Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
….O CI E’, O CI FA’.....
Io che sono abbastanza critico con Obama, perché dipendente dalla cupola massonico-finanziaria, ritengo positivo il disgelo perseguito a suo tempo con Cuba.
Io ho un amico italiano, di idee politiche avverse alle nostre, ma che ha deciso di trasferirsi a Cuba perché sono quindici anni che in Italia non trova lavoro, che ha sposato una cubana.
Quindi sono notizie di prima mano che non passano attraverso il filtro dei media.
A Cuba stanno rientrando parecchi esuli cubani dal tempo di Fidel.
Perché negare la possibilità di rientrare in patria dopo che Raul ha ammorbidito la rigidità del fratello?????
Cuba, Trump cancella Obama
"Annullati tutti gli accordi"
Il presidente Usa attacca Raul Castro: "Il suo è un brutale regime". Poi annuncia: "Presto l'Isola tonerà libera"
di Luca Romano
31 minuti fa
4
MILLENNIUM, di questo mese, riporta in prima pagina:
……………………………A CHI PIACE
………………………………L’UOMO
……………………………….FORTE
PUTIN, ERDOGAN, TRUMP E TUTTI GLI ALTRI
Ce risemo nata vota?????????
Io che sono abbastanza critico con Obama, perché dipendente dalla cupola massonico-finanziaria, ritengo positivo il disgelo perseguito a suo tempo con Cuba.
Io ho un amico italiano, di idee politiche avverse alle nostre, ma che ha deciso di trasferirsi a Cuba perché sono quindici anni che in Italia non trova lavoro, che ha sposato una cubana.
Quindi sono notizie di prima mano che non passano attraverso il filtro dei media.
A Cuba stanno rientrando parecchi esuli cubani dal tempo di Fidel.
Perché negare la possibilità di rientrare in patria dopo che Raul ha ammorbidito la rigidità del fratello?????
Cuba, Trump cancella Obama
"Annullati tutti gli accordi"
Il presidente Usa attacca Raul Castro: "Il suo è un brutale regime". Poi annuncia: "Presto l'Isola tonerà libera"
di Luca Romano
31 minuti fa
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MILLENNIUM, di questo mese, riporta in prima pagina:
……………………………A CHI PIACE
………………………………L’UOMO
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Ce risemo nata vota?????????
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Re: Dove va l'America?
...NEL SEGNO DELLE STELLE....... E STRISCE......
18 giu 2017 19:07
BOTTE A VENEZIA
- L'ESTABLISHMENT FINANZIARIO EUROPEO PERDE LA BROCCA SU BREXIT E TRUMP (NUN CE VONNO STA'): LITE AL CONSIGLIO PER LE RELAZIONI ITALIA-USA
- BINI SMAGHI: ''DITE A TRUMP CHE NON PORGEREMO L'ALTRA GUANCIA''. KIM HOLMES REPLICA: ''MA L'EUROPA, SENZA L'AMERICA, DOVE VA?''. APRITI CIELO: BOTTA E RIPOSTA E CLIMA INFUOCATO
18 giu 2017 19:07
BOTTE A VENEZIA
- L'ESTABLISHMENT FINANZIARIO EUROPEO PERDE LA BROCCA SU BREXIT E TRUMP (NUN CE VONNO STA'): LITE AL CONSIGLIO PER LE RELAZIONI ITALIA-USA
- BINI SMAGHI: ''DITE A TRUMP CHE NON PORGEREMO L'ALTRA GUANCIA''. KIM HOLMES REPLICA: ''MA L'EUROPA, SENZA L'AMERICA, DOVE VA?''. APRITI CIELO: BOTTA E RIPOSTA E CLIMA INFUOCATO
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Re: Dove va l'America?
Il punto di vista di Thierry Meyssan.
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Folli sanzioni di guerra, imposte a Trump per farlo cadere
Scritto il 03/8/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
È uno scandalo senza precedenti.
Il segretario generale della Casa Bianca, Reince Priebus, faceva parte della congiura intesa a destabilizzare il presidente Trump e preparare la sua rimozione.
Ha alimentato le fughe di notizie quotidiane che perturbano la vita politica statunitense, tra cui la presunta collusione tra la squadra di Trump e il Cremlino.
Nel farlo dimettere, il presidente Trump è entrato in conflitto con l’establishment del Partito Repubblicano, di cui Priebus è l’ex presidente.
Osserviamo di passaggio che nessuna di queste soffiate in merito alle agende e ai contatti degli uni e degli altri ha apportato la benché minima prova delle accuse.
La riorganizzazione della squadra di Trump che ne è seguita è avvenuta esclusivamente a spese di personalità repubblicane e a vantaggio di militari opposti alla tutela dello Stato profondo.
L’alleanza che era stata conclusa facendo buon viso a cattivo gioco dal partito repubblicano con Donald Trump in occasione della convention di investitura, il 21 luglio 2016, è morta.
Così ci si ritrova con l’equazione di partenza: da una parte il presidente outsider dell’«America profonda», dall’altro, l’intera classe dirigente di Washington sostenuta dallo Stato profondo (cioè dalla parte dell’amministrazione incaricata della continuità dello Stato al di là delle alternanze politiche).
Ovviamente questa coalizione è sostenuta dal Regno Unito e da Israele.
Quel che doveva arrivare alla fine è arrivato: i leader democratici e repubblicani si sono intesi nel contrastare la politica estera del presidente Trump e preservare i loro vantaggi imperiali.
Per fare questo, hanno approvato al Congresso una legge di 70 pagine che introduce formalmente sanzioni contro la Corea del Nord, contro l’Iran e contro la Russia.
Questo testo impone unilateralmente a tutti gli altri Stati del mondo di rispettare questi divieti commerciali.
Queste sanzioni quindi valgono tanto per l’Unione Europea e la Cina quanto per gli Stati ufficialmente presi di mira.
Solo cinque parlamentari si sono dissociati dalla coalizione e hanno votato contro questa legge: i deputati Justin Amash, Tom Massie e Jimmy Duncan e i senatori Rand Paul e Bernie Sanders. Le disposizioni di questa legge proibiscono grosso modo all’esecutivo di ammorbidire queste interdizioni commerciali sotto qualsiasi forma.
Donald Trump è teoricamente legato mani e piedi.
Certo, potrebbe opporre il suo veto, ma secondo la Costituzione, al Congresso basterebbe votare di nuovo il testo negli stessi termini per poterlo imporre al presidente.
Costui quindi lo promulgherà senza imporsi l’affronto di doversi mettere al passo del Congresso.
Nei prossimi giorni inizierà una guerra senza precedenti.
I partiti politici Usa intendono cancellare la “dottrina Trump”, secondo cui gli Stati Uniti devono svilupparsi più velocemente degli altri per mantenere la leadership mondiale.
Intendono invece ripristinare la “Dottrina Wolfowitz” del 1992, secondo la quale Washington deve conservare il proprio vantaggio sul resto del mondo rallentando lo sviluppo di qualsiasi potenziale concorrente.
Paul Wolfowitz è un trotskista messosi al servizio del presidente repubblicano Bush per lottare contro la Russia.
Divenne dapprima vicesegretario della difesa, dieci anni più tardi, sotto il figlio di Bush, poi presidente della Banca Mondiale.
L’anno scorso ha dato il suo sostegno alla democratica Hillary Clinton.
Nel 1992 scrisse che il concorrente più pericoloso degli Stati Uniti era l’Unione Europea e che Washington doveva distruggerla politicamente, cioè economicamente.
La legge rimette in questione tutto ciò che Donald Trump ha fatto nel corso degli ultimi sei mesi, compresa la lotta contro i Fratelli Musulmani e le loro organizzazioni jihadiste, la preparazione dell’indipendenza del Donbass (Malorossiya), e il ripristino della Via della Seta.
Come prima ritorsione, la Russia ha chiesto a Washington di ridurre il personale della sua ambasciata a Mosca al livello della propria ambasciata a Washington, ossia 455 persone, espellendo 755 diplomatici.
Secondo le nostre informazioni, ci sarebbe una pletora di diplomatici statunitensi in Russia, tra 1.100 e 1.500.
In questo modo, Mosca intende ricordare che se anche avesse interferito nella politica americana, questo non avrebbe misure paragonabili con l’importanza dell’ingerenza degli Stati Uniti nella propria vita politica.
A questo proposito, è stato appena il 27 febbraio scorso che il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, annunciava alla Duma che le forze armate russe sono ora in grado anch’esse di organizzare “rivoluzioni colorate”, con 28 anni di ritardo sugli Stati Uniti.
Gli europei si rendono conto con stupore che i loro amici di Washington (i democratici Obama e Clinton, i repubblicani McCain e McConnell) hanno appena stoppato ogni speranza di crescita nell’Unione.
Lo shock è certamente pesante, ma ancora non hanno ammesso che il presunto “imprevedibile” Donald Trump è in realtà il loro migliore alleato.
Completamente storditi da questo voto, sopraggiunto durante le loro vacanze estive, gli europei si sono messi in stand-by.
Salvo reazione immediata, le aziende che hanno investito nella soluzione adottata dalla Commissione europea per l’approvvigionamento energetico dell’Ue sono rovinate.
Wintershall, E.On Ruhrgas, N.V. Nederlandse Gasunie, e Engie (ex Gdf Suez) si sono impegnate a raddoppiare il gasdotto North Stream, ora vietato dal Congresso.
Perdono non solo il diritto di competere in gare d’appalto Usa, ma perfino tutti i loro beni negli Stati Uniti.
È loro negato l’accesso alle banche internazionali e non possono continuare le loro attività al di fuori dell’Unione.
Per il momento, solo il governo tedesco ha espresso il suo sgomento.
Non si sa se riuscirà a convincere i suoi partner europei e a organizzare l’Unione contro la signoria Usa che la sovrasta.
Mai una tale crisi si è verificata, e quindi non v’è alcun elemento di riferimento precedente che consenta di anticipare il seguito degli avvenimenti.
È probabile che alcuni Stati membri dell’Unione difenderanno gli interessi degli Stati Uniti, così come sono concepiti dal Congresso, contro i loro partner europei.
Gli Stati Uniti, come ogni Stato, possono vietare alle loro aziende di commerciare con l’estero e alle società straniere di commerciare con loro.
Ma, secondo la Carta delle Nazioni Unite, non possono imporre le proprie scelte in materia ai loro alleati e partner.
Eppure questo è ciò che hanno fatto a partire dalle loro sanzioni contro Cuba.
A quel tempo, sotto la guida di Fidel Castro – che non era un comunista – il governo rivoluzionario cubano aveva lanciato una riforma agraria alla quale Washington intendeva opporsi.
I membri della Nato, che nulla avevano a che fare con questa piccola isola dei Caraibi, ne seguirono l’esempio.
A poco a poco, l’Occidente, sempre più pieno di sé, ha considerato cosa normale affamare gli Stati che osavano resistere al suo potente signore.
Ecco quindi che – per la prima volta – l’Unione Europea è direttamente toccata da quel sistema che essa stessa ha contribuito a mettere in campo.
Più che mai, il conflitto Trump/Establishment prende una forma culturale.
Esso oppone i discendenti di immigrati alla ricerca del “sogno americano” a quelli dei puritani del Mayflower.
Da qui, per esempio, la denuncia da parte della stampa internazionale del linguaggio volgare del nuovo responsabile della comunicazione della Casa Bianca, Anthony Scaramucci.
Fin qui Hollywood si era perfettamente accomodata alle maniere degli uomini d’affari di New York, ma improvvisamente questo linguaggio da carrettieri è presentato come incompatibile con l’esercizio del potere.
Solo il presidente Richard Nixon si esprimeva così.
Fu costretto a dimettersi da parte dell’Fbi che ha organizzato lo scandalo del Watergate contro di lui.
Eppure, tutti sono d’accordo nel riconoscere che è stato un grande presidente, ponendo fine alla guerra del Vietnam e riequilibrando le relazioni internazionali con la Cina Popolare contro l’Unione Sovietica.
È sorprendente vedere la stampa della vecchia Europa riprendere l’argomento puritano, religioso, contro il vocabolario di Scaramucci per giudicare la competenza politica della squadra di Trump, e il presidente Trump stesso licenziarlo appena nominato.
Dietro quella che può sembrare solo una lotta fra clan, si gioca il futuro del mondo.
O rapporti conflittuali e di dominio, o di cooperazione e sviluppo.
(Thierry Meyssan, “L’establishment Usa contro il resto del mondo”, da “Megachip” del 31 luglio 2017).
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Folli sanzioni di guerra, imposte a Trump per farlo cadere
Scritto il 03/8/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
È uno scandalo senza precedenti.
Il segretario generale della Casa Bianca, Reince Priebus, faceva parte della congiura intesa a destabilizzare il presidente Trump e preparare la sua rimozione.
Ha alimentato le fughe di notizie quotidiane che perturbano la vita politica statunitense, tra cui la presunta collusione tra la squadra di Trump e il Cremlino.
Nel farlo dimettere, il presidente Trump è entrato in conflitto con l’establishment del Partito Repubblicano, di cui Priebus è l’ex presidente.
Osserviamo di passaggio che nessuna di queste soffiate in merito alle agende e ai contatti degli uni e degli altri ha apportato la benché minima prova delle accuse.
La riorganizzazione della squadra di Trump che ne è seguita è avvenuta esclusivamente a spese di personalità repubblicane e a vantaggio di militari opposti alla tutela dello Stato profondo.
L’alleanza che era stata conclusa facendo buon viso a cattivo gioco dal partito repubblicano con Donald Trump in occasione della convention di investitura, il 21 luglio 2016, è morta.
Così ci si ritrova con l’equazione di partenza: da una parte il presidente outsider dell’«America profonda», dall’altro, l’intera classe dirigente di Washington sostenuta dallo Stato profondo (cioè dalla parte dell’amministrazione incaricata della continuità dello Stato al di là delle alternanze politiche).
Ovviamente questa coalizione è sostenuta dal Regno Unito e da Israele.
Quel che doveva arrivare alla fine è arrivato: i leader democratici e repubblicani si sono intesi nel contrastare la politica estera del presidente Trump e preservare i loro vantaggi imperiali.
Per fare questo, hanno approvato al Congresso una legge di 70 pagine che introduce formalmente sanzioni contro la Corea del Nord, contro l’Iran e contro la Russia.
Questo testo impone unilateralmente a tutti gli altri Stati del mondo di rispettare questi divieti commerciali.
Queste sanzioni quindi valgono tanto per l’Unione Europea e la Cina quanto per gli Stati ufficialmente presi di mira.
Solo cinque parlamentari si sono dissociati dalla coalizione e hanno votato contro questa legge: i deputati Justin Amash, Tom Massie e Jimmy Duncan e i senatori Rand Paul e Bernie Sanders. Le disposizioni di questa legge proibiscono grosso modo all’esecutivo di ammorbidire queste interdizioni commerciali sotto qualsiasi forma.
Donald Trump è teoricamente legato mani e piedi.
Certo, potrebbe opporre il suo veto, ma secondo la Costituzione, al Congresso basterebbe votare di nuovo il testo negli stessi termini per poterlo imporre al presidente.
Costui quindi lo promulgherà senza imporsi l’affronto di doversi mettere al passo del Congresso.
Nei prossimi giorni inizierà una guerra senza precedenti.
I partiti politici Usa intendono cancellare la “dottrina Trump”, secondo cui gli Stati Uniti devono svilupparsi più velocemente degli altri per mantenere la leadership mondiale.
Intendono invece ripristinare la “Dottrina Wolfowitz” del 1992, secondo la quale Washington deve conservare il proprio vantaggio sul resto del mondo rallentando lo sviluppo di qualsiasi potenziale concorrente.
Paul Wolfowitz è un trotskista messosi al servizio del presidente repubblicano Bush per lottare contro la Russia.
Divenne dapprima vicesegretario della difesa, dieci anni più tardi, sotto il figlio di Bush, poi presidente della Banca Mondiale.
L’anno scorso ha dato il suo sostegno alla democratica Hillary Clinton.
Nel 1992 scrisse che il concorrente più pericoloso degli Stati Uniti era l’Unione Europea e che Washington doveva distruggerla politicamente, cioè economicamente.
La legge rimette in questione tutto ciò che Donald Trump ha fatto nel corso degli ultimi sei mesi, compresa la lotta contro i Fratelli Musulmani e le loro organizzazioni jihadiste, la preparazione dell’indipendenza del Donbass (Malorossiya), e il ripristino della Via della Seta.
Come prima ritorsione, la Russia ha chiesto a Washington di ridurre il personale della sua ambasciata a Mosca al livello della propria ambasciata a Washington, ossia 455 persone, espellendo 755 diplomatici.
Secondo le nostre informazioni, ci sarebbe una pletora di diplomatici statunitensi in Russia, tra 1.100 e 1.500.
In questo modo, Mosca intende ricordare che se anche avesse interferito nella politica americana, questo non avrebbe misure paragonabili con l’importanza dell’ingerenza degli Stati Uniti nella propria vita politica.
A questo proposito, è stato appena il 27 febbraio scorso che il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, annunciava alla Duma che le forze armate russe sono ora in grado anch’esse di organizzare “rivoluzioni colorate”, con 28 anni di ritardo sugli Stati Uniti.
Gli europei si rendono conto con stupore che i loro amici di Washington (i democratici Obama e Clinton, i repubblicani McCain e McConnell) hanno appena stoppato ogni speranza di crescita nell’Unione.
Lo shock è certamente pesante, ma ancora non hanno ammesso che il presunto “imprevedibile” Donald Trump è in realtà il loro migliore alleato.
Completamente storditi da questo voto, sopraggiunto durante le loro vacanze estive, gli europei si sono messi in stand-by.
Salvo reazione immediata, le aziende che hanno investito nella soluzione adottata dalla Commissione europea per l’approvvigionamento energetico dell’Ue sono rovinate.
Wintershall, E.On Ruhrgas, N.V. Nederlandse Gasunie, e Engie (ex Gdf Suez) si sono impegnate a raddoppiare il gasdotto North Stream, ora vietato dal Congresso.
Perdono non solo il diritto di competere in gare d’appalto Usa, ma perfino tutti i loro beni negli Stati Uniti.
È loro negato l’accesso alle banche internazionali e non possono continuare le loro attività al di fuori dell’Unione.
Per il momento, solo il governo tedesco ha espresso il suo sgomento.
Non si sa se riuscirà a convincere i suoi partner europei e a organizzare l’Unione contro la signoria Usa che la sovrasta.
Mai una tale crisi si è verificata, e quindi non v’è alcun elemento di riferimento precedente che consenta di anticipare il seguito degli avvenimenti.
È probabile che alcuni Stati membri dell’Unione difenderanno gli interessi degli Stati Uniti, così come sono concepiti dal Congresso, contro i loro partner europei.
Gli Stati Uniti, come ogni Stato, possono vietare alle loro aziende di commerciare con l’estero e alle società straniere di commerciare con loro.
Ma, secondo la Carta delle Nazioni Unite, non possono imporre le proprie scelte in materia ai loro alleati e partner.
Eppure questo è ciò che hanno fatto a partire dalle loro sanzioni contro Cuba.
A quel tempo, sotto la guida di Fidel Castro – che non era un comunista – il governo rivoluzionario cubano aveva lanciato una riforma agraria alla quale Washington intendeva opporsi.
I membri della Nato, che nulla avevano a che fare con questa piccola isola dei Caraibi, ne seguirono l’esempio.
A poco a poco, l’Occidente, sempre più pieno di sé, ha considerato cosa normale affamare gli Stati che osavano resistere al suo potente signore.
Ecco quindi che – per la prima volta – l’Unione Europea è direttamente toccata da quel sistema che essa stessa ha contribuito a mettere in campo.
Più che mai, il conflitto Trump/Establishment prende una forma culturale.
Esso oppone i discendenti di immigrati alla ricerca del “sogno americano” a quelli dei puritani del Mayflower.
Da qui, per esempio, la denuncia da parte della stampa internazionale del linguaggio volgare del nuovo responsabile della comunicazione della Casa Bianca, Anthony Scaramucci.
Fin qui Hollywood si era perfettamente accomodata alle maniere degli uomini d’affari di New York, ma improvvisamente questo linguaggio da carrettieri è presentato come incompatibile con l’esercizio del potere.
Solo il presidente Richard Nixon si esprimeva così.
Fu costretto a dimettersi da parte dell’Fbi che ha organizzato lo scandalo del Watergate contro di lui.
Eppure, tutti sono d’accordo nel riconoscere che è stato un grande presidente, ponendo fine alla guerra del Vietnam e riequilibrando le relazioni internazionali con la Cina Popolare contro l’Unione Sovietica.
È sorprendente vedere la stampa della vecchia Europa riprendere l’argomento puritano, religioso, contro il vocabolario di Scaramucci per giudicare la competenza politica della squadra di Trump, e il presidente Trump stesso licenziarlo appena nominato.
Dietro quella che può sembrare solo una lotta fra clan, si gioca il futuro del mondo.
O rapporti conflittuali e di dominio, o di cooperazione e sviluppo.
(Thierry Meyssan, “L’establishment Usa contro il resto del mondo”, da “Megachip” del 31 luglio 2017).
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Re: Dove va l'America?
Caos Virginia, in bilico braccio destro Trump per legami con destra
2/47
Tgcom24
Redazione Tgcom24 10 ore fa
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Steve Bannon, il controverso stratega della Casa Bianca che ha legami con la destra, è in bilico. Donald Trump sta ricevendo molte pressioni affinché venga cacciato. Tra tutte spiccano quelle del magnate Rupert Murdoch, molto vicino a Ivanka e Jared Kushner. Lo riporta il New York Times, sottolineando che i rapporti fra Trump e Bannon si stanno allentando. L'arrivo del generale John Kerry a capo dello staff ha rafforzato la fronda anti-Bannon
http://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/ ... spartanntp
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Steve Bannon, il controverso stratega della Casa Bianca che ha legami con la destra, è in bilico. Donald Trump sta ricevendo molte pressioni affinché venga cacciato. Tra tutte spiccano quelle del magnate Rupert Murdoch, molto vicino a Ivanka e Jared Kushner. Lo riporta il New York Times, sottolineando che i rapporti fra Trump e Bannon si stanno allentando. L'arrivo del generale John Kerry a capo dello staff ha rafforzato la fronda anti-Bannon
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Re: Dove va l'America?
IlFattoQuotidiano.it / Mondo
Trump, i consiglieri economici se ne vanno dopo le frasi sulla destra. Il presidente li anticipa e chiude tutti i forum
Mondo
Dopo l'ennesimo addio dell'ad di Campbell Soup, il capo della Casa Bianca scioglie tutti i panel
di F. Q. | 17 agosto 2017
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Più informazioni su: Donald Trump, Estrema Destra, Stati Uniti
Se ne stavano andando uno dopo l’altro e così il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di anticiparli e ha chiuso i due panel di consiglieri economici della Casa Bianca, formati da imprenditori e manager. Molti di loro, infatti, avevano già dato le dimissioni in gesto di protesta contro la controversa reazione del repubblicano ai fatti di Charlottesville, in Virginia, dove gruppi di suprematisti bianchi e neonazisti si sono scontrati con i dimostranti antirazzisti e uno degli estremisti di destra ha travolto decine di persone, uccidendo una donna e ferendo 19 persone.
“Piuttosto di mettere pressione sugli imprenditori del Manufacturing Council e del Forum strategico e politico, li chiudo entrambi. Grazie a tutti!”, ha annunciato Trump su Twitter. Almeno otto imprenditori avevano rinunciato al loro incarico di consiglieri nei due panel. L’ultima è stata, poco prima del tweet di Trump, l’amministratrice delegata di Campbell Soup, Denise Morrison, che ha lasciato l’American Manufacturing Council: “Il razzismo e l’omicidio – ha scritto – sono inequivocabilmente riprovevoli e non sono moralmente equivalenti a qualsiasi altra cosa sia successa a Charlottesville”. Imprenditori di compagnie note come Intel, Merck e Under Armour sono tra quanti hanno scelto di fare lo stesso.
Martedì Trump ha collegato le dimissioni degli imprenditori dai panel con le pressioni del suo governo perché fabbrichino i loro prodotti negli Stati Uniti e non all’estero, e ha sminuito la loro decisione. “Per ogni ad che lascia il Manufacturing Council, ne ho molti per ricoprire quel ruolo. I fanfaroni non devono continuare. Lavoro!”, ha scritto su twitter. Una tesi che ha avuto poi i minuti contati.
Ora l’amministrazione Trump – dopo che su questo tema ha fatto infuriare tutti, Partito repubblicano compreso – cerca di correggere un po’ la rotta. E perfino Steve Bannon, uno dei collaboratori più stretti del presidente e identificato con idee di destra, in un’intervista al The american prospect, dice: “L’etno-nazionalismo è perdente, questi ragazzi sono una massa di clown”. Lo stratega di Trump definisce l’estrema destra “irrilevante” ed ha sottolineato: “L’etno-nazionalismo è un elemento marginale. Credo che i media lo esaltino troppo“. L’intervista arriva nei giorni in cui Bannon è sempre più in bilico alla Casa Bianca, proprio perché in molti nell’entourage di Trump gli contestano i legami con l’estrema destra.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08 ... m/3798480/
Trump, i consiglieri economici se ne vanno dopo le frasi sulla destra. Il presidente li anticipa e chiude tutti i forum
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Dopo l'ennesimo addio dell'ad di Campbell Soup, il capo della Casa Bianca scioglie tutti i panel
di F. Q. | 17 agosto 2017
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Se ne stavano andando uno dopo l’altro e così il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di anticiparli e ha chiuso i due panel di consiglieri economici della Casa Bianca, formati da imprenditori e manager. Molti di loro, infatti, avevano già dato le dimissioni in gesto di protesta contro la controversa reazione del repubblicano ai fatti di Charlottesville, in Virginia, dove gruppi di suprematisti bianchi e neonazisti si sono scontrati con i dimostranti antirazzisti e uno degli estremisti di destra ha travolto decine di persone, uccidendo una donna e ferendo 19 persone.
“Piuttosto di mettere pressione sugli imprenditori del Manufacturing Council e del Forum strategico e politico, li chiudo entrambi. Grazie a tutti!”, ha annunciato Trump su Twitter. Almeno otto imprenditori avevano rinunciato al loro incarico di consiglieri nei due panel. L’ultima è stata, poco prima del tweet di Trump, l’amministratrice delegata di Campbell Soup, Denise Morrison, che ha lasciato l’American Manufacturing Council: “Il razzismo e l’omicidio – ha scritto – sono inequivocabilmente riprovevoli e non sono moralmente equivalenti a qualsiasi altra cosa sia successa a Charlottesville”. Imprenditori di compagnie note come Intel, Merck e Under Armour sono tra quanti hanno scelto di fare lo stesso.
Martedì Trump ha collegato le dimissioni degli imprenditori dai panel con le pressioni del suo governo perché fabbrichino i loro prodotti negli Stati Uniti e non all’estero, e ha sminuito la loro decisione. “Per ogni ad che lascia il Manufacturing Council, ne ho molti per ricoprire quel ruolo. I fanfaroni non devono continuare. Lavoro!”, ha scritto su twitter. Una tesi che ha avuto poi i minuti contati.
Ora l’amministrazione Trump – dopo che su questo tema ha fatto infuriare tutti, Partito repubblicano compreso – cerca di correggere un po’ la rotta. E perfino Steve Bannon, uno dei collaboratori più stretti del presidente e identificato con idee di destra, in un’intervista al The american prospect, dice: “L’etno-nazionalismo è perdente, questi ragazzi sono una massa di clown”. Lo stratega di Trump definisce l’estrema destra “irrilevante” ed ha sottolineato: “L’etno-nazionalismo è un elemento marginale. Credo che i media lo esaltino troppo“. L’intervista arriva nei giorni in cui Bannon è sempre più in bilico alla Casa Bianca, proprio perché in molti nell’entourage di Trump gli contestano i legami con l’estrema destra.
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Re: Dove va l'America?
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Donald Trump, chi pagherà il ‘Grande muro’ con il Messico ora che il governo ha finito i soldi
di Roberto Marchesi | 30 agosto 2017
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Roberto Marchesi
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Il premio Nobel 2008 per l’economia Paul Krugman, volendo commentare The great wall (Il grande muro) che Trump ha deciso di realizzare allo scopo di “stoppare” in ogni modo che a lui sembra possibile il sorpasso delle etnie diverse da quella bianca, non ci ha pensato due volte e lo ha scritto (già a gennaio) direttamente nel titolo: Building a wall of ignorance (Costruire un muro di ignoranza) perché:
1. a pagare il muro non sarebbe comunque il Messico, ma i contribuenti americani (una tassa sulle importazioni dal Messico graverebbe sui consumatori americani, non messicani);
2. perché, insieme alle altre “bravate” che inventa pressoché quotidianamente, scatenerebbe ritorsioni a catena, creando gravissime situazioni di instabilità ovunque.
Queste cose però Krugman le diceva già a gennaio e, benché non si sia ancora verificato nessun effetto dirompente sull’economia americana (grazie anche a qualche repubblicano di buon senso che gli ha impedito di varare a livello legislativo le peggiori tra le frescacce che il “rottamatore” americano voleva realizzare subito), questo potrebbe avvenire molto presto, già a fine settembre, a causa dell’inevitabile shutdown (fine dei soldi) nella quale il governo americano si verrebbe a trovare per mancanza di fondi se non interverrà prontamente, prima di quella data, il congresso americano, a spostare (per l’ennesima volta) un po’ più in alto l’asticella del debito statale, già alzata più volte fino a portarla a oltre 16 trilioni di dollari (cioè 16mila miliardi) dopo la “Grande recessione” del 2008, con un incremento quindi di circa dieci trilioni rispetto al 2008.
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1. a pagare il muro non sarebbe comunque il Messico, ma i contribuenti americani (una tassa sulle importazioni dal Messico graverebbe sui consumatori americani, non messicani);
2. perché, insieme alle altre “bravate” che inventa pressoché quotidianamente, scatenerebbe ritorsioni a catena, creando gravissime situazioni di instabilità ovunque.
Queste cose però Krugman le diceva già a gennaio e, benché non si sia ancora verificato nessun effetto dirompente sull’economia americana (grazie anche a qualche repubblicano di buon senso che gli ha impedito di varare a livello legislativo le peggiori tra le frescacce che il “rottamatore” americano voleva realizzare subito), questo potrebbe avvenire molto presto, già a fine settembre, a causa dell’inevitabile shutdown (fine dei soldi) nella quale il governo americano si verrebbe a trovare per mancanza di fondi se non interverrà prontamente, prima di quella data, il congresso americano, a spostare (per l’ennesima volta) un po’ più in alto l’asticella del debito statale, già alzata più volte fino a portarla a oltre 16 trilioni di dollari (cioè 16mila miliardi) dopo la “Grande recessione” del 2008, con un incremento quindi di circa dieci trilioni rispetto al 2008.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08 ... i/3823701/
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Re: Dove va l'America?
La religione cattolica e quella islamica contemplano la presenza dell’”inferno” nella vita dopo la vita, per coloro che hanno tenuto un comportamento disdicevole nella vita terrena.
Però non si accorgono che l’inferno è già presente su questo pianeta.
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Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
Scritto il 09/9/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Le torri del World Trade Center di New York non sarebbero state distrutte dall’impatto di due aerei di linea, ma da un’operazione di “demolizione controllata”, condotta con esplosivi militari a base di nano-termite.
Un’accusa pesantissima, che costringe a rileggere sotto una nuova e drammatica luce l’attentato dell’11 Settembre 2001, confermando i sospetti iniziali sull’assoluta inattendibilità della versione ufficiale.
A muoverla è l’associazione americana no-profit “Architects & Engineers for 9/11 Truth”, architetti & ingegneri per la verità sull’11 Settembre.
E’ costituita dai 2.363 architetti e ingegneri statunitensi che nell’autunno 2016 hanno firmato una petizione indirizzata al Congresso Usa per riaprire una vera investigazione indipendente sulla distruzione del World Trade Center.
Lo ricorda Rino Di Stefano in un’accurata ricostruzione, sul suo blog, del maxi-attentato di New York che ha innescato le guerre in Afghanistan e in Iraq, seguite dai conflitti a catena in Libia e Siria, in cui la sigla terroristica iniziale, Al-Qaeda, ha lasciato il posto alla sua filiazione diretta, Isis, in una spirale di violenza e orrore che, da allora, ha giustificato l’impiego sistematico di eserciti, impensabile prima dell’11 Settembre.
Gli “Architects & Engineers for 9/11 Truth”, ricorda Di Stefano, hanno inviato un dettagliato report (“Oltre la disinformazione”) a oltre 20.000 americani: professionisti, professori, legislatori e giornalisti.
L’autore del dossier è Ted Walter, alla guida di un team dal curriulum ragguardevole: tra i membri Sarah Chaplin, architetto (università londinese di Kingston), Mohibullah Durrani (docente di ingegneria e fisica al Montgomery College del Maryland), Richard Gage (fondatore dell’associazione per la verità sull’11 Settembre), Robert Korol e Graeme McQueen (Università McMaster dell’Ontario), più l’architetto Roberto McCoy e l’ingegnere Oswald Rendon-Herrero, docente dell’Università Statale del Mississippi.
«Secondo la versione ufficiale rilasciata dal governo Bush – ricorda Di Stefano – le Torri Gemelle del World Trade Center di New York (entrambe di 110 piani per un’altezza di 415 metri) sono crollate a causa dell’impatto, e del conseguente incendio, provocato da due aerei di linea nel corso di un attentato portato a termine da un gruppo di terroristi mediorientali.
Inoltre, anche la terza Torre, chiamata Wtc 7, un edificio di 47 piani alto 174 metri, sarebbe crollata simmetricamente su se stessa nel pomeriggio di quel giorno, in seguito all’incendio provocato dai detriti della Torre 1».
Ebbene, questa soluzione non viene accettata, in quanto definita “non scientifica”, da buona parte degli architetti e degli ingegneri americani.
«Questi esperti dell’edilizia dichiarano, infatti, che le tre torri siano state fatte crollare in seguito ad un’accurata operazione di demolizione controllata provocata dalla disposizione di esplosivi e altri dispositivi, fatti detonare al momento opportuno per far crollare le strutture nel modo desiderato».
Non solo. «L’associazione degli Architetti & Ingegneri – continua Di Stefano – dice chiaramente che l’operazione sarebbe stata preparata prima dell’11 Settembre da specialisti della demolizione che hanno avuto libero accesso alle torri nei giorni precedenti l’attentato».
L’analisi offerta è esclusivamente scientifica.
La storia del crollo di edifici a completa struttura metallica (come le Torri Gemelle) è lunga almeno cento anni: durante questo periodo, non si è mai verificato che un edificio di quel genere fosse crollato a causa di un incendio.
Tutti, infatti, sono stati abbattuti nel corso di operazioni di demolizione controllata.
Nonostante questo dato di fatto, il Nist (National Institute of Standards and Technology), incaricato dal governo Bush di indagare sul disastroso attentato, nei risultati della sua indagine ufficiale ha scritto che ha trovato 22 casi di incendio che tra il 1970 e il 2002 hanno portato al crollo di altrettanti palazzi.
Di questi 22 casi, 15 furono crolli parziali, dei quali cinque superavano i 20 piani di altezza.
Analizzando invece ogni singolo caso, prosegue Di Stefano, lo studio accertò che soltanto in quattro casi si verificò un totale crollo dell’edificio interessato all’incendio, ma nessuno di questi aveva una struttura metallica, e il più alto era di appena 9 piani.
«Vennero fatti anche diversi test presso il Building Research Establishment (Bre) Laboratories di Cardington, in Inghliterra, ma in nessun caso risultò che edifici con una struttura metallica potessero crollare completamente a causa di un incendio, per quanto devastante».
La probabilità che un’evenienza di questo tipo potesse accadere, venne scritto, era “extremely low” (estremamente bassa).
«Se poi si confrontano gli effetti di un crollo dovuto ad incendio rispetto ad un crollo da demolizione controllata, le differenze saltano agli occhi.
Nel primo caso, infatti, il collasso dell’edificio è sempre parziale e si ferma ai piani inferiori. In una demolizione controllata, invece, il collasso è totale, avviene in pochi secondi e la caduta è libera, con una discesa simmetrica sul proprio asse».
C’è poi il discorso delle esplosioni, sottolinea Di Stefano: mentre un crollo da incendio, se mai si dovesse verificare un’esplosione, avverrebbe là dove le fiamme si sono sviluppate, «nel crollo da demolizione controllata le esplosioni si vedono chiaramente piano per piano, all’esterno dell’edificio: ed è quello che è accaduto nelle Torri Gemelle».
La probabilità di un incendio che possa aver causato il crollo totale di un edificio molto alto con una struttura metallica è estremamente basso, sostengono gli “Architetti & Ingegneri”.
«Un evento di questo genere non è mai accaduto prima dell’11 Settembre 2001. D’altra parte, nella storia, ogni crollo totale di un edificio molto alto a struttura metallica, è stato causato da demolizione controllata».
Secondo punto: un incendio che induce un cedimento delle strutture, di fatto, non mostra alcuna delle caratteristiche di una demolizione controllata.
Inoltre, come può essere visto in ciò che è accaduto l’11 Settembre 2001, la distruzione di Wtc 1, Wtc 2 e Wtc 7 mostra «quasi tutte le caratteristiche della demolizione controllata e nessuna caratteristica del collasso provocato da un incendio».
Aggiunge Edward Munyak, ingegnere specializzato in misure anti-incendio: «Un collasso globale progressivo potrebbe anche essere straordinario. Ma averne tre in un giorno va oltre ogni comprensione».
Buio pesto dalle indagini ufficiali: «Per oltre un anno dal disastro, il governo Bush ha impedito qualunque investigazione su quanto accadde quel giorno», premette Di Stefano. Prima del Nist, le indagini ufficiali erano state condotte dalla Fema (Federal Emergency Management Agency).
«Il primo a parlare di bombe situate all’interno delle Torri Gemelle fu l’ingegner Ronald Hamburger della Asce (American Society of Civil Engineers), che collaborava con la Fema».
Tuttavia, Hamburger «si rimangiò i propri dubbi quando gli venne detto che nessuno aveva sentito esplosioni nei pressi delle Torri Gemelle».
Non fu il solo a smentire la propria prima impressione: Van Romero, un esperto di esplosivi della New Mexico Tech, rilasciò un’intervista al quotidiano “Albuquerque Journal” sostenendo: «Il crollo dei palazzi è stato troppo ordinato per essere il risultato fortuito dell’impatto di aeroplani contro le strutture».
E aggiunse: «La mia opinione, basata su quanto ho visto nei filmati, è che dopo che gli aerei hanno colpito il World Trade Center, ci siano stati dei congegni esplosivi dentro i palazzi che hanno causato il crollo delle torri».
Il 21 settembre, dopo aver parlato con non meglio identificati “ingegneri strutturali”, Romero ritrattò tutto.
Il fatto è che il fuoco dell’incendio doveva essere ufficialmente la causa del disastro, spiega Di Stefano.
I dubbi, però, non mancavano. Il 29 novembre del 2001 William Baker, uno degli ingegneri della Fema, rilasciò al “New York Times” la seguente affermazione: «Noi sappiamo che cosa è accaduto alle Torri 1 e 2, ma perché la 7 è venuta giù?». Come scrissero i cronisti James Glanz ed Eric Lipton del “New York Times”, per mesi dopo l’11 Settembre gli investigatori non riuscirono a ottenere i progetti dettagliati degli edifici crollati, ad ascoltare i testimoni del disastro, a fare ispezioni a Ground Zero e ad ascoltare le voci registrate della gente che era rimasta intrappolata all’interno delle torri.
Inoltre, la Fema «impedì che gli investigatori si rivolgessero al pubblico per ottenere fotografie e video che avrebbero potuto aiutarli nelle indagini».
Un comportamento “incomprensibile”, da parte del governo.
«Gli investigatori non riuscirono neppure a prelevare campioni dei detriti delle Torri in quanto, con una fretta sospetta, le migliaia di tonnellate di macerie vennero prelevate, caricate su alcune navi e inviate in Cina e in India per essere smaltite».
CONTINUA
Però non si accorgono che l’inferno è già presente su questo pianeta.
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Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
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Le torri del World Trade Center di New York non sarebbero state distrutte dall’impatto di due aerei di linea, ma da un’operazione di “demolizione controllata”, condotta con esplosivi militari a base di nano-termite.
Un’accusa pesantissima, che costringe a rileggere sotto una nuova e drammatica luce l’attentato dell’11 Settembre 2001, confermando i sospetti iniziali sull’assoluta inattendibilità della versione ufficiale.
A muoverla è l’associazione americana no-profit “Architects & Engineers for 9/11 Truth”, architetti & ingegneri per la verità sull’11 Settembre.
E’ costituita dai 2.363 architetti e ingegneri statunitensi che nell’autunno 2016 hanno firmato una petizione indirizzata al Congresso Usa per riaprire una vera investigazione indipendente sulla distruzione del World Trade Center.
Lo ricorda Rino Di Stefano in un’accurata ricostruzione, sul suo blog, del maxi-attentato di New York che ha innescato le guerre in Afghanistan e in Iraq, seguite dai conflitti a catena in Libia e Siria, in cui la sigla terroristica iniziale, Al-Qaeda, ha lasciato il posto alla sua filiazione diretta, Isis, in una spirale di violenza e orrore che, da allora, ha giustificato l’impiego sistematico di eserciti, impensabile prima dell’11 Settembre.
Gli “Architects & Engineers for 9/11 Truth”, ricorda Di Stefano, hanno inviato un dettagliato report (“Oltre la disinformazione”) a oltre 20.000 americani: professionisti, professori, legislatori e giornalisti.
L’autore del dossier è Ted Walter, alla guida di un team dal curriulum ragguardevole: tra i membri Sarah Chaplin, architetto (università londinese di Kingston), Mohibullah Durrani (docente di ingegneria e fisica al Montgomery College del Maryland), Richard Gage (fondatore dell’associazione per la verità sull’11 Settembre), Robert Korol e Graeme McQueen (Università McMaster dell’Ontario), più l’architetto Roberto McCoy e l’ingegnere Oswald Rendon-Herrero, docente dell’Università Statale del Mississippi.
«Secondo la versione ufficiale rilasciata dal governo Bush – ricorda Di Stefano – le Torri Gemelle del World Trade Center di New York (entrambe di 110 piani per un’altezza di 415 metri) sono crollate a causa dell’impatto, e del conseguente incendio, provocato da due aerei di linea nel corso di un attentato portato a termine da un gruppo di terroristi mediorientali.
Inoltre, anche la terza Torre, chiamata Wtc 7, un edificio di 47 piani alto 174 metri, sarebbe crollata simmetricamente su se stessa nel pomeriggio di quel giorno, in seguito all’incendio provocato dai detriti della Torre 1».
Ebbene, questa soluzione non viene accettata, in quanto definita “non scientifica”, da buona parte degli architetti e degli ingegneri americani.
«Questi esperti dell’edilizia dichiarano, infatti, che le tre torri siano state fatte crollare in seguito ad un’accurata operazione di demolizione controllata provocata dalla disposizione di esplosivi e altri dispositivi, fatti detonare al momento opportuno per far crollare le strutture nel modo desiderato».
Non solo. «L’associazione degli Architetti & Ingegneri – continua Di Stefano – dice chiaramente che l’operazione sarebbe stata preparata prima dell’11 Settembre da specialisti della demolizione che hanno avuto libero accesso alle torri nei giorni precedenti l’attentato».
L’analisi offerta è esclusivamente scientifica.
La storia del crollo di edifici a completa struttura metallica (come le Torri Gemelle) è lunga almeno cento anni: durante questo periodo, non si è mai verificato che un edificio di quel genere fosse crollato a causa di un incendio.
Tutti, infatti, sono stati abbattuti nel corso di operazioni di demolizione controllata.
Nonostante questo dato di fatto, il Nist (National Institute of Standards and Technology), incaricato dal governo Bush di indagare sul disastroso attentato, nei risultati della sua indagine ufficiale ha scritto che ha trovato 22 casi di incendio che tra il 1970 e il 2002 hanno portato al crollo di altrettanti palazzi.
Di questi 22 casi, 15 furono crolli parziali, dei quali cinque superavano i 20 piani di altezza.
Analizzando invece ogni singolo caso, prosegue Di Stefano, lo studio accertò che soltanto in quattro casi si verificò un totale crollo dell’edificio interessato all’incendio, ma nessuno di questi aveva una struttura metallica, e il più alto era di appena 9 piani.
«Vennero fatti anche diversi test presso il Building Research Establishment (Bre) Laboratories di Cardington, in Inghliterra, ma in nessun caso risultò che edifici con una struttura metallica potessero crollare completamente a causa di un incendio, per quanto devastante».
La probabilità che un’evenienza di questo tipo potesse accadere, venne scritto, era “extremely low” (estremamente bassa).
«Se poi si confrontano gli effetti di un crollo dovuto ad incendio rispetto ad un crollo da demolizione controllata, le differenze saltano agli occhi.
Nel primo caso, infatti, il collasso dell’edificio è sempre parziale e si ferma ai piani inferiori. In una demolizione controllata, invece, il collasso è totale, avviene in pochi secondi e la caduta è libera, con una discesa simmetrica sul proprio asse».
C’è poi il discorso delle esplosioni, sottolinea Di Stefano: mentre un crollo da incendio, se mai si dovesse verificare un’esplosione, avverrebbe là dove le fiamme si sono sviluppate, «nel crollo da demolizione controllata le esplosioni si vedono chiaramente piano per piano, all’esterno dell’edificio: ed è quello che è accaduto nelle Torri Gemelle».
La probabilità di un incendio che possa aver causato il crollo totale di un edificio molto alto con una struttura metallica è estremamente basso, sostengono gli “Architetti & Ingegneri”.
«Un evento di questo genere non è mai accaduto prima dell’11 Settembre 2001. D’altra parte, nella storia, ogni crollo totale di un edificio molto alto a struttura metallica, è stato causato da demolizione controllata».
Secondo punto: un incendio che induce un cedimento delle strutture, di fatto, non mostra alcuna delle caratteristiche di una demolizione controllata.
Inoltre, come può essere visto in ciò che è accaduto l’11 Settembre 2001, la distruzione di Wtc 1, Wtc 2 e Wtc 7 mostra «quasi tutte le caratteristiche della demolizione controllata e nessuna caratteristica del collasso provocato da un incendio».
Aggiunge Edward Munyak, ingegnere specializzato in misure anti-incendio: «Un collasso globale progressivo potrebbe anche essere straordinario. Ma averne tre in un giorno va oltre ogni comprensione».
Buio pesto dalle indagini ufficiali: «Per oltre un anno dal disastro, il governo Bush ha impedito qualunque investigazione su quanto accadde quel giorno», premette Di Stefano. Prima del Nist, le indagini ufficiali erano state condotte dalla Fema (Federal Emergency Management Agency).
«Il primo a parlare di bombe situate all’interno delle Torri Gemelle fu l’ingegner Ronald Hamburger della Asce (American Society of Civil Engineers), che collaborava con la Fema».
Tuttavia, Hamburger «si rimangiò i propri dubbi quando gli venne detto che nessuno aveva sentito esplosioni nei pressi delle Torri Gemelle».
Non fu il solo a smentire la propria prima impressione: Van Romero, un esperto di esplosivi della New Mexico Tech, rilasciò un’intervista al quotidiano “Albuquerque Journal” sostenendo: «Il crollo dei palazzi è stato troppo ordinato per essere il risultato fortuito dell’impatto di aeroplani contro le strutture».
E aggiunse: «La mia opinione, basata su quanto ho visto nei filmati, è che dopo che gli aerei hanno colpito il World Trade Center, ci siano stati dei congegni esplosivi dentro i palazzi che hanno causato il crollo delle torri».
Il 21 settembre, dopo aver parlato con non meglio identificati “ingegneri strutturali”, Romero ritrattò tutto.
Il fatto è che il fuoco dell’incendio doveva essere ufficialmente la causa del disastro, spiega Di Stefano.
I dubbi, però, non mancavano. Il 29 novembre del 2001 William Baker, uno degli ingegneri della Fema, rilasciò al “New York Times” la seguente affermazione: «Noi sappiamo che cosa è accaduto alle Torri 1 e 2, ma perché la 7 è venuta giù?». Come scrissero i cronisti James Glanz ed Eric Lipton del “New York Times”, per mesi dopo l’11 Settembre gli investigatori non riuscirono a ottenere i progetti dettagliati degli edifici crollati, ad ascoltare i testimoni del disastro, a fare ispezioni a Ground Zero e ad ascoltare le voci registrate della gente che era rimasta intrappolata all’interno delle torri.
Inoltre, la Fema «impedì che gli investigatori si rivolgessero al pubblico per ottenere fotografie e video che avrebbero potuto aiutarli nelle indagini».
Un comportamento “incomprensibile”, da parte del governo.
«Gli investigatori non riuscirono neppure a prelevare campioni dei detriti delle Torri in quanto, con una fretta sospetta, le migliaia di tonnellate di macerie vennero prelevate, caricate su alcune navi e inviate in Cina e in India per essere smaltite».
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Re: Dove va l'America?
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Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
Così, il 1° maggio 2002, la Fema presentò un dossier preliminare «nel quale non forniva una spiegazione definitiva per la distruzione di ogni singolo edificio», preferendo proporre la cosiddetta “teoria pancake”.
Ovvero: le singole solette di cemento dei vari piani superiori, colpiti dall’aereo, sarebbero crollate sul piano inferiore determinando un effetto domino.
«Il punto, però, è che il piano sottostante in condizioni normali avrebbe resistito all’impatto», obiettano i tecnici indipendenti.
Se non è accaduto, «è perché è venuta meno la forza della sua resistenza».
In altre parole, sintetizza Di Stefano, «quando un piano crollava su quello inferiore, alcune cariche esplosive distruggevano le colonne portanti di quella seconda soletta, innescando un effetto a catena».
Il Nist si è fermato alla “teoria del pancake”, mentre per il terzo edificio, il Wtc 7, se l’è cavata sostenendo di non aver notato «alcuna prova» che il crollo dell’Edificio 7 sia stato «causato da bombe, missili o demolizione controllata».
Ultimo verdetto nell’agosto 2008: edificio crollato anch’esso a causa del fuoco.
A smentire il Nist è un libro firmato da due ricercatori, Frank Legge e Anthony Szamboti, il cui libro è intitolato, esplicitamente “9/11 and the Twin Towers: Sudden Collapse Initiation was Impossible”, cioè “Torri Gemelle, l’inizio del crollo repentino era impossibile”.
Sostengono gli autori: «Un lento, prolungato e cedevole collasso non è stato osservato».
Lo confermano i video: «La sezione più alta improvvisamente ha iniziato a cadere e a disintegrarsi».
Un punto di vista tecnico largamente condiviso nel dossier degli “Architetti & Ingegneri”.
Il governo sostiene che le colonne portanti delle torri si sarebbero deformate diversi minuti prima del crollo?
I tecnici indipendenti smentiscono: non si sono visti affatto gli «inconfondibili segni d’avvertimento» e le «grandi deformazioni» che ci si aspetterebbe prima di un crollo.
Se questo processo è avvenuto, scrivono i professionisti, allora è stato invisibile.
Ed è avvenuto nel singolo istante in cui le strutture sono crollate.
Secondo Kevin Ryan, un ex direttore della Underwriters Laboratories, «la diffusione dell’instabilità avrebbe richiesto molto più tempo e non risulterebbe nella caduta libera delle sezioni superiori sulle strutture inferiori».
Il Nist, ricorda Di Stefano, afferma che il Wtc 1 è crollato in appena 11 secondi, mentre la Torre 2 in 9 secondi.
Sempre il Nist afferma che la “caduta libera” delle Torri Gemelle è dimostrata dai video, in quanto «i piani inferiori al livello del crollo hanno offerto una minima resistenza alla tremenda energia rilasciata dalla massa dell’edificio che stava cadendo».
Per gli scienziati indipendenti, autori di un primo esposto insieme a familiari delle vottime, le motivazioni del Nist «non erano scientificamente valide».
L’autorità non avrebbe affatto spiegato le cause tecniche: che cosa è realmente accaduto, e perché.
In altre parole, come poi lo stesso Nist fu costretto ad ammettere, gli esperti del governo «non erano in grado di fornire una spiegazione completa del crollo totale».
Un’altra osservazione che mette in forte dubbio i risultati del Nist, continua Di Stefano nella sua ricostruzione, riguarda l’assoluta mancanza di decelerazione durante il crollo delle torri.
«Una mancanza di decelerazione – riporta il dossier – indicherebbe con assoluta certezza che la struttura inferiore è stata distrutta da un’altra forza, prima che la parte superiore la raggiungesse».
Il primo studio a mettere in dubbio i risultati ufficiali (“Il colpo mancante”) è stato firmato da Anthony Szamboti, ingegnere meccanico, e Richard Johns, professore di filosofia della scienza.
La tesi: il Nist aveva calcolato male la resistenza delle colonne all’interno delle Torri Gemelle.
Successivi studi hanno accertato che «la costante accelerazione e la mancanza di una osservabile decelerazione, per se stesse, costituiscono una irrefutabile evidenza che siano stati usati esplosivi per distruggere le Torri Gemelle».
Inoltre, una delle caratteristiche più evidenti della distruzione delle Twin Towers è stata la quasi totale polverizzazione del cemento.
L’allora governatore di New York, George Pataki, scrisse nella sua relazione sul disastro: «Non c’è cemento. C’è veramente poco cemento.
Tutto quello che si vede è alluminio e acciaio. Il cemento è stato polverizzato».
Oltre a questo, continua Di Stefano, le strutture d’acciaio delle torri erano quasi interamente smembrate.
A parte alcuni muri esterni ancora in piedi alla base di ogni edificio, virtualmente tutti gli scheletri d’acciaio erano rotti in diversi pezzi, con la parte centrale separata dalle colonne esterne.
«Che cosa potrebbe mai spiegare la quasi totale polverizzazione di circa 3 milioni di metri quadrati di solette di cemento e il quasi totale smembramento di 220 piani di struttura d’acciaio?
Il Nist non fornisce alcuna spiegazione e la sola forza di gravità non appare plausibile.
Anche perché, viene spiegato nel dossier, l’energia necessaria per polverizzare il cemento e smembrare le strutture d’acciaio è calcolabile in 1.255 gigajoule.
Una misura decisamente lontana dagli stimati 508 gigajoule di potenziale energia gravitazionale contenuta negli edifici».
CONTINUA
Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
Così, il 1° maggio 2002, la Fema presentò un dossier preliminare «nel quale non forniva una spiegazione definitiva per la distruzione di ogni singolo edificio», preferendo proporre la cosiddetta “teoria pancake”.
Ovvero: le singole solette di cemento dei vari piani superiori, colpiti dall’aereo, sarebbero crollate sul piano inferiore determinando un effetto domino.
«Il punto, però, è che il piano sottostante in condizioni normali avrebbe resistito all’impatto», obiettano i tecnici indipendenti.
Se non è accaduto, «è perché è venuta meno la forza della sua resistenza».
In altre parole, sintetizza Di Stefano, «quando un piano crollava su quello inferiore, alcune cariche esplosive distruggevano le colonne portanti di quella seconda soletta, innescando un effetto a catena».
Il Nist si è fermato alla “teoria del pancake”, mentre per il terzo edificio, il Wtc 7, se l’è cavata sostenendo di non aver notato «alcuna prova» che il crollo dell’Edificio 7 sia stato «causato da bombe, missili o demolizione controllata».
Ultimo verdetto nell’agosto 2008: edificio crollato anch’esso a causa del fuoco.
A smentire il Nist è un libro firmato da due ricercatori, Frank Legge e Anthony Szamboti, il cui libro è intitolato, esplicitamente “9/11 and the Twin Towers: Sudden Collapse Initiation was Impossible”, cioè “Torri Gemelle, l’inizio del crollo repentino era impossibile”.
Sostengono gli autori: «Un lento, prolungato e cedevole collasso non è stato osservato».
Lo confermano i video: «La sezione più alta improvvisamente ha iniziato a cadere e a disintegrarsi».
Un punto di vista tecnico largamente condiviso nel dossier degli “Architetti & Ingegneri”.
Il governo sostiene che le colonne portanti delle torri si sarebbero deformate diversi minuti prima del crollo?
I tecnici indipendenti smentiscono: non si sono visti affatto gli «inconfondibili segni d’avvertimento» e le «grandi deformazioni» che ci si aspetterebbe prima di un crollo.
Se questo processo è avvenuto, scrivono i professionisti, allora è stato invisibile.
Ed è avvenuto nel singolo istante in cui le strutture sono crollate.
Secondo Kevin Ryan, un ex direttore della Underwriters Laboratories, «la diffusione dell’instabilità avrebbe richiesto molto più tempo e non risulterebbe nella caduta libera delle sezioni superiori sulle strutture inferiori».
Il Nist, ricorda Di Stefano, afferma che il Wtc 1 è crollato in appena 11 secondi, mentre la Torre 2 in 9 secondi.
Sempre il Nist afferma che la “caduta libera” delle Torri Gemelle è dimostrata dai video, in quanto «i piani inferiori al livello del crollo hanno offerto una minima resistenza alla tremenda energia rilasciata dalla massa dell’edificio che stava cadendo».
Per gli scienziati indipendenti, autori di un primo esposto insieme a familiari delle vottime, le motivazioni del Nist «non erano scientificamente valide».
L’autorità non avrebbe affatto spiegato le cause tecniche: che cosa è realmente accaduto, e perché.
In altre parole, come poi lo stesso Nist fu costretto ad ammettere, gli esperti del governo «non erano in grado di fornire una spiegazione completa del crollo totale».
Un’altra osservazione che mette in forte dubbio i risultati del Nist, continua Di Stefano nella sua ricostruzione, riguarda l’assoluta mancanza di decelerazione durante il crollo delle torri.
«Una mancanza di decelerazione – riporta il dossier – indicherebbe con assoluta certezza che la struttura inferiore è stata distrutta da un’altra forza, prima che la parte superiore la raggiungesse».
Il primo studio a mettere in dubbio i risultati ufficiali (“Il colpo mancante”) è stato firmato da Anthony Szamboti, ingegnere meccanico, e Richard Johns, professore di filosofia della scienza.
La tesi: il Nist aveva calcolato male la resistenza delle colonne all’interno delle Torri Gemelle.
Successivi studi hanno accertato che «la costante accelerazione e la mancanza di una osservabile decelerazione, per se stesse, costituiscono una irrefutabile evidenza che siano stati usati esplosivi per distruggere le Torri Gemelle».
Inoltre, una delle caratteristiche più evidenti della distruzione delle Twin Towers è stata la quasi totale polverizzazione del cemento.
L’allora governatore di New York, George Pataki, scrisse nella sua relazione sul disastro: «Non c’è cemento. C’è veramente poco cemento.
Tutto quello che si vede è alluminio e acciaio. Il cemento è stato polverizzato».
Oltre a questo, continua Di Stefano, le strutture d’acciaio delle torri erano quasi interamente smembrate.
A parte alcuni muri esterni ancora in piedi alla base di ogni edificio, virtualmente tutti gli scheletri d’acciaio erano rotti in diversi pezzi, con la parte centrale separata dalle colonne esterne.
«Che cosa potrebbe mai spiegare la quasi totale polverizzazione di circa 3 milioni di metri quadrati di solette di cemento e il quasi totale smembramento di 220 piani di struttura d’acciaio?
Il Nist non fornisce alcuna spiegazione e la sola forza di gravità non appare plausibile.
Anche perché, viene spiegato nel dossier, l’energia necessaria per polverizzare il cemento e smembrare le strutture d’acciaio è calcolabile in 1.255 gigajoule.
Una misura decisamente lontana dagli stimati 508 gigajoule di potenziale energia gravitazionale contenuta negli edifici».
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Re: Dove va l'America?
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Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
L’enorme nuvola di cemento polverizzato che ha sommerso Manhattan «diventa ancora più incomprensibile se si pensa che il crollo è avvenuto “essenzialmente in caduta libera”».
Secondo il dottor Steven Jones, ex professore di fisica presso la Brigham Young University, «il paradosso è facilmente risolvibile con l’ipotesi della demolizione esplosiva, là dove gli esplosivi facilmente rimuovono i materiali dei piani inferiori, incluse le colonne portanti, permettendo di fatto un crollo in caduta libera».
Altro fattore “inspiegabile”, il lancio di materiali verso l’alto e lateralmente, piuttosto distanti dal perimetro degli edifici. Secondo la Fema, i materiali dei due edifici sono stati lanciati fino a oltre 150 metri dalla base di ogni torre.
In video prodotto dal fisico David Chandler, si nota l’espulsione esplosiva di materiali dalla Torre 1, «continui e molto estesi», anche alla velocità di 170 chilometri orari.
«Il palazzo – afferma – è stato progressivamente distrutto, a partire dalla cima, da ondate di esplosioni che hanno creato una spessa coltre di detriti».
E aggiunge: «Insieme alla nuvola di polvere vi sono pesanti travi e intere sezioni di frammenti d’acciaio che sono stati lanciati fuori dal palazzo: alcuni sono finiti così lontano, come due campi di football dalla base della torre».
A chi sostiene che l’espulsione “esplosiva” di quei frammenti sia stata un semplice prodotto del crollo, il professor Chandler risponde: «Non abbiamo visto isolate travi lanciate all’esterno.
Noi abbiamo visto la maggior parte della massa dell’edificio ridotta in piccoli pezzi di pietrisco e polvere fina, espulsa esplosivamente in tutte le direzioni».
Secondo lo scienziato Kevin Ryan, l’espulsione esplosiva dei materiali dalle Torri Gemelle è spiegabile soltanto come «scoppi ad alta velocità di detriti espulsi da precisi punti degli edifici».
L’ipotesi della demolizione, afferma Ryan, «suggerisce che questi scoppi di detriti siano il risultato della detonazione di cariche esplosive piazzate in punti chiave della struttura, per facilitare la rimozione della resistenza».
E specifica: «Ognuno di questi scoppi era costituito da un’improvvisa e secca emissione che appariva provenire da un preciso punto, espellendo approssimativamente tra i 15 e i 30 metri dal lato del palazzo, in una frazione di secondo».
Dai fotogrammi estratti da un video, «possiamo stimare che uno di questi scoppi è durato complessivamente 0,45 secondi: questo ci fornisce una velocità media di circa 52 metri al secondo».
Rileva Di Stefano: «E’ significativo che il Nist non abbia nemmeno parlato di questi scoppi nella sua relazione finale, mentre nelle sue “Faq” cita gli scoppi come “sbuffi di fumo”, sostenendo che “la massa crollante del palazzo aveva compresso l’aria sottostante – quasi come l’azione di un pistone – forzando il fumo e i detriti fuori dalle finestre mentre i piani inferiori crollavano sequenzialmente».
Secondo Ryan, la spiegazione del Nist non è valida. «I piani delle torri – sostiene lo scienziato – non erano containers chiusi e altamente pressurizzati in grado di generare alte pressioni abbastanza forti da far scoppiare le finestre.
La massa crollante avrebbe dovuto agire come un disco piatto che esercita una pressione uniforme su tutti i punti. Ma le sezioni superiori, esse stesse disintegrate come si vede nei video, non possono esercitare una pressione uniforme».
Anche prendendo in considerazione un ipotetico perfetto container e una pressione uniforme, usando la “Legge del Gas Ideale” per calcolare il cambiamento della pressione, «possiamo determinare che la pressione dell’aria non potrebbe aumentare abbastanza per far scoppiare le finestre».
Tanto più che «gli scoppi contenevano detriti polverizzati, non fumo e polvere».
Inoltre, «i detriti del palazzo da 20 a 30 piani sotto la zona del crollo, non potevano essere polverizzati ed espulsi lateralmente dalla pressione dell’aria».
CONTINUA
Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
L’enorme nuvola di cemento polverizzato che ha sommerso Manhattan «diventa ancora più incomprensibile se si pensa che il crollo è avvenuto “essenzialmente in caduta libera”».
Secondo il dottor Steven Jones, ex professore di fisica presso la Brigham Young University, «il paradosso è facilmente risolvibile con l’ipotesi della demolizione esplosiva, là dove gli esplosivi facilmente rimuovono i materiali dei piani inferiori, incluse le colonne portanti, permettendo di fatto un crollo in caduta libera».
Altro fattore “inspiegabile”, il lancio di materiali verso l’alto e lateralmente, piuttosto distanti dal perimetro degli edifici. Secondo la Fema, i materiali dei due edifici sono stati lanciati fino a oltre 150 metri dalla base di ogni torre.
In video prodotto dal fisico David Chandler, si nota l’espulsione esplosiva di materiali dalla Torre 1, «continui e molto estesi», anche alla velocità di 170 chilometri orari.
«Il palazzo – afferma – è stato progressivamente distrutto, a partire dalla cima, da ondate di esplosioni che hanno creato una spessa coltre di detriti».
E aggiunge: «Insieme alla nuvola di polvere vi sono pesanti travi e intere sezioni di frammenti d’acciaio che sono stati lanciati fuori dal palazzo: alcuni sono finiti così lontano, come due campi di football dalla base della torre».
A chi sostiene che l’espulsione “esplosiva” di quei frammenti sia stata un semplice prodotto del crollo, il professor Chandler risponde: «Non abbiamo visto isolate travi lanciate all’esterno.
Noi abbiamo visto la maggior parte della massa dell’edificio ridotta in piccoli pezzi di pietrisco e polvere fina, espulsa esplosivamente in tutte le direzioni».
Secondo lo scienziato Kevin Ryan, l’espulsione esplosiva dei materiali dalle Torri Gemelle è spiegabile soltanto come «scoppi ad alta velocità di detriti espulsi da precisi punti degli edifici».
L’ipotesi della demolizione, afferma Ryan, «suggerisce che questi scoppi di detriti siano il risultato della detonazione di cariche esplosive piazzate in punti chiave della struttura, per facilitare la rimozione della resistenza».
E specifica: «Ognuno di questi scoppi era costituito da un’improvvisa e secca emissione che appariva provenire da un preciso punto, espellendo approssimativamente tra i 15 e i 30 metri dal lato del palazzo, in una frazione di secondo».
Dai fotogrammi estratti da un video, «possiamo stimare che uno di questi scoppi è durato complessivamente 0,45 secondi: questo ci fornisce una velocità media di circa 52 metri al secondo».
Rileva Di Stefano: «E’ significativo che il Nist non abbia nemmeno parlato di questi scoppi nella sua relazione finale, mentre nelle sue “Faq” cita gli scoppi come “sbuffi di fumo”, sostenendo che “la massa crollante del palazzo aveva compresso l’aria sottostante – quasi come l’azione di un pistone – forzando il fumo e i detriti fuori dalle finestre mentre i piani inferiori crollavano sequenzialmente».
Secondo Ryan, la spiegazione del Nist non è valida. «I piani delle torri – sostiene lo scienziato – non erano containers chiusi e altamente pressurizzati in grado di generare alte pressioni abbastanza forti da far scoppiare le finestre.
La massa crollante avrebbe dovuto agire come un disco piatto che esercita una pressione uniforme su tutti i punti. Ma le sezioni superiori, esse stesse disintegrate come si vede nei video, non possono esercitare una pressione uniforme».
Anche prendendo in considerazione un ipotetico perfetto container e una pressione uniforme, usando la “Legge del Gas Ideale” per calcolare il cambiamento della pressione, «possiamo determinare che la pressione dell’aria non potrebbe aumentare abbastanza per far scoppiare le finestre».
Tanto più che «gli scoppi contenevano detriti polverizzati, non fumo e polvere».
Inoltre, «i detriti del palazzo da 20 a 30 piani sotto la zona del crollo, non potevano essere polverizzati ed espulsi lateralmente dalla pressione dell’aria».
CONTINUA
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Re: Dove va l'America?
CONTINUA
Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
Oltre al ricco materiale fotografico e televisivo riguardante la distruzione delle Torri Gemelle, continua Rino Di Stefano, bisogna considerare anche il numero delle testimonianze raccolte dai vigili del fuoco (Fdny, New York Fire Department) nella loro relazione, più di 10.000 pagine di dichiarazioni giurate di oltre 500 pompieri.
In più, come documentato dal dottor Graeme McQueen, ben 156 testimoni oculari hanno parlato esplicitamente delle esplosioni che hanno visto e sentito durante il crollo delle torri. Tra questi, 121 sono pompieri e 14 sono agenti della polizia portuale (Port Authority Police Department).
Altri 13 sono giornalisti presenti sul posto.
In caso di normali incendi, si registrano quattro tipi di esplosioni: da vapore, da impianti elettrici, da fumo e da combustione.
I vigili del fuoco di New York «sanno riconoscere questi fenomeni, anche perché sono irregolari e certamente non sincronizzati».
Invece, nel caso delle Torri Gemelle, «i testimoni hanno parlato di esplosioni precise e distanziate di pochi secondi l’una dall’altra», tanto che alcuni si sono spinti ad affermare che «le Torri Gemelle sono state distrutte dalle esplosioni».
«Si è arrivati al punto che è infuriata una discussione sulla percezione che abbiamo avuto circa il fatto che il palazzo sembrava fosse stato fatto saltare in aria con delle cariche», racconta Cristopher Fenyo in un’intervista rilasciata al “Wtc Task Force”.
«In effetti, ho pensato che stava esplodendo», ricorda John Coyle, un altro testimone: «Questo è ciò che ho pensato in seguito per diverse ore. Penso che chiunque a quel punto pensasse che quei palazzi fossero esplosi».
Nonostante il Nist si ostini ad ignorare le testimonianze, sostenendo invece che non ci siano prove di esplosioni nelle Torri Gemelle, il professor McQueen, riferendosi alla relazione dei vigili del fuoco di New York, afferma: «Abbiamo avuto 118 testimoni su 503 intervistati. Circa il 23% del gruppo sono testimoni delle esplosioni.
A mio avviso, questa è un’alta percentuale di testimoni, specialmente considerando che a queste persone non sono state rivolte domande circa le esplosioni e, nella maggior parte dei casi, neanche sono state poste domande circa il crollo delle torri».
In conclusione, il dossier sostiene che il Nist, decidendo di non indagare a fondo su quelle che sono state le vere cause del crollo delle Torri Gemelle, ha condotto una “piccola analisi” sul comportamento tenuto dalle strutture edilizie, ignorando volutamente qualunque prova ne potesse derivare.
Di conseguenza, il Nist non è riuscito a fornire convincenti prove scientifiche.
Poi c’è il “mistero” del crollo, quasi simmetrico dell’Edificio 7, a parecchia distanza dalle due torri colpite dagli aerei.
La terza torre, ricorda Di Stefano, è crollata su se stessa intorno alle 17 dell’11 settembre 2001, senza essere stata colpita da nessun jet o comunque coinvolta nel crollo delle altre due torri principali.
Per il Nist, l’evento è normale e rientra nella logica delle cose.
L’incendio si sarebbe esteso anche al terzo edificio del complesso, indebolendone le strutture e facendolo crollare. «Oltre alla spiegazione verbale, il Nist non ha fornito alcuna motivazione strutturale o scientifica».
Secondo David Chandler, docente di fisica, questa spiegazione non regge.
«La caduta libera – afferma – non è compatibile con qualunque scenario naturale che abbia a che fare con la debolezza, la deformazione o la frantumazione delle strutture, in quanto in ognuno di questi scenari ci sarebbero grandi forze di interazione con le sottostanti strutture, che avrebbero fatto rallentare la caduta…
Il crollo naturale risultante da caduta libera, semplicemente non è plausibile».
Per Chandler, il crollo del Wtc 7 è la prova lampante della demolizione controllata.
Il Nist obietta: non vi fu vera “caduta libera”, poiché 18 piani dell’edificio sono crollati in 5,4 secondi, cioè con un margine del 40% più lungo (circa 1,5 secondi) rispetto al tempo stimato della caduta libera.
Ma Chandler taglia corto: «Il crollo non è avvenuto per il cedimento di una colonna, o di alcune colonne o di una sequenza di colonne.
Tutte le 24 colonne interne e le 58 perimetrali sono state rimosse simultaneamente nell’arco di otto piani e in una frazione di secondo.
In questo modo la metà superiore dell’edificio è rimasta intatta».
Così come le Torri Gemelle, anche la struttura metallica dell’Edificio 7 è stata completamente smembrata.
E i detriti hanno formato un compatto cumulo di rifiuti lungo il perimetro del palazzo.
Anche in questo caso, sospetta Di Stefano, lo smembramento dell’edificio si può spiegare soltanto con la demolizione controllata.
Lo spiegava già nel 1996 Stacey Loizeaux, della Controlled Demolition Inc., azienda specializzata: i demolitori agiscono da due a sei piani, a seconda dell’altezza del palazzo, per colpire le colonne portanti e far crollare l’edificio su se stesso, riducendo anche la grandezza degli eventuali detriti.
Inoltre, più che di “esplosione” si dovrebbe parlare di “implosione”, in quanto il palazzo deve crollare senza uscire dal proprio perimetro.
Come, appunto, è accaduto nel caso del Wtc 7.
Altra omissione del Nist, le testimonianze: l’agenzia governativa sostiene che non esistano, ma è smentita da svariati video.
«Improvvisamente ho guardato verso l’alto e ho visto che il palazzo crollava su se stesso», racconta Craig Bartmer, ex agente della polizia di New York.
«Ho cominciato a correre e per tutto il tempo ho sentito “thum, thum, thum, thum, thum”. Credo di riconoscerla, un’esplosione, quando la sento».
Conferma un volontario, Kevin McPadden: «Abbiamo sentito delle esplosioni, come ba-booom!
Era un suono distinto, ba-boom.
Si poteva sentire un rombo nel terreno, come se ci si volesse aggrappare a qualcosa».
La reporter televisiva Ashleigh Banfield della “Msnbc” era sul posto.
Nel servizio in diretta a un certo punto si sente una forte esplosione e lei dice: «Oh, mio Dio… Ci siamo».
Circa 7 secondi dopo, il Wtc 7 è crollato.
E appena un’ora dopo la distruzione delle Torri Gemelle, le autorità hanno cominciato a parlare del crollo dell’Edificio 7 con un alto grado di sicurezza e di precisione.
«Le loro anticipazioni erano talmente certe – scrive Di Stefano – che alcuni giornali hanno scritto del crollo del Wtc 7 ancora prima che avvenisse».
Una previsione azzeccata?
Non esattamente: «Quando i filmati video furono esaminati con calma, ci si accorse che la notizia era basata su una precisa conoscenza dei fatti.
Dal momento che gli ingegneri si definivano sbalorditi per quanto era accaduto al Wtc 7, come facevano le autorità a “predire” un evento che neanche gli ingegneri sapevano spiegarsi quattro anni e mezzo dopo?».
Del resto, aggiunge Di Stefano, «ci sono prove inconfutabili di esplosioni avvenute nell’edificio: durante una ripresa televisiva, la “Cnn” ha registrato l’inconfondibile suono di un’esplosione proveniente dal Wtc 7 e l’urlo di un operaio che avvertiva come l’edificio “stava esplodendo”, pochi secondi prima del crollo.
Nonostante tutto questo, il Nist si è rifiutato di prendere in considerazione qualunque prova».
Secondo la Nfpa 921, cioè la guida ufficiale americana le cui norme devono essere seguite in caso di indagini inerenti eventuali incendi o esplosioni, è necessario valutare tutte le possibili fonti per accertare le cause dei disastri sui quali si indaga.
Una di queste fonti, da prendere in considerazione nell’eventualità di fusione dell’acciaio, è la termite.
Si tratta – spiega Di Stefano – di una miscela esplosiva altamente incendiaria, a base di polvere di alluminio e triossido di ferro, in grado di sciogliere istantaneamente l’acciaio. Normalmente, la termite viene usata per saldare i binari e per usi militari (all’interno delle granate).
«Ebbene, per evitare di parlare della termite nel caso dell’11 Settembre, il Nist si è rifiutato di adottare la consueta procedura della Nfpa 921», secondo “Architetti e Ingegneri” «negando, ignorando o accampando spiegazioni di carattere speculativo, non basate su analisi di tipo scientifico».
E questo, afferma il dossier, «in quanto non esiste alcuna plausibile e logica spiegazione della presenza di reazioni chimiche ad alta temperatura, se non quella di una demolizione controllata, usando meccanismi a base di termite».
Secondo il Nist, i rivoli di metallo fuso che fuoriuscivano già dalla Torre 2 prima del crollo totale, erano di alluminio fuso. «C’è un problema, però. Come si vede distintamente dai video sul disastro di New York, i rivoli di metallo fuso che fuoriuscivano dalle Torri Gemelle erano di un giallo-fuoco brillante, mentre l’alluminio fuso è di colore argenteo».
Come spiega il dottor Steven Jones nel suo “Why Indeed Did the Wtc Buildings Completely Collapse” (Perché davvero gli edifici del Wtc sono completamente crollati), «il color giallo implica un metallo fuso con una temperatura approssimativa di 1000 °C, evidentemente al di sopra di quella che l’incendio da idrocarburi avvenuto all’interno delle Torri avrebbe potuto produrre».
Inoltre, «il fatto che il metallo liquido tendesse ad una sfumatura color arancio in prossimità del terreno esclude ulteriormente la presenza di alluminio».
Non appena si è reso conto che la sua posizione era indifendibile, il Nist ha cercato di correre ai ripari sostenendo che «il color arancio era dovuto al fatto che l’alluminio liquido si era mescolato con solidi materiali organici, cambiando colore».
Ma Jones smentisce categoricamente: «L’alluminio fuso non altera affatto il suo colore».
A complicare la situazione, ci sono altre testimonianze.
Leslie Robertson, uno dei progettisti delle Torri Gemelle, racconta: «Eravamo al livello B-1 e uno dei vigili del fuoco ha detto: “Credo che questo dovrebbe interessarvi”.
E ci ha mostrato un grosso blocco di cemento sul quale scorreva un piccolo rivo di acciaio fuso».
Ma non è l’unico testimone.
Il capitano Philip Ruvolo ricorda la scena a cui assistette insieme ad altri vigili del fuoco: «Se guardavi sotto, vedevi acciaio fuso, acciaio fuso che scorreva giù, lungo i canali delle inferriate, come se fossimo stati in una fonderia, come lava».
Secondo il Nist, il più alto grado di temperatura raggiunto nelle Torri in fiamme è stato di 1.100 gradi.
Ma l’acciaio delle strutture non comincia a fondere con meno di 1.482 gradi.
Come si spiega, dunque, la presenza del metallo fuso?
«Il Nist semplicemente non risponde, ignorando il problema».
Altro guaio: come riportato da James Glanz e Eric Lipton sul “New York Times” già nel febbraio del 2002, i detriti delle Torri Gemelle (analizzati dal Worcester Polytechnic Institute) hanno rivelato la presenza di residui di zolfo combinatosi con l’acciaio, «formando un composto che si scioglie a temperature più basse».
Com’era potuto accadere?
La risposta, per Steven Jones, sta proprio nella termite, l’esplosivo della demolizione controllata: quel composto infiammabile, dice, «viene prodotto quando lo zolfo è aggiunto alla termite, e questo fa in modo che l’acciaio fonda a una temperatura molto più bassa e più velocemente, grazie alla solforazione e all’ossidazione dell’acciaio attaccato».
Ancora una volta, aggiunge Di Stefano, il Nist ha ignorato l’evidenza, rispondendo che di fatto non era più possibile analizzare rottami di acciaio provenienti dall’Edificio 7, in quanto tutti i detriti erano stati portati via da un pezzo, già all’inizio delle indagini.
La situazione si aggrava ulteriormente, con vari studi tecnici: il primo, “The Rj Lee Report” (maggio 2004), rileva nella polvere «sfere di ferro e vescicole di particelle di silicio», prodotte a temperature altissime.
Il microscopio elettronico ha individuato «sferette di ferro» nella polvere della Torre 2 (“The Usgs Report, prodotto nel 2005 dall’Us Geological Survey).
Un terzo studio, del 2008, prodotto da otto scienziati, ha confermato la presenza di sfere di ferro, più silicati e sfere disciolte di molibdeno, materiale che fonde a 2.623 gradi.
Ma le sorprese non sono finite, continua Di Stefano. Nell’aprile del 2009, un gruppo di scienziati guidati dal dottor Niels Harrit, un esperto di nano-chimica che ha insegnato per oltre 40 anni all’Università di Copenaghen, ha pubblicato sulla rivista internazionale “Open Chemical Physics Journal” un articolo che denuncia la presenza di “materiali termitici attivi” scoperti nella polvere della catastrofe dell’11 Settembre. «Questo studio ha rivelato la presenza di nano-termite (e cioè una specie di termite esplosiva progettata a livello di nano-particelle) nella polvere seguita al disastro».
I campioni da analizzare furono prelevati in due riprese: il primo venti minuti dopo il crollo del Wtc 1, gli altri due nel giorno successivo.
Lo studio giunse alla conclusione che i grattacieli di Mahnattan, le due Torri Gemelle più l’Edificio 7, «furono tutti distrutti da demolizione controllata e altri materiali incendiari».
Inutile dire che, anche questa volta, le autorità hanno ignorato i ricercatori indipendenti.
«In tutti i modi il Nist ha provato a ribattere alla pioggia di critiche di chi portava prove e fatti a dimostrazione che le tre Torri siano state intenzionalmente distrutte con esplosivi», conclude Di Stefano.
«Il problema è che, in realtà, non ci sono prove a supporto della teoria che gli incendi abbiano fatto crollare edifici a struttura metallica come quelli».
Il Nist ha anche fornito modelli digitali per dimostrare le proprie tesi, «ma sono sempre mancate le prove scientifiche per poter affermare senza possibilità di dubbio che, in effetti, siano proprio stati gli incendi ad abbattere quei giganti della moderna edilizia e ad uccidere quasi tremila persone».
Servirebbe una nuova indagine, ma c’è un problema a monte.
Enorme: «L’americano medio non può e non vuole accettare l’idea che il proprio governo sia implicato in un atto criminale di quelle proporzioni».
L’unica certezza è che le 2.974 vittime degli attentati (2.999 se si calcolano anche quelle morte in seguito) restano ancora in attesa di giustizia: di fronte all’America, e all’umanità intera.
Twin Towers, esplosivi: le prove. Ma l’America non le vuole
Oltre al ricco materiale fotografico e televisivo riguardante la distruzione delle Torri Gemelle, continua Rino Di Stefano, bisogna considerare anche il numero delle testimonianze raccolte dai vigili del fuoco (Fdny, New York Fire Department) nella loro relazione, più di 10.000 pagine di dichiarazioni giurate di oltre 500 pompieri.
In più, come documentato dal dottor Graeme McQueen, ben 156 testimoni oculari hanno parlato esplicitamente delle esplosioni che hanno visto e sentito durante il crollo delle torri. Tra questi, 121 sono pompieri e 14 sono agenti della polizia portuale (Port Authority Police Department).
Altri 13 sono giornalisti presenti sul posto.
In caso di normali incendi, si registrano quattro tipi di esplosioni: da vapore, da impianti elettrici, da fumo e da combustione.
I vigili del fuoco di New York «sanno riconoscere questi fenomeni, anche perché sono irregolari e certamente non sincronizzati».
Invece, nel caso delle Torri Gemelle, «i testimoni hanno parlato di esplosioni precise e distanziate di pochi secondi l’una dall’altra», tanto che alcuni si sono spinti ad affermare che «le Torri Gemelle sono state distrutte dalle esplosioni».
«Si è arrivati al punto che è infuriata una discussione sulla percezione che abbiamo avuto circa il fatto che il palazzo sembrava fosse stato fatto saltare in aria con delle cariche», racconta Cristopher Fenyo in un’intervista rilasciata al “Wtc Task Force”.
«In effetti, ho pensato che stava esplodendo», ricorda John Coyle, un altro testimone: «Questo è ciò che ho pensato in seguito per diverse ore. Penso che chiunque a quel punto pensasse che quei palazzi fossero esplosi».
Nonostante il Nist si ostini ad ignorare le testimonianze, sostenendo invece che non ci siano prove di esplosioni nelle Torri Gemelle, il professor McQueen, riferendosi alla relazione dei vigili del fuoco di New York, afferma: «Abbiamo avuto 118 testimoni su 503 intervistati. Circa il 23% del gruppo sono testimoni delle esplosioni.
A mio avviso, questa è un’alta percentuale di testimoni, specialmente considerando che a queste persone non sono state rivolte domande circa le esplosioni e, nella maggior parte dei casi, neanche sono state poste domande circa il crollo delle torri».
In conclusione, il dossier sostiene che il Nist, decidendo di non indagare a fondo su quelle che sono state le vere cause del crollo delle Torri Gemelle, ha condotto una “piccola analisi” sul comportamento tenuto dalle strutture edilizie, ignorando volutamente qualunque prova ne potesse derivare.
Di conseguenza, il Nist non è riuscito a fornire convincenti prove scientifiche.
Poi c’è il “mistero” del crollo, quasi simmetrico dell’Edificio 7, a parecchia distanza dalle due torri colpite dagli aerei.
La terza torre, ricorda Di Stefano, è crollata su se stessa intorno alle 17 dell’11 settembre 2001, senza essere stata colpita da nessun jet o comunque coinvolta nel crollo delle altre due torri principali.
Per il Nist, l’evento è normale e rientra nella logica delle cose.
L’incendio si sarebbe esteso anche al terzo edificio del complesso, indebolendone le strutture e facendolo crollare. «Oltre alla spiegazione verbale, il Nist non ha fornito alcuna motivazione strutturale o scientifica».
Secondo David Chandler, docente di fisica, questa spiegazione non regge.
«La caduta libera – afferma – non è compatibile con qualunque scenario naturale che abbia a che fare con la debolezza, la deformazione o la frantumazione delle strutture, in quanto in ognuno di questi scenari ci sarebbero grandi forze di interazione con le sottostanti strutture, che avrebbero fatto rallentare la caduta…
Il crollo naturale risultante da caduta libera, semplicemente non è plausibile».
Per Chandler, il crollo del Wtc 7 è la prova lampante della demolizione controllata.
Il Nist obietta: non vi fu vera “caduta libera”, poiché 18 piani dell’edificio sono crollati in 5,4 secondi, cioè con un margine del 40% più lungo (circa 1,5 secondi) rispetto al tempo stimato della caduta libera.
Ma Chandler taglia corto: «Il crollo non è avvenuto per il cedimento di una colonna, o di alcune colonne o di una sequenza di colonne.
Tutte le 24 colonne interne e le 58 perimetrali sono state rimosse simultaneamente nell’arco di otto piani e in una frazione di secondo.
In questo modo la metà superiore dell’edificio è rimasta intatta».
Così come le Torri Gemelle, anche la struttura metallica dell’Edificio 7 è stata completamente smembrata.
E i detriti hanno formato un compatto cumulo di rifiuti lungo il perimetro del palazzo.
Anche in questo caso, sospetta Di Stefano, lo smembramento dell’edificio si può spiegare soltanto con la demolizione controllata.
Lo spiegava già nel 1996 Stacey Loizeaux, della Controlled Demolition Inc., azienda specializzata: i demolitori agiscono da due a sei piani, a seconda dell’altezza del palazzo, per colpire le colonne portanti e far crollare l’edificio su se stesso, riducendo anche la grandezza degli eventuali detriti.
Inoltre, più che di “esplosione” si dovrebbe parlare di “implosione”, in quanto il palazzo deve crollare senza uscire dal proprio perimetro.
Come, appunto, è accaduto nel caso del Wtc 7.
Altra omissione del Nist, le testimonianze: l’agenzia governativa sostiene che non esistano, ma è smentita da svariati video.
«Improvvisamente ho guardato verso l’alto e ho visto che il palazzo crollava su se stesso», racconta Craig Bartmer, ex agente della polizia di New York.
«Ho cominciato a correre e per tutto il tempo ho sentito “thum, thum, thum, thum, thum”. Credo di riconoscerla, un’esplosione, quando la sento».
Conferma un volontario, Kevin McPadden: «Abbiamo sentito delle esplosioni, come ba-booom!
Era un suono distinto, ba-boom.
Si poteva sentire un rombo nel terreno, come se ci si volesse aggrappare a qualcosa».
La reporter televisiva Ashleigh Banfield della “Msnbc” era sul posto.
Nel servizio in diretta a un certo punto si sente una forte esplosione e lei dice: «Oh, mio Dio… Ci siamo».
Circa 7 secondi dopo, il Wtc 7 è crollato.
E appena un’ora dopo la distruzione delle Torri Gemelle, le autorità hanno cominciato a parlare del crollo dell’Edificio 7 con un alto grado di sicurezza e di precisione.
«Le loro anticipazioni erano talmente certe – scrive Di Stefano – che alcuni giornali hanno scritto del crollo del Wtc 7 ancora prima che avvenisse».
Una previsione azzeccata?
Non esattamente: «Quando i filmati video furono esaminati con calma, ci si accorse che la notizia era basata su una precisa conoscenza dei fatti.
Dal momento che gli ingegneri si definivano sbalorditi per quanto era accaduto al Wtc 7, come facevano le autorità a “predire” un evento che neanche gli ingegneri sapevano spiegarsi quattro anni e mezzo dopo?».
Del resto, aggiunge Di Stefano, «ci sono prove inconfutabili di esplosioni avvenute nell’edificio: durante una ripresa televisiva, la “Cnn” ha registrato l’inconfondibile suono di un’esplosione proveniente dal Wtc 7 e l’urlo di un operaio che avvertiva come l’edificio “stava esplodendo”, pochi secondi prima del crollo.
Nonostante tutto questo, il Nist si è rifiutato di prendere in considerazione qualunque prova».
Secondo la Nfpa 921, cioè la guida ufficiale americana le cui norme devono essere seguite in caso di indagini inerenti eventuali incendi o esplosioni, è necessario valutare tutte le possibili fonti per accertare le cause dei disastri sui quali si indaga.
Una di queste fonti, da prendere in considerazione nell’eventualità di fusione dell’acciaio, è la termite.
Si tratta – spiega Di Stefano – di una miscela esplosiva altamente incendiaria, a base di polvere di alluminio e triossido di ferro, in grado di sciogliere istantaneamente l’acciaio. Normalmente, la termite viene usata per saldare i binari e per usi militari (all’interno delle granate).
«Ebbene, per evitare di parlare della termite nel caso dell’11 Settembre, il Nist si è rifiutato di adottare la consueta procedura della Nfpa 921», secondo “Architetti e Ingegneri” «negando, ignorando o accampando spiegazioni di carattere speculativo, non basate su analisi di tipo scientifico».
E questo, afferma il dossier, «in quanto non esiste alcuna plausibile e logica spiegazione della presenza di reazioni chimiche ad alta temperatura, se non quella di una demolizione controllata, usando meccanismi a base di termite».
Secondo il Nist, i rivoli di metallo fuso che fuoriuscivano già dalla Torre 2 prima del crollo totale, erano di alluminio fuso. «C’è un problema, però. Come si vede distintamente dai video sul disastro di New York, i rivoli di metallo fuso che fuoriuscivano dalle Torri Gemelle erano di un giallo-fuoco brillante, mentre l’alluminio fuso è di colore argenteo».
Come spiega il dottor Steven Jones nel suo “Why Indeed Did the Wtc Buildings Completely Collapse” (Perché davvero gli edifici del Wtc sono completamente crollati), «il color giallo implica un metallo fuso con una temperatura approssimativa di 1000 °C, evidentemente al di sopra di quella che l’incendio da idrocarburi avvenuto all’interno delle Torri avrebbe potuto produrre».
Inoltre, «il fatto che il metallo liquido tendesse ad una sfumatura color arancio in prossimità del terreno esclude ulteriormente la presenza di alluminio».
Non appena si è reso conto che la sua posizione era indifendibile, il Nist ha cercato di correre ai ripari sostenendo che «il color arancio era dovuto al fatto che l’alluminio liquido si era mescolato con solidi materiali organici, cambiando colore».
Ma Jones smentisce categoricamente: «L’alluminio fuso non altera affatto il suo colore».
A complicare la situazione, ci sono altre testimonianze.
Leslie Robertson, uno dei progettisti delle Torri Gemelle, racconta: «Eravamo al livello B-1 e uno dei vigili del fuoco ha detto: “Credo che questo dovrebbe interessarvi”.
E ci ha mostrato un grosso blocco di cemento sul quale scorreva un piccolo rivo di acciaio fuso».
Ma non è l’unico testimone.
Il capitano Philip Ruvolo ricorda la scena a cui assistette insieme ad altri vigili del fuoco: «Se guardavi sotto, vedevi acciaio fuso, acciaio fuso che scorreva giù, lungo i canali delle inferriate, come se fossimo stati in una fonderia, come lava».
Secondo il Nist, il più alto grado di temperatura raggiunto nelle Torri in fiamme è stato di 1.100 gradi.
Ma l’acciaio delle strutture non comincia a fondere con meno di 1.482 gradi.
Come si spiega, dunque, la presenza del metallo fuso?
«Il Nist semplicemente non risponde, ignorando il problema».
Altro guaio: come riportato da James Glanz e Eric Lipton sul “New York Times” già nel febbraio del 2002, i detriti delle Torri Gemelle (analizzati dal Worcester Polytechnic Institute) hanno rivelato la presenza di residui di zolfo combinatosi con l’acciaio, «formando un composto che si scioglie a temperature più basse».
Com’era potuto accadere?
La risposta, per Steven Jones, sta proprio nella termite, l’esplosivo della demolizione controllata: quel composto infiammabile, dice, «viene prodotto quando lo zolfo è aggiunto alla termite, e questo fa in modo che l’acciaio fonda a una temperatura molto più bassa e più velocemente, grazie alla solforazione e all’ossidazione dell’acciaio attaccato».
Ancora una volta, aggiunge Di Stefano, il Nist ha ignorato l’evidenza, rispondendo che di fatto non era più possibile analizzare rottami di acciaio provenienti dall’Edificio 7, in quanto tutti i detriti erano stati portati via da un pezzo, già all’inizio delle indagini.
La situazione si aggrava ulteriormente, con vari studi tecnici: il primo, “The Rj Lee Report” (maggio 2004), rileva nella polvere «sfere di ferro e vescicole di particelle di silicio», prodotte a temperature altissime.
Il microscopio elettronico ha individuato «sferette di ferro» nella polvere della Torre 2 (“The Usgs Report, prodotto nel 2005 dall’Us Geological Survey).
Un terzo studio, del 2008, prodotto da otto scienziati, ha confermato la presenza di sfere di ferro, più silicati e sfere disciolte di molibdeno, materiale che fonde a 2.623 gradi.
Ma le sorprese non sono finite, continua Di Stefano. Nell’aprile del 2009, un gruppo di scienziati guidati dal dottor Niels Harrit, un esperto di nano-chimica che ha insegnato per oltre 40 anni all’Università di Copenaghen, ha pubblicato sulla rivista internazionale “Open Chemical Physics Journal” un articolo che denuncia la presenza di “materiali termitici attivi” scoperti nella polvere della catastrofe dell’11 Settembre. «Questo studio ha rivelato la presenza di nano-termite (e cioè una specie di termite esplosiva progettata a livello di nano-particelle) nella polvere seguita al disastro».
I campioni da analizzare furono prelevati in due riprese: il primo venti minuti dopo il crollo del Wtc 1, gli altri due nel giorno successivo.
Lo studio giunse alla conclusione che i grattacieli di Mahnattan, le due Torri Gemelle più l’Edificio 7, «furono tutti distrutti da demolizione controllata e altri materiali incendiari».
Inutile dire che, anche questa volta, le autorità hanno ignorato i ricercatori indipendenti.
«In tutti i modi il Nist ha provato a ribattere alla pioggia di critiche di chi portava prove e fatti a dimostrazione che le tre Torri siano state intenzionalmente distrutte con esplosivi», conclude Di Stefano.
«Il problema è che, in realtà, non ci sono prove a supporto della teoria che gli incendi abbiano fatto crollare edifici a struttura metallica come quelli».
Il Nist ha anche fornito modelli digitali per dimostrare le proprie tesi, «ma sono sempre mancate le prove scientifiche per poter affermare senza possibilità di dubbio che, in effetti, siano proprio stati gli incendi ad abbattere quei giganti della moderna edilizia e ad uccidere quasi tremila persone».
Servirebbe una nuova indagine, ma c’è un problema a monte.
Enorme: «L’americano medio non può e non vuole accettare l’idea che il proprio governo sia implicato in un atto criminale di quelle proporzioni».
L’unica certezza è che le 2.974 vittime degli attentati (2.999 se si calcolano anche quelle morte in seguito) restano ancora in attesa di giustizia: di fronte all’America, e all’umanità intera.
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