Mafie,...un cancro infinito

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camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

Messaggio da camillobenso »

Amadeus ha scritto:mah...
queste telefonate ora si scoprono?
dopo la repubblica delle idee il FQ ha cambiato bersaglio?
di solito non mi lascio sedurre dai complottismi ma ...ora... prendere di punta il PDR , l'unica figura istituzionale che gode di una certo consenso popolare, cui prodest?
demolire demolire dissacrare dissacrare fa il gioco di chi?

certo non della democrazia .


Dipende dalla scaletta dei valori.

1. Gian Antonio Bravin (28 febbraio 1908), commerciante, abitante in viale Monza 7 a Milano. Partigiano nel varesotto e capo del III gruppo dei GAP, fu arrestato dai fascisti il 29 luglio del 1944, imprigionato a S.Vittore a disposizione della Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst (SIPO-SD) tedesca.

2. Giulio Casiraghi (Sesto San Giovanni, 17 ottobre 1899), tecnico della Ercole Marelli di Sesto San Giovanni, militante comunista. Nel 1930 viene condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 5 anni di detenzione per costituzione del PCd'I, appartenenza al medesimo e propaganda. E' il referente del movimento operaio degli stabilimenti "Ercole Marelli". Dopo l'8 settembre 1943 moltiplica il proprio impegno, collaborando alla fornitura di armi e rifornimenti alle formazioni partigiane, nonché supporto per la ricezione di radiomessaggi da Londra relativi all'esecuzione di aviolanci alleati volti ad approvvigionare la Resistenza. Nel marzo 1943 e nel marzo 1944, organizza gli scioperi nelle fabbriche sestesi insieme a Fogagnolo. Arrestato al ritorno dal lavoro, verso mezzogiorno del 12 luglio 1944 da fascisti e SS dipendenti dall'ufficio dello SS-Scharfuhrer Werning, responsabile della Sicherungskompanie di Monza. Trasferito a San Vittore l'8 agosto 1944.[10]

3. Renzo del Riccio (Udine, 11 settembre 1923), operaio meccanico, socialista, soldato italiano di fanteria partecipò l'8 settembre 1943 a furiosi scontri contro i tedeschi. Unitosi ai partigiani (ad una formazione Matteotti operante nel Comasco?) e distintosi in azione, fu arrestato e inserito nelle liste del servizio obbligatorio del lavoro, nel giugno 1944 fuggì durante la deportazione in Germania. Nel luglio, in viale Monza, è nuovamente arrestato in seguito a delazione. Incarcerato a Monza e poi trasferito a San Vittore l'8 agosto 1944.

4. Andrea Esposito (Trani, 26 ottobre 1898), operaio, militante comunista e partigiano della 113ª brigata Garibaldi, arrestato da membri dell'Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana, il 31 luglio 1944 in casa insieme al figlio Eugenio (renitente alla leva della fascista RSI), vennero rinchiusi nelle carceri di San Vittore a disposizione della SIPO-SD. Il figlio Eugenio, inizialmente inserito nella lista dei fucilandi, sarà invece trasferito prima al campo di concentramento di Gries (Bolzano) e successivamente deportato in Germania dapprima nel campo di concentramento di Flossenburg e poi in quello di Dachau, da dove ritornerà a guerra finita.

5. Domenico Fiorani (Roron in Svizzera, 24 gennaio 1913), perito industriale, socialista, collaborò a giornali clandestini. Appartenente alle brigate Matteotti. Arrestato il 25 giugno 1944 dalla polizia politica a Busto Arsizio, mentre si reca dalla moglie degente in ospedale. Incarcerato a Monza e trasferito l'8 agosto 1944 a San Vittore.[11]

6. Umberto Fogagnolo (Ferrara, 2 ottobre 1911), ingegnere alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Rappresentante del Partito d'Azione nel CLN di Sesto e responsabile dell'organizzazione clandestina nelle fabbriche; insieme a Casiraghi, è tra gli organizzatori dello sciopero generale del marzo 1944. Arrestato il 13 luglio 1944[12] nel suo ufficio, da fascisti e SS dipendenti dall'ufficio dello SS-Scharfuhrer Werning, responsabile della Sicherungskompanie di Monza, dove viene incarcerato ed è ripetutamente torturato. Trasferito a San Vittore l'8 agosto 1944. Medaglia d'argento al valore militare alla memoria.[13].

7. Tullio Galimberti (Milano, 31 agosto 1922), impiegato. Appartenente alle formazioni Garibaldi con compiti di collegamento e raccolta di armi (membro della 3ª brigata d'assalto Garibaldi Gap "Egisto Rubini", secondo il martirologio compilato nell'immediato dopoguerra a cura dell'Anpi provinciale milanese). Arrestato durante un incontro clandestino in piazza San Babila alla fine del giugno 1944 da agenti della SS germanica e italiana. Tradotto alle carceri di San Vittore.

8. Vittorio Gasparini (Ambivere, 30 luglio 1913), dottore in economia e commercio, capitano degli alpini, era responsabile di una missione dell'OSS (Office of Strategic Service) della V Armata americana che trasmetteva radiomessaggi clandestini. La stazione radio venne individuata dai tedeschi che lo arrestarono[14]. Interrogato a Brescia, nello stesso giorno è ricondotto a Milano e imprigionato nel carcere di San Vittore. Torturato per giorni senza riuscire a farlo parlare, fu infine fucilato (Medaglia d'oro al valore militare alla memoria).[15].

9. Emidio Mastrodomenico (San Ferdinando di Puglia, 30 novembre 1922), agente di PS al commissariato di Lambrate. Collegato con il movimento resistenziale (capo dei GAP), è catturato il 29 luglio (il 16 aprile secondo l'Unità[16]) 1944 in piazza Santa Barbara da agenti della SIPO-SD e incarcerato a San Vittore.

10. Angelo Poletti (Linate al Lambro, 20 giugno 1912) operaio presso l'Isotta Fraschini e militante socialista, dopo una breve esperienza partigiana inVal d'Ossola rientra a Milano dove dirige il gruppo da cui nascerà la 45ª Brigata Matteotti. Ferito ad una gamba e arrestato il 19 maggio 1944[17]da militi fascisti mentre si trovava al lavoro, subì sevizie e torture in carcere.[18]

11. Salvatore Principato (Piazza Armerina, 29 aprile 1892), militante socialista e perseguitato politico sotto il fascismo, arrestato l'8 luglio 1944 dalleSS come aderente al P.S.I.U.P e membro della 33ª Brigata Matteotti. Incarcerato a Monza dove fu torturato, fu trasferito a S. Vittore il 7 agosto 1944. All'epoca dei fatti era docente presso la scuola elementare Leonardo da Vinci di Milano, sita a pochi metri da Piazza Loreto. Una lapide lo ricorda nell'atrio della scuola e un'altra in via Gran Sasso (presso la sua abitazione).[19]

12. Andrea Ragni (Brescia, 5 ottobre 1921), partigiano appartenente alle formazioni Garibaldi, catturato e fuggito in data imprecisata dell'autunno 1943. Catturato nuovamente il 22/5/1944 da membri delle SS tedesca e imprigionato nel carcere di San Vittore.

13. Eraldo Soncini (Milano 4 aprile 1901), operaio alla Pirelli Bicocca e militante socialista. Appartenente alla 107ª Brigata Garibaldi SAP. Arrestato il 9 luglio 1944 vicino a piazzale Loreto da SS della Sicherungskompanie di Monza. Imprigionato nel locale carcere e trasferito il 7 agosto 1944 a S. Vittore. In piazzale Loreto tenta la fuga lungo via Andrea Doria; ferito, tenta di nascondersi nel portone di via Palestrina 7[20]. Raggiunto da due militi fascisti, viene finito sul posto, trascinato in piazzale Loreto e gettato nel mucchio dei compagni fucilati. Nel dopoguerra, la Corte d'Assise Straordinaria di Milano, con sentenza del 23 maggio 1947, condannò per l'assassinio di Soncini i militi Giacinto Luisi e Luigi Campi, appartenenti al gruppo "Oberdan" di Porta Venezia della legione Ettore Muti.[21].

14. Libero Temolo (Arzignano, 31 ottobre 1906), militante comunista, operaio alla Pirelli Bicocca, è partigiano organizzatore delle SAP. Arrestato nell'aprile 1944 a Milano a seguito di una delazione. Portato con gli altri in Piazzale Loreto, qui tentò di fuggire ma fu subito ucciso.[22]

15. Vitale Vertemati (Niguarda, 26 marzo 1918), meccanico, partigiano della 3ª Brigata d'assalto Garibaldi Gap "Lombardia" (poi "E. Rubini"), arrestato il 1º maggio 1944 da agenti dell'Ufficio speciale dell'UPI mentre era impegnato come agente di collegamento tra i vari gruppi partigiani.

Sono le vittime di Piazzale Loreto a Milano.

*

La Strage di Piazzale Loreto avvenne il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano. Quindici partigiani furono fucilati da militi del gruppo Oberdan della legione Ettore Muti della RSI, per ordine del comando di sicurezza nazista, e i loro cadaveri vennero esposti al pubblico.

La strage [modifica]
La mattina del 10 agosto 1944, a Milano, quindici partigiani vennero prelevati dal carcere di San Vittore e portati in Piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi del gruppo Oberdan della legione «Ettore Muti» guidati dal capitano Pasquale Cardella[2], che agiva agli ordini del comando tedesco, in particolare del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come boia di Piazzale Loreto, allora comandante del servizio di sicurezza (SD) di Milano e provincia (AK Mailand).
Nel comunicato del comando della sicurezza nazista[3], si afferma che la strage fu attuata come rappresaglia per un attentato consumato il 8 agosto 1944contro un camion tedesco (targato WM 111092) parcheggiato in viale Abruzzi a Milano. Tuttavia, in quell'attentato non rimase ucciso alcun soldato tedesco (l'autista Heinz Kuhn, che dormiva nella cabina di guida, riportò solo lievi ferite) mentre invece esso provocò la morte di sei cittadini milanesi e il ferimento di altri undici.[4] Il comandante dei Gap, Giovanni Pesce, negò sempre che quell'attentato potesse essere stato compiuto da qualche unità partigiana. Certi elementi anomali hanno fatto definire da alcuni l'attentato come controverso: il caporal maggiore Kuhn aveva parcheggiato il mezzo a poca distanza da un'autorimessa in via Natale Battaglia e dall'albergo Titanus, entrambi requisiti ed occupati dalla Wehrmacht.
Ma il bando di Kesselring, invocato dal comunicato e dalle alte gerarchie naziste[5], prevedeva la fucilazione di dieci italiani per ogni tedesco solo in caso di vittime naziste. E' dunque lecito supporre, come fece il Tribunale Militare di Torino nel processo Saevecke, che la strage fosse un atto deliberato di terrorismo che aveva lo scopo strategico di stroncare la simpatia popolare per la Resistenza al fine di evitare ogni forma di collaborazione e garantire alle truppe naziste la massima libertà di movimento verso il Brennero.

Fonte Wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Piazzale_Loreto

**

Questo è solo un episodio dei tanti avvenuti sul territorio italiano tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945.

Donne, ragazze, uomini, ragazzi, decisero in quel momento particolare della storia d’Italia che il patrimonio più grande a loro disposizione, la vita (la quasi totalità degli uomini, compresi i credenti, considerano questa un’esperienza di vita come unica), ..potesse essere messo in gioco affinché il periodo delle tenebre che opprimeva il Paese terminasse dopo 5 anni di guerra e 20 anni di dittatura fascista.

Sapevano che chi sarebbe passato indenne attraverso quel filtro, che la sorte aveva riservato all’Italia, poteva dare vita ad un modo diverso di convivere della comunità italiana.

Per capire esattamente cosa significasse quel sacrificio, basta rifarsi a cosa è successo un mese fa a Brindisi, quando in un sabato mattina qualsiasi di maggio, un gruppetto di ragazze scende da un pullman e si avvia verso la sede della scuola, senz’altro raccontandosi tutte le aspirazioni e le scemenze che le ragazze di quell’età per consuetudine si confidano, quando all’improvviso la follia umana fa esplodere delle bombole del gas, e una ragazza non ancora sedicenne che si stava affacciando sul teatro della vita, cessa all’improvviso di vivere.

L’emozione, la commozione, la rabbia, ha investito in quella giornata l’intera comunità italiana, che non si rendeva conto di come la follia umana potesse arrivasse a tanto.

Ma poi, di episodi, di sacrifici di civili della società italiana ne abbiamo visti ancora moltissimi in questi 67 anni dalla fine del fascismo.

Basta citare su tutti il sacrificio di Falcone e Borsellino. Paolo Borsellino dopo l’uccisione dell’amico Giovanni sapeva di avere i giorni contati, sapeva di essere stato condannato a morte dalla Mafia SpA, per aver tentato di attaccarla con l’amico Giovanni ed altri. Eppure, nel tormento interiore che può assalire e lacerare nel profondo un uomo in quelle condizioni, ha ritenuto che il suo impegno civile di magistrato assunto in precedenza dovesse continuare fino in fondo, qualunque cosa succedesse.

Allo stesso modo dobbiamo prendere in considerazione un civile che non aveva nessun obbligo di assumersi certi impegni. Mi riferisco all’avvocato Giorgio Ambrosoli che si assume la responsabilità di indagare nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.

La banca del mafioso Michele Sindona legato ad Andreotti. Il politico romano in proposito ebbe l’ardire di affermare: Certo Ambrosoli è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando

Minacciato direttamente dal potere mafioso, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, monarchico milanese di anni 42, moglie e un figlio piccolo, ritenne che il suo impegno civile nei confronti del male assoluto che appestava nuovamente l’Italia fosse superiore agli affetti familiari, che sentiva molto forti, fino al punto supremo di sacrificare la propria vita, sapendo che sacrificava indirettamente anche quella della moglie e del figlio.

Ma la storia d’Italia a partire dal 1969, è costellata da una serie di sacrifici di cittadini innocenti che nulla avevano a che fare con la lotta politica, armata o non armata.

Banca Nazionale dell’Agricoltura, di Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, treno Italicus, stazione di Bologna, sono una sequenza terrificante di stragi dove le vittime sono tutti innocenti cittadini di ogni età e sesso.

Tutti esseri umani che avevano in comune la sola colpa di trovarsi per caso nel punto sbagliato nel momento sbagliato. ……..Null’altro…………


Tra il 1992 e il 1993, il clan dei corleonesi porta un attacco allo Stato italiano, con una serie di stragi consumate tra Roma, Milano Firenze.

Il numero dei morti è inferiore a quello delle stragi precedenti, e quindi, erroneamente, vengono considerate stragi minori.

Non però per chi crede nello Stato democratico e il sacrificio umano che ha consentito la nascita della democrazia italiana.

Il Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, formatosi professionalmente nel pool di Falcone e Borsellino, malgrado i mille tentativi del solito potere occulto di bloccare l’inchiesta sulle stragi del 1992-1993 e sulla trattativa Stato-Mafia, la settimana scorsa è riuscito finalmente a concludere l’inchiesta e a depositare gli atti.

Questi atti, dopo essere stati fotocopiati dal collegio di difesa dei 12 indagati, sono stati resi pubblici secondo la prassi.

Corriere della Sera e La Repubblica, oggi riportano le intercettazioni in cui un uomo delle istituzioni, Nicola Mancino, notabile della vecchia Democrazia cristiana, ex ministro dell’Interno, ex presidente del Senato, ex vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, sapendo di aver mentito alla magistratura inquirente di Palermo, sente che potrebbe pagare caro questo fatto se la magistratura dovesse insistere nel proseguimento delle indagini, e quindi, pensando di trovare copertura al vertice dello Stato chiama il consulente giuridico del Capo dello Stato sollecitando un intervento del primo cittadino d’Italia in modo da dirottare l’inchiesta verso lidi diversi non inclini all’approfondimento di cosa successe nella trattativa Stato-Mafia di vent’anni fa.

Come sempre in questi casi ci si divide nel pro e contro.

Io che non ho mai dimenticato che la mia libertà (forse ancora per poco) di una vita intera è dovuta al sacrificio di chi si è battuto per la libertà nella guerra di liberazione, che non posso trascurare che altrettanto hanno fatto i magistrati Falcone e Borsellino e l’avvocato Ambrosoli, non posso stare dalla parte di chi dal 1968 ha volontariamente intorbidito e rende ancora oscura la vita politica istituzionale della Repubblica.

Il consenso popolare del presidente della Repubblica non può essere un buon motivo per nascondere posizioni poco chiare tenute nel presunto comportamento del primo cittadino. Qualora che come opzione alternativa altri avessero tramato alle spalle del Capo dello Stato, occultando le richieste di Nicola Mancino, il Capo dello Stato, garante della Costituzione ha l’obbligo di fugare qualsiasi illazione nata da questa vicenda.

A maggior ragione se il Capo dello Stato, prima di ottenere questo incarico ha fatto parte di una formazione politica che negli anni passati si è battuta contro la Notte della Repubblica e tutte le deviazioni conseguenti di P2, P3, P4, servizi deviati, mafia, e logge massoniche varie.
Amadeus

Re: Mafie,...un cancro infinito

Messaggio da Amadeus »

non discuto la necessità di fare chiarezza
le commissioni d'inchiesta che dopo 20 anni ci dicono : vi ricordate 20 anni fa? era successo questo! non quest'altro : tutti assolti per non aver commesso il fatto... oppure : Sì fu lui a fare quella telefonata ...cosa risolvono ? queste cose costano , incidono sul bilancio, anche emotivo della popolazione.
non si possono non fare , sono d'accordo sulla ricerca della verità ma qualsiasi verità dopo 20 anni si modifica e diventa ingestibile nel presente , non c'è possibilità che possa incidere in alcun modo significativo a parte farti sentire una schifezza se , per caso, eri uno che credeva in quella persona.
il tempo è passato e non puoi più cambiare niente , il sistema sarebbe modificabile, ma sappiamo che è estremamente difficile e tortuoso , le energie ( anche mediatiche ) vanno convogliate su questo fronte .
altrimenti fra 10 giorni ne spunta un'altra e poi un'altra etc etc.
...
mi chiedevo solo perchè viene fuori ORA .
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

Messaggio da camillobenso »

mi chiedevo solo perchè viene fuori ORA .

Amadeus



Perché viene fuori ora è solo una questione temporale.

Sono anni che la magistratura tenta di venirne a capo. Ma in tutte le inchieste di questo genere sono molto attivi i depistaggi di ogni genere.

In Italia giungere alla verità non è cosa facile, perché lo Stato è reticente in quanto abbondantemente inquinato dalle forze che agiscono esternamente.

La strage di Piazza Fontana è del 1969 e i dubbi sugli autori materiali e mandanti sono presenti ancora oggi perché l’azione di depistaggio è stata superiore all’attività di investigazione.

La stessa cosa vale per l’assassinio di Aldo Moro, ..siamo arrivati al Moro Quater nella nebulosa di Andromeda.

Idem per Bologna e Brescia.

Identica modalità di inquinamento delle prove e depistaggio stanno subendo processi e investigazioni che riguardano le stragi del ’92-’93 e la trattativa Stato – Mafia SpA.

Il tempo passa così velocemente che a volte ci dimentichiamo fatti avvenuti negli anni precedenti.

Da Report on line

Borsellino sapeva della trattativa tra stato e mafia. Ruotolo convocato dai magistrati di Palermo

VENERDÌ 09 OTTOBRE 2009 13:25 ANNA PETROZZI

Un altro colpo di scena, un altro improvviso lampo di memoria getta un po’ di luce sul mistero delle stragi del ’92 e ’93. Ieri sera ad Anno Zero è stato addirittura Claudio Martelli, Ministro di Grazia e Giustizia di quell’epoca, a fare la rivelazione delle rivelazioni: Paolo Borsellino sapeva della “Trattativa”, dell’ormai famoso dialogo tra Stato e Mafia avvenuto proprio a cavallo delle stragi.

http://www.reportonline.it/200910093694 ... lermo.html

*

Deposizione del figlio del defunto sindaco di Palermo davanti ai pm
che indagano sulle stragi di mafia. Il capo dei capi parlava di "il nostro amico senatore
Ciancimino jr e il biglietto del boss
"Dell'Utri parlò con Provenzano"
dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO

© Riproduzione riservata(2 dicembre 2009)Tutti gli articoli di cronaca

http://www.repubblica.it/2009/10/sezion ... nzano.html

Regnava ancora il caro estinto, …e se ti ricordi, ci fu il solito sollevamento del Pdl perché avevano toccato in fondatore di Forza Italia.

*

Il depistaggio del comandante del Ros, generale Mori


IL PROCESSO A PALERMO
Mori: «Non ci fu nessuna
trattativa Stato-mafia»

Il prefetto ammette di aver incontrato più volte l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino


20 ottobre 2009

http://www.corriere.it/cronache/09_otto ... aabc.shtml

*

PALERMO
Ciancimino jr consegna ai pm il papello originale
In un caveau Il documento era nel caveau di una banca in Lichtenstein

Sciacca Alfio
Pagina 26
(30 ottobre 2009) - Corriere della Sera

http://archiviostorico.corriere.it/2009 ... 0031.shtml

*

LA COPIA È STATA FORNITA DALL'AVVOCATO DI MASSIMO CIANCIMINO AL PROCURATORE
Trattative tra mafia e Stato
Il "papello" consegnato ai giudici
Si tratta del documento con l’elenco delle richieste per interrompere la stagione delle stragi

Giovanni Bianconi
15 ottobre 2009(ultima modifica: 16 ottobre 2009)© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/cronache/09_otto ... aabc.shtml

*

Il figlio del sindaco di Palermo, morto nel 2002, ha deposto al processo per riciclaggio
e ha incontrato ancora i pm, fornendo altri appunti e lettere di suo padre
Ciancimino jr: "Riina tradito da Provenzano"
Insorge il capitano Ultimo: "Tutto falso"
"Indicò su una mappa il luogo esatto del suo nascondiglio"
La replica dell'uomo che lo catturò: "Servi dei boss anche nelle istituzioni"

(5 novembre 2009)

http://www.repubblica.it/2009/10/sezion ... imino.html

*

Trattativa Stato-mafia, sentito Ciampi:“Nel ’93 temevo Golpe”
I due ex presidenti della Repubblica sono stati sentiti dai pm di Palermo che indagano sulle stragi del '92-'93. Da chiarire le revoche del 41 bis concesse in quel periodo e le vicende che portarono alla sostituzione del capo del Dap
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 15 dicembre 2010

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12 ... aro/82057/

*

LA SECONDA GIORNATA DI DEPOSIZIONE DEL FIGLIO DELL'EX SINDACO DI PALERMO
«Provenzano "consegnò" Riina
ai carabinieri in cambio dell'impunità»
«Dopo l'arresto di Vito Ciancimino fu Dell'Utri a subentrare nella trattativa Stato-mafia»

Redazione online
02 febbraio 2010(ultima modifica: 03 febbraio 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/cronache/10_febb ... aabe.shtml

*

PROCESSO MORI
Mafia, Scotti: «Mio allarme sugli attentati
restò inascoltato, fu definito una patacca»
L'ex ministro dell'Interno ricorda: «Qualcuno tra i politici si tirò indietro e nessuno mi diede una spiegazione»

Redazione online
20 gennaio 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 1582.shtml

*

Trattativa, indagato Mannino
I pm: "Pressioni sul 41 bis"
L'ex ministro democristiano, oggi deputato, risulta indagato dai magistrati di Palermo per "violenza e minaccia a un corpo politico". Lui replica: "Respingo nel modo più totale ogni sospetto e anche impressione d'accusa"
di SALVO PALAZZOLO

(24 febbraio2012)
http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -30421591/

*

Mancino sul patto mafia-Stato
"Non ne ho mai saputo nulla"
In aula l'ex ministro ed ex presidente del Senato nega l'esistenza di patti tra la criminalità organizzata e le istituzioni nel procedimento a carico del generale dei carabinieri Mario Mori

(24 febbraio 2012)

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -30417610/

*

Trattativa mafia-Stato, Martelli contro Mancino
"Gli dissi: perché il Ros parla con Ciancimino?"
Ecco in esclusiva il testo del drammatico confronto, davanti ai pm di Palermo, fra l'ex ministro della Giustizia e l'ex titolare del Viminale, che insiste: "Il 4 luglio 1992 ho incontrato Martelli, ma abbiamo parlato d'altro"

di SALVO PALAZZOLO

(14 febbraio 2012)

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -29850045/

*

Grasso: un premio a Berlusconi Attacco a Ingroia sulla politica ...
Il procuratore nazìonale antìmafìa Pìetro Grasso concede a sorpresa l'onore delle
armì a Sìlvìo ... Grasso: un premio a Berlusconi Attacco a Ingroia sulla politica ...
palermo-24h.com/grasso-un-premio-a-berlusconi-attacco-a-ingr - 31k - Pagine simili

*

Potrebbero sembrare notizie della notte dei tempi, ma sono soltanto “dell’altro ieri” e riguardano tutte l’inchiesta di Palermo che si è conclusa la scorsa settimana depositando il tutto agli atti.

Ho percorso la seconda metà del novecento e questo primo scorcio del nuovo secolo, e quindi non posso negare a priori che possano esistere inchieste pilotate dal punto di vista temporale, .. soprattutto se riguardano personaggi della politica interessati alla rielezione.

Personalmente non vedo nulla che possa essere ricondotto ad una forzatura politica in quanto Mancino ora è solo un privato cittadino.

Però invito chiunque che vede cose che io non vedo, non per espressa polemica, ma perché la funzione di un forum libero è questa, a renderle note in questo 3D.

Non ci sono elezioni in corso se non le prossime del 2013. Mi sembra che quella di Ingroia rappresenti la chiusura naturale di un’inchiesta condotta come sempre tra mille difficoltà mille ostacoli, depistaggi, menzogne.
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

Messaggio da camillobenso »

La lunga battaglia per la libertà

Quando Ahmed Ben Bella, del FLN, il Fronte di Liberazione Nazionale algerino, rilasciò la sua prima intervista al termine di una lunga lotta con le forze occupanti francesi, da capo dell’Algeria libera, al giornalista che gli chiedeva: << Presidente,..allora ce l’avete fatta,..adesso siete liberi…..>> il presidente algerino rispose:

<< Si è vero siamo liberi,…..ma i veri guai cominciano ora….>>

Infatti questa sacrosanta verità è un patrimonio dell’umanità, perché non basta conquistare la libertà liberandosi da qualsivoglia tirannia,…..la libertà va conquistata giorno dopo giorno, perché se ti distrai un’attimo sei fatto come un pesce.

E di conseguenza bisogna ricominciare daccapo.

Questo vale quindi anche per noi.

Ed è per questa ragione che si tenta in tutti i modi, già dal lontano 1967, in occasione dell’avvenuta conoscenza del primo tentativo di colpo di Stato da parte del generale De Lorenzo, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, con il Piano Solo, di evitare di perdere del tutto la libertà.
http://it.wikipedia.org/wiki/Piano_Solo


Ad iniziare questa battaglia nel maggio del 1967 furono due giornalisti, Jannuzzi e Scalfari a denunciare sull’Espresso (dalle dimensioni enormi, 4 volte quello attuale) il tentativo di colpo di Stato.

Eugenio Scalfari aveva 45 anni di meno, ora si è un po’ ossidato in materia di libertà.
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

Messaggio da camillobenso »

LA COMMEMORAZIONE A BARCELLONA POZZO DI GOTTO

Il capo della polizia tedesca: «La criminalità in Germania si chiama 'ndrangheta»
L'allarme lanciato da Jörg Ziercke al convegno in ricordo di Beppe Alfano, il giornalista ucciso dalla mafia


BARCELLONA POZZO DI GOTTO (Messina) – Arriva dal presidente del Parlamento europeo Martin Schulz il primo messaggio per ricordare Beppe Alfano, il giornalista ucciso dalla mafia 20 anni fa in Sicilia: «La lotta alla mafia è priorità anche in Europa». E arriva dalla Russia di Putin Ilya Politkovsky, il figlio della giornalista Anna Politkovskaya, al Palacongressi di Barcellona Pozzo di Gotto con Sonia Alfano, la presidente della prima commissione antimafia istituita l’anno scorso a Strasburgo, felice di questo abbraccio: «Io e lui, figli di due giornalisti a cui è stata chiusa la bocca, ma fino a un certo punto».
MAFIA SENZA CONFINI - Che gli assassini di Beppe Alfano non siano riusciti nel compito di soffocare la voce di un cronista indipendente è provato da questo anniversario che trasforma la sua città nella sede di un vertice internazionale di forze di polizia, un summit con rappresentanti della Dea, dell’Fbi, dell’Interpol. Presenti il direttore aggiunto di Europol, la Dia, i Ris, il capo della polizia tedesca. Occasione per confrontare tecniche investigative e metodi di lavoro. Con magistrati come Nicola Gratteri, Roberto Scarpinato, Giovanni Salvi, Marcello Viola. Con Don Luigi Ciotti e tanti giornalisti di trincea, compreso il figlio di Anna Politovskaya in sintonia con Sonia Alfano, decisi a lavorare «perché in tutta Europa sia riconosciuto il reato di associazione mafiosa, visto che non esistono confini per i boss e per quanti li proteggono nel sistema politico ed economico».

GERMANIA IN TRINCEA - In linea con questa prospettiva Jörg Ziercke, il presidente della Bka, la polizia federale tedesca: «La metà dei gruppi criminali identificati in Germania appartengono alla ‘ndrangheta che è il maggior gruppo criminale sin dagli anni Ottanta». Grande attenzione anche da parte del Fbi, come ha detto Robert Stewart, supervisore della Task force europea contro il crimine organizzato, toccato dalla storia di Beppe Alfano: «E’ un vero ed importante esempio di lotta alla mafia e noi lo ringraziamo per il suo sacrificio, utile alla presa di coscienza collettiva».

TRATTATIVA STATO MAFIA - C’è però ancora molto da fare per raggiungere una verità compiuta, visto che solo di recente, su pressione della famiglia e su indicazione del Gip, la Procura di Messina ha riaperto le indagini per il delitto Alfano, adesso orientate su un filone attualissimo, quello della «trattativa Stato-mafia». Come ribadiscono Sonia Alfano e l’avvocato Fabio Repici «la trattativa sulle stragi del ’92 ha radici profonde a Barcellona Pozzo di Gotto».

MISTERO DI MAGGIO - Siamo nella città di Rosario Cattafi, mafioso al 41 bis, lo stesso che negli anni Ottanta, come dice Sona Alfano, era stato «miracolato» a Milano in vicende giudiziarie istruite da Francesco Di Maggio, l’ex magistrato della Procura di Milano anche lui originario di Barcellona Pozzo di Gotto, vice di Domenico Sica all’Alto commissariato antimafia e vice capo del Dap (la direzione dei penitenziari) all’epoca delle stragi, nel 1993. Uno dei protagonisti che potrebbe aver avuto un ruolo chiave nella genesi del provvedimento poi adottato dal ministro Giovanni Conso per sottrarre 300 mafiosi al regime del carcere duro, il «41 bis», nel novembre ’93.

IL NASCONDIGLIO DI SANTAPAOLA - Questi alcuni dei nodi che si affrontano in due giorni di riflessione a Barcellona, la città da dove partì il telecomando utilizzando da Giovanni Brusca per la strage di Capaci e «dove trascorreva la sua latitanza Nitto Santapaola», come insiste Sonia Alfano: «Mio padre scoprì il suo nascondiglio prima delle forze dell’ordine... Per questo lo ricordo come un uomo solo contro tutto e tutti. Pronto a denunciare persino i componenti del suo stesso partito, l’Msi, nel 1985, per la loro inerzia di fronte alla candidatura di un boss...».

Felice Cavallaro
7 gennaio 2013 | 16:33
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http://www.corriere.it/cronache/13_genn ... a702.shtml
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

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Noi siamo i maggiori esportatori di criminalità organizzata.



'Ndrangheta nel mondo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

http://it.wikipedia.org/wiki/'Ndrangheta_nel_mondo



La 'ndrangheta, regina del narcotraffico

3 gennaio 2012

Gianfranco Bonofiglio

Che la 'ndrangheta sia l'organizzazione criminale più potente al mondo è fatto risaputo ed, oggi, con notevole ritardo, è considerata tale anche dalle polizie di mezzo mondo. Nel 2008 il Governo degli Stati Uniti, per la prima volta, ha inserito nella "black list" l'organizzazione criminale calabrese nell'elenco delle 75 organizzazioni dedite al narcotraffico più pericolose al mondo. E la 'ndrangheta sfruttando anche le condizioni sociali e storiche che hanno condotto nel tempo ben 12 milioni di calabresi di prima, seconda e terza generazione ad integrarsi in numerosi Stati del mondo, ha saputo globalizzarsi ed estendere i suoi affari in campo mondiale con una organizzazione ben ramificata che deve sempre e comunque tener conto delle famiglie originarie operanti in Calabria.

http://www.democrazialegalita.it/backup ... ico%20.php



Mafia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
« […] La mafia non è affatto invincibile; è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. »
(Giovanni Falcone)


Sarà vero però nel tempo, non ora.

http://it.wikipedia.org/wiki/Mafia
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Mappa_del_Pizzo.svg

Camorra

Da Napoli a New York, la camorra ha conquistato l'America. Obama dichiara guerra ai casalesi

Read more: http://it.ibtimes.com/articles/34363/20 ... z2HK43iVVl

*

Camorra - Treccani
http://www.treccani.it
Camorra. Un giorno bisognerà capire bene perché un fenomeno criminale con ... «è l'organizzazione criminale più corposa d'Europa», come scrive Saviano?
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

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LA REQUISITORIA NELL'AULA BUNKER DELL'UCCIARDONE
Stato-mafia, i Pm di Palermo non ci stanno
«Rinvio a giudizio per Mancino e politici»
Le richieste del pm Nino Di Matteo all'indomani della conclusioni dell'Antimafia che ha escluso una regia politica


I pm di Palermo non ci stanno. Per loro «la trattativa Stato-mafia ci fu e partì da un preciso input politico».

Addirittura la regia di questo tentativo di trovare un'intesa con i capi di Cosa Nostra per mettere fine alla stagione delle stragi dei primi anni novanta stava ai massimi vertici delle istituzioni repubblicane.

Dunque non fu affatto l'iniziativa autonoma ed isolata di «pezzi dello Stato», in particolare dei carabinieri dei Ros, come nelle conclusioni del presidente della commissione antimafia Beppe Pisanu ma di alti esponenti delle istituzioni mentre i carabinieri erano solo il braccio operativo.

CHIESTO RINVIO A GIUDIZIO - Per questo al termine della loro requisitoria nell'aula bunker dell'Ucciardone hanno chiesto al Gip Piergiorgio Morosini il rinvio a giudizio di tutti gli undici imputati nel procedimento per la trattativa Stato-mafia.

E tra questi anche dell'ex ministro Nicola Mancino (accusato però solo di falsa testimonianza), dell'ex ministro Dc Calogero Mannino, del senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e dei boss Leoluca Bagarella, Totò Riina, Giovanni Brusca e Antonino Ciná.

Stessa richiesta anche per tre alti ufficiali dei Ros, i generali Mario Mori e Antonio Subranni e l'ex colonnello Giuseppe De Donno e anche del figlio di don Vito Massimo Ciancimino.

I reati contestati sono quelli di attentato, con violenza o minaccia, a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, tutto aggravato dall'agevolazione di Cosa nostra.

La posizione del boss Bernardo Provenzano è stata stralciata nei giorni scorsi e verrà giudicato il 23 gennaio dallo stesso Gup.

RITO ABBREVIATO - L'ex ministro Calogero Mannino ha chiesto di essere giudicato col rito abbreviato. L'istanza è stata fatta allo stesso gup Morosini che si è riservato la decisione. Terminata la requisitoria del Pm ora la parola passa alle parti civili. L'udienza preliminare proseguirà anche venerdì con gli interventi dei difensori, e quindi andrà avanti anche lunedì prossimo.


LA PAURA DI MANNINO - Secondo la tesi dei Pm di Palermo lo spunto per l'avvio della trattativa è l'omicidio dell'eurodeputato Salvo Lima.

Un avvertimento per un intero ceto politico che a, giudizio di Cosa Nostra, aveva tradito le intese con i mafiosi spiazzato dalle pesanti condanne al maxi-processo. Per questo motivo dopo Lima dovevano morire altri politici considerati vicini alle cosche, primo fra tutti Mannino.

E sarebbe stato proprio l'ex ministro Dc a spingere perché lo Stato scendesse a patti per il tramite dell'allora comandante dei Ros Antonio Subranni.

È solo a questo punto che entrano in scena gli altri ufficiali dei carabinieri, Mori e De Donno, che intavolano la trattativa con la mediazione dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimimo.


GLI OSTACOLI - Sulla strada della trattativa - sempre secondo la tesi dei pm di Palermo- vengono fatti fuori politicamente anche tutti quegli uomini che diventano un ostacolo.

E tra questi il ministro della giustizia Claudio Martelli sostituito col più disponibile Giovanni Conso che poi è colui che materialmente non firmerà il rinnovo del carcere duro, il 41 bis, per centinaia di mafiosi.

Guarda caso una delle richieste del famoso "papello" di Totò Riina. In questi interventi per mettere in posti chiave uomini più «morbidi» e disponibili a scendere a patti, sempre secondo i magistrati di Palermo, ci sarebbe stato addirittura l'avallo della massima carica dello Stato, cioè l'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

Proprio l'uomo entrato al Quirinale subito dopo la strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone.

IL RUOLO DI SCALFARO - Se oggi fosse in vita Scalfaro sarebbe tra gli imputati di questo processo e come Mancino sarebbe chiamato a rispondere di falsa testimonianza.

«Ebbe un ruolo nella nomina ai vertici del il dipartimento per le carceri -ha accusato Di Matteo- mentre in sede di interrogatorio ha detto di non sapere nulla su quell'avvicendamento».

I pm di Palermo puntano il dito anche contro l'ex ministro Mancino accusandolo di aver mentito su quella stagione in cui lo Stato venne a patti con Cosa Nostra.

«Mancino - accusa Di Matteo- ci ha raccontato di non aver saputo nulla del dialogo tra i Ros e l'ex sindaco Ciancimino ma è stato smentito dall'ex ministro Martelli e anche dal boss pentito Giovanni Brusca che ha parlato delle confidenze di Riina sulla trattativa con lo Stato e sulla sinistra che sapeva, la sinistra Dc di Mancino».

BAGARELLA NEGA - A margine dell'udienza il boss Leoluca Bagarella ha voluto rendere dichiarazioni spontanee negando di avere mai avuto contatti con politici di «qualsiasi» colore.

Le dichiarazioni di Bagarella fanno seguito alle accuse formulate dai Pm secondo i quali il boss, attraverso Vittorio Mangano e il senatore Marcello Dell'Utri, avrebbe cercato contatti con Silvio Berlusconi.

Nella sua lunga requisitoria Di Matteo ha anche fatto cenno alla mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola: il Ros pochi mesi prima del suo arresto da parte della polizia sapeva dove fosse e lo stava intercettando, ma non lo prese.

Questa, per i magistrati, fu l'ennesima concessione fatta dallo Stato alle cosche nell'ambito della presunta trattativa.

Alfio Sciacca
asciacca3
10 gennaio 2013 | 14:53
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http://www.corriere.it/cronache/13_genn ... ad91.shtml
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

Messaggio da camillobenso »

Pisanu messo alla guida della Commissione Parlamentare Antimafia, ora spinge per entrare nell'Agenda Monti.

Hanno fatto saltare la Seconda Repubblica, adesso sono tutti in fila per fare saltare la Terza.

Nel rapporto tra il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e quello tra la Seconda e la Terza, tutto gioca a favore del precedente passaggio. C'era un minore numero di persone compromesse. La Terza Repubblica nasce in condizioni decisamente peggiori della Seconda.


L’importante è partecipare

(Marco Travaglio).
10/01/2013 di triskel182

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http://triskel182.files.wordpress.com/2 ... 1028&h=498[/img]


« L’AMACA del 10/01/2013 (Michele Serra).MIRELLO CRISAFULLI “COSÌ PILOTA GLI APPALTI E MINACCIA GLI ONESTI” (Marco Lillo). »
L’importante è partecipare (Marco Travaglio).
10/01/2013 di triskel182


Se c’era ancora bisogno di prove sull’inutilità delle commissioni parlamentari d’inchiesta, il presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu ne ha fornita una definitiva con la relazione finale sulla trattativa Stato-mafia.

Diversamente dai giudici, che decidono solo in base alle prove sul piano penale, i parlamentari possono allargarsi, dovendo valutare le colpe politico-istituzionali.

Invece la verità politica uscita dall’Antimafia è un topolino, al confronto delle carte processuali.

Un topolino, per giunta, lubrificato dalla vaselina democristiana di Pisanu: “Sembra logico parlare, più che di una trattativa sul 41-bis, di una tacita e parziale intesa tra parti in conflitto”. Logico? Tacita?

La mafia parlava a suon di bombe e di papelli.

Lo Stato fingeva di combatterla a favore di telecamera e intanto, sottobanco, mandava il Ros a trattare col mafioso Ciancimino, in forma tutt’altro che tacita, visto che Mori&C. parlavano eccome.

Pisanu spiega che gli alti ufficiali erano “privi di mandato politico… cercarono coperture politiche e non le ottennero”. Non le ottennero?


Non perquisirono il covo di Riina, non arrestarono Provenzano pur sapendo dov’era e non furono puniti né rimossi, anzi promossi (e beatificati nelle fiction tv, come quella indecente che va in onda su Canale 5).

E quale migliore copertura politica dei maneggi del Quirinale che ancora un anno fa trafficava per deviare il corso naturale delle indagini di Palermo?




Del resto, perché mai mafiosi scafati come Ciancimino e Riina avrebbero dovuto trattare con interlocutori che agivano a titolo personale, nell’ambito di una “ardita operazione investigativa”? Cos’è, uno scherzo? “




Lo Stato nei suoi organi decisionali non ha interloquito e ha risposto energicamente all’offensiva terroristico-criminale”.

Par di vederlo Riina, quando nel ’93 Giovanni Conso, ministro della Giustizia del governo Ciampi, toglie il 41-bis a 334 mafiosi, sussultare: “Minchia, che Stato energico!”.

E chi era Conso? Un organo decisionale o un passante? E le note della Dia e dello Sco che nel ’93 avvertivano il governo che le stragi miravano proprio a indurre lo Stato a cedere sulle misure antimafia, 41-bis in primis, e furono bellamente ignorate, anzi contraddette dal governo, che cos’erano: chiacchiere da bar?



Con l’aria svagata del marito che scopre la moglie a letto con un altro e domanda “cara, chi è quel signore sotto le coperte e che state facendo?”, Pisanu si fa marzullianamente una domanda e si dà una risposta: “Fino a qual punto la mafia voleva piegare lo Stato?



All’accettazione del papello o di qualche sua parte? A rigor di logica e a giudicare dai fatti, non si direbbe”.

E certo: Riina scrisse il papello per lo Stato con spirito decoubertiniano: ecco le nostre richieste, casomai potessero servire, ma senza impegno, l’importante è partecipare.


Poi, per pura combinazione, quasi tutti i punti del papello diventarono leggi (contro 41-bis, pentiti, ergastolo, supercarceri di Pianosa e Asinara) o proposte di legge (dissociazione), sempre nell’ambito dell’“energica risposta dello Stato”.


Lo stesso Stato che mandava qualcuno ad avvertire i mafiosi che Borsellino si opponeva alla trattativa, a rubare la sua agenda rossa da via D’Amelio (cui i mafiosi, almeno quelli propriamente detti, non avevano accesso), a depistare le indagini sul quacquaracquà Scarantino anziché sui Graviano.


Naturalmente, per Pisanu, Massimo Ciancimino è un “mentitore abituale”.

Purtroppo, senza la sua testimonianza (in gran parte riscontrata), Pisanu non avrebbe potuto scrivere nemmeno il nulla che ha scritto.

Se Ciancimino jr. è un bugiardo, che dire dei politici che han ritrovato la memoria solo dopo le sue rivelazioni?


Nulla: di loro Pisanu non dice nulla, a parte un accenno a Mancino “esitante e perfino contraddittorio” (ah, il dolce stilnovo diccì!).

Bene, bravo, bis: dopo la Prima e la Seconda Repubblica, s’è guadagnato un posto in prima fila anche nella Terza.

Da Il Fatto Quotidiano del 10/01/2013.
Amadeus

Re: Mafie,...un cancro infinito

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ansa
"Il destinatario del papello era Nicola Mancino". A ribadire che l'elenco con le richieste della mafia allo Stato fosse l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino é stato il pentito Giovanni Brusca interrogato a Rebibbia nell'ambito dell'udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia.

Brusca e Mancino sono imputati, assieme a politici, boss ed ex ufficiali dell'Arma. Il collaboratore è accusato di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato, l'ex ministro di falsa testimonianza. Brusca ha datato la consegna del papello agli ufficiali del Ros tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio.

MANCINO, MAI RICHIESTE PER MINOR CONTRASTO - "Non ho mai ricevuto alcuna richiesta" per un "alleggerimento del contrasto dello Stato nella lotta alla mafia". E' quanto afferma Nicola Mancino in relazioni alle dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca che lo ha indicato come il destinatario del papello.

corriere sera
....
MANNINO - Brusca, che ha accettato di essere interrogato a Roma nell'aula di Rebibbia benchè da imputato avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere, ha sostenuto anche che per fare pressioni sulla politica gli era stato affidato l'incarico di assassinare l'ex ministro democristiano del Mezzogiorno, Calogero Mannino. Poi i capimafia gli avrebbero chiesto di sospendere il piano per l'omicidio. Secondo l'ipotesi di accusa della procura di Palermo Mannino avvio la trattativa con i carabinieri dei Ros proprio perchè sapeva di essere finito nel mirino della mafia e temeva di essere il secondo della lista dopo Lima. Nel processo l'ex ministro sarà processato col rito abbreviato e la sua posizione è stata di conseguenza stralciata.

ANDREOTTI - Nel corso dell'interrogatorio Giovanni Brusca ha anche raccontato che Lima fu ucciso per lanciare un preciso messaggio al suo leader Giulio Andreotti. «Con l'omicidio Lima si voleva colpire politicamente Andreotti» ha detto nel corso dell'interrogatorio. La mafia riteneva Lima e Andreotti responsabili per le pesanti condanne inflitte ai boss nel maxi-processo a Cosa Nostra. Lima, leader degli andreottiani in Sicilia occidentale, fu assassinato il 12 marzo del '92 a poche settimane dalle elezioni politiche del 5 aprile del 1992. E con riferimento a quella tornata elettorale Brusca ha aggiunto: «Nell'aprile '92 non avevamo preferenze politiche e neppure indicazioni. Volevamo solo distruggere la corrente andreottiana».

RIINA VENDUTO - Brusca ha anche parlato della cattura di Riina e dei rapporti tra il «capo dei capi» e Bernardo Provenzano. «Dopo la cattura di Riina ci venne il dubbio che a farlo arrestare non fosse stato solo Di Maggio» ha raccontato il pentito. I boss ipotizzarono addirittura che l'ala più morbida dell'organizzazione mafiosa fosse intervenuta e avesse «consegnato» il boss. Il pentito ha inoltre raccontato dei contrasti tra Riina e Provenzano: il primo rimproverava al secondo di essere troppo quasi manovrato da Vito Ciancimino. «Provenzano accondiscendeva alla politica gestionale e imprenditoriale di Ciancimino, mentre Riina in certi casi non le condivideva», ha riferito Brusca, aggiungendo che Riina criticava «la politica di Ciancimino, che riusciva a manovrare Provenzano e invece con lui non ci riusciva».
camillobenso
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Re: Mafie,...un cancro infinito

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Mafia e politica

LA MAPPA INTERATTIVA
http://www.ilfattoquotidiano.it/mafia-e-politica/


Mafia e politica al Nord, ecco la mappa: 74 casi, il record a Milano con 18
L'analisi di ilfattoquotidiano.it basata sui dati delle inchieste giudiziarie degli ultimi quattro anni, dalla Liguria alla Lombardia. Un cittadino su cinque amministrato da almeno un personaggio avvicinato dai clan, soprattutto di 'ndrangheta. Cinque i Comuni sciolti sopra la linea del Po. Il sostegno elettorale al primo posto tra i motivi che determinano l'approccio. GUARDA

di Elena Ciccarello | 24 febbraio 2014Commenti (137)


Cinque comuni sciolti per infiltrazione mafiosa e un centinaio di relazioni pericolose. È la fotografia dei contatti tra ‘ndrangheta e politica nel nord Italia scattata dalle più importanti inchieste antimafia degli ultimi quattro anni.

Un quadro inquietante, sicuramente incompleto, che descrive il tentativo dei clan di influenzare la vita amministrativa di comuni, province e regioni anche nel profondo nord del Paese.

Le indagini realizzate dal 2009 al 2013 indicano che il 20 per cento dei cittadini di Piemonte, Liguria e Lombardia, ossia 1 su 5, è stato amministrato o rappresentato da almeno un politico accusato di affiliazione o concorso esterno in associazione mafiosa. Circa 75mila abitanti del nord-ovest dal 2011 vivono in un comune sciolto per mafia. E in questo quadro la provincia di Milano, con quella di Torino e Genova, risulta l’area in cui più forte è il tentativo di condizionamento dei risultati elettorali (GUARDA LA MAPPA INTERATTIVA).

Spulciando i documenti dell’antimafia e tenendo conto solo di politici in carica e candidati – e non di uomini di partito o funzionari, che pure figurano – si ricava un elenco di almeno 74 casi di avvicinamento tra rappresentanti delle istituzioni e criminalità calabrese (grande protagonista, pochissime volte affiancata o sostituita da Cosa nostra). La stragrande maggioranza dei casi non contiene alcun reato, e in ogni caso tutte le persone citate sono da intendersi innocenti fino all’ultimo grado di giudizio. Ma gli episodi tutti insieme tracciano una prima mappa inedita dell’assalto dei clan alla politica del Nord Italia. Emergono le scelte degli uomini legati alla malavita e quella rete di “relazioni esterne” dell’organizzazione criminale che, anche quando non ha rilevanza penale, contribuisce a fare della mafia un sistema di potere e non un semplice gruppo armato.

Sulla base delle informazioni fornite dai magistrati, i rapporti individuati possono essere classificati in cinque tipi per livello di coinvolgimento, a prescindere dal loro profilo penale che, lo ribadiamo, resta perlopiù irrilevante (o, in alcuni casi, ancora da provare definitivamente in tribunale). Si passa dal semplice contatto (30 per cento degli episodi), cene, pranzi e appuntamenti in cui gli uomini dei clan tentano un primo abboccamento, al sostegno elettorale (43 per cento), che rappresenta il tipo di rapporto maggiormente rilevato e nasce talvolta da una scelta spontanea dei malavitosi (una decisione in ogni caso mai gratuita, almeno nelle intenzioni), per arrivare agli episodi in cui più chiaramente emerge una prospettiva di accordo tra le parti (16 per cento). A questi si sommano infine gli episodi in cui, secondo gli inquirenti, politici e amministratori si relazionano agli uomini di mafia sapendo bene con chi hanno a che fare: 5 casi di presunta affiliazione e 3 di concorso esterno in associazione mafiosa


Mafia e politica: 5 tipi di rapporto
Sono 74 gli avvicinamenti tra 'ndrangheta e soggetti politici registrati nel nord Italia negli ultimi 4 anni. Diversi per livello di coinvolgimento. Il partito maggiormente avvicinato è il Pdl, con 42 casi totali. Nel complesso il semplice sostegno elettorale (richiesto o meno) risulta essere il rapporto più frequente, ma emergono anche 5 casi di presunta affiliazione e 3 di concorso esterno.

E' preferibile visionare direttamente IFQ
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02 ... 18/888030/
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