questa sinistra, che non hanno neppure più il coraggio di recitare la parte degli ZOMBI.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Salutame ‘a soreta….
Prima di accennare al titolo del fatto Quotidiano.it, corre l’obbligo di verificare cosa dice Wikipedia circa il ministro Orlando
Andrea Orlando
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Orlando
Andrea Orlando (La Spezia, 8 febbraio 1969) è un politicoitaliano, ministro della giustizia dal 22 febbraio 2014, prima nel Governo Renzi e poi riconfermato in carica nel Governo Gentiloni.
Precedentemente ha rivestito la carica di ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014.
Dal 2006 è membro della Camera dei deputati dove è componente della commissione bilancio della Camera e della commissione parlamentare antimafia.
Il 23 febbraio 2017 annuncia la sua candidatura[1] alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico contro Matteo Renzi e Michele Emiliano, arrivando secondo dopo Renzi col 19.5%.[2]
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Consegue la maturità scientifica.[3]
Primi passi in politica[modifica | modifica wikitesto]
Comincia l'attività politica da giovanissimo. Nel 1989 diventa Segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana e l'anno successivo viene eletto nel consiglio comunale di La Spezia con il PCI. In seguito allo scioglimento del Partito Comunista Italiano, verrà rieletto con il PDS, di cui diviene capogruppo nel consiglio comunale della sua città nel 1993; nel 1995 diventa Segretario cittadino del partito; nel 1997, primo degli eletti in consiglio comunale, è nominato assessore dal Sindaco Giorgio Pagano, prima alle attività produttive e poi alla pianificazione territoriale, incarico che svolge sino alle elezioni del 2002.
Nel 2000, entra a far parte della Segreteria regionale come Responsabile degli enti locali dei Democratici di Sinistra e nel 2001 diventa Segretario provinciale; poi, nel 2003, è chiamato alla direzione nazionale del partito da Piero Fassino, prima con il ruolo di vice-responsabile dell'organizzazione, poi come responsabile degli enti locali (2005). Nel 2006 è nominato responsabile dell'organizzazione entra a far parte della Segreteria nazionale del partito.
È stato uno degli esponenti di spicco della corrente interna al PD dei Giovani Turchi [4]
Carriera politica nazionale[modifica | modifica wikitesto]
Nel 2006 si presenta alle Elezioni politiche del 9 e 10 aprile venendo eletto nelle liste dell'Ulivo nella X circoscrizione (Liguria). Allo scioglimento dei DS, nel congresso dell'aprile del 2007, aderisce al Partito Democratico, diventandone Responsabile dell'Organizzazione nella Segreteria nazionale del Segretario Walter Veltroni.
Alle politiche del 2008 viene rieletto per il Partito Democratico alla Camera dei deputati nella circoscrizione Liguria, diviene membro della commissione Bilancio della Camera e componente della Commissione parlamentare Antimafia, ed il 14 novembre 2008 è nominato Portavoce del Partito Democratico nella Segreteria nazionale dal Segretario Walter Veltroni[5], incarico confermato dal nuovo Segretario Dario Franceschini[6]. Nel novembre del 2009 Pier Luigi Bersani, neoeletto Segretario nazionale del PD, lo nomina presidente del Forum Giustizia del Partito, incarico che mantiene fino alla sua nomina a Ministro[7]. Nel 2010 diviene membro della Commissione Giustizia della Camera, ruolo che ricopre fino alla fine della XVI legislatura.
Nel 2010, come primo dei non eletti alle elezioni provinciali del 2007, diventa consigliere provinciale alla Spezia come subentrante.
Nel gennaio 2011 Bersani lo nomina commissario del PD di Napoli[8].
Alle Elezioni politiche italiane del 2013 è candidato alla Camera dei Deputati come capolista della lista PD nella circoscrizione Liguria, dopo essere risultato il candidato più votato alle primarie del collegio ligure per la scelta dei parlamentari[9].
Il 23 febbraio 2017 ufficializza la sua candidatura come segretario del Partito Democratico[10] per le primarie del 2017.
Nella prima fase delle consultazioni, relativa ai circoli del partito, risulta il secondo candidato con una percentuale di consenso approssimata attorno al 28%, riuscendo a trionfare nelle province di Viterbo, L'Aquila, Foggia e Medio Campidano[11].
Incarichi ministeriali[modifica | modifica wikitesto]
Il 28 aprile 2013 viene nominato Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Letta, governo sostenuto da PD, PdL e Scelta Civica.
Durante il suo mandato viene concessa l'Autorizzazione Integrata Ambientale alla Centrale termoelettrica Eugenio Montale presente alla Spezia, alimentata a carbone e metano.
Orlando è uno dei promotori della legge sulle emergenze ambientali della Terra dei fuochi e dell'Ilva che fornisce nuovi strumenti alla magistratura per combattere i roghi di rifiuti, accelera le bonifiche e stabilisce l'uso dell'esercito a scopo di sorveglianza nelle terre
contaminate. La legge introduce il reato di combustione dei rifiuti abbandonati o depositati in aree non autorizzate (condanne da due a cinque anni che possono ulteriormente aumentare se ad appiccare i roghi è un'impresa o comunque una attività organizzata) e prevede uno stanziamento di 50 milioni all'anno per il 2014 e il 2015 da utilizzare per sottoporre a screening sanitario le popolazioni che vivono nella Terra dei fuochi e a ridosso degli impianti Ilva. Relativamente alla Campania, inoltre, la legge prevede la mappatura delle aree agricole inquinate.
Il 21 febbraio 2014 viene indicato come Ministro della Giustizia dal Presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi. Presta giuramento il giorno seguente.
Appena insediato ha dovuto affrontare l'emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane e rispondere ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nella sentenza pilota Torreggiani e altri contro l'Italia[12]. Grazie alle azioni promosse per alleviare la situazione delle carceri italiane (aumento di capienza, riduzione degli ingressi e incremento delle pene alternative)[13], ispirate al cambio di paradigma nell'organizzazione del sistema penitenziario indicato in sede europea[14], che ha preso ulteriore spunto dalla convocazione degli Stati Generali dell'esecuzione penale[15], la CEDU ha restituito tutti i ricorsi pendenti in materia di sovraffollamento e il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha promosso l'Italia e l'azione del Governo[16]. Orlando è stato inoltre promotore della riforma organica del processo penale e dell'ordinamento penitenziario che è attualmente (marzo 2017) in discussione in Parlamento[17][18]. Ha portato a termine il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Sul fronte della lotta alla corruzione ha promosso il potenziamento dell'ANAC, attraverso il decreto legge n. 90/2014 convertito in legge n. 114/2014, e la nuova legge anticorruzione[19], che ha tra i punti principali un aumento delle pene per i reati più gravi contro la Pubblica Amministrazione. La legge ha reintrodotto, tra l'altro, il delitto di falso in bilancio e ha rafforzato i poteri dell'ANAC. Sempre nel campo del contrasto alla criminalità economica è stato introdotto il reato di autoriciclaggio[20]. Questo sforzo ha trovato un riconoscimento importante in sede OCSE con la presidenza del vertice anticorruzione svoltosi a Parigi a Marzo del 2016[21].
Sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata è stato tra i fautori della riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso[22] e della riforma del codice Antimafia, attualmente (marzo 2017) in discussione in Parlamento[23].
Grazie alla riforma della giustizia civile[24], l'Italia ha scalato in tre anni 49 posizioni nel rapporto Doing Business[25] della Banca Mondiale, nel parametro che misura l'efficienza nelle controversie commerciali. L'Italia, grazie al varo del processo civile telematico[26], è diventato uno dei primi paesi al mondo ad aver informatizzato integramente il processo civile in tutti i gradi di giudizio.
È stato tra i protagonisti dell'approvazione delle leggi sugli ecoreati[27], sulle unioni civili[28] e sul caporalato[29][30]. Nel corso della Presidenza italiana dell'Unione Europea ha promosso la costituzione della Procura Europea (EPPO) ed è stato coordinatore dei Ministri della Giustizia aderenti al PSE.
Il 12 dicembre 2016, confermato Ministro della Giustizia del Governo Gentiloni, ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.[31]
Il 27 marzo 2017 inaugura il suo sito personale[32] in occasione della sua candidatura alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico.
Il 30 aprile poco prima dell'uscita dei risultati ufficiali, riconosce la larga vittoria all'avversario Renzi.[2] Esprime peró la sua volontà di collaborare per un nuovo inizio per il partito.
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Prima di accennare al titolo del fatto Quotidiano.it, corre l’obbligo di verificare cosa dice Wikipedia circa il ministro Orlando
Andrea Orlando
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Orlando
Andrea Orlando (La Spezia, 8 febbraio 1969) è un politicoitaliano, ministro della giustizia dal 22 febbraio 2014, prima nel Governo Renzi e poi riconfermato in carica nel Governo Gentiloni.
Precedentemente ha rivestito la carica di ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014.
Dal 2006 è membro della Camera dei deputati dove è componente della commissione bilancio della Camera e della commissione parlamentare antimafia.
Il 23 febbraio 2017 annuncia la sua candidatura[1] alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico contro Matteo Renzi e Michele Emiliano, arrivando secondo dopo Renzi col 19.5%.[2]
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Consegue la maturità scientifica.[3]
Primi passi in politica[modifica | modifica wikitesto]
Comincia l'attività politica da giovanissimo. Nel 1989 diventa Segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana e l'anno successivo viene eletto nel consiglio comunale di La Spezia con il PCI. In seguito allo scioglimento del Partito Comunista Italiano, verrà rieletto con il PDS, di cui diviene capogruppo nel consiglio comunale della sua città nel 1993; nel 1995 diventa Segretario cittadino del partito; nel 1997, primo degli eletti in consiglio comunale, è nominato assessore dal Sindaco Giorgio Pagano, prima alle attività produttive e poi alla pianificazione territoriale, incarico che svolge sino alle elezioni del 2002.
Nel 2000, entra a far parte della Segreteria regionale come Responsabile degli enti locali dei Democratici di Sinistra e nel 2001 diventa Segretario provinciale; poi, nel 2003, è chiamato alla direzione nazionale del partito da Piero Fassino, prima con il ruolo di vice-responsabile dell'organizzazione, poi come responsabile degli enti locali (2005). Nel 2006 è nominato responsabile dell'organizzazione entra a far parte della Segreteria nazionale del partito.
È stato uno degli esponenti di spicco della corrente interna al PD dei Giovani Turchi [4]
Carriera politica nazionale[modifica | modifica wikitesto]
Nel 2006 si presenta alle Elezioni politiche del 9 e 10 aprile venendo eletto nelle liste dell'Ulivo nella X circoscrizione (Liguria). Allo scioglimento dei DS, nel congresso dell'aprile del 2007, aderisce al Partito Democratico, diventandone Responsabile dell'Organizzazione nella Segreteria nazionale del Segretario Walter Veltroni.
Alle politiche del 2008 viene rieletto per il Partito Democratico alla Camera dei deputati nella circoscrizione Liguria, diviene membro della commissione Bilancio della Camera e componente della Commissione parlamentare Antimafia, ed il 14 novembre 2008 è nominato Portavoce del Partito Democratico nella Segreteria nazionale dal Segretario Walter Veltroni[5], incarico confermato dal nuovo Segretario Dario Franceschini[6]. Nel novembre del 2009 Pier Luigi Bersani, neoeletto Segretario nazionale del PD, lo nomina presidente del Forum Giustizia del Partito, incarico che mantiene fino alla sua nomina a Ministro[7]. Nel 2010 diviene membro della Commissione Giustizia della Camera, ruolo che ricopre fino alla fine della XVI legislatura.
Nel 2010, come primo dei non eletti alle elezioni provinciali del 2007, diventa consigliere provinciale alla Spezia come subentrante.
Nel gennaio 2011 Bersani lo nomina commissario del PD di Napoli[8].
Alle Elezioni politiche italiane del 2013 è candidato alla Camera dei Deputati come capolista della lista PD nella circoscrizione Liguria, dopo essere risultato il candidato più votato alle primarie del collegio ligure per la scelta dei parlamentari[9].
Il 23 febbraio 2017 ufficializza la sua candidatura come segretario del Partito Democratico[10] per le primarie del 2017.
Nella prima fase delle consultazioni, relativa ai circoli del partito, risulta il secondo candidato con una percentuale di consenso approssimata attorno al 28%, riuscendo a trionfare nelle province di Viterbo, L'Aquila, Foggia e Medio Campidano[11].
Incarichi ministeriali[modifica | modifica wikitesto]
Il 28 aprile 2013 viene nominato Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Letta, governo sostenuto da PD, PdL e Scelta Civica.
Durante il suo mandato viene concessa l'Autorizzazione Integrata Ambientale alla Centrale termoelettrica Eugenio Montale presente alla Spezia, alimentata a carbone e metano.
Orlando è uno dei promotori della legge sulle emergenze ambientali della Terra dei fuochi e dell'Ilva che fornisce nuovi strumenti alla magistratura per combattere i roghi di rifiuti, accelera le bonifiche e stabilisce l'uso dell'esercito a scopo di sorveglianza nelle terre
contaminate. La legge introduce il reato di combustione dei rifiuti abbandonati o depositati in aree non autorizzate (condanne da due a cinque anni che possono ulteriormente aumentare se ad appiccare i roghi è un'impresa o comunque una attività organizzata) e prevede uno stanziamento di 50 milioni all'anno per il 2014 e il 2015 da utilizzare per sottoporre a screening sanitario le popolazioni che vivono nella Terra dei fuochi e a ridosso degli impianti Ilva. Relativamente alla Campania, inoltre, la legge prevede la mappatura delle aree agricole inquinate.
Il 21 febbraio 2014 viene indicato come Ministro della Giustizia dal Presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi. Presta giuramento il giorno seguente.
Appena insediato ha dovuto affrontare l'emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane e rispondere ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nella sentenza pilota Torreggiani e altri contro l'Italia[12]. Grazie alle azioni promosse per alleviare la situazione delle carceri italiane (aumento di capienza, riduzione degli ingressi e incremento delle pene alternative)[13], ispirate al cambio di paradigma nell'organizzazione del sistema penitenziario indicato in sede europea[14], che ha preso ulteriore spunto dalla convocazione degli Stati Generali dell'esecuzione penale[15], la CEDU ha restituito tutti i ricorsi pendenti in materia di sovraffollamento e il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha promosso l'Italia e l'azione del Governo[16]. Orlando è stato inoltre promotore della riforma organica del processo penale e dell'ordinamento penitenziario che è attualmente (marzo 2017) in discussione in Parlamento[17][18]. Ha portato a termine il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Sul fronte della lotta alla corruzione ha promosso il potenziamento dell'ANAC, attraverso il decreto legge n. 90/2014 convertito in legge n. 114/2014, e la nuova legge anticorruzione[19], che ha tra i punti principali un aumento delle pene per i reati più gravi contro la Pubblica Amministrazione. La legge ha reintrodotto, tra l'altro, il delitto di falso in bilancio e ha rafforzato i poteri dell'ANAC. Sempre nel campo del contrasto alla criminalità economica è stato introdotto il reato di autoriciclaggio[20]. Questo sforzo ha trovato un riconoscimento importante in sede OCSE con la presidenza del vertice anticorruzione svoltosi a Parigi a Marzo del 2016[21].
Sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata è stato tra i fautori della riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso[22] e della riforma del codice Antimafia, attualmente (marzo 2017) in discussione in Parlamento[23].
Grazie alla riforma della giustizia civile[24], l'Italia ha scalato in tre anni 49 posizioni nel rapporto Doing Business[25] della Banca Mondiale, nel parametro che misura l'efficienza nelle controversie commerciali. L'Italia, grazie al varo del processo civile telematico[26], è diventato uno dei primi paesi al mondo ad aver informatizzato integramente il processo civile in tutti i gradi di giudizio.
È stato tra i protagonisti dell'approvazione delle leggi sugli ecoreati[27], sulle unioni civili[28] e sul caporalato[29][30]. Nel corso della Presidenza italiana dell'Unione Europea ha promosso la costituzione della Procura Europea (EPPO) ed è stato coordinatore dei Ministri della Giustizia aderenti al PSE.
Il 12 dicembre 2016, confermato Ministro della Giustizia del Governo Gentiloni, ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.[31]
Il 27 marzo 2017 inaugura il suo sito personale[32] in occasione della sua candidatura alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico.
Il 30 aprile poco prima dell'uscita dei risultati ufficiali, riconosce la larga vittoria all'avversario Renzi.[2] Esprime peró la sua volontà di collaborare per un nuovo inizio per il partito.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
UncleTom ha scritto:Salutame ‘a soreta….
Prima di accennare al titolo del fatto Quotidiano.it, corre l’obbligo di verificare cosa dice Wikipedia circa il ministro Orlando
Andrea Orlando
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Orlando
Andrea Orlando (La Spezia, 8 febbraio 1969) è un politicoitaliano, ministro della giustizia dal 22 febbraio 2014, prima nel Governo Renzi e poi riconfermato in carica nel Governo Gentiloni.
Precedentemente ha rivestito la carica di ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014.
Dal 2006 è membro della Camera dei deputati dove è componente della commissione bilancio della Camera e della commissione parlamentare antimafia.
Il 23 febbraio 2017 annuncia la sua candidatura[1] alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico contro Matteo Renzi e Michele Emiliano, arrivando secondo dopo Renzi col 19.5%.[2]
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Consegue la maturità scientifica.[3]
Primi passi in politica[modifica | modifica wikitesto]
Comincia l'attività politica da giovanissimo. Nel 1989 diventa Segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana e l'anno successivo viene eletto nel consiglio comunale di La Spezia con il PCI. In seguito allo scioglimento del Partito Comunista Italiano, verrà rieletto con il PDS, di cui diviene capogruppo nel consiglio comunale della sua città nel 1993; nel 1995 diventa Segretario cittadino del partito; nel 1997, primo degli eletti in consiglio comunale, è nominato assessore dal Sindaco Giorgio Pagano, prima alle attività produttive e poi alla pianificazione territoriale, incarico che svolge sino alle elezioni del 2002.
Nel 2000, entra a far parte della Segreteria regionale come Responsabile degli enti locali dei Democratici di Sinistra e nel 2001 diventa Segretario provinciale; poi, nel 2003, è chiamato alla direzione nazionale del partito da Piero Fassino, prima con il ruolo di vice-responsabile dell'organizzazione, poi come responsabile degli enti locali (2005). Nel 2006 è nominato responsabile dell'organizzazione entra a far parte della Segreteria nazionale del partito.
È stato uno degli esponenti di spicco della corrente interna al PD dei Giovani Turchi [4]
Carriera politica nazionale[modifica | modifica wikitesto]
Nel 2006 si presenta alle Elezioni politiche del 9 e 10 aprile venendo eletto nelle liste dell'Ulivo nella X circoscrizione (Liguria). Allo scioglimento dei DS, nel congresso dell'aprile del 2007, aderisce al Partito Democratico, diventandone Responsabile dell'Organizzazione nella Segreteria nazionale del Segretario Walter Veltroni.
Alle politiche del 2008 viene rieletto per il Partito Democratico alla Camera dei deputati nella circoscrizione Liguria, diviene membro della commissione Bilancio della Camera e componente della Commissione parlamentare Antimafia, ed il 14 novembre 2008 è nominato Portavoce del Partito Democratico nella Segreteria nazionale dal Segretario Walter Veltroni[5], incarico confermato dal nuovo Segretario Dario Franceschini[6]. Nel novembre del 2009 Pier Luigi Bersani, neoeletto Segretario nazionale del PD, lo nomina presidente del Forum Giustizia del Partito, incarico che mantiene fino alla sua nomina a Ministro[7]. Nel 2010 diviene membro della Commissione Giustizia della Camera, ruolo che ricopre fino alla fine della XVI legislatura.
Nel 2010, come primo dei non eletti alle elezioni provinciali del 2007, diventa consigliere provinciale alla Spezia come subentrante.
Nel gennaio 2011 Bersani lo nomina commissario del PD di Napoli[8].
Alle Elezioni politiche italiane del 2013 è candidato alla Camera dei Deputati come capolista della lista PD nella circoscrizione Liguria, dopo essere risultato il candidato più votato alle primarie del collegio ligure per la scelta dei parlamentari[9].
Il 23 febbraio 2017 ufficializza la sua candidatura come segretario del Partito Democratico[10] per le primarie del 2017.
Nella prima fase delle consultazioni, relativa ai circoli del partito, risulta il secondo candidato con una percentuale di consenso approssimata attorno al 28%, riuscendo a trionfare nelle province di Viterbo, L'Aquila, Foggia e Medio Campidano[11].
Incarichi ministeriali[modifica | modifica wikitesto]
Il 28 aprile 2013 viene nominato Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Letta, governo sostenuto da PD, PdL e Scelta Civica.
Durante il suo mandato viene concessa l'Autorizzazione Integrata Ambientale alla Centrale termoelettrica Eugenio Montale presente alla Spezia, alimentata a carbone e metano.
Orlando è uno dei promotori della legge sulle emergenze ambientali della Terra dei fuochi e dell'Ilva che fornisce nuovi strumenti alla magistratura per combattere i roghi di rifiuti, accelera le bonifiche e stabilisce l'uso dell'esercito a scopo di sorveglianza nelle terre
contaminate. La legge introduce il reato di combustione dei rifiuti abbandonati o depositati in aree non autorizzate (condanne da due a cinque anni che possono ulteriormente aumentare se ad appiccare i roghi è un'impresa o comunque una attività organizzata) e prevede uno stanziamento di 50 milioni all'anno per il 2014 e il 2015 da utilizzare per sottoporre a screening sanitario le popolazioni che vivono nella Terra dei fuochi e a ridosso degli impianti Ilva. Relativamente alla Campania, inoltre, la legge prevede la mappatura delle aree agricole inquinate.
Il 21 febbraio 2014 viene indicato come Ministro della Giustizia dal Presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi. Presta giuramento il giorno seguente.
Appena insediato ha dovuto affrontare l'emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane e rispondere ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nella sentenza pilota Torreggiani e altri contro l'Italia[12]. Grazie alle azioni promosse per alleviare la situazione delle carceri italiane (aumento di capienza, riduzione degli ingressi e incremento delle pene alternative)[13], ispirate al cambio di paradigma nell'organizzazione del sistema penitenziario indicato in sede europea[14], che ha preso ulteriore spunto dalla convocazione degli Stati Generali dell'esecuzione penale[15], la CEDU ha restituito tutti i ricorsi pendenti in materia di sovraffollamento e il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha promosso l'Italia e l'azione del Governo[16]. Orlando è stato inoltre promotore della riforma organica del processo penale e dell'ordinamento penitenziario che è attualmente (marzo 2017) in discussione in Parlamento[17][18]. Ha portato a termine il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Sul fronte della lotta alla corruzione ha promosso il potenziamento dell'ANAC, attraverso il decreto legge n. 90/2014 convertito in legge n. 114/2014, e la nuova legge anticorruzione[19], che ha tra i punti principali un aumento delle pene per i reati più gravi contro la Pubblica Amministrazione. La legge ha reintrodotto, tra l'altro, il delitto di falso in bilancio e ha rafforzato i poteri dell'ANAC. Sempre nel campo del contrasto alla criminalità economica è stato introdotto il reato di autoriciclaggio[20]. Questo sforzo ha trovato un riconoscimento importante in sede OCSE con la presidenza del vertice anticorruzione svoltosi a Parigi a Marzo del 2016[21].
Sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata è stato tra i fautori della riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso[22] e della riforma del codice Antimafia, attualmente (marzo 2017) in discussione in Parlamento[23].
Grazie alla riforma della giustizia civile[24], l'Italia ha scalato in tre anni 49 posizioni nel rapporto Doing Business[25] della Banca Mondiale, nel parametro che misura l'efficienza nelle controversie commerciali. L'Italia, grazie al varo del processo civile telematico[26], è diventato uno dei primi paesi al mondo ad aver informatizzato integramente il processo civile in tutti i gradi di giudizio.
È stato tra i protagonisti dell'approvazione delle leggi sugli ecoreati[27], sulle unioni civili[28] e sul caporalato[29][30]. Nel corso della Presidenza italiana dell'Unione Europea ha promosso la costituzione della Procura Europea (EPPO) ed è stato coordinatore dei Ministri della Giustizia aderenti al PSE.
Il 12 dicembre 2016, confermato Ministro della Giustizia del Governo Gentiloni, ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.[31]
Il 27 marzo 2017 inaugura il suo sito personale[32] in occasione della sua candidatura alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico.
Il 30 aprile poco prima dell'uscita dei risultati ufficiali, riconosce la larga vittoria all'avversario Renzi.[2] Esprime peró la sua volontà di collaborare per un nuovo inizio per il partito.
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DAL SITO DEL FATTO QUOTIDIANO.IT, IN QUESTO MOMENTO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/?refresh_ce
Renzi: “Legge elettorale, proposta tocca ad altri”
Alleanze, Orlando: “Berlusconi? Meglio Bersani”
COSA E' PIU' IMPORTANTE????
LA PROPRIA COSCIENZA CIVICA O LA POLTRONA???????????
PERCHE' NON LASCIA IL PARTITO DEL DUCE????????
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Alla fine d'Alema è stato il meno peggio di quelli menzionati.UncleTom ha scritto:LUCA RICOLFI
SINISTRA
E POPOLO
IL CONFLITTO POLITICO
NELL’ERA DEI POPULISMI
PREMESSA
Quando, quasi quindici anni fa, scrissi Perché siamo antipatici? non immaginavo proprio che le cose sarebbero andate come sono andate.
In quel libro mi occupavo della sinistra e del <<complesso dei migliori>>, una grave malattia che affliggeva l’establishment progressista del tempo, e ne rendeva gli esponenti profondamente antipatici ad almeno metà degli italiani.
Al centro di quella malattia vi erano l’astrattezza del linguaggio, l’indifferenza ai fatti, la distanza dal senso comune, l’infatuazione per il politicamente corretto, il sentimento di superiorità morale.
In breve e prima di tutto, la convinzione – tanto sincera quanto infondata – di rappresentare <<la parte migliore del paese>>.
=================================================================
COMMENTO
Quando Ricolfi scrisse Perché siamo antipatici? era in auge il partito denominato Democratici di Sinistra, ed è stato guidato da:
A guidare la fase costituente del partito è stato Massimo D'Alema;
dal 1998 al 2001 il segretario è stato Walter Veltroni, dal 2001 fino allo scioglimento avvenuto nel 2007, segretario è stato Piero Fassino.
Fonte Wikipedia
Che D’Alema non suscitasse simpatia, ci può anche stare. Veltroni e Fassino non erano dei “mostri” politici, ma non erano antipatici.
Oppure NO?. Ricolfi non indica chi suscitava antipatia negli italiani.
=================================================================
CONTINUA
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Da Wikipedia:
Comincia l'attività politica da giovanissimo. Nel 1989 diventa Segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana e l'anno successivo viene eletto nel consiglio comunale di La Spezia con il PCI.
E per fortuna non ha fatto il boys scout a Rignano.
Se questa è la sinistra dei giovani nati nel 1969, siamo a posto.
Lasciate ogni Speranza o voi che entrate.
Comincia l'attività politica da giovanissimo. Nel 1989 diventa Segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana e l'anno successivo viene eletto nel consiglio comunale di La Spezia con il PCI.
E per fortuna non ha fatto il boys scout a Rignano.
Se questa è la sinistra dei giovani nati nel 1969, siamo a posto.
Lasciate ogni Speranza o voi che entrate.
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