La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
Germania, quei tedeschi allergici alla democrazia
Proteste e insulti in varie città tedesche contro l'ascesa dell'Afd. Tutti contro l'onda "nera", nessuno che rispetti il voto popolare
Domenico Ferrara - Lun, 25/09/2017 - 19:34
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Anche la Germania si scopre antidemocratica. Tutti a puntare il dito contro l'Afd, tutti a lanciare l'allarme sull'onda nera e nessuno che rispetti un voto pur sempre popolare anche se sgradito.
CHI L'HA SCRITTO 1 ORA FA?????
INDOVINA INDOVINELLO.
Proteste e insulti in varie città tedesche contro l'ascesa dell'Afd. Tutti contro l'onda "nera", nessuno che rispetti il voto popolare
Domenico Ferrara - Lun, 25/09/2017 - 19:34
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Anche la Germania si scopre antidemocratica. Tutti a puntare il dito contro l'Afd, tutti a lanciare l'allarme sull'onda nera e nessuno che rispetti un voto pur sempre popolare anche se sgradito.
CHI L'HA SCRITTO 1 ORA FA?????
INDOVINA INDOVINELLO.
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Re: La crisi dell'Europa
Sostenitori di Hitler ed ex collaboratori della Stasi
Ecco chi sono i deputati eletti da AfD in Germania
Negazionisti dell’Olocausto, xenofobi, complottisti e perfino ex spie della storica polizia segreta nella Ddr
Sono i parlamentari di Alternative Für Deutschland, il partito di destra che ha preso il 13% alle elezioni
Mondo
Negazionisti, sostenitori del Führer, membri di formazioni identitarie, persino ex collaboratori della Stasi, la polizia segreta del regime della Germania Est. È un curriculum piuttosto variopinto quello dei neodeputati di Afd, Alternative Für Deutschland, il partito populista di destra che ha preso il 13% dei voti alle elezioni, ottenendo 94 seggi al Bundestag. Il partito, nato come espressione di alcuni professori di Amburgo, è stato pian piano scalato da personaggi discutibili e da ex membri di formazioni identitarie apertamente xenofobe.
di Alessandro Ricci
•Analisi – Afd strappa 1 milione di voti a Merkel, 500mila alla Spd, 500mila a Linke •Lotta intestina -Ultradestra a rischio spaccatura dopo il 13%:
•Il voto – MERKEL, VITTORIA A METÀ: 33%. TRACOLLO SPD: “BASTA GROSSE KOALITION” •Al governo – IPOTESI COALIZIONE “GIAMAICA”: MA RISCHIA SCHAEUBLE
•I populisti di destra prendono il 20% nell’ex Ddr: risorge la cupa identità dei “tedeschi più tedeschi” (di L. Coen)
http://www.ilfattoquotidiano.it/
Ecco chi sono i deputati eletti da AfD in Germania
Negazionisti dell’Olocausto, xenofobi, complottisti e perfino ex spie della storica polizia segreta nella Ddr
Sono i parlamentari di Alternative Für Deutschland, il partito di destra che ha preso il 13% alle elezioni
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Negazionisti, sostenitori del Führer, membri di formazioni identitarie, persino ex collaboratori della Stasi, la polizia segreta del regime della Germania Est. È un curriculum piuttosto variopinto quello dei neodeputati di Afd, Alternative Für Deutschland, il partito populista di destra che ha preso il 13% dei voti alle elezioni, ottenendo 94 seggi al Bundestag. Il partito, nato come espressione di alcuni professori di Amburgo, è stato pian piano scalato da personaggi discutibili e da ex membri di formazioni identitarie apertamente xenofobe.
di Alessandro Ricci
•Analisi – Afd strappa 1 milione di voti a Merkel, 500mila alla Spd, 500mila a Linke •Lotta intestina -Ultradestra a rischio spaccatura dopo il 13%:
•Il voto – MERKEL, VITTORIA A METÀ: 33%. TRACOLLO SPD: “BASTA GROSSE KOALITION” •Al governo – IPOTESI COALIZIONE “GIAMAICA”: MA RISCHIA SCHAEUBLE
•I populisti di destra prendono il 20% nell’ex Ddr: risorge la cupa identità dei “tedeschi più tedeschi” (di L. Coen)
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Re: La crisi dell'Europa
Il parere dell’economista Francesco Forte, usato come strumento di propaganda.
Un’articolo che potrebbe avere qualche fondamento, ma che alla fine si vede costruito per la propaganda.
.......Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.....
Gli errori dei governi targati PD ci sono.
Ma devono essere assommati agli errori commessi dal governo Berlusconi in precedenza.
Ma questo, su un foglio funzionale alla sola propaganda di parte, non si può dire.
Francesco Forte, a 88 anni (classe 1929), facente parte del Partito Succhialista Italiano, dell’epoca, non poteva che piegarsi a questo tipo di propaganda.
Quando era Succhialista scriveva sull’Espresso, adesso scrive per i Kamaraden STRUMPTRUPPEN.
Così và il mondo.
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Forte: e ora Berlino farà pagare a noi il conto della sua crisi
Scritto il 27/9/17 • nella Categoria: idee Condividi
Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici.
È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi.
Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori.
Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze.
Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea.
Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.
Va in fumo il sogno di Renzi di rivedere le regole di bilancio europee con una deroga permanente al principio del pareggio per il bilancio statale, che peraltro su iniziativa di Forza Italia è stato adottato anche nella Costituzione italiana.
Va in soffitta fra le cianfrusaglie l’idea dei 5 Stelle di fare gli europeisti e, insieme, di dare un reddito di cittadinanza generalizzato a chi non lavora.
Cade a picco anche l’erronea interpretazione del dovere di prima accoglienza, che per il vigente diritto comunitario compete allo Stato in cui essi cercano di sbarcare.
Questa prima accoglienza, secondo la tesi che ora la Germania sosterrà, modificando la politica immigratoria della Merkel, consisterà nel soccorrerli, rimandandoli nei luoghi di provenienza, intervenendo là.
Si accetteranno solo immigrati regolari che domandano un lavoro di cui c’è disponibilità.
Chi vuole lo ius soli, si rassegni: Berlino lo bloccherà perché comporta il passaporto europeo.
Il governo Gentiloni ha varato una legge di bilancio 2018-20 che implica un “margine di flessibilità”.
Contava sull’appoggio dei socialdemocratici tedeschi (che non saranno più al governo) e dei francesi che dovranno faticare a contrattare per sé margini di flessibilità con l’Europa in versione “liberale rigorista tedesca”.
È vero che la creazione del ministro delle finanze europeo, secondo il progetto lanciato da Schäuble che vi aspira, comporta la revisione di regole europee, perciò tempi lunghi.
Ma Juncker, presidente della Commissione Europea, nel discorso sullo stato dell’Unione lo ha modificato, così da escludere tale revisione.
Questa carica sarebbe tecnica: toccherebbe al vicepresidente dell’Unione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze, dotato di maggiori competenze nell’attuazione delle regole vigenti del Fiscal Compact su bilanci e debiti degli Stati membri.
Ci vorrà tempo prima che vengano formate la nuova coalizione politica e la nuova compagine governativa a Berlino, sicché la richiesta di rettifica del bilancio italiano 2018 può slittare e ricadere sul governo che verrà dopo le elezioni politiche.
Draghi frattanto continuerà il Qe per tutto il 2017, anche a favore dell’Italia, contrariamente alla richiesta avanzata dalla Germania.
Ma poi Draghi sarà sostituito.
Senza una politica fiscale europea di investimenti, rivolta a compensare gli effetti deflattivi dello smantellamento del Qe e del rientro dai deficit dei paesi membri, rischiamo di trovarci con una riduzione della crescita del Pil.
Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.
(Francesco Forte, “Immigrati ed economia: la nuova Germania sarà nemica dell’Italia”, da “Il Giornale” del 26 settembre 2017).
Un’articolo che potrebbe avere qualche fondamento, ma che alla fine si vede costruito per la propaganda.
.......Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.....
Gli errori dei governi targati PD ci sono.
Ma devono essere assommati agli errori commessi dal governo Berlusconi in precedenza.
Ma questo, su un foglio funzionale alla sola propaganda di parte, non si può dire.
Francesco Forte, a 88 anni (classe 1929), facente parte del Partito Succhialista Italiano, dell’epoca, non poteva che piegarsi a questo tipo di propaganda.
Quando era Succhialista scriveva sull’Espresso, adesso scrive per i Kamaraden STRUMPTRUPPEN.
Così và il mondo.
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Forte: e ora Berlino farà pagare a noi il conto della sua crisi
Scritto il 27/9/17 • nella Categoria: idee Condividi
Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici.
È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi.
Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori.
Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze.
Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea.
Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.
Va in fumo il sogno di Renzi di rivedere le regole di bilancio europee con una deroga permanente al principio del pareggio per il bilancio statale, che peraltro su iniziativa di Forza Italia è stato adottato anche nella Costituzione italiana.
Va in soffitta fra le cianfrusaglie l’idea dei 5 Stelle di fare gli europeisti e, insieme, di dare un reddito di cittadinanza generalizzato a chi non lavora.
Cade a picco anche l’erronea interpretazione del dovere di prima accoglienza, che per il vigente diritto comunitario compete allo Stato in cui essi cercano di sbarcare.
Questa prima accoglienza, secondo la tesi che ora la Germania sosterrà, modificando la politica immigratoria della Merkel, consisterà nel soccorrerli, rimandandoli nei luoghi di provenienza, intervenendo là.
Si accetteranno solo immigrati regolari che domandano un lavoro di cui c’è disponibilità.
Chi vuole lo ius soli, si rassegni: Berlino lo bloccherà perché comporta il passaporto europeo.
Il governo Gentiloni ha varato una legge di bilancio 2018-20 che implica un “margine di flessibilità”.
Contava sull’appoggio dei socialdemocratici tedeschi (che non saranno più al governo) e dei francesi che dovranno faticare a contrattare per sé margini di flessibilità con l’Europa in versione “liberale rigorista tedesca”.
È vero che la creazione del ministro delle finanze europeo, secondo il progetto lanciato da Schäuble che vi aspira, comporta la revisione di regole europee, perciò tempi lunghi.
Ma Juncker, presidente della Commissione Europea, nel discorso sullo stato dell’Unione lo ha modificato, così da escludere tale revisione.
Questa carica sarebbe tecnica: toccherebbe al vicepresidente dell’Unione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze, dotato di maggiori competenze nell’attuazione delle regole vigenti del Fiscal Compact su bilanci e debiti degli Stati membri.
Ci vorrà tempo prima che vengano formate la nuova coalizione politica e la nuova compagine governativa a Berlino, sicché la richiesta di rettifica del bilancio italiano 2018 può slittare e ricadere sul governo che verrà dopo le elezioni politiche.
Draghi frattanto continuerà il Qe per tutto il 2017, anche a favore dell’Italia, contrariamente alla richiesta avanzata dalla Germania.
Ma poi Draghi sarà sostituito.
Senza una politica fiscale europea di investimenti, rivolta a compensare gli effetti deflattivi dello smantellamento del Qe e del rientro dai deficit dei paesi membri, rischiamo di trovarci con una riduzione della crescita del Pil.
Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.
(Francesco Forte, “Immigrati ed economia: la nuova Germania sarà nemica dell’Italia”, da “Il Giornale” del 26 settembre 2017).
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Re: La crisi dell'Europa
Catalogna, la Polizia carica ai seggi. “337 feriti”
Proiettili di gomma sparati sui manifestanti
Centinaia di cittadini in fila per partecipare al voto. I Mossos non intervengono mentre la Guardia Civil
sposta con la forza la gente in coda. Governo catalano: ‘Repressione franchista’. Agenti sparano (VIDEO)
http://www.ilfattoquotidiano.it/
Mondo
La polizia nazionale e la Guardia Civil intervengono per bloccare il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Dopo che questa mattina i catalani si erano presentati ai seggi sotto la pioggia, sono iniziati gli interventi degli agenti. Irruzione nella scuola dove era atteso il presidente Puigdemont: costretto a votare in un’altra sede. La sindaca Ada Colau su Twitter: “Barcellona non ha paura”
di F. Q.
•Madrid: “Stop a voto elettronico” Replica: “Pronti a contare, referendum si fa”
• Catalogna, alle urne per l’indipendenza: l’eterna sfida della Regione più ricca della Spagna (di G.Rosini)
•VIDEO-Persone in strada con le braccia alzate cercano di bloccare i mezzi della polizia
Proiettili di gomma sparati sui manifestanti
Centinaia di cittadini in fila per partecipare al voto. I Mossos non intervengono mentre la Guardia Civil
sposta con la forza la gente in coda. Governo catalano: ‘Repressione franchista’. Agenti sparano (VIDEO)
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La polizia nazionale e la Guardia Civil intervengono per bloccare il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Dopo che questa mattina i catalani si erano presentati ai seggi sotto la pioggia, sono iniziati gli interventi degli agenti. Irruzione nella scuola dove era atteso il presidente Puigdemont: costretto a votare in un’altra sede. La sindaca Ada Colau su Twitter: “Barcellona non ha paura”
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•Madrid: “Stop a voto elettronico” Replica: “Pronti a contare, referendum si fa”
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•VIDEO-Persone in strada con le braccia alzate cercano di bloccare i mezzi della polizia
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Re: La crisi dell'Europa
Madrid chiude il Parlamento della Catalogna
“Sospesa la seduta pro-indipendenza di lunedì”
La Corte costituzionale ha annullato la sessione plenaria della prossima settimana che avrebbe dovuto
deliberare la separazione dallo Stato centrale: “Violazione della Costituzione e dei diritti parlamentari”
Mondo
La corte Costituzionale spagnola ha sospeso la sessione del Parlamento della Catalogna prevista per lunedì, ultimo atto della sfida incandescente fra Barcellona e Madrid. Il Parlament di Barcellona aveva deciso di riunirsi dal mattino in sessione “ordinaria eccezionale” per sentire il presidente Carles Puigdemont sul referendum di indipendenza di domenica, dichiarato “illegale” da Madrid, e stravinto dal sì con il 90%
di F. Q.
•IL DISCORSO DEL RE: “CATALOGNA SLEALE, HA VOLUTO SPEZZARE L’UNITÀ” •BLOG GOMEZ – RAJOY, PERICOLOSO IDIOTA CHE SERVE ALL’OLIGARCHIA
•Catalogna, Puigdemont: “Attueremo i risultati del voto”. E il Pp chiama in piazza a Barcellona gli unionisti
•Catalogna, così Rajoy ha estremizzato il conflitto con Barcellona. Dagli accordi di Zapatero al muro contro muro
“Sospesa la seduta pro-indipendenza di lunedì”
La Corte costituzionale ha annullato la sessione plenaria della prossima settimana che avrebbe dovuto
deliberare la separazione dallo Stato centrale: “Violazione della Costituzione e dei diritti parlamentari”
Mondo
La corte Costituzionale spagnola ha sospeso la sessione del Parlamento della Catalogna prevista per lunedì, ultimo atto della sfida incandescente fra Barcellona e Madrid. Il Parlament di Barcellona aveva deciso di riunirsi dal mattino in sessione “ordinaria eccezionale” per sentire il presidente Carles Puigdemont sul referendum di indipendenza di domenica, dichiarato “illegale” da Madrid, e stravinto dal sì con il 90%
di F. Q.
•IL DISCORSO DEL RE: “CATALOGNA SLEALE, HA VOLUTO SPEZZARE L’UNITÀ” •BLOG GOMEZ – RAJOY, PERICOLOSO IDIOTA CHE SERVE ALL’OLIGARCHIA
•Catalogna, Puigdemont: “Attueremo i risultati del voto”. E il Pp chiama in piazza a Barcellona gli unionisti
•Catalogna, così Rajoy ha estremizzato il conflitto con Barcellona. Dagli accordi di Zapatero al muro contro muro
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Re: La crisi dell'Europa
..............2017 L'ANNO DELLA SFIGA...........
Il fatto quotidiano
Madrid chiude il Parlamento della Catalogna
Ue: “Corriamo il rischio di una guerra civile”
Consulta annulla sessione di lunedì in cui era attesa dichiarazione di indipendenza. Chiesta nuova seduta
Allerta del commissario Oettinger. Rajoy prepara decreto per agevolare uscita delle imprese dalla regione
Mondo
La Corte Costituzionale spagnola ha sospeso la sessione del Parlamento della Catalogna prevista per lunedì, in cui era atteso il discorso del presidente catalano Carles Puigdemont sul referendum di domenica, stravinto dal sì all’indipendenza con il 90% ma dichiarato “illegale” da Madrid. Guenter Oettinger, commissario europeo al Bilancio: “Situazione molto preoccupante. Si può immaginare una guerra civile in seno all’Europa. Serve una mediazione”. Ma il premier Rajoy esclude questa possibilità
di F. Q.
Il fatto quotidiano
Madrid chiude il Parlamento della Catalogna
Ue: “Corriamo il rischio di una guerra civile”
Consulta annulla sessione di lunedì in cui era attesa dichiarazione di indipendenza. Chiesta nuova seduta
Allerta del commissario Oettinger. Rajoy prepara decreto per agevolare uscita delle imprese dalla regione
Mondo
La Corte Costituzionale spagnola ha sospeso la sessione del Parlamento della Catalogna prevista per lunedì, in cui era atteso il discorso del presidente catalano Carles Puigdemont sul referendum di domenica, stravinto dal sì all’indipendenza con il 90% ma dichiarato “illegale” da Madrid. Guenter Oettinger, commissario europeo al Bilancio: “Situazione molto preoccupante. Si può immaginare una guerra civile in seno all’Europa. Serve una mediazione”. Ma il premier Rajoy esclude questa possibilità
di F. Q.
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Re: La crisi dell'Europa
UncleTom ha scritto:..............2017 L'ANNO DELLA SFIGA...........
Il fatto quotidiano
Madrid chiude il Parlamento della Catalogna
Ue: “Corriamo il rischio di una guerra civile”
Consulta annulla sessione di lunedì in cui era attesa dichiarazione di indipendenza. Chiesta nuova seduta
Allerta del commissario Oettinger. Rajoy prepara decreto per agevolare uscita delle imprese dalla regione
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La Corte Costituzionale spagnola ha sospeso la sessione del Parlamento della Catalogna prevista per lunedì, in cui era atteso il discorso del presidente catalano Carles Puigdemont sul referendum di domenica, stravinto dal sì all’indipendenza con il 90% ma dichiarato “illegale” da Madrid. Guenter Oettinger, commissario europeo al Bilancio: “Situazione molto preoccupante. Si può immaginare una guerra civile in seno all’Europa. Serve una mediazione”. Ma il premier Rajoy esclude questa possibilità
di F. Q.
IlFattoQuotidiano.it / Mondo
Catalogna, Madrid chiude Parlamento di Barcellona: ‘No seduta pro-indipendenza’ Bruxelles: “Rischio guerra civile nell’Ue”
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La decisione della Corte Costituzionale. Il 9 ottobre al 'Parlament' era in programma l'intervento del presidente catalano Puigdemont sul referendum di domenica, stravinto dal sì con il 90%. Il partito Cup, che fa parte del fronte indipendentista, chiede che già lunedì si proclami la "Repubblica catalana". Il commissario al Bilancio Oettinger: "Serve mediazione". Rajoy dice no. E prepara decreto per agevolare uscita delle imprese dalla regione
di F. Q. | 5 ottobre 2017
commenti (412)
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Più informazioni su: Catalogna, Governo Rajoy, Mariano Rajoy, Referendum Catalogna, Spagna
La Corte Costituzionale spagnola ha sospeso la sessione del Parlamento della Catalogna prevista per lunedì, giorno in cui è in calendario uno degli ultimi atti della sfida incandescente fra Barcellona e Madrid: il Parlament catalano ha deciso di riunirsi in sessione “ordinaria eccezionale” proprio il 9 ottobre per sentire il presidente Carles Puigdemont sul referendum sull’indipendenza di domenica, dichiarato “illegale” da Madrid e stravinto dal sì con il 90%. Il partito Cup, che fa parte del fronte indipendentista, chiede che già lunedì si proclami la “Repubblica catalana” con una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza (Dui).
La consulta di Madrid ha accolto in poche ore il ricorso presentato questa mattina contro la convocazione della riunione dal Partito Socialista Catalano (Psc) referente in Catalogna del Psoe spagnolo. Non è chiaro al momento quale sarà la decisione dell’assemblea catalana nella quale gli indipendentisti hanno la maggioranza assoluta e che in una normativa approvata in settembre, anche questa bocciata dalla corte costituzionale di Madrid, ha deciso che se il ‘sì’ avesse vinto al referendum sarebbe entrata in vigore una legge di transizione di valore superiore ai pronunciamenti di qualsiasi corte spagnola.
In serata i partiti indipendentisti hanno presentato una nuova proposta di convocazione del Parlament lunedì prossimo per aggirare il veto della Consulta. La nuova convocazione, che sarà esaminata domani dall’ufficio di presidenza, prevede, riferisce Tv3, un intervento di Puigdemont senza far riferimento al referendum di indipendenza.
L’annuncio della Corte Costituzionale era arrivato poche ore dopo il monito rivolto alle autorità catalane da Mariano Rajoy: il primo ministro spagnolo ha chiesto al governatore di rinunciare “nel più breve tempo possibile” al suo progetto di dichiarare unilateralmente l’indipendenza, affermando che questa sia “la soluzione migliore” nonché quella che “eviterà danni maggiori”.
Mercoledì il presidente della Generalitat aveva risposto in un discorso alla nazione al duro intervento contro la Catalogna pronunciato martedì sera da re Felipe. Il ‘president’ si è detto deluso dal sovrano spagnolo, reo a suo parere di non avere svolto il suo “ruolo di moderazione” e essersi allineato sulla politica “irresponsabile” e “catastrofica” del governo di Madrid. Puigdemont aveva ribadito l’appello per una mediazione internazionale con Madrid, ma la decisione della Consulta, organo di nomina politica, chiude al momento ogni possibile trattativa. Mediazione auspicata dal movimento popolare ‘Parlem?‘ (parliamo), che ha convocato per sabato, attraverso i social network, manifestazioni davanti ai municipi delle principali città a favore del dialogo, chiedendo ai partecipanti di vestirsi di bianco, portare cartelli e dipingersi le mani dello stesso colore, evitando le bandiere.
La risposta del governo è già arrivata: l’unità della Spagna non può “essere oggetto di alcuna mediazione, né di alcuna negoziazione” e il “primo dialogo” che la Generalitat catalana dovrebbe recuperare è con il Parlamento e la società catalana che “ha diviso”, ha detto Rajoy in un’intervista rilasciata a Efe nel Palazzo della Moncloa, sede del governo.
Il governo, tuttavia, si è mosso sul piano economico e venerdì adotterà un decreto per agevolare l’uscita dalla Catalogna di imprese che temono una dichiarazione di indipendenza, riferisce Efe.
La norma permetterà alle imprese di spostare la sede sociale in un’altra regione senza sottoporre la decisione al voto degli azionisti. Oggi il Banco Sabadell, la seconda banca catalana, ha deciso di trasferire la sede sociale a Alicante. Una decisione analoga potrebbe essere presa da Caixa Bank. Un provvedimento aspramente criticato dal ministro dell’economia catalano Pere Aragonés: “Vogliono castigare la nostra economia”.
Le posizioni rimangono al momento inconciliabili al punto che secondo Guenter Oettinger, commissario europeo al Bilancio e la Programmazione Economica, “la situazione è molto, molto preoccupante. Si può immaginare una guerra civile in seno all’Europa”, ha detto Oettinger intervendo ad un convegno a Monaco. “Possiamo solo sperare – ha aggiunto – che fra Madrid e Barcelona si apra presto un dialogo”. Il commissario ha poi ricordato che l’Ue potrebbe porsi come mediatore solo se vi fosse una richiesta da parte del governo spagnolo. Inoltre, ha sottolineato, la Ue deve rispettare la Costituzione degli Stati membri e quella spagnola non prevede referendum secessionisti.
Ora Rajoy potrebbe invocare l’articolo 155 della Costituzione in base al quale il governo centrale prenderebbe il controllo del governo locale: Madrid potrebbe intervenire contro la comunità autonoma accusata di non aver rispettato la carta fondamentale prendendo “le misure necessarie per obbligarla all’adempimento forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi”. Non solo: “il governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità Autonome per l’esecuzione delle misure previste nel comma precedente”. Tra le ipotesi anche quindi prendere il controllo dei Mossos, la polizia catalana, il cui capo è ora indagato dalla giustizia spagnola per “sedizione“, di destituire Puigdemont o convocare elezioni anticipate. Come chiesto a Rajoy dall’ex primo ministro Josè Maria Aznar.
La possibilità che si arrivi a una dichiarazione di indipendenza suscita perplessità anche nella regione. Tanto che La Vanguardia, il principale giornale di Barcellona, si schiera contro: vogliamo “esprimere in modo inequivoco la nostra opinione- si legge in un editoriale – la proclamazione della Dui sarebbe un tremendo errore, che porterebbe ad effetti potenzialmente disastrosi per la Catalogna”. Ma è più probabile che si crei una situazione d’incertezza, aprendo la porta all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione. “Di fronte alle azioni di forza che propongono le parti contrapposte, c’è una società che spera ed esige una soluzione negoziata del conflitto”.
La tensione nel Paese è altissima, al punto che in un’intervista alla Bild Puigdemont ha ventilato la possibilità di poter essere arrestato dalle autorità spagnole: “Non ho paura per me. Non mi stupirebbe nulla di quello che può fare il governo spagnolo. Anche il mio arresto è possibile, sarebbe una mossa selvaggia”, ha affermato il presidente della Generalitat, che ha accusato la Spagna di essere uno “Stato autoritario” e ha detto di “sentirsi già il presidente di un Paese libero”.
In Italia, intanto, l’Ambasciatore spagnolo Jesus Manuel Gracia ha smentito alcuni titoli odierni della stampa su un presunto arrivo delle forze armate spagnole in Catalogna: “Non è vero, non c’è l’esercito – ha detto il rappresentante diplomatico ad Agorà – la Spagna é molto sensibile a questo e non abbiamo voluto coinvolgere l’Esercito neanche in questo momento dove la minaccia terroristica é così grande”.
di F. Q. | 5 ottobre 2017
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Re: La crisi dell'Europa
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Catalogna, così Rajoy ha estremizzato il conflitto con Barcellona. Dagli accordi di Zapatero al muro contro muro
di Gianni Rosini | 4 ottobre 2017
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La violenza della Guardia Civil contro chi si è recato alle urne il primo ottobre ha trasformato l’ennesima consultazione pubblica, seppur incostituzionale, in una battaglia per la democrazia. Con questa scelta, il primo ministro ha probabilmente ottenuto l’effetto opposto: per evitare episodi di guerriglia Madrid dovrà necessariamente sedersi a un tavolo con il Presidente Carles Puigdemont e, questa volta sì, cedere ad alcune richieste
di Gianni Rosini | 4 ottobre 2017
Rivendicazione, dialogo, accordo.
Il rapporto tra i governi catalani e lo Stato centrale nell’epoca post-franchista si è sempre sviluppato secondo lo stesso schema.
In alternativa, quando Madrid era troppo forte politicamente e, quindi, il potere contrattuale di Barcellona troppo inferiore, si è arrivati a un muro contro muro.
Senza mai arrivare però, grazie anche alla non bellicosità dei movimenti indipendentisti catalani, allo scontro armato.
Fino ad oggi, con l’ultimo referendum per l’indipendenza della Catalogna, quando il Primo Ministro spagnolo, Mariano Rajoy, ha deciso di rispondere con i manganelli alla volontà del popolo catalano di votare.
Un pugno di ferro che gli si è rivoltato contro: con oltre 800 feriti lasciati per strada dalla Guadia Civil spagnola, quella che doveva essere una consultazione, seppur incostituzionale, per l’indipendenza è stata trasformata in una battaglia per la democrazia.
Intanto, il leader del Partito Popolare di Catalogna, Xavier García Albiol, ha invocato una “massiccia” mobilitazione dei catalani non indipendentisti a Barcellona, domenica prossima, “in difesa della democrazia e la libertà”. Mossa che, di certo, non aiuterà ad abbassare i toni dello scontro.
Dopo la caduta del regime militare di Francisco Franco, la Spagna approvò la Costituzione del 1978 e, un anno dopo, la Catalogna poté vedere nero su bianco il nuovo Statuto di Autonomia.
Da quel momento, i rapporti tra governo catalano ed esecutivo di Madrid si sono sempre sviluppati, con scontri più o meno accesi, secondo schema: rivendicazioni, dialogo, accordo. Modus operandi favorito anche da una delle caratteristiche che contraddistinguono il movimento indipendentista catalano da altri presenti in Spagna e nel resto d’Europa: uno spiccato pragmatismo che li ha sempre portati a cercare l’accordo a tavolino invece che la protesta di piazza o lo scontro armato.
Caratteristica che li contraddistingue nettamente dai cugini baschi che, soprattutto tra gli anni ’70 e ’90, hanno insanguinato le strade della Spagna con episodi di vera e propria guerriglia urbana e con gli attacchi terroristici dell’Eta.
Questa politica non ha mai permesso alla regione dell’Estelada di ottenere, ad esempio, le stesse concessioni fiscali riservate ai Paesi Baschi, i cui movimenti indipendentisti sono stati considerati per anni un pericolo alla sicurezza nazionale, nonostante la Catalogna rappresenti il motore economico spagnolo.
Concessioni importanti dal punto di vista culturale, ad esempio, ci sono state nella seconda metà degli anni ’90 e proprio da parte di quel Partito Popolare che oggi ha scatenato contro i catalani gli agenti della Guardia Civil in tenuta antisommossa.
In quel periodo, il Premier José María Aznar era a capo di un esecutivo che ottenne la maggioranza relativa alle urne.
Per poter governare, il leader dei Popolari dovette racimolare seggi accordandosi proprio con le formazioni dei partiti catalani, baschi e delle Canarie entrate in Parlamento.
In cambio dell’appoggio politico, Jordi Pujol, allora Presidente della Generalitat de Catalunya, ottenne la totale autonomia sull’istruzione pubblica regionale e poté attuare un processo di catalanizzazione del sistema scolastico.
Stessa cosa, però, non avvenne sulla questione economica: mentre i Paesi baschi avevano ottenuto un’autonomia quasi totale dal punto di vista fiscale, la Catalogna rimaneva ancora legata a Madrid, seppur con importanti agevolazioni.
Quando Pujol tentò di battere cassa con Madrid, però, la situazione era cambiata: Aznar era stato nuovamente eletto alle politiche del 2000 e, questa volta, aveva ottenuto la maggioranza assoluta. Non aveva più bisogno dell’appoggio dei catalani in Parlamento e, così, rispedì la richiesta al mittente.
Ma passano quattro anni e l’alternanza al governo, con il primo esecutivo socialista di José Luis Zapatero, inaugura una nuova stagione di trattative, e di concessioni, sull’asse Barcellona-Madrid che culmina con l’accordo del 2006 sul nuovo Statuto d’Autonomia della Catalogna che accontentò la maggior parte dei partiti indipendentisti catalani e concesse maggior autonomia, anche fiscale, alla regione orientale spagnola.
Nello stesso periodo, però, un altro cambio a vertice influenzerà i rapporti tra Stato centrale e Catalogna: nel 2004, nuovo Presidente de Partito Popolare è diventato Mariano Rajoy che inaugura subito la linea del muro contro muro con Barcellona.
E l’occasione è proprio lo Statuto del 2006 per il quale il partito chiede la revisione costituzionale.
Il Tribunale spagnolo si pronuncerà solo nel 2010, dichiarando incostituzionali 14 articoli del documento, tra cui quello in cui si indica la Catalogna con il termine “Nazione”.
La sentenza scatena la rabbia dei catalani che scendono in strada a milioni nel 2010, 2012 e 2013 al grido di “Siamo una Nazione e vogliamo decidere”.
Intanto, la crisi del 2008 ha piegato la testa alla Spagna, uno degli Stati europei più colpiti, e anche la Catalogna, nonostante sia la regione più ricca e produttiva del Paese, vede il suo debito con Madrid crescere sempre più velocemente, fino a superare i 70 miliardi di euro.
Dopo i 552 referendum simbolici sull’indipendenza realizzati tra il 2009 e il 2011 in altrettanti comuni catalani, la stagione delle trattative si conclude nel dicembre 2011, quando a capo del governo sale proprio Mariano Rajoy.
Alla richiesta di maggiori concessioni economiche da parte di Barcellona, il leader dei popolari risponde subito con un “no”.
Il pugno di ferro di Madrid accende, però, il sentimento indipendentista nella regione, tanto che sarà addirittura Artur Mas, allora a capo della Generalitat con la coalizione Convergenza e Unione (CiU), di stampo cristiano-democratica e dalle posizioni moderate, ad avviare il processo che, due anni dopo, porterà al primo referendum sull’indipendenza della Catalogna. In quell’occasione, l’atteggiamento del governo Rajoy fu fermo, ma attendista, evitando così di arrivare allo scontro violento.
Il Premier dichiarò il referendum illegale secondo la Costituzione spagnola, ma non ostacolò il voto.
Risultato: alle urne si recò il 37% degli aventi diritto, con l’indipendenza che vinse con l’80% di preferenze.
Tradotto: la maggioranza dei catalani non è interessata alla separazione da Madrid e così, quando l’esecutivo di Barcellona chiese al governo centrale di indire un referendum che rispettasse gli standard legali spagnoli, la risposta fu un “no” supportato dagli stessi numeri del voto.
Niente nell’atteggiamento tenuto da Rajoy tre anni fa poteva far pensare a un cambio di strategia così drastico e potenzialmente autolesionista.
La violenza messa in piazza dalla Guardia Civil contro chi si è recato alle urne il primo ottobre ha trasformato l’ennesima consultazione pubblica, seppur incostituzionale, in una battaglia per la democrazia, con lo Stato centrale a fare la parte di chi cerca di imbrigliarla.
Con questa scelta, Rajoy ha probabilmente ottenuto l’effetto opposto: con il governo catalano che non si dice disponibile a un passo indietro, dopo le violenze commesse dalla polizia, per evitare episodi di guerriglia Madrid dovrà necessariamente sedersi a un tavolo con il Presidente Carles Puigdemont e, questa volta sì, cedere ad alcune richieste.
Twitter: @GianniRosini
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10 ... o/3894546/
Catalogna, così Rajoy ha estremizzato il conflitto con Barcellona. Dagli accordi di Zapatero al muro contro muro
di Gianni Rosini | 4 ottobre 2017
Mondo
La violenza della Guardia Civil contro chi si è recato alle urne il primo ottobre ha trasformato l’ennesima consultazione pubblica, seppur incostituzionale, in una battaglia per la democrazia. Con questa scelta, il primo ministro ha probabilmente ottenuto l’effetto opposto: per evitare episodi di guerriglia Madrid dovrà necessariamente sedersi a un tavolo con il Presidente Carles Puigdemont e, questa volta sì, cedere ad alcune richieste
di Gianni Rosini | 4 ottobre 2017
Rivendicazione, dialogo, accordo.
Il rapporto tra i governi catalani e lo Stato centrale nell’epoca post-franchista si è sempre sviluppato secondo lo stesso schema.
In alternativa, quando Madrid era troppo forte politicamente e, quindi, il potere contrattuale di Barcellona troppo inferiore, si è arrivati a un muro contro muro.
Senza mai arrivare però, grazie anche alla non bellicosità dei movimenti indipendentisti catalani, allo scontro armato.
Fino ad oggi, con l’ultimo referendum per l’indipendenza della Catalogna, quando il Primo Ministro spagnolo, Mariano Rajoy, ha deciso di rispondere con i manganelli alla volontà del popolo catalano di votare.
Un pugno di ferro che gli si è rivoltato contro: con oltre 800 feriti lasciati per strada dalla Guadia Civil spagnola, quella che doveva essere una consultazione, seppur incostituzionale, per l’indipendenza è stata trasformata in una battaglia per la democrazia.
Intanto, il leader del Partito Popolare di Catalogna, Xavier García Albiol, ha invocato una “massiccia” mobilitazione dei catalani non indipendentisti a Barcellona, domenica prossima, “in difesa della democrazia e la libertà”. Mossa che, di certo, non aiuterà ad abbassare i toni dello scontro.
Dopo la caduta del regime militare di Francisco Franco, la Spagna approvò la Costituzione del 1978 e, un anno dopo, la Catalogna poté vedere nero su bianco il nuovo Statuto di Autonomia.
Da quel momento, i rapporti tra governo catalano ed esecutivo di Madrid si sono sempre sviluppati, con scontri più o meno accesi, secondo schema: rivendicazioni, dialogo, accordo. Modus operandi favorito anche da una delle caratteristiche che contraddistinguono il movimento indipendentista catalano da altri presenti in Spagna e nel resto d’Europa: uno spiccato pragmatismo che li ha sempre portati a cercare l’accordo a tavolino invece che la protesta di piazza o lo scontro armato.
Caratteristica che li contraddistingue nettamente dai cugini baschi che, soprattutto tra gli anni ’70 e ’90, hanno insanguinato le strade della Spagna con episodi di vera e propria guerriglia urbana e con gli attacchi terroristici dell’Eta.
Questa politica non ha mai permesso alla regione dell’Estelada di ottenere, ad esempio, le stesse concessioni fiscali riservate ai Paesi Baschi, i cui movimenti indipendentisti sono stati considerati per anni un pericolo alla sicurezza nazionale, nonostante la Catalogna rappresenti il motore economico spagnolo.
Concessioni importanti dal punto di vista culturale, ad esempio, ci sono state nella seconda metà degli anni ’90 e proprio da parte di quel Partito Popolare che oggi ha scatenato contro i catalani gli agenti della Guardia Civil in tenuta antisommossa.
In quel periodo, il Premier José María Aznar era a capo di un esecutivo che ottenne la maggioranza relativa alle urne.
Per poter governare, il leader dei Popolari dovette racimolare seggi accordandosi proprio con le formazioni dei partiti catalani, baschi e delle Canarie entrate in Parlamento.
In cambio dell’appoggio politico, Jordi Pujol, allora Presidente della Generalitat de Catalunya, ottenne la totale autonomia sull’istruzione pubblica regionale e poté attuare un processo di catalanizzazione del sistema scolastico.
Stessa cosa, però, non avvenne sulla questione economica: mentre i Paesi baschi avevano ottenuto un’autonomia quasi totale dal punto di vista fiscale, la Catalogna rimaneva ancora legata a Madrid, seppur con importanti agevolazioni.
Quando Pujol tentò di battere cassa con Madrid, però, la situazione era cambiata: Aznar era stato nuovamente eletto alle politiche del 2000 e, questa volta, aveva ottenuto la maggioranza assoluta. Non aveva più bisogno dell’appoggio dei catalani in Parlamento e, così, rispedì la richiesta al mittente.
Ma passano quattro anni e l’alternanza al governo, con il primo esecutivo socialista di José Luis Zapatero, inaugura una nuova stagione di trattative, e di concessioni, sull’asse Barcellona-Madrid che culmina con l’accordo del 2006 sul nuovo Statuto d’Autonomia della Catalogna che accontentò la maggior parte dei partiti indipendentisti catalani e concesse maggior autonomia, anche fiscale, alla regione orientale spagnola.
Nello stesso periodo, però, un altro cambio a vertice influenzerà i rapporti tra Stato centrale e Catalogna: nel 2004, nuovo Presidente de Partito Popolare è diventato Mariano Rajoy che inaugura subito la linea del muro contro muro con Barcellona.
E l’occasione è proprio lo Statuto del 2006 per il quale il partito chiede la revisione costituzionale.
Il Tribunale spagnolo si pronuncerà solo nel 2010, dichiarando incostituzionali 14 articoli del documento, tra cui quello in cui si indica la Catalogna con il termine “Nazione”.
La sentenza scatena la rabbia dei catalani che scendono in strada a milioni nel 2010, 2012 e 2013 al grido di “Siamo una Nazione e vogliamo decidere”.
Intanto, la crisi del 2008 ha piegato la testa alla Spagna, uno degli Stati europei più colpiti, e anche la Catalogna, nonostante sia la regione più ricca e produttiva del Paese, vede il suo debito con Madrid crescere sempre più velocemente, fino a superare i 70 miliardi di euro.
Dopo i 552 referendum simbolici sull’indipendenza realizzati tra il 2009 e il 2011 in altrettanti comuni catalani, la stagione delle trattative si conclude nel dicembre 2011, quando a capo del governo sale proprio Mariano Rajoy.
Alla richiesta di maggiori concessioni economiche da parte di Barcellona, il leader dei popolari risponde subito con un “no”.
Il pugno di ferro di Madrid accende, però, il sentimento indipendentista nella regione, tanto che sarà addirittura Artur Mas, allora a capo della Generalitat con la coalizione Convergenza e Unione (CiU), di stampo cristiano-democratica e dalle posizioni moderate, ad avviare il processo che, due anni dopo, porterà al primo referendum sull’indipendenza della Catalogna. In quell’occasione, l’atteggiamento del governo Rajoy fu fermo, ma attendista, evitando così di arrivare allo scontro violento.
Il Premier dichiarò il referendum illegale secondo la Costituzione spagnola, ma non ostacolò il voto.
Risultato: alle urne si recò il 37% degli aventi diritto, con l’indipendenza che vinse con l’80% di preferenze.
Tradotto: la maggioranza dei catalani non è interessata alla separazione da Madrid e così, quando l’esecutivo di Barcellona chiese al governo centrale di indire un referendum che rispettasse gli standard legali spagnoli, la risposta fu un “no” supportato dagli stessi numeri del voto.
Niente nell’atteggiamento tenuto da Rajoy tre anni fa poteva far pensare a un cambio di strategia così drastico e potenzialmente autolesionista.
La violenza messa in piazza dalla Guardia Civil contro chi si è recato alle urne il primo ottobre ha trasformato l’ennesima consultazione pubblica, seppur incostituzionale, in una battaglia per la democrazia, con lo Stato centrale a fare la parte di chi cerca di imbrigliarla.
Con questa scelta, Rajoy ha probabilmente ottenuto l’effetto opposto: con il governo catalano che non si dice disponibile a un passo indietro, dopo le violenze commesse dalla polizia, per evitare episodi di guerriglia Madrid dovrà necessariamente sedersi a un tavolo con il Presidente Carles Puigdemont e, questa volta sì, cedere ad alcune richieste.
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Re: La crisi dell'Europa
L'articolo di Peter Gomez di tre giorni fa sul Fatto Quotidiano, è stato selezionato da LIBRE.
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... ligarchia/
LIBRE news
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Mariano Rajoy, il pericoloso idiota che serve all’oligarchia
Scritto il 06/10/17 • nella Categoria: idee Condividi
Mariano Rajoy è un pericoloso idiota. E sarebbe il caso che i suoi amici del Partito popolare europeo se ne rendessero conto in fretta. Se davvero i democristiani del Vecchio continente, assieme ai socialisti un po’ ovunque loro alleati, vogliono essere il baluardo contro quello che definiscono la minaccia del vento populista dovrebbero affermare un principio chiaro, precedente a ogni legge e Costituzione: nessun governo può ordinare di picchiare, malmenare, manganellare decine di migliaia di manifestanti inermi e non violenti. Le immagini della Guardia Civil travestita da Dart Fener, che si contrappone alle divise pacifiche e colorate dei pompieri, colpendo a sangue donne anziane e ragazzi con le mani alzate sono la propaganda migliore per chi denuncia (a volte non a torto) gli abusi di un establishment apparentemente interessato solo a conservare il proprio potere.
I tanti dotti commenti che in questi giorni, anche sulla stampa nostrana, si limitano a sottolineare come il referendum per l’indipendenza della Catalogna fosse illegale perché non previsto dalla Costituzione, sono miopi e ridicoli. È vero infatti che da sempre nelle democrazie l’uso legittimo della violenza è demandato allo Stato anche per mantenere l’ordine costituito. Ma è evidente che nella società contemporanea la forza deve essere l’extrema ratio, che le sue conseguenze vanno ponderate con cura e che prima di farvi ricorso va battuta ogni strada. La domanda da porsi è dunque una sola: c’erano altre vie? Le cronache che in questi mesi sono giunte dalla Spagna sono unanimi nel rispondere di sì. Basti pensare che Rajoy nel 2010 portò davanti alla Corte costituzionale (che in Spagna è di nomina solo politica) e fece cassare il nuovo statuto per l’autonomia della Catalogna siglato nel 2006 tra il suo predecessore José Zapatero e l’allora amatissimo ex sindaco di Barcellona, Pasqual Maragall.
Così, oggi, le centinaia di migliaia di persone che scendono in piazza per protestare contro la violenza di Stato, fanno diventare un gigante politico l’alcadesa Ada Colau. Lei, che da subito aveva annunciato il suo no alla secessione nel referendum poi soffocato nel sangue, si era battuta perché i catalani si potessero comunque esprimere. Il perché è evidente. In un territorio in cui si parla una lingua diversa da quella dello Stato centrale e dove i partiti indipendentisti – ma quasi sempre europeisti – raccolgono il 48 per cento dei consensi, impedire ai cittadini di votare è impossibile (come ci ha insegnato il Regno Unito con la Scozia). Compito della politica è invece quello di prendere atto della situazione e trovare le vie per una mediazione. Anche perché, spesso, come ripeteva Leo Longanesi in uno dei suoi fulminanti aforismi, «un’idea che non trova spazio a tavola è capace di fare la rivoluzione».
Il refrain “ma la Costituzione non lo prevede” in questo caso è solo l’ultimo rifugio di chi teme che quanto sta accadendo in Catalogna (per ragioni diverse dall’indipendenza) possa ripetersi altrove. Di chi alla realtà sa solo opporre incapacità e arroganza. Seguendo questa logica, se domani in Spagna un partito repubblicano raccogliesse il 50% e più dei consensi, il referendum per decidere se uscire dalla monarchia dovrebbe essere comunque vietato. E pure l’Europa, che spesso a vanvera si dichiara dei popoli, dovrebbe schierarsi con le truppe del Re contro i cittadini. Dimostrando che oggi il pericolo più grande corso dalle nostre democrazie non è la dittatura o il populismo, ma la sorda e cieca oligarchia.
(Peter Gomez, “Mariano Rajoy, il pericoloso idiota che serve all’oligarchia”, da “Il Fatto Quotidiano” del 4 ottobre 2017).
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... ligarchia/
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Mariano Rajoy, il pericoloso idiota che serve all’oligarchia
Scritto il 06/10/17 • nella Categoria: idee Condividi
Mariano Rajoy è un pericoloso idiota. E sarebbe il caso che i suoi amici del Partito popolare europeo se ne rendessero conto in fretta. Se davvero i democristiani del Vecchio continente, assieme ai socialisti un po’ ovunque loro alleati, vogliono essere il baluardo contro quello che definiscono la minaccia del vento populista dovrebbero affermare un principio chiaro, precedente a ogni legge e Costituzione: nessun governo può ordinare di picchiare, malmenare, manganellare decine di migliaia di manifestanti inermi e non violenti. Le immagini della Guardia Civil travestita da Dart Fener, che si contrappone alle divise pacifiche e colorate dei pompieri, colpendo a sangue donne anziane e ragazzi con le mani alzate sono la propaganda migliore per chi denuncia (a volte non a torto) gli abusi di un establishment apparentemente interessato solo a conservare il proprio potere.
I tanti dotti commenti che in questi giorni, anche sulla stampa nostrana, si limitano a sottolineare come il referendum per l’indipendenza della Catalogna fosse illegale perché non previsto dalla Costituzione, sono miopi e ridicoli. È vero infatti che da sempre nelle democrazie l’uso legittimo della violenza è demandato allo Stato anche per mantenere l’ordine costituito. Ma è evidente che nella società contemporanea la forza deve essere l’extrema ratio, che le sue conseguenze vanno ponderate con cura e che prima di farvi ricorso va battuta ogni strada. La domanda da porsi è dunque una sola: c’erano altre vie? Le cronache che in questi mesi sono giunte dalla Spagna sono unanimi nel rispondere di sì. Basti pensare che Rajoy nel 2010 portò davanti alla Corte costituzionale (che in Spagna è di nomina solo politica) e fece cassare il nuovo statuto per l’autonomia della Catalogna siglato nel 2006 tra il suo predecessore José Zapatero e l’allora amatissimo ex sindaco di Barcellona, Pasqual Maragall.
Così, oggi, le centinaia di migliaia di persone che scendono in piazza per protestare contro la violenza di Stato, fanno diventare un gigante politico l’alcadesa Ada Colau. Lei, che da subito aveva annunciato il suo no alla secessione nel referendum poi soffocato nel sangue, si era battuta perché i catalani si potessero comunque esprimere. Il perché è evidente. In un territorio in cui si parla una lingua diversa da quella dello Stato centrale e dove i partiti indipendentisti – ma quasi sempre europeisti – raccolgono il 48 per cento dei consensi, impedire ai cittadini di votare è impossibile (come ci ha insegnato il Regno Unito con la Scozia). Compito della politica è invece quello di prendere atto della situazione e trovare le vie per una mediazione. Anche perché, spesso, come ripeteva Leo Longanesi in uno dei suoi fulminanti aforismi, «un’idea che non trova spazio a tavola è capace di fare la rivoluzione».
Il refrain “ma la Costituzione non lo prevede” in questo caso è solo l’ultimo rifugio di chi teme che quanto sta accadendo in Catalogna (per ragioni diverse dall’indipendenza) possa ripetersi altrove. Di chi alla realtà sa solo opporre incapacità e arroganza. Seguendo questa logica, se domani in Spagna un partito repubblicano raccogliesse il 50% e più dei consensi, il referendum per decidere se uscire dalla monarchia dovrebbe essere comunque vietato. E pure l’Europa, che spesso a vanvera si dichiara dei popoli, dovrebbe schierarsi con le truppe del Re contro i cittadini. Dimostrando che oggi il pericolo più grande corso dalle nostre democrazie non è la dittatura o il populismo, ma la sorda e cieca oligarchia.
(Peter Gomez, “Mariano Rajoy, il pericoloso idiota che serve all’oligarchia”, da “Il Fatto Quotidiano” del 4 ottobre 2017).
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Re: La crisi dell'Europa
LA FUGA DELLE AZIENDE
Catalogna, la fuga delle società:
<<Rischi economici legati
All’indipendenza>>
La spagnola Gas Natural ha deciso di spostare la sede legale da Barcellona a Madrid,
secondo una fonte vicino alla società, l’ultima di una serie di aziende con
base in Catalogna,che stanno lasciandola regione per i timori di una dichiarazione di
indipendenza
di Valentia Santarpia
Per saperne di più, leggi:
http://www.corriere.it/esteri/cards/cat ... pale.shtml
Catalogna, la fuga delle società:
<<Rischi economici legati
All’indipendenza>>
La spagnola Gas Natural ha deciso di spostare la sede legale da Barcellona a Madrid,
secondo una fonte vicino alla società, l’ultima di una serie di aziende con
base in Catalogna,che stanno lasciandola regione per i timori di una dichiarazione di
indipendenza
di Valentia Santarpia
Per saperne di più, leggi:
http://www.corriere.it/esteri/cards/cat ... pale.shtml
Chi c’è in linea
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