Amadeus ha scritto:mah...
queste telefonate ora si scoprono?
dopo la repubblica delle idee il FQ ha cambiato bersaglio?
di solito non mi lascio sedurre dai complottismi ma ...ora... prendere di punta il PDR , l'unica figura istituzionale che gode di una certo consenso popolare, cui prodest?
demolire demolire dissacrare dissacrare fa il gioco di chi?
certo non della democrazia .
Dipende dalla scaletta dei valori.
1. Gian Antonio Bravin (28 febbraio 1908), commerciante, abitante in viale Monza 7 a Milano. Partigiano nel varesotto e capo del III gruppo dei GAP, fu arrestato dai fascisti il 29 luglio del 1944, imprigionato a S.Vittore a disposizione della Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst (SIPO-SD) tedesca.
2. Giulio Casiraghi (Sesto San Giovanni, 17 ottobre 1899), tecnico della Ercole Marelli di Sesto San Giovanni, militante comunista. Nel 1930 viene condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 5 anni di detenzione per costituzione del PCd'I, appartenenza al medesimo e propaganda. E' il referente del movimento operaio degli stabilimenti "Ercole Marelli". Dopo l'8 settembre 1943 moltiplica il proprio impegno, collaborando alla fornitura di armi e rifornimenti alle formazioni partigiane, nonché supporto per la ricezione di radiomessaggi da Londra relativi all'esecuzione di aviolanci alleati volti ad approvvigionare la Resistenza. Nel marzo 1943 e nel marzo 1944, organizza gli scioperi nelle fabbriche sestesi insieme a Fogagnolo. Arrestato al ritorno dal lavoro, verso mezzogiorno del 12 luglio 1944 da fascisti e SS dipendenti dall'ufficio dello SS-Scharfuhrer Werning, responsabile della Sicherungskompanie di Monza. Trasferito a San Vittore l'8 agosto 1944.[10]
3. Renzo del Riccio (Udine, 11 settembre 1923), operaio meccanico, socialista, soldato italiano di fanteria partecipò l'8 settembre 1943 a furiosi scontri contro i tedeschi. Unitosi ai partigiani (ad una formazione Matteotti operante nel Comasco?) e distintosi in azione, fu arrestato e inserito nelle liste del servizio obbligatorio del lavoro, nel giugno 1944 fuggì durante la deportazione in Germania. Nel luglio, in viale Monza, è nuovamente arrestato in seguito a delazione. Incarcerato a Monza e poi trasferito a San Vittore l'8 agosto 1944.
4. Andrea Esposito (Trani, 26 ottobre 1898), operaio, militante comunista e partigiano della 113ª brigata Garibaldi, arrestato da membri dell'Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana, il 31 luglio 1944 in casa insieme al figlio Eugenio (renitente alla leva della fascista RSI), vennero rinchiusi nelle carceri di San Vittore a disposizione della SIPO-SD. Il figlio Eugenio, inizialmente inserito nella lista dei fucilandi, sarà invece trasferito prima al campo di concentramento di Gries (Bolzano) e successivamente deportato in Germania dapprima nel campo di concentramento di Flossenburg e poi in quello di Dachau, da dove ritornerà a guerra finita.
5. Domenico Fiorani (Roron in Svizzera, 24 gennaio 1913), perito industriale, socialista, collaborò a giornali clandestini. Appartenente alle brigate Matteotti. Arrestato il 25 giugno 1944 dalla polizia politica a Busto Arsizio, mentre si reca dalla moglie degente in ospedale. Incarcerato a Monza e trasferito l'8 agosto 1944 a San Vittore.[11]
6. Umberto Fogagnolo (Ferrara, 2 ottobre 1911), ingegnere alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Rappresentante del Partito d'Azione nel CLN di Sesto e responsabile dell'organizzazione clandestina nelle fabbriche; insieme a Casiraghi, è tra gli organizzatori dello sciopero generale del marzo 1944. Arrestato il 13 luglio 1944[12] nel suo ufficio, da fascisti e SS dipendenti dall'ufficio dello SS-Scharfuhrer Werning, responsabile della Sicherungskompanie di Monza, dove viene incarcerato ed è ripetutamente torturato. Trasferito a San Vittore l'8 agosto 1944. Medaglia d'argento al valore militare alla memoria.[13].
7. Tullio Galimberti (Milano, 31 agosto 1922), impiegato. Appartenente alle formazioni Garibaldi con compiti di collegamento e raccolta di armi (membro della 3ª brigata d'assalto Garibaldi Gap "Egisto Rubini", secondo il martirologio compilato nell'immediato dopoguerra a cura dell'Anpi provinciale milanese). Arrestato durante un incontro clandestino in piazza San Babila alla fine del giugno 1944 da agenti della SS germanica e italiana. Tradotto alle carceri di San Vittore.
8. Vittorio Gasparini (Ambivere, 30 luglio 1913), dottore in economia e commercio, capitano degli alpini, era responsabile di una missione dell'OSS (Office of Strategic Service) della V Armata americana che trasmetteva radiomessaggi clandestini. La stazione radio venne individuata dai tedeschi che lo arrestarono[14]. Interrogato a Brescia, nello stesso giorno è ricondotto a Milano e imprigionato nel carcere di San Vittore. Torturato per giorni senza riuscire a farlo parlare, fu infine fucilato (Medaglia d'oro al valore militare alla memoria).[15].
9. Emidio Mastrodomenico (San Ferdinando di Puglia, 30 novembre 1922), agente di PS al commissariato di Lambrate. Collegato con il movimento resistenziale (capo dei GAP), è catturato il 29 luglio (il 16 aprile secondo l'Unità[16]) 1944 in piazza Santa Barbara da agenti della SIPO-SD e incarcerato a San Vittore.
10. Angelo Poletti (Linate al Lambro, 20 giugno 1912) operaio presso l'Isotta Fraschini e militante socialista, dopo una breve esperienza partigiana inVal d'Ossola rientra a Milano dove dirige il gruppo da cui nascerà la 45ª Brigata Matteotti. Ferito ad una gamba e arrestato il 19 maggio 1944[17]da militi fascisti mentre si trovava al lavoro, subì sevizie e torture in carcere.[18]
11. Salvatore Principato (Piazza Armerina, 29 aprile 1892), militante socialista e perseguitato politico sotto il fascismo, arrestato l'8 luglio 1944 dalleSS come aderente al P.S.I.U.P e membro della 33ª Brigata Matteotti. Incarcerato a Monza dove fu torturato, fu trasferito a S. Vittore il 7 agosto 1944. All'epoca dei fatti era docente presso la scuola elementare Leonardo da Vinci di Milano, sita a pochi metri da Piazza Loreto. Una lapide lo ricorda nell'atrio della scuola e un'altra in via Gran Sasso (presso la sua abitazione).[19]
12. Andrea Ragni (Brescia, 5 ottobre 1921), partigiano appartenente alle formazioni Garibaldi, catturato e fuggito in data imprecisata dell'autunno 1943. Catturato nuovamente il 22/5/1944 da membri delle SS tedesca e imprigionato nel carcere di San Vittore.
13. Eraldo Soncini (Milano 4 aprile 1901), operaio alla Pirelli Bicocca e militante socialista. Appartenente alla 107ª Brigata Garibaldi SAP. Arrestato il 9 luglio 1944 vicino a piazzale Loreto da SS della Sicherungskompanie di Monza. Imprigionato nel locale carcere e trasferito il 7 agosto 1944 a S. Vittore. In piazzale Loreto tenta la fuga lungo via Andrea Doria; ferito, tenta di nascondersi nel portone di via Palestrina 7[20]. Raggiunto da due militi fascisti, viene finito sul posto, trascinato in piazzale Loreto e gettato nel mucchio dei compagni fucilati. Nel dopoguerra, la Corte d'Assise Straordinaria di Milano, con sentenza del 23 maggio 1947, condannò per l'assassinio di Soncini i militi Giacinto Luisi e Luigi Campi, appartenenti al gruppo "Oberdan" di Porta Venezia della legione Ettore Muti.[21].
14. Libero Temolo (Arzignano, 31 ottobre 1906), militante comunista, operaio alla Pirelli Bicocca, è partigiano organizzatore delle SAP. Arrestato nell'aprile 1944 a Milano a seguito di una delazione. Portato con gli altri in Piazzale Loreto, qui tentò di fuggire ma fu subito ucciso.[22]
15. Vitale Vertemati (Niguarda, 26 marzo 1918), meccanico, partigiano della 3ª Brigata d'assalto Garibaldi Gap "Lombardia" (poi "E. Rubini"), arrestato il 1º maggio 1944 da agenti dell'Ufficio speciale dell'UPI mentre era impegnato come agente di collegamento tra i vari gruppi partigiani.
Sono le vittime di Piazzale Loreto a Milano.
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La Strage di Piazzale Loreto avvenne il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano. Quindici partigiani furono fucilati da militi del gruppo Oberdan della legione Ettore Muti della RSI, per ordine del comando di sicurezza nazista, e i loro cadaveri vennero esposti al pubblico.
La strage [modifica]
La mattina del 10 agosto 1944, a Milano, quindici partigiani vennero prelevati dal carcere di San Vittore e portati in Piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi del gruppo Oberdan della legione «Ettore Muti» guidati dal capitano Pasquale Cardella[2], che agiva agli ordini del comando tedesco, in particolare del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come boia di Piazzale Loreto, allora comandante del servizio di sicurezza (SD) di Milano e provincia (AK Mailand).
Nel comunicato del comando della sicurezza nazista[3], si afferma che la strage fu attuata come rappresaglia per un attentato consumato il 8 agosto 1944contro un camion tedesco (targato WM 111092) parcheggiato in viale Abruzzi a Milano. Tuttavia, in quell'attentato non rimase ucciso alcun soldato tedesco (l'autista Heinz Kuhn, che dormiva nella cabina di guida, riportò solo lievi ferite) mentre invece esso provocò la morte di sei cittadini milanesi e il ferimento di altri undici.[4] Il comandante dei Gap, Giovanni Pesce, negò sempre che quell'attentato potesse essere stato compiuto da qualche unità partigiana. Certi elementi anomali hanno fatto definire da alcuni l'attentato come controverso: il caporal maggiore Kuhn aveva parcheggiato il mezzo a poca distanza da un'autorimessa in via Natale Battaglia e dall'albergo Titanus, entrambi requisiti ed occupati dalla Wehrmacht.
Ma il bando di Kesselring, invocato dal comunicato e dalle alte gerarchie naziste[5], prevedeva la fucilazione di dieci italiani per ogni tedesco solo in caso di vittime naziste. E' dunque lecito supporre, come fece il Tribunale Militare di Torino nel processo Saevecke, che la strage fosse un atto deliberato di terrorismo che aveva lo scopo strategico di stroncare la simpatia popolare per la Resistenza al fine di evitare ogni forma di collaborazione e garantire alle truppe naziste la massima libertà di movimento verso il Brennero.
Fonte Wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Piazzale_Loreto
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Questo è solo un episodio dei tanti avvenuti sul territorio italiano tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945.
Donne, ragazze, uomini, ragazzi, decisero in quel momento particolare della storia d’Italia che il patrimonio più grande a loro disposizione, la vita (la quasi totalità degli uomini, compresi i credenti, considerano questa un’esperienza di vita come unica), ..potesse essere messo in gioco affinché il periodo delle tenebre che opprimeva il Paese terminasse dopo 5 anni di guerra e 20 anni di dittatura fascista.
Sapevano che chi sarebbe passato indenne attraverso quel filtro, che la sorte aveva riservato all’Italia, poteva dare vita ad un modo diverso di convivere della comunità italiana.
Per capire esattamente cosa significasse quel sacrificio, basta rifarsi a cosa è successo un mese fa a Brindisi, quando in un sabato mattina qualsiasi di maggio, un gruppetto di ragazze scende da un pullman e si avvia verso la sede della scuola, senz’altro raccontandosi tutte le aspirazioni e le scemenze che le ragazze di quell’età per consuetudine si confidano, quando all’improvviso la follia umana fa esplodere delle bombole del gas, e una ragazza non ancora sedicenne che si stava affacciando sul teatro della vita, cessa all’improvviso di vivere.
L’emozione, la commozione, la rabbia, ha investito in quella giornata l’intera comunità italiana, che non si rendeva conto di come la follia umana potesse arrivasse a tanto.
Ma poi, di episodi, di sacrifici di civili della società italiana ne abbiamo visti ancora moltissimi in questi 67 anni dalla fine del fascismo.
Basta citare su tutti il sacrificio di Falcone e Borsellino. Paolo Borsellino dopo l’uccisione dell’amico Giovanni sapeva di avere i giorni contati, sapeva di essere stato condannato a morte dalla Mafia SpA, per aver tentato di attaccarla con l’amico Giovanni ed altri. Eppure, nel tormento interiore che può assalire e lacerare nel profondo un uomo in quelle condizioni, ha ritenuto che il suo impegno civile di magistrato assunto in precedenza dovesse continuare fino in fondo, qualunque cosa succedesse.
Allo stesso modo dobbiamo prendere in considerazione un civile che non aveva nessun obbligo di assumersi certi impegni. Mi riferisco all’avvocato Giorgio Ambrosoli che si assume la responsabilità di indagare nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.
La banca del mafioso Michele Sindona legato ad Andreotti. Il politico romano in proposito ebbe l’ardire di affermare: Certo Ambrosoli è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando
Minacciato direttamente dal potere mafioso, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, monarchico milanese di anni 42, moglie e un figlio piccolo, ritenne che il suo impegno civile nei confronti del male assoluto che appestava nuovamente l’Italia fosse superiore agli affetti familiari, che sentiva molto forti, fino al punto supremo di sacrificare la propria vita, sapendo che sacrificava indirettamente anche quella della moglie e del figlio.
Ma la storia d’Italia a partire dal 1969, è costellata da una serie di sacrifici di cittadini innocenti che nulla avevano a che fare con la lotta politica, armata o non armata.
Banca Nazionale dell’Agricoltura, di Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, treno Italicus, stazione di Bologna, sono una sequenza terrificante di stragi dove le vittime sono tutti innocenti cittadini di ogni età e sesso.
Tutti esseri umani che avevano in comune la sola colpa di trovarsi per caso nel punto sbagliato nel momento sbagliato. ……..Null’altro…………
Tra il 1992 e il 1993, il clan dei corleonesi porta un attacco allo Stato italiano, con una serie di stragi consumate tra Roma, Milano Firenze.
Il numero dei morti è inferiore a quello delle stragi precedenti, e quindi, erroneamente, vengono considerate stragi minori.
Non però per chi crede nello Stato democratico e il sacrificio umano che ha consentito la nascita della democrazia italiana.
Il Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, formatosi professionalmente nel pool di Falcone e Borsellino, malgrado i mille tentativi del solito potere occulto di bloccare l’inchiesta sulle stragi del 1992-1993 e sulla trattativa Stato-Mafia, la settimana scorsa è riuscito finalmente a concludere l’inchiesta e a depositare gli atti.
Questi atti, dopo essere stati fotocopiati dal collegio di difesa dei 12 indagati, sono stati resi pubblici secondo la prassi.
Corriere della Sera e La Repubblica, oggi riportano le intercettazioni in cui un uomo delle istituzioni, Nicola Mancino, notabile della vecchia Democrazia cristiana, ex ministro dell’Interno, ex presidente del Senato, ex vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, sapendo di aver mentito alla magistratura inquirente di Palermo, sente che potrebbe pagare caro questo fatto se la magistratura dovesse insistere nel proseguimento delle indagini, e quindi, pensando di trovare copertura al vertice dello Stato chiama il consulente giuridico del Capo dello Stato sollecitando un intervento del primo cittadino d’Italia in modo da dirottare l’inchiesta verso lidi diversi non inclini all’approfondimento di cosa successe nella trattativa Stato-Mafia di vent’anni fa.
Come sempre in questi casi ci si divide nel pro e contro.
Io che non ho mai dimenticato che la mia libertà (forse ancora per poco) di una vita intera è dovuta al sacrificio di chi si è battuto per la libertà nella guerra di liberazione, che non posso trascurare che altrettanto hanno fatto i magistrati Falcone e Borsellino e l’avvocato Ambrosoli, non posso stare dalla parte di chi dal 1968 ha volontariamente intorbidito e rende ancora oscura la vita politica istituzionale della Repubblica.
Il consenso popolare del presidente della Repubblica non può essere un buon motivo per nascondere posizioni poco chiare tenute nel presunto comportamento del primo cittadino. Qualora che come opzione alternativa altri avessero tramato alle spalle del Capo dello Stato, occultando le richieste di Nicola Mancino, il Capo dello Stato, garante della Costituzione ha l’obbligo di fugare qualsiasi illazione nata da questa vicenda.
A maggior ragione se il Capo dello Stato, prima di ottenere questo incarico ha fatto parte di una formazione politica che negli anni passati si è battuta contro la Notte della Repubblica e tutte le deviazioni conseguenti di P2, P3, P4, servizi deviati, mafia, e logge massoniche varie.