Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Non demoralizziamoci, la vita è dura, ogni giorno può portare delle novità, alle volte buone, o meno buone o cattive.
Non condivido il titolo " Sinistra, per rifondarla occorre rompere tutti i legami con il passato" , se ci riferiamo a quanto fatto dalla sinistra al potere è condivisibile, ma se ci riferiamo ai concetti base che avete espresso più volte nei diversi interventi credo che i legami con il passato restano sempre validi. SOLIDARIETà, UGUAGLIANZA, Dignità DELL'ESSERE UMANO.
Vedo in Spagna una sinistra con Podemos al 25,6% e uno PSOE con il nuovo segretario Sanchez al 22% che non vede utile l'attuale alleanza con il cedntro;
vedo in Portogallo un partito socialista che governa coi radicali di sinistra e sembra con buoni risultati;
vedo in Francia un Melanchon che con i radicali di sinistra arriva al 20% ;
vedo in Gran Bretagna un Corbyn che sfiora il 40%:
e tutti ottengono discreti risultati facendo ciò che deve fare uno che si proclama di sinistra e vedendo lo sfacelo che ci porta seguendo le politiche neoliberiste.
E NOI ? io condivido quel sondaggio che aveva fatto Ipr Marketing e vedeva una sinistra al 16% se guidata da Saviano o Rodotà e poi Bersani, ma al di là dei nomi si tratta di riscaldare gli animi per fare cose di sinistra e non solo per dire cose di sinistra. Quindi bene Falcone -Montanari e tutti quei movimenti di base che anche alle recenti amministrative si son fatti notare, c'è ancora del politicismo in art.1 e del tentennatismo in Pisapia, ma se anche in Italia la sinistra può puntare come nel resto d'Europa abbiamo la possibilità di mandare a CASA Renzi e riprenderci quella parte del PD ancora legato alla tradizione.
Non condivido il titolo " Sinistra, per rifondarla occorre rompere tutti i legami con il passato" , se ci riferiamo a quanto fatto dalla sinistra al potere è condivisibile, ma se ci riferiamo ai concetti base che avete espresso più volte nei diversi interventi credo che i legami con il passato restano sempre validi. SOLIDARIETà, UGUAGLIANZA, Dignità DELL'ESSERE UMANO.
Vedo in Spagna una sinistra con Podemos al 25,6% e uno PSOE con il nuovo segretario Sanchez al 22% che non vede utile l'attuale alleanza con il cedntro;
vedo in Portogallo un partito socialista che governa coi radicali di sinistra e sembra con buoni risultati;
vedo in Francia un Melanchon che con i radicali di sinistra arriva al 20% ;
vedo in Gran Bretagna un Corbyn che sfiora il 40%:
e tutti ottengono discreti risultati facendo ciò che deve fare uno che si proclama di sinistra e vedendo lo sfacelo che ci porta seguendo le politiche neoliberiste.
E NOI ? io condivido quel sondaggio che aveva fatto Ipr Marketing e vedeva una sinistra al 16% se guidata da Saviano o Rodotà e poi Bersani, ma al di là dei nomi si tratta di riscaldare gli animi per fare cose di sinistra e non solo per dire cose di sinistra. Quindi bene Falcone -Montanari e tutti quei movimenti di base che anche alle recenti amministrative si son fatti notare, c'è ancora del politicismo in art.1 e del tentennatismo in Pisapia, ma se anche in Italia la sinistra può puntare come nel resto d'Europa abbiamo la possibilità di mandare a CASA Renzi e riprenderci quella parte del PD ancora legato alla tradizione.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Te fai riferimento a partiti sinistra in Europa ma se approfondisci nel loro interno ti accorgi che i loro r programmi sia per quanto riguarda i problemi interni che esteri hanno molte differenze.iospero ha scritto:Non demoralizziamoci, la vita è dura, ogni giorno può portare delle novità, alle volte buone, o meno buone o cattive.
Non condivido il titolo " Sinistra, per rifondarla occorre rompere tutti i legami con il passato" , se ci riferiamo a quanto fatto dalla sinistra al potere è condivisibile, ma se ci riferiamo ai concetti base che avete espresso più volte nei diversi interventi credo che i legami con il passato restano sempre validi. SOLIDARIETà, UGUAGLIANZA, Dignità DELL'ESSERE UMANO.
Vedo in Spagna una sinistra con Podemos al 25,6% e uno PSOE con il nuovo segretario Sanchez al 22% che non vede utile l'attuale alleanza con il cedntro;
vedo in Portogallo un partito socialista che governa coi radicali di sinistra e sembra con buoni risultati;
vedo in Francia un Melanchon che con i radicali di sinistra arriva al 20% ;
vedo in Gran Bretagna un Corbyn che sfiora il 40%:
e tutti ottengono discreti risultati facendo ciò che deve fare uno che si proclama di sinistra e vedendo lo sfacelo che ci porta seguendo le politiche neoliberiste.
E NOI ? io condivido quel sondaggio che aveva fatto Ipr Marketing e vedeva una sinistra al 16% se guidata da Saviano o Rodotà e poi Bersani, ma al di là dei nomi si tratta di riscaldare gli animi per fare cose di sinistra e non solo per dire cose di sinistra. Quindi bene Falcone -Montanari e tutti quei movimenti di base che anche alle recenti amministrative si son fatti notare, c'è ancora del politicismo in art.1 e del tentennatismo in Pisapia, ma se anche in Italia la sinistra può puntare come nel resto d'Europa abbiamo la possibilità di mandare a CASA Renzi e riprenderci quella parte del PD ancora legato alla tradizione.
Direi che ognuno di questi paesi che citi ha una sua visione di sinistra.
Quindi quando si parla di un ritorno di questo termine sinistra in Europa bisogna stare attenti visto che ognuno ha la sua via.
La domanda e' se queste vie possono essere contraddittorie col concetto di sinistra xche altrimenti entra in causa il termine SINISTRA.
Attualmente, parere più che personale, mi sembra che i partiti e/o movimenti agiscano senza alcun obiettivo ben chiaro su quale società si vuol arrivare. Tutti agiscono a vista cercando di risolvere i problemi attuale che sono molti magari con soluzioni valide solo x oggi ma che potrebbero essere vane o ancor più controproducenti negli anni a venire.
Niente da dire e da criticare se costoro individuano dei metodi x eliminare questi problemi ma bisogna essere consapevoli che non si va molto avanti se non si hanno progetti a lungo termine.
Certamente visto che questi sono i partiti/movimenti che ci vengono proposti sarò costretto a scegliere il meno peggio se non voglio astenermi dal voto ma sarò nello stesso tempo consapevole che costoro non son partiti seri ma movimenti del momento che cercano di risolvere alcuni problemi.
Quindi, quando usiamo questo termine "sinistra' dovremmo essere anche consapevoli che ora ha poco senso visto e' più che difficile trovare una loro vera collocazione visto che le ideologie sono state annullate e distrutte credendo di fare il bene del popolo(credulone come sempre)
Un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
.....IN MEZZO AL KAOS....
IL PUNTO DI VISTA DI FABIO MARCELLI
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Fabio Marcelli
Politica
Sinistra, per rifondarla occorre rompere tutti i legami con il passato
di Fabio Marcelli | 21 giugno 2017
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Più informazioni su: Brancaccio, Ius Soli, Movimento 5 Stelle, Sinistra, Tomaso Montanari
Fabio Marcelli
Giurista internazionale
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Occorre anzitutto rendere omaggio a Anna Falcone e Tomaso Montanari, che hanno mostrato coraggio, lungimiranza e intelligenza politica, convocando domenica 18 giugno al Brancaccio un’assemblea partecipata e numerosa e caratterizzata da contenuti avanzati e condivisibili. E che sarebbe dovuta durare ancora ore e ore per dare modo di intervenire a tutti i portatori di esperienze realmente partecipate e di base, come ad esempio l’ex Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) occupato Jesopazzo di Napoli.
Ma è stato solo l’inizio e si avvia un percorso il cui obiettivo deve essere per l’appunto quello di dare la parola a tutte e tutti per rifondare dal basso la sinistra.
In Italia, in Europa, nel mondo c’è sempre più bisogno di sinistra.
Lo dimostrano da ultimo i successi di Corbyn in Gran Bretagna e di Melenchon in Francia.
La sinistra del resto costituisce l’antidoto e l’alternativa naturale ai veleni del capitalismo che, nella sua fase finanziaria e neoliberista, distrugge la società e l’ambiente, demolisce la cittadinanza e minaccia la pace.
Di fronte a questi guai, non ipotetici, ma reali non vi sono altre soluzioni possibili.
Non certo i tecnocrati alla Macron, i quali, votati da una minoranza del corpo elettorale, si accingono a “riformare” Stato e società per rendere entrambi sempre più funzionali alla competitività capitalistica.
Ma neanche i populisti di destra che attingono il loro carburante all’antico serbatoio del razzismo.
Essere di sinistra è d’obbligo per combattere entrambe queste strade.
E non serviranno a nulla i contorcimenti di chi, come l’attuale gruppo dirigente dei Cinquestelle, strizza l’occhio ai razzisti rifiutandosi di votare una legge indispensabile come quella sullo Ius soli attualmente in discussione per la concessione della cittadinanza italiana a chi in Italia è nato e ha vissuto le sue prime esperienze formative, o continuando a cianciare di lobby e gruppi d’interesse legati all’immigrazione, tentando così di gettare fango e discredito su chi svolge oggi funzioni di accoglienza e integrazione essenziali per una società che si avvia comunque a essere sempre più meticcia e multietnica, alla faccia dei razzisti di ogni genere.
O ci saranno forze che prenderanno su di loro il compito di rappresentare e organizzare il lavoro, ovvero i lavoratori, com’è successo alle elezioni presidenziali statunitensi, voteranno chiunque, perfino un pagliaccio speculatore come Trump, nell’illusione che costui li possa tutelare di fronte al capitalismo neoliberista dirompente.
Io al Brancaccio c’ero e condivido ogni parola della relazione introduttiva di Tomaso Montanari e delle conclusioni di Anna Falcone.
La strada da fare è lunga e difficile.
Ma si deve e si può ricostruire in Italia una sinistra degna di questo nome.
A condizione di rompere ogni ponte con il passato, ripudiando fino in fondo scelte illegittime e disastrose, come le bombe sul Kosovo di cui si rese responsabile a suo tempo D’Alema violando l’art. 11 della Costituzione italiana.
Riaffermando il valore politico e normativo della Costituzione repubblicana che la stragrande maggioranza del popolo italiano ha collettivamente riconosciuto con il voto del 4 dicembre, in contrasto con quanto all’epoca ebbe a dichiarare, ad esempio, Giuliano Pisapia.
Non si tratta certo di bandire in perpetuo coloro che si sono resi colpevoli di queste ed altre scelte, ai quali tuttavia va chiesta una sincera autocritica, altrimenti si potrebbe ipotizzare che il loro interesse nei confronti della rifondazione della sinistra sia del tutto strumentale.
Così come va chiesta coerenza a coloro che, allontanatisi dal Pd più per necessità che per virtù, continuano a cincischiare avallando operazioni fallimentari nel metodo e nel merito, come la riproposizione dei voucher in spregio alla volontà espressa da oltre tre milioni di elettori che hanno firmato per la richiesta di referendum presentata dalla Cgil.
Per evitare l’abbraccio mortale con i morti viventi che continuano ad affollare qualche discarica politica, occorre affermare con forza, nei fatti e non solo a parole, la necessità di ricostruire una sinistra che non può partire da equilibri e giochi di potere, come fu ad esempio per Rivoluzione civile, ma deve fondarsi sulle aspirazioni effettive dei lavoratori, delle lavoratrici e del popolo italiano.
IL PUNTO DI VISTA DI FABIO MARCELLI
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Occorre anzitutto rendere omaggio a Anna Falcone e Tomaso Montanari, che hanno mostrato coraggio, lungimiranza e intelligenza politica, convocando domenica 18 giugno al Brancaccio un’assemblea partecipata e numerosa e caratterizzata da contenuti avanzati e condivisibili. E che sarebbe dovuta durare ancora ore e ore per dare modo di intervenire a tutti i portatori di esperienze realmente partecipate e di base, come ad esempio l’ex Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) occupato Jesopazzo di Napoli.
Ma è stato solo l’inizio e si avvia un percorso il cui obiettivo deve essere per l’appunto quello di dare la parola a tutte e tutti per rifondare dal basso la sinistra.
In Italia, in Europa, nel mondo c’è sempre più bisogno di sinistra.
Lo dimostrano da ultimo i successi di Corbyn in Gran Bretagna e di Melenchon in Francia.
La sinistra del resto costituisce l’antidoto e l’alternativa naturale ai veleni del capitalismo che, nella sua fase finanziaria e neoliberista, distrugge la società e l’ambiente, demolisce la cittadinanza e minaccia la pace.
Di fronte a questi guai, non ipotetici, ma reali non vi sono altre soluzioni possibili.
Non certo i tecnocrati alla Macron, i quali, votati da una minoranza del corpo elettorale, si accingono a “riformare” Stato e società per rendere entrambi sempre più funzionali alla competitività capitalistica.
Ma neanche i populisti di destra che attingono il loro carburante all’antico serbatoio del razzismo.
Essere di sinistra è d’obbligo per combattere entrambe queste strade.
E non serviranno a nulla i contorcimenti di chi, come l’attuale gruppo dirigente dei Cinquestelle, strizza l’occhio ai razzisti rifiutandosi di votare una legge indispensabile come quella sullo Ius soli attualmente in discussione per la concessione della cittadinanza italiana a chi in Italia è nato e ha vissuto le sue prime esperienze formative, o continuando a cianciare di lobby e gruppi d’interesse legati all’immigrazione, tentando così di gettare fango e discredito su chi svolge oggi funzioni di accoglienza e integrazione essenziali per una società che si avvia comunque a essere sempre più meticcia e multietnica, alla faccia dei razzisti di ogni genere.
O ci saranno forze che prenderanno su di loro il compito di rappresentare e organizzare il lavoro, ovvero i lavoratori, com’è successo alle elezioni presidenziali statunitensi, voteranno chiunque, perfino un pagliaccio speculatore come Trump, nell’illusione che costui li possa tutelare di fronte al capitalismo neoliberista dirompente.
Io al Brancaccio c’ero e condivido ogni parola della relazione introduttiva di Tomaso Montanari e delle conclusioni di Anna Falcone.
La strada da fare è lunga e difficile.
Ma si deve e si può ricostruire in Italia una sinistra degna di questo nome.
A condizione di rompere ogni ponte con il passato, ripudiando fino in fondo scelte illegittime e disastrose, come le bombe sul Kosovo di cui si rese responsabile a suo tempo D’Alema violando l’art. 11 della Costituzione italiana.
Riaffermando il valore politico e normativo della Costituzione repubblicana che la stragrande maggioranza del popolo italiano ha collettivamente riconosciuto con il voto del 4 dicembre, in contrasto con quanto all’epoca ebbe a dichiarare, ad esempio, Giuliano Pisapia.
Non si tratta certo di bandire in perpetuo coloro che si sono resi colpevoli di queste ed altre scelte, ai quali tuttavia va chiesta una sincera autocritica, altrimenti si potrebbe ipotizzare che il loro interesse nei confronti della rifondazione della sinistra sia del tutto strumentale.
Così come va chiesta coerenza a coloro che, allontanatisi dal Pd più per necessità che per virtù, continuano a cincischiare avallando operazioni fallimentari nel metodo e nel merito, come la riproposizione dei voucher in spregio alla volontà espressa da oltre tre milioni di elettori che hanno firmato per la richiesta di referendum presentata dalla Cgil.
Per evitare l’abbraccio mortale con i morti viventi che continuano ad affollare qualche discarica politica, occorre affermare con forza, nei fatti e non solo a parole, la necessità di ricostruire una sinistra che non può partire da equilibri e giochi di potere, come fu ad esempio per Rivoluzione civile, ma deve fondarsi sulle aspirazioni effettive dei lavoratori, delle lavoratrici e del popolo italiano.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Dove si vedono i maldipancia, perenni, della sinistra cimiteriale, e l’incapacità di stabilire un perimetro comune su cui, possibilmente, ricominciare.
LIBRE, oggi, presenta il punto di vista di Giorgio Cremaschi.
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Nuova sinistra, fai la guerra a questo sistema (o stai a casa)
Scritto il 23/6/17 • nella Categoria: idee Condividi
Il patatrac del sistema elettorale finto tedesco, ah quanti guai in Italia a voler imitare la Germania, allontana la data delle elezioni.
Questo forse depotenzierà l’urgenza della proposta di Anna Falcone e Tommaso Montanari, ma permetterà un confronto più rigoroso su di essa, senza l’assalto soverchiante di tutti quelli che “mamma mia, come superiamo il 5%?”.
Non basta affermare che una proposta di sinistra unita debba essere nuova perché essa effettivamente lo sia.
Dal 2008 queste proposte si susseguono, spesso con le stesse premesse e gli stessi risultati, catastrofici.
Le liste della sinistra unita hanno sempre fallito il loro obiettivo elettorale tranne che alle elezioni europee, dove la lista Tsipras ha superato lo sbarramento, salvo poi frantumarsi un minuto dopo il voto, come le precedenti esperienze sconfitte.
Quindi il primo elemento di novità della proposta dovrebbe essere quello di non ripetere le esperienze del passato e di porre condizioni e discriminanti affinché il nuovo sia davvero tale.
Sinceramente, non trovo chiarezza sufficiente al riguardo nel testo di Falcone e Montanari.
Si parte dalla Costituzione, anzi dalla sua anima sociale e antiliberista affermata meravigliosamente dall’articolo 3, e si sostiene che si deve prima di tutto rispondere a quel popolo di sinistra che in nome di quell’anima ha votato No il 4 dicembre.
Benissimo, questo però significa esplicitare subito alcune discriminanti.
Prima di tutto non possono essere interlocutori di questa proposta coloro che hanno votato Sì, per capirci sono fuori Giuliano Pisapia e Romano Prodi.
Il problema si pone però anche verso chi ha votato No, ma prima ha sostenuto il Jobsact, la legge Fornero e soprattutto quella mina a orologeria contro i principi sociali della Costituzione, quale è il nuovo articolo 81 che obbliga al pareggio di bilancio in ottemperanza al mostruoso Fiscal Compact.
Durante il governo Monti il Parlamento quasi unanime ha costituzionalizzato quella austerità che giustamente Falcone e Montanari vogliono rovesciare.
E se non sono solo buoni propositi, la rottura con l’austerità significa soppressione immediata delle misure che emblematicamente la realizzano.
Chi le ha votate naturalmente può ammettere di essersi sbagliato e sostenere un programma che proponga di cancellare quelle misure, ma lo deve fare con rigore e sofferenza e non per furbizia.
Jeremy Corbyn ha riconquistato fiducia nel mondo del lavoro, dopo essere stato svillaneggiato dalle sinistre liberali e dai loro mass media, accettando il voto sulla Brexit e proponendo un programma secco di nazionalizzazioni.
Questa parola da noi è tabù nei sindacati confederali e anche in buona parte della sinistra più radicale, eppure è proprio sul terreno delle privatizzazioni che si gioca la possibilità di arrestare e veder dilagare ancora le politiche economiche liberiste.
Alitalia e Ilva sono i primi banchi di prova, poi seguiranno le Poste, le Ferrovie, Enel ed Eni e naturalmente ciò che resta del sistema bancario.
O torna l’intervento pubblico diretto nell’economia, o da noi va tutto in mano alle multinazionali, visto che la grande borghesia italiana non esiste più come classe autonoma dai poteri della globalizzazione.
O pubblico, o si svende ciò che resta del paese, questa è l’alternativa reale oggi e che scelta fa al riguardo la sinistra prefigurata da Falcone e Montanari?
Lavoro con diritti, scuola pubblica e stato sociale, ambiente, territorio e beni comuni sono dichiaratamente al centro della proposta di nuova sinistra.
Anche qui possiamo solo dire giustissimo, ma dobbiamo però aggiungere: che misure concrete si vogliono subito attuare, che leggi si vogliono cancellare, che nuovi atti si vogliono varare?
Naturalmente ci sono programmi decennali da individuare, ma il buongiorno si vede dal mattino, per esempio dall’impegno a cancellare tutta la buona scuola e la controriforma della sanità, a quello a fermare tutte le grandi opere, a partire dalla famigerata Tav in valle Susa.
Non è solo questo che basta, ma è questo che serve per capire se si vuol fare sul serio.
Il bilancio delle spese militari dello Stato italiano è in continua ascesa e Gentiloni si è impegnato quasi a raddoppiarlo per raggiungere quel 2% del Pil posto dagli accordi Nato.
Si ribalta questa scelta nel suo opposto con il taglio delle spese ed il ritiro dalle missioni all’estero, o ci si accontenta di partecipare alla sfilata del 2 giugno con la spilla della pace?
Anche qui le scelte programmatiche, che Falcone e Montanari pongono giustamente come discriminanti, se sono vere individuano già di che pasta e di quali persone dovrebbe essere composta la nuova sinistra.
Che alla fine dovrà misurarsi con la questione di fondo: le politiche del lavoro, dell’ambiente e dello stato sociale, in alternativa alla austerità e alle spese di guerra, sono realizzabili accettando i vincoli Ue e Nato?
Noi che abbiamo costituito Eurostop pensiamo di no, che senza la rottura con quelle istituzioni nulla di buono sia possibile per i poveri e gli sfruttati.
Noi pensiamo così, ma siamo disposti ad accettare la sfida di chi invece pensa che quelle istituzioni siano positivamente riformabili.
Chi crede a questo però deve essere disposto a rompere se poi dovesse verificare che il suo programma posto è posto all’indice proprio da quelle istituzioni.
E deve dirlo.
Chi ha votato No il 4 dicembre non può dimenticare che tutta la governance europea si era spesa per il Sì.
Né può ignorare che la Costituzione del 1948 e i trattati di Maastricht e Lisbona sono formalmente e concretamente incompatibili.
Si può non volere la rottura con la Ue nel programma, ma si deve essere disposti a farla se le istituzioni comunitarie quel programma ti impediscono di realizzarlo.
Tsipras tra il rispetto del referendum popolare e quello dei diktat della Troika ha scelto il secondo.
La sinistra proposta da Falcone e Montanari è disposta a fare la scelta esattamente opposta?
Siccome nel testo di Falcone e Montanari non ho trovato risposte chiare a domande per me decisive per capire cosa essi vogliano fare, mi sono permesso alcune di quelle domande di formularle io.
Mi permetto di suggerire ai due estensori dell’appello di parlarne esplicitamente nell’assemblea del 18 giugno.
Magari si affermi l’opposto di quanto scritto qui, ma per favore si faccia chiarezza.
E non si parli d’altro per favore, sappiamo tutti che i nodi sono questi e non si sciolgono coprendoli di grandi valori e buoni propositi.
(Giorgio Cremaschi, “Vorrei che Falcone e Montanari facessero chiarezza sulla loro idea di sinistra”, dal blog di Cremaschi sull’“Huffington Post” del 9 giugno 2017).
LIBRE, oggi, presenta il punto di vista di Giorgio Cremaschi.
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Nuova sinistra, fai la guerra a questo sistema (o stai a casa)
Scritto il 23/6/17 • nella Categoria: idee Condividi
Il patatrac del sistema elettorale finto tedesco, ah quanti guai in Italia a voler imitare la Germania, allontana la data delle elezioni.
Questo forse depotenzierà l’urgenza della proposta di Anna Falcone e Tommaso Montanari, ma permetterà un confronto più rigoroso su di essa, senza l’assalto soverchiante di tutti quelli che “mamma mia, come superiamo il 5%?”.
Non basta affermare che una proposta di sinistra unita debba essere nuova perché essa effettivamente lo sia.
Dal 2008 queste proposte si susseguono, spesso con le stesse premesse e gli stessi risultati, catastrofici.
Le liste della sinistra unita hanno sempre fallito il loro obiettivo elettorale tranne che alle elezioni europee, dove la lista Tsipras ha superato lo sbarramento, salvo poi frantumarsi un minuto dopo il voto, come le precedenti esperienze sconfitte.
Quindi il primo elemento di novità della proposta dovrebbe essere quello di non ripetere le esperienze del passato e di porre condizioni e discriminanti affinché il nuovo sia davvero tale.
Sinceramente, non trovo chiarezza sufficiente al riguardo nel testo di Falcone e Montanari.
Si parte dalla Costituzione, anzi dalla sua anima sociale e antiliberista affermata meravigliosamente dall’articolo 3, e si sostiene che si deve prima di tutto rispondere a quel popolo di sinistra che in nome di quell’anima ha votato No il 4 dicembre.
Benissimo, questo però significa esplicitare subito alcune discriminanti.
Prima di tutto non possono essere interlocutori di questa proposta coloro che hanno votato Sì, per capirci sono fuori Giuliano Pisapia e Romano Prodi.
Il problema si pone però anche verso chi ha votato No, ma prima ha sostenuto il Jobsact, la legge Fornero e soprattutto quella mina a orologeria contro i principi sociali della Costituzione, quale è il nuovo articolo 81 che obbliga al pareggio di bilancio in ottemperanza al mostruoso Fiscal Compact.
Durante il governo Monti il Parlamento quasi unanime ha costituzionalizzato quella austerità che giustamente Falcone e Montanari vogliono rovesciare.
E se non sono solo buoni propositi, la rottura con l’austerità significa soppressione immediata delle misure che emblematicamente la realizzano.
Chi le ha votate naturalmente può ammettere di essersi sbagliato e sostenere un programma che proponga di cancellare quelle misure, ma lo deve fare con rigore e sofferenza e non per furbizia.
Jeremy Corbyn ha riconquistato fiducia nel mondo del lavoro, dopo essere stato svillaneggiato dalle sinistre liberali e dai loro mass media, accettando il voto sulla Brexit e proponendo un programma secco di nazionalizzazioni.
Questa parola da noi è tabù nei sindacati confederali e anche in buona parte della sinistra più radicale, eppure è proprio sul terreno delle privatizzazioni che si gioca la possibilità di arrestare e veder dilagare ancora le politiche economiche liberiste.
Alitalia e Ilva sono i primi banchi di prova, poi seguiranno le Poste, le Ferrovie, Enel ed Eni e naturalmente ciò che resta del sistema bancario.
O torna l’intervento pubblico diretto nell’economia, o da noi va tutto in mano alle multinazionali, visto che la grande borghesia italiana non esiste più come classe autonoma dai poteri della globalizzazione.
O pubblico, o si svende ciò che resta del paese, questa è l’alternativa reale oggi e che scelta fa al riguardo la sinistra prefigurata da Falcone e Montanari?
Lavoro con diritti, scuola pubblica e stato sociale, ambiente, territorio e beni comuni sono dichiaratamente al centro della proposta di nuova sinistra.
Anche qui possiamo solo dire giustissimo, ma dobbiamo però aggiungere: che misure concrete si vogliono subito attuare, che leggi si vogliono cancellare, che nuovi atti si vogliono varare?
Naturalmente ci sono programmi decennali da individuare, ma il buongiorno si vede dal mattino, per esempio dall’impegno a cancellare tutta la buona scuola e la controriforma della sanità, a quello a fermare tutte le grandi opere, a partire dalla famigerata Tav in valle Susa.
Non è solo questo che basta, ma è questo che serve per capire se si vuol fare sul serio.
Il bilancio delle spese militari dello Stato italiano è in continua ascesa e Gentiloni si è impegnato quasi a raddoppiarlo per raggiungere quel 2% del Pil posto dagli accordi Nato.
Si ribalta questa scelta nel suo opposto con il taglio delle spese ed il ritiro dalle missioni all’estero, o ci si accontenta di partecipare alla sfilata del 2 giugno con la spilla della pace?
Anche qui le scelte programmatiche, che Falcone e Montanari pongono giustamente come discriminanti, se sono vere individuano già di che pasta e di quali persone dovrebbe essere composta la nuova sinistra.
Che alla fine dovrà misurarsi con la questione di fondo: le politiche del lavoro, dell’ambiente e dello stato sociale, in alternativa alla austerità e alle spese di guerra, sono realizzabili accettando i vincoli Ue e Nato?
Noi che abbiamo costituito Eurostop pensiamo di no, che senza la rottura con quelle istituzioni nulla di buono sia possibile per i poveri e gli sfruttati.
Noi pensiamo così, ma siamo disposti ad accettare la sfida di chi invece pensa che quelle istituzioni siano positivamente riformabili.
Chi crede a questo però deve essere disposto a rompere se poi dovesse verificare che il suo programma posto è posto all’indice proprio da quelle istituzioni.
E deve dirlo.
Chi ha votato No il 4 dicembre non può dimenticare che tutta la governance europea si era spesa per il Sì.
Né può ignorare che la Costituzione del 1948 e i trattati di Maastricht e Lisbona sono formalmente e concretamente incompatibili.
Si può non volere la rottura con la Ue nel programma, ma si deve essere disposti a farla se le istituzioni comunitarie quel programma ti impediscono di realizzarlo.
Tsipras tra il rispetto del referendum popolare e quello dei diktat della Troika ha scelto il secondo.
La sinistra proposta da Falcone e Montanari è disposta a fare la scelta esattamente opposta?
Siccome nel testo di Falcone e Montanari non ho trovato risposte chiare a domande per me decisive per capire cosa essi vogliano fare, mi sono permesso alcune di quelle domande di formularle io.
Mi permetto di suggerire ai due estensori dell’appello di parlarne esplicitamente nell’assemblea del 18 giugno.
Magari si affermi l’opposto di quanto scritto qui, ma per favore si faccia chiarezza.
E non si parli d’altro per favore, sappiamo tutti che i nodi sono questi e non si sciolgono coprendoli di grandi valori e buoni propositi.
(Giorgio Cremaschi, “Vorrei che Falcone e Montanari facessero chiarezza sulla loro idea di sinistra”, dal blog di Cremaschi sull’“Huffington Post” del 9 giugno 2017).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IL PUNTO DI VISTA DI PADELLARO
La sinistra del 16%? Una cacofonia di ego
di Antonio Padellaro | 22 giugno 2017
| (1)
Giuro, mi si è aperto il cuore quando ho letto sul Fatto il sondaggio che attribuisce alla sinistra unita percentuali fino al 16 per cento dei consensi alle prossime elezioni. Da quando ho il diritto di voto, alle Politiche ho (quasi) sempre scelto la sinistra del centrosinistra, anche se qualche volta turandomi il naso. Ho invidiato Bernie Sanders agli elettori americani e perfino Jeremy Corbyn a quelli inglesi, non certo perché trovi convincenti nel 2017 certe ricette vetero-socialiste. Mi affascina l’esistenza di leader autorevoli e riconosciuti che sanno parlare alla testa e al cuore della gente. Persone, come si dice, autentiche e meglio ancora se lungamente stagionate dall’età e dalle utopie.
Per saperne di più in questi giorni ho ritagliato molti articoli dedicati al dibattito in corso nella sinistra italiana partendo dall’assemblea del teatro Brancaccio di domenica scorsa promossa da Anna Falcone e Tomaso Montanari, animatori del comitato per il no al referendum. Ho il massimo rispetto per tutte le anime della sinistra e per le eccellenti persone che spesso con sacrifici personali si sobbarcano al peso (e alle spese) del volontariato politico. Ho cercato di capire se la somma di tante idee potesse costituire la scintilla miracolosa per accendere il fuoco di quel 16 per cento (io mi accontenterei anche del 10).
Qui di seguito una breve antologia di giudizi: il risultato giudicatelo voi. E non mi si venga a dire che sono frasi estrapolate dal contesto poiché da ciò che ho letto il contesto appare per lo più declamato in lingua sumera. Ora, ditemi voi (e mi rivolgo agli animatori di questo brodo primordiale) chi possa sentirsi minimamente attratto dalla travolgente cacofonia (per non dire peggio) di opinioni e di ego a briglia sciolta di una simile sinistra a pezzettoni. Una sola preghiera: non lamentiamoci poi di Matteo Renzi. Lui raccoglie ciò che altri stanno seminando con cura.
Massimo D’Alema (Mdp): “Il becerare contro Pisapia e i fischi a Gotor non portano lontano, gli organizzatori dovevano fermarli” (il manifesto).
Miguel Gotor (Mdp): “Fischiato ma felice. “Meglio la contestazione del servilismo renziano” (La Stampa).
Dalla platea contro Gotor: “Perché vi siete solo astenuti sui voucher anziché votare contro?” (ilfattoquotidiano.it).
D’Alema: “Altro segno di estremismo e settarismo, quello più lontano è un avversario, quello più vicino è il traditore” (il manifesto).
Tomaso Montanari (Alleanza Popolare per la democrazia e l’uguaglianza). “La guerra in Kosovo sia per la carta dell’Onu sia per la nostra Costituzione fu illegittima”. Voluta dal governo D’Alema che lo ascolta seduto in prima fila (il manifesto).
D’Alema: “Dico a Montanari che in Kosovo non c’è stata guerra illegale. L’accusa è decaduta, chi la ripete ingiuria” (il manifesto).
Montanari: “Nessuno ha detto a D’Alema ‘vai fuori’. L’importante è sapere dove si va. Basta con i disastri di quel centrosinistra” (il Fatto Quotidiano).
D’Alema: “Caro Vendola, Pisapia non è una perfida creatura del renzismo” (il manifesto).
Montanari:“Il primo luglio andrò a sentire Pisapia in piazza Santi Apostoli ma dubito che mi facciano parlare” (il Fatto Quotidiano).
Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana): “La convention di Pisapia? Io vado se qualcuno mi invita a parlare. Se devo fare lo spettatore non credo di andare” (Repubblica).
Giuliano Pisapia (Campo Progressista): “L’assemblea di Alleanza Popolare? Non ci sono le condizioni per una mia partecipazione” (Huffington Post).
Anna Falcone (Alleanza Popolare): “Non c’è nessun centrosinistra da unire. La terza via ha fallito. Non vogliamo unificare la sinistra, vogliamo costruire la sinistra che non c’è ancora” (La Stampa).
Gotor (Mdp): “Per noi il progetto è una sinistra di governo. Chi ha altre idee in testa… amici come prima!” (La Stampa).
Pippo Civati (Possibile): “Dobbiamo dialogare anche con chi in questi anni ha fatto qualche cazzata. I nostri nemici non cerchiamoli nelle nostre più immediate vicinanze” (il Fatto Quotidiano).
Stefano Fassina (Sinistra Italiana): “Se in quel richiamo c’è anche il Pd non funziona” (il manifesto).
D’Alema: “Falcone e Montanari capiranno che non c’è apertura se ci si prende a pernacchie” (il manifesto).
Antonio Ingroia: “Occorre un’alleanza di sinistra che trovi nel M5S l’interlocutore naturale” (il Fatto Quotidiano)
Militante di Sinistra Italiana: “A me sembra un po’ come una festa a cui ogni invitato dice che viene solo se può portare un amico, solo che quell’amico diventa l’ospite sgradito al resto della compagnia” (ilfattoquotidiano.it).
Dario Stefano (Campo Progressista): “All’assemblea di Falcone e Montanari si è fatto il tifo tra chi considera Pisapia e chi no. Si è smesso di guardare al progetto per concentrarsi sempre su chi è più leader” (Repubblica).
Maurizio Acerbo (Prc): “Non ci presteremo al restyling di quelli che hanno perso il congresso Pd”. Finisce salutando a pugno chiuso la platea (il manifesto).
Arturo Scotto (Mdp): “Dobbiamo dire noi ai veti. Con Renzi non c’è intesa possibile, ma non possiamo regalargli Pisapia” (La Stampa).
Giorgio Cremaschi (Forum Diritti Lavoro): “Tsipras tra il rispetto del referendum popolare e quello del diktat della troika ha scelto il secondo. La sinistra proposta da Falcone e Montanari è disposta a fare la scelta esattamente opposta?”.
Ragazza di DeMa (il movimento di Luigi De Magistris) a un certo punto invade il palco e interrompe: “Perché fate parlare lui e non me?” (il Fatto Quotidiano).
La sinistra del 16%? Una cacofonia di ego
di Antonio Padellaro | 22 giugno 2017
| (1)
Giuro, mi si è aperto il cuore quando ho letto sul Fatto il sondaggio che attribuisce alla sinistra unita percentuali fino al 16 per cento dei consensi alle prossime elezioni. Da quando ho il diritto di voto, alle Politiche ho (quasi) sempre scelto la sinistra del centrosinistra, anche se qualche volta turandomi il naso. Ho invidiato Bernie Sanders agli elettori americani e perfino Jeremy Corbyn a quelli inglesi, non certo perché trovi convincenti nel 2017 certe ricette vetero-socialiste. Mi affascina l’esistenza di leader autorevoli e riconosciuti che sanno parlare alla testa e al cuore della gente. Persone, come si dice, autentiche e meglio ancora se lungamente stagionate dall’età e dalle utopie.
Per saperne di più in questi giorni ho ritagliato molti articoli dedicati al dibattito in corso nella sinistra italiana partendo dall’assemblea del teatro Brancaccio di domenica scorsa promossa da Anna Falcone e Tomaso Montanari, animatori del comitato per il no al referendum. Ho il massimo rispetto per tutte le anime della sinistra e per le eccellenti persone che spesso con sacrifici personali si sobbarcano al peso (e alle spese) del volontariato politico. Ho cercato di capire se la somma di tante idee potesse costituire la scintilla miracolosa per accendere il fuoco di quel 16 per cento (io mi accontenterei anche del 10).
Qui di seguito una breve antologia di giudizi: il risultato giudicatelo voi. E non mi si venga a dire che sono frasi estrapolate dal contesto poiché da ciò che ho letto il contesto appare per lo più declamato in lingua sumera. Ora, ditemi voi (e mi rivolgo agli animatori di questo brodo primordiale) chi possa sentirsi minimamente attratto dalla travolgente cacofonia (per non dire peggio) di opinioni e di ego a briglia sciolta di una simile sinistra a pezzettoni. Una sola preghiera: non lamentiamoci poi di Matteo Renzi. Lui raccoglie ciò che altri stanno seminando con cura.
Massimo D’Alema (Mdp): “Il becerare contro Pisapia e i fischi a Gotor non portano lontano, gli organizzatori dovevano fermarli” (il manifesto).
Miguel Gotor (Mdp): “Fischiato ma felice. “Meglio la contestazione del servilismo renziano” (La Stampa).
Dalla platea contro Gotor: “Perché vi siete solo astenuti sui voucher anziché votare contro?” (ilfattoquotidiano.it).
D’Alema: “Altro segno di estremismo e settarismo, quello più lontano è un avversario, quello più vicino è il traditore” (il manifesto).
Tomaso Montanari (Alleanza Popolare per la democrazia e l’uguaglianza). “La guerra in Kosovo sia per la carta dell’Onu sia per la nostra Costituzione fu illegittima”. Voluta dal governo D’Alema che lo ascolta seduto in prima fila (il manifesto).
D’Alema: “Dico a Montanari che in Kosovo non c’è stata guerra illegale. L’accusa è decaduta, chi la ripete ingiuria” (il manifesto).
Montanari: “Nessuno ha detto a D’Alema ‘vai fuori’. L’importante è sapere dove si va. Basta con i disastri di quel centrosinistra” (il Fatto Quotidiano).
D’Alema: “Caro Vendola, Pisapia non è una perfida creatura del renzismo” (il manifesto).
Montanari:“Il primo luglio andrò a sentire Pisapia in piazza Santi Apostoli ma dubito che mi facciano parlare” (il Fatto Quotidiano).
Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana): “La convention di Pisapia? Io vado se qualcuno mi invita a parlare. Se devo fare lo spettatore non credo di andare” (Repubblica).
Giuliano Pisapia (Campo Progressista): “L’assemblea di Alleanza Popolare? Non ci sono le condizioni per una mia partecipazione” (Huffington Post).
Anna Falcone (Alleanza Popolare): “Non c’è nessun centrosinistra da unire. La terza via ha fallito. Non vogliamo unificare la sinistra, vogliamo costruire la sinistra che non c’è ancora” (La Stampa).
Gotor (Mdp): “Per noi il progetto è una sinistra di governo. Chi ha altre idee in testa… amici come prima!” (La Stampa).
Pippo Civati (Possibile): “Dobbiamo dialogare anche con chi in questi anni ha fatto qualche cazzata. I nostri nemici non cerchiamoli nelle nostre più immediate vicinanze” (il Fatto Quotidiano).
Stefano Fassina (Sinistra Italiana): “Se in quel richiamo c’è anche il Pd non funziona” (il manifesto).
D’Alema: “Falcone e Montanari capiranno che non c’è apertura se ci si prende a pernacchie” (il manifesto).
Antonio Ingroia: “Occorre un’alleanza di sinistra che trovi nel M5S l’interlocutore naturale” (il Fatto Quotidiano)
Militante di Sinistra Italiana: “A me sembra un po’ come una festa a cui ogni invitato dice che viene solo se può portare un amico, solo che quell’amico diventa l’ospite sgradito al resto della compagnia” (ilfattoquotidiano.it).
Dario Stefano (Campo Progressista): “All’assemblea di Falcone e Montanari si è fatto il tifo tra chi considera Pisapia e chi no. Si è smesso di guardare al progetto per concentrarsi sempre su chi è più leader” (Repubblica).
Maurizio Acerbo (Prc): “Non ci presteremo al restyling di quelli che hanno perso il congresso Pd”. Finisce salutando a pugno chiuso la platea (il manifesto).
Arturo Scotto (Mdp): “Dobbiamo dire noi ai veti. Con Renzi non c’è intesa possibile, ma non possiamo regalargli Pisapia” (La Stampa).
Giorgio Cremaschi (Forum Diritti Lavoro): “Tsipras tra il rispetto del referendum popolare e quello del diktat della troika ha scelto il secondo. La sinistra proposta da Falcone e Montanari è disposta a fare la scelta esattamente opposta?”.
Ragazza di DeMa (il movimento di Luigi De Magistris) a un certo punto invade il palco e interrompe: “Perché fate parlare lui e non me?” (il Fatto Quotidiano).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
......ADDIO SINISTRA....
E' MORTO STEFANO RODOTA'
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
UncleTom ha scritto:......ADDIO SINISTRA....
E' MORTO STEFANO RODOTA'
E' morto il giurista Stefano Rodotà
La Repubblica
di CONCETTO VECCHIO
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ROMA - "C'è un impoverimento culturale che si fa sentire, la cattiva politica è figlia della cattiva cultura", così Stefano Rodotà, morto oggi all'età di 84 anni, ammoniva già nel 2000. Una frase che sintetizza l'impegno di una vita di un protagonista della nostra vita pubblica che con passione inesausta ha sempre cercato di far valere un punto di vista laico nei grandi temi del nostro Paese. Difficile inquadrarlo con un'etichetta - giurista, politico, riserva della Repubblica - ma anche complicato incasellarlo dentro uno schieramento: è stato radicale, poi indipendente di sinistra, infine movimentista senza casacca. Comunque sempre a sinistra. E' stato un intellettuale di valore, uno degli ultimi in questo paese sempre più avaro di idee. Soprattutto, fino alla fine, è stato un uomo libero.
Era nato a Cosenza il 30 maggio del 1933, negli anni del fascismo. Il padre, insegnante di matematica di origine albanese poi iscritto al Partito d'azione insegnava alle medie, dava ripetizioni a Giacomo Mancini, il futuro leader socialista; uno zio divenne segretario locale della Dc. La politica, insieme allo studio, è sin da subito una passione divorante. Nel 1953 approda a Roma per laurearsi in legge. Dice no a un'offerta di Adriano Olivetti, che lo vorrebbe con sé ad Ivrea, e che gli accrediterà comunque, come sostegno per i suoi studi, 300 mila lire sul conto corrente. Prima dei quarant'anni è già ordinario, insegna diritto civile alla Sapienza, ma l'impegno accademico è sempre intrecciato con quello politico; milita nei Radicali, scrive sul "Mondo" di Pannunzio - a 22 anni il primo articolo finisce in prima pagina - dopo che da ragazzo aspettava ogni settimana impaziente l'uscita del numero in edicola. E' Elena Croce, la figlia di Benedetto, nel cui salotto conosce Klaus Mann e Adorno, a introdurlo. "Non c'è un giorno nel quale non abbia preso un libro in mano", dirà. E' tra i primi professori a scrivere regolarmente sui giornali, sin dai primi anni Settanta, quando le tribune dei giornali erano scansate dagli accademici. Con la nascita di Repubblica inizia un'importante collaborazione con il nostro giornale.
Insegna a Oxford, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, viaggia incessantemente, l'altra sua passione è la buona cucina, da gourmet, "l'investimento per una buona cena non va considerato di serie B rispetto a un libro o a un disco", dirà.
Nel '79 entra in Parlamento, ma a sorpresa rifiuta l'offerta dei radicali ("l'unico partito al quale sono mai stato iscritto"), e si candida come indipendente di sinistra nelle liste del Pci. A Pannella, che quell'anno aveva convinto Sciascia a candidarsi, preferisce Berlinguer. Sono anni difficili, il terrorismo mette a dura prova la tenuta delle istituzioni. Quando il Pci voterà a favore delle leggi emergenziali di Cossiga, Rodotà si smarcherà. Vi rimarrà fino al 1993 quando si dimetterà, a sorpresa, dopo essere stato eletto vicepresidente della Camera. Scrive: "La mia non è una ritirata, né un rifiuto sull'aria "ingrata politica non avrai le mie ossa". I tempi sono così pieni di politica che nessuno può tirarsene fuori con un gesto o una parola". La Seconda Repubblica lo vede quindi fuori dal Palazzo, e con più forza, con meno vincoli. Nel 1997, durante il primo governo Prodi, diventa Garante della Privacy, "il signor Riservatezza", ruolo che regge con equilibrio fino al 2005, in un momento storico in cui, grazie all'esplosione della rete, ogni certezza sui dati personali sembra saltata. Riceve 80 ricorsi al giorno. Interviene, guida, spiega con mano ferma temi che aveva iniziato a studiare sin dai primi anni Settanta.
I temi di una vita sono i diritti, quelli individuali e sociali, perché "è da quelli che si misura la qualità di una società". E poi la laicità dello Stato, i valori della Costituzione, da far conoscere e da preservare, il rapporto tra Stato e Chiesa, quello tra democrazia e religione, la bioetica, la libertà di stampa. Su questi argomenti scrive incessantemente, per anni, con prosa scabra, puntuale, "perché il linguaggio è sempre rivelatore". Pungola la sinistra ogni volta che può, "sui diritti è debole, quasi che la chiesa cattolica abbia il monopolio delle questioni etiche". Il Paese oscilla tra grandi slanci riformatori e repentini ripiegamenti, Rodotà si ritrova spesso in minoranza. "Viviamo in uno stato di diritto, ma nessuno ci crede", commenterà un giorno, amaro.
Con la sinistra dei partiti il suo rapporto è complesso. Nell'89, dopo la Svolta di Occhetto, aderisce al Pds. Ne diventa presidente, ma senza sentirsi mai pienamente a casa. E' un irregolare. Sono gli anni di Tangentopoli, la sinistra sconta le sue debolezze, avanza il berlusconismo, il paesaggio del Novecento, con le sue certezze, frana di colpo. Il conflitto d'interessi di Berlusconi diventa così il nuovo campo di battaglia dove misurare la forza della democrazia repubblicana. Rodotà è in prima fila. Ne denuncia le storture su questo giornale, ripetutamente. "Siamo alla rottura dei fondamenti di un moderno Stato democratico", dirà dopo che Berlusconi avrà incassato la sua prima fiducia, nell'aprile del 1994, intervistato da Rina Gagliardi.
Rodotà in qualche modo è sempre stato moderno. A 80 anni si scopre star del web. Parla ai giovani. Nel 2013 i Cinquestelle lo candidano alla successione di Napolitano. Il tifo per lui "Ro-do-tà -Ro-do-tà", risuona a Montecitorio, lo votano anche Sel e alcuni del Pd; poi Grillo, con un atto volgare dei suoi, lo definirà "un ottuagenario miracolato della rete". Viene rieletto Napolitano. Sposato da più di mezzo secolo con Carla, collaboratrice di Repubblica, due figli, Carlo e Maria Laura, una delle firme del giornalismo italiano, ha quindi attraversato questo nostro tempo con una profonda curiosità e spirito civile. "Il mio narcisismo l'ho consumato in tutte le cose che ho fatto. Ora mi sento pacificato", disse tempo fa ad Antonio Gnoli. La sua voce, mai accomodante, mancherà.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
ADDIO A STEFANO RODOTA’, AVEVA 84 ANNI
Eterno difensore dei diritti. In nome della Carta
Dal riformismo militante a sinistra (ma fuori dal sistema di partiti) alla lotta contro le riforme di Renzi e B
Giurista, laico, di sinistra. Ha fatto politica in piazze e Palazzi. Con una missione: far sentire tutti cittadini
FQ Magazine
I principi della Costituzione non si toccano. Se si dovessero riassumere gli ultimi anni di pensiero e azione di Stefano Rodotà, si dovrebbe partire dalla presa di posizione per il No al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. Di sinistra, laico, libertario, il giurista che non ha mai mollato la politica, protagonista di mille battaglie per l’estensione dei diritti dei cittadini, Rodotà è morto a Roma. Aveva 84 anni, lascia la moglie Carla e due figli
di Davide Turrini
Eterno difensore dei diritti. In nome della Carta
Dal riformismo militante a sinistra (ma fuori dal sistema di partiti) alla lotta contro le riforme di Renzi e B
Giurista, laico, di sinistra. Ha fatto politica in piazze e Palazzi. Con una missione: far sentire tutti cittadini
FQ Magazine
I principi della Costituzione non si toccano. Se si dovessero riassumere gli ultimi anni di pensiero e azione di Stefano Rodotà, si dovrebbe partire dalla presa di posizione per il No al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. Di sinistra, laico, libertario, il giurista che non ha mai mollato la politica, protagonista di mille battaglie per l’estensione dei diritti dei cittadini, Rodotà è morto a Roma. Aveva 84 anni, lascia la moglie Carla e due figli
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
UncleTom ha scritto:ADDIO A STEFANO RODOTA’, AVEVA 84 ANNI
Eterno difensore dei diritti. In nome della Carta
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I principi della Costituzione non si toccano. Se si dovessero riassumere gli ultimi anni di pensiero e azione di Stefano Rodotà, si dovrebbe partire dalla presa di posizione per il No al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. Di sinistra, laico, libertario, il giurista che non ha mai mollato la politica, protagonista di mille battaglie per l’estensione dei diritti dei cittadini, Rodotà è morto a Roma. Aveva 84 anni, lascia la moglie Carla e due figli
di Davide Turrini
IlFattoQuotidiano.it / Palazzi & Potere
Stefano Rodotà morto, il giurista aveva 84 anni. Mattarella: “Ha sempre tutelato i più deboli”
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Palazzi & Potere
Lascia la moglie Carla e due figli, tra questi Maria Laura, giornalista del Corriere della Sera. Calabrese, originario di un famiglia albanese della comunità arbëreshë del Cosentino, dove era nato il 30 maggio del 1933, è stato deputato per quattro legislature con il Pci e il Pds. Primo Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, nel 2013 era il candidato presidente della Repubblica del Movimento 5 Stelle
di F. Q. | 23 giugno 2017
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Addio a Stefano Rodotà. Il giurista e politico è morto oggi – 23 giugno 2017 – a Roma: aveva 84 anni. Lascia la moglie Carla e due figli, tra questi Maria Laura, giornalista del Corriere della Sera. Calabrese, originario di un famiglia albanese della comunità arbëreshë del Cosentino, dove era nato il 30 maggio del 1933, è stato professore universitario, ex parlamentare, già Garante per la protezione dei dati personali. Viene eletto deputato per la prima volta nel 1979 come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano. Nel 1989 è nominato Ministro della Giustizia nel governo ombra creato dal Pci di Achille Occhetto e successivamente, dopo il XX Congresso del partito comunista e la svolta della Bolognina, aderisce al Partito Democratico della Sinistra, del quale sarà il primo presidente del Consiglio nazionale, carica che ricoprirà fino al 1992. Nell’aprile dello stesso anno torna alla Camera dei deputati tra le file del Pds, viene eletto vicepresidente e fa parte della nuova Commissione Bicamerale.
Primo Presidente del Garante per la protezione dei dati personali tra il 1997 e 2005, nel 2013 ha sfiorato il Colle: era il candidato presidente della Repubblica del Movimento 5 Stelle. Al Quirinale fu votato anche dai parlamentari di Sinistra ecologia e libertà ma venne sconfitto da Giorgio Napolitano, eletto per la seconda volta. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato un messaggio alla famiglia ricordando “le alte doti morali e l’impegno di giurista insigne, di docente universitario, di parlamentare appassionato e di prestigio e di rigoroso garante della Privacy”. “La sua lunga militanza civile al servizio della collettività – ricorda Mattarella – è stata sempre contrassegnata dalla affermazione della promozione dei diritti e della tutela dei più deboli“. Tra i primi a ricordare il giurista sui social c’è il presidente del consiglio, Paolo Gentiloni , che su twitter scrive: “Ricordo Stefano Rodotà grande giurista, intellettuale di rango, straordinario parlamentare. Una vita di battaglie per la libertà”.
Ricordo Stefano #Rodotà grande giurista, intellettuale di rango, straordinario parlamentare. Una vita di battaglie per la libertà
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) 23 giugno 2017
“Addio a Stefano Rodotà: insigne giurista, uomo delle Istituzioni, intellettuale che ha dato moltissimo al nostro Paese. Ho avuto tante volte l’occasione di incontrarlo e confrontarmi sul tema dei diritti, a lui particolarmente caro e al quale ha dedicato decenni di impegno: ne ricordo l’intelligenza vivace e la straordinaria capacità di affrontare con linguaggio semplice temi profondamente complessi. Ci mancherà”, è invece il messaggio scritto su facebook dal presidente del Senato Pietro Grasso. “Con Rodotà perdiamo uno straordinario giurista, che si è battuto per il diritto di avere diritti anche nell’età digitale“, dice la presidente della Camera, Laura Boldrini.
Anche l’ex premier Enrico Letta ha dedicato al giurista un tweet: “Che brutta notizia. Profonda tristezza per la scomparsa di Stefano Rodotà”. “Strenuo difensore dei diritti, della Costituzione e della libertà. Oggi perdiamo un intellettuale e un giurista di grande valore”, è invece il messaggio di commiato di Beppe Sala, sindaco di Milano. “Scompare uno dei più grandi giuristi italiani. E un uomo di sinistra attento e critico. Una grande perdita per tutti”, scrive Roberto Speranza. Così via Twitter il commento di Roberto Speranza Pioggia di tweet anche da parte dei parlamentari del M5s, tutti ritwittati dal profilo di Beppe Grillo. Scrive Roberto Fico: “Grazie al professore Rodotà per le tante battaglie in nome della Costituzione e in difesa dei diritti delle persone e dei nostri beni comuni”. “Stefano, grazie….e speriamo che la tua lezione continui ad essere meditata da tanti”, dice il senatore Nicola Morra. E Danilo Toninelli: “Addio a un grande giurista, un grande uomo, che tanto ha dato all’Italia e che ha contribuito a salvarne la Costituzione”. Dal centrodestra, invece, il primo messaggio arriva dal senatore Gaetano Quagliarello: “È stato uno degli interpreti più coerenti di un’idea della libertà fondata su diritti in grado di generarne sempre di nuovo. Questa concezione si è contrapposta a un’altra idea della libertà fondata sulla persona, sulla responsabilità, sulla tradizione. Chi ha militato da questa seconda parte lo ha avuto spesso come avversario, e oggi non può fare a meno di riconoscere la sua passione e onestà intellettuale”.
di F. Q. | 23 giugno 2017
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Andrea Scanzi
Politica
Quando Rodotà non ci fece sentire soli
di Andrea Scanzi | 24 giugno 2017
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Più informazioni su: Referendum, Referendum Costituzionale 2016, Stefano Rodotà
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Andrea Scanzi
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Stamani Il Fatto Quotidiano pubblica l’intervento di Stefano Rodotà alla serata che organizzammo a Roma il 2 dicembre per il “No” al referendum – indecente – voluto dal pokemon tontolone. C’erano tante belle persone e un clima strano. Bello, ma strano. Temevamo eccome la vittoria del giglio babbeo. C’ero anch’io. Sul palco, insieme ad amici, lessi un pezzo di Calamandrei. Accanto a me, dietro le quinte, tutti gli ospiti. Attori, registi, scrittori, giornalisti, cantanti.
Avevamo la sensazione di fare la cosa giusta, anzi giustissima, ma anche di essere destinati a perdere. Ficarra e Picone sdrammatizzavano, Sabrina Ferilli provava a dare fiducia, Moni Ovadia infieriva sul niente (cioè su Renzi). Marco (Travaglio) non voleva sentir parlare di pronostici (e io glieli dicevo apposta, ovviamente ferali, soprattutto a cena dopo la serata a teatro). L’unico ottimista era Freccero, che aveva in mano sondaggi fatti da non so chi: avrebbe avuto ragione lui, per la fortuna di questo scombussolato paese. Anche Tomaso Montanari si mostrava moderatamente ottimista.
A un certo punto, dalla platea, parlò Stefano Rodotà. Tutti applaudirono e scattarono in piedi prim’ancora che parlasse. Lo facemmo anche noi, dietro le quinte. Applausi lunghissimi, forti, affettuosi. Un gigantesco abbraccio. A qualcuno (a me di sicuro) venne anche un po’ da piangere. Rodotà provò a fermare gli applausi e i cori, non perché non ne fosse felice, ma perché si sentiva imbarazzato. Gli pareva che quell’affetto fosse eccessivo. Non lo era: applaudendolo, e commuovendoci, tributavamo l’uomo che tutti noi avremmo voluto Presidente.
Un uomo non voluto dal Pd, detestato dalla destra, denigrato da troppi servi idioti (quanti “giornalisti” lo umiliarono in tivù con la storia del “Ro-do-tà”, mamma mia) e insultato da quasi tutti (anche da Grillo, che lo definì cretinamente “ottuagenario miracolato dalla rete”). Averlo al Quirinale sarebbe stato un sogno e per questo non lo abbiamo avuto: la politica italiana è schifosa e fa male alla pelle, come cantava qualcuno (Gaber). È irredimibile e non contempla speranza alcuna. Lì, con la seconda elezione di Napolitano, per me è finito tutto. Da allora solo macerie e iatture. Rodotà disse parole bellissime. Lì ci rendemmo conto, definitivamente, di essere al posto giusto nel momento giusto. Lì avvertimmo di avere già vinto, a prescindere da quanto sarebbe accaduto il 4 dicembre. È stata, è e sarà una delle serate di cui più andare orgogliosi nella mia vita. Un onore essere salito sul palco dopo le sue parole. Una fortuna essergli stato contemporaneo. Un dolore vivere in un paese che, ai Rodotà, preferisce sempre i Napolitano.
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10:10
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06 ... i/3683325/
Grazie di tutto, Presidente.
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Quando Rodotà non ci fece sentire soli
di Andrea Scanzi | 24 giugno 2017
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Stamani Il Fatto Quotidiano pubblica l’intervento di Stefano Rodotà alla serata che organizzammo a Roma il 2 dicembre per il “No” al referendum – indecente – voluto dal pokemon tontolone. C’erano tante belle persone e un clima strano. Bello, ma strano. Temevamo eccome la vittoria del giglio babbeo. C’ero anch’io. Sul palco, insieme ad amici, lessi un pezzo di Calamandrei. Accanto a me, dietro le quinte, tutti gli ospiti. Attori, registi, scrittori, giornalisti, cantanti.
Avevamo la sensazione di fare la cosa giusta, anzi giustissima, ma anche di essere destinati a perdere. Ficarra e Picone sdrammatizzavano, Sabrina Ferilli provava a dare fiducia, Moni Ovadia infieriva sul niente (cioè su Renzi). Marco (Travaglio) non voleva sentir parlare di pronostici (e io glieli dicevo apposta, ovviamente ferali, soprattutto a cena dopo la serata a teatro). L’unico ottimista era Freccero, che aveva in mano sondaggi fatti da non so chi: avrebbe avuto ragione lui, per la fortuna di questo scombussolato paese. Anche Tomaso Montanari si mostrava moderatamente ottimista.
A un certo punto, dalla platea, parlò Stefano Rodotà. Tutti applaudirono e scattarono in piedi prim’ancora che parlasse. Lo facemmo anche noi, dietro le quinte. Applausi lunghissimi, forti, affettuosi. Un gigantesco abbraccio. A qualcuno (a me di sicuro) venne anche un po’ da piangere. Rodotà provò a fermare gli applausi e i cori, non perché non ne fosse felice, ma perché si sentiva imbarazzato. Gli pareva che quell’affetto fosse eccessivo. Non lo era: applaudendolo, e commuovendoci, tributavamo l’uomo che tutti noi avremmo voluto Presidente.
Un uomo non voluto dal Pd, detestato dalla destra, denigrato da troppi servi idioti (quanti “giornalisti” lo umiliarono in tivù con la storia del “Ro-do-tà”, mamma mia) e insultato da quasi tutti (anche da Grillo, che lo definì cretinamente “ottuagenario miracolato dalla rete”). Averlo al Quirinale sarebbe stato un sogno e per questo non lo abbiamo avuto: la politica italiana è schifosa e fa male alla pelle, come cantava qualcuno (Gaber). È irredimibile e non contempla speranza alcuna. Lì, con la seconda elezione di Napolitano, per me è finito tutto. Da allora solo macerie e iatture. Rodotà disse parole bellissime. Lì ci rendemmo conto, definitivamente, di essere al posto giusto nel momento giusto. Lì avvertimmo di avere già vinto, a prescindere da quanto sarebbe accaduto il 4 dicembre. È stata, è e sarà una delle serate di cui più andare orgogliosi nella mia vita. Un onore essere salito sul palco dopo le sue parole. Una fortuna essergli stato contemporaneo. Un dolore vivere in un paese che, ai Rodotà, preferisce sempre i Napolitano.
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Grazie di tutto, Presidente.
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