Cittadino Presidente

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camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

mariok ha scritto:Alla luce di ciò, sarebbe ancor più interessante sapere cosa si siano detti Napolitano e Mancino nelle telefonate intercettate.

E' per questo motivo che il "Reggimento Corazzieri Ausiliari", da La Repubblica, al Corriere della Sera, al Pd, vuole che quei nastri vengano distrutti.
camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

Sessantasette anni di mancanza di guerre all'interno del Bel Paese ci hanno consentito di comprendere che ex comunisti ed ex democristiani sono tutti uguali. E' pertanto urgente una legge che stabilisca 3 legislature massime, per avere un ricambio continuo. Anche se chi verrà dopo di noi scoprirà che neppure questa è la soluzione.



1- MENTRE IL CSM DA IL VIA LIBERA ALL’”ESTRADIZIONE” DI INGROIA IN GUATEMALA, È IMPROVVISAMENTE DECEDUTO PER INFARTO LORIS D’AMBROSIO, IL CONSIGLIERE GIURIDICO DI NAPOLITANO, COINVOLTO DALL’INCHIESTA SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA DI INGROIA PER ALCUNE CONVERSAZIONI TELEFONICHE CON L’INDAGATO NICOLA MANCINO
2- NAPOLITANO VIOLENTISSIMO CONTRO INGROIA: “AL DI LÀ DELL'ANGOSCIA PER LA PERDITA GRAVISSIMA PER LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA E LA MAGISTRATURA ITALIANA, ATROCE È IL RAMMARICO PER UNA CAMPAGNA VIOLENTA E IRRESPONSABILE DI INSINUAZIONI E DI ESCOGITAZIONI INGIURIOSE CUI ERA STATO DI RECENTE PUBBLICAMENTE ESPOSTO"
3- DI PIETRO REPLICA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: “CORDOGLIO E RISPETTO MA RESPINGIAMO CON FERMEZZA AL MITTENTE OGNI STRUMENTALIZZAZIONE CHE NE VIENE FATTA”

1- ORE 17.20: MORTO LORIS D'AMBROSIO, COLLABORATORE DI NAPOLITANO
(ANSA) - "Annuncio con animo sconvolto e con profondo dolore la repentina scomparsa del dott. Loris D'Ambrosio, prezioso collaboratore mio come già del mio predecessore". Lo scrive in una nota il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sottolineando che "é stato infaticabile e lealissimo servitore dello Stato".


LORIS D'AMBROSIO
NAPOLITANO: "CONTRO D'AMBROSIO CAMPAGNA IRRESPONSABILE"
(ANSA) - Al di là dell'angoscia per la perdita gravissima per la Presidenza della Repubblica e la magistratura italiana, "atroce è il rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto". Così Napolitano su Loris D'Ambrosio morto oggi.

1- CHI E' D'AMBROSIO
Dall'articolo di Marco Mostallino per http://www.lettera43.it del 22 giugno 2012

Loris D'Ambrosio, magistrato, responsabile degli Affari dell'amministrazione della giustizia. D'Ambrosio conosce bene gli ambienti in cui si è sviluppata la vicenda che vede protagonista l'ex ministro degli Interni Mancino. L'ex pm ha infatti lavorato al fianco di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia poco prima che il magistrato venisse ucciso nell'attentato di Capaci e quindi ha conoscenza diretta dei fatti in questi giorni tornati alla ribalta.

UNA PRESENZA FISSA IN VIA ARENULA. Dopo la strage, D'Ambrosio rimase poi in via Arenula con ruolo di consigliere con i ministri Claudio Martelli e Giovanni Conso, fino all'arrivo di Clemente Mastella con il governo Prodi.

D'Ambrosio ha una grande esperienza anche in fatto di indagini delicate. Nel 1980, mentre era alla procura di Roma, gli vennero affidate le inchieste sul terrorismo nero, quando nella Capitale scattò l'allarme in seguito all'assassinio del sostituto Mario Amato, colpito da una cellula dei Nar.


NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO JPEG
LA LOTTA CONTRO LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. Da sempre snodo dei rapporti tra giustizia e governi, il magistrato insieme con Falcone e Piero Grasso (oggi capo della procura nazionale antimafia) ha lavorato a importanti disegni di legge contro la criminalità organizzata.

LA TRATTATIVA SULLA LEGGE BAVAGLIO. Nel 2010 inoltre gestì, per conto del Quirinale, la trattativa con il governo Berlusconi per la legge bavaglio sulla stampa, trovandosi dall'altra parte del tavolo Gianni Letta, altro fine conoscitore di servizi segreti e faccende riservate.

Con questa vita da ambasciatore bizantino, sorprende che D'Ambrosio sia stato così ingenuo da affidare al telefono conversazioni così imbarazzanti come quelle con Mancino.


QUIRINALE JPEG
2- NAPOLITANO-GATE - LE TELEFONATE MANCINO-D'AMBROSIO....
Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano" del 17 luglio 2012

Cos'avrà mai detto Napolitano nelle due telefonate intercettate sull'utenza di Mancino? Impossibile saperlo: le conversazioni sono stralciate, segretate e destinate quasi certamente alla distruzione, e il Presidente si è ben guardato dal renderle pubbliche. Ora però la mossa inedita e clamorosa del conflitto contro i pm alla Consulta non fa che ingigantire i sospetti di chi pensa che quei nastri top secret contengano condotte scorrette: dal punto di vista non penale (i pm le ritengono "irrilevanti"), ma etico-politico-istituzionale.

L'antefatto è noto, almeno per i lettori del Fatto: il 4 novembre 2011 il gip di Palermo Riccardo Ricciardi accoglie la richiesta della Procura di intercettare gli ex ministri Mancino e Conso e altri personaggi coinvolti nelle indagini sulle trattative Stato-mafia perché "è verosimile che gli stessi possano entrare in contatto tra loro o con altri soggetti che in quel medesimo arco temporale rivestivano cariche di rilevante importanza, per riferire elementi utili alle indagini (...) se non addirittura per concordare tra loro ‘versioni di comodo' in vista degli imminenti interrogatori".


INGROIA
Infatti, appena gli inquirenti iniziano ad ascoltare Mancino, scoprono che sta cercando di intralciare le indagini financo con l'aiuto del Quirinale, che arriva addirittura a suggerirgli di concordare una versione di comodo con Martelli (che giura di averlo informato dei colloqui Ros-Ciancimino). Se infatti ignoriamo le parole di Napolitano, sappiamo tutto quello che il suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio raccontava a Mancino sulla frenetica attività del Presidente in suo favore.

Tutto vero o D'Ambrosio spendeva il nome di Napolitano millantando interventi mai avvenuti? Nella seconda ipotesi, Napolitano l'avrebbe già sconfessato e licenziato: invece D'Ambrosio, un mese dopo la diffusione delle sue telefonate (depositate dai pm agli avvocati degli indagati, dunque non più segrete ), è ancora al suo posto. Ergo diceva la verità.

Dicembre 2011. Mancino viene sentito come teste dalla Procura di Palermo, poi si lamenta dei pm con D'Ambrosio e rivendica il suo "diritto a una tutela". Prima di Natale, si lagna anche col procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, che però risponde di non avere "poteri di avocazione". Mancino replica: "Ma poteri di coordinamento sì". D'Ambrosio lo rassicura: "Si faccia il Natale tranquillo, tanto questi non arriveranno a niente, stanno facendo solo confusione".


LA SEDE DELLA PROCURA DI PALERMO
Febbraio 2012. Mancino, sentito come teste anche al processo Mori, si allarma perché il pm Nino Di Matteo dichiara che "qualcuno nelle istituzioni mente". Teme di finire indagato per falsa testimonianza. Richiama D'Ambrosio e questi gli promette di intervenire su Grasso.

Marzo 2012. Mancino tempesta D'Ambrosio. Si dice "messo in un angolo", "emarginato", "distrutto", "perfino nel Pd nessuno mi parla". E sputa il rospo: "Vorrei evitare che venisse accolta l'istanza di un ulteriore confronto con Martelli che dice colossali bugie". Il 5 D'Ambrosio tira in ballo Napolitano.


TRAVAGLIO E PM INGROIA SOTTO L'OMBRELLONE - DA PANORAMA
D: Posso parlare col Presidente, perché se l'ha presa a cuore, se l'aveva presa a cuore la questione (...).
M: L'unico che può dire qualche cosa è Messineo. L'altro che può dire qualche cosa è Grasso.
D:E va bene adesso sento il Presidente (...) Intervenire sul collegio (del processo Mori, ndr) è una cosa molto delicata (...). Provo a chiamare Grasso.


Il 12 marzo D'Ambrosio informa Mancino che ha parlato con Napolitano e con Grasso e preannuncia che il Presidente parlerà direttamente con Grasso. Ma anche il Pg della Cassazione, Vitaliano Esposito, preposto al controllo sulla Procura nazionale, per costringere Grasso a fare qualcosa sebbene abbia ripetuto di non poter fare nulla. Anche perché il "coordinamento" fra Procure è già assicurato da un protocollo approvato da Grasso e dalle tre Procure il 28 aprile 2011 e ratificato dal Csm (presieduto da Napolitano) il 27 luglio 2011, che ora il Presidente finge di dimenticare.


ANTONINO INGROIA E FRANCESCO MESSINEO
D: Io ho parlato col Presidente e ho parlato anche con Grasso. Ma noi non vediamo molti spazi purtroppo (...) ma adesso probabilmente il Presidente parlerà con Grasso nuovamente... eh... vediamo un attimo anche di vedere con Esposito... qualche cosa... ma la vediamo difficile la cosa ecco.
M: Oh... ma visto che Grasso coordina Caltanissetta, non può coordinare tutte e due le procure?
D: Ma io gliel'ho detto pure oggi a Grasso. Grasso mi ha risposto: ‘Va bene, ma io in realtà, il Csm mi ha fatto una normativa, però non mi serve niente'. In realtà è lui che non vuole fare (...) Per adesso mi ha detto il Presidente di parlare con Grasso, di vederlo... vediamo un po'.

M: Eh, vedo che Macaluso batte sulla tesi dell'unicità dell'indagine.
D: Sì, sì, ma questo gliel'ho detto al Presidente... l'ho visto.
M: Eh, perché non è che anche sul 41 bis indaga Caltanissetta, che fa? Caltanissetta va in una direzione e quelli possono andare in un'altra? Ma non lo so se c'è serietà (...).


BETTINO E ANNA CRAXI CLAUDIO MARTELLI
D: Ripeto, dopo aver parlato col Presidente riparlo anche con Grasso e vediamo un po'... lo vedrò nei prossimi giorni. Però, lui... proprio oggi dopo parlandogli, mi ha detto: ‘Ma sai, lo so, non posso intervenire'... Capito? Quindi mi sembra orientato a non intervenire. Tant'è che il Presidente parlava di... come la Procura nazionale sta dentro la Procura generale (della Cassazione, ndr), di vedere un secondo con Esposito (...). Ma io comunque riparlerò con Grasso perché il Presidente mi ha detto di risentirlo (...). Insomma, noi, parlando col Presidente, se Grasso non fa qualcosa, la vediamo proprio difficile qualunque cosa. Adesso lo possiamo rivedere, magari lo vede il Presidente un giorno di questi (...) M: Lei veda un po' se Grasso ha intenzione anche di ascoltare me... sia pure in maniera riservatissima. Che nessuno ne sappia niente.


VITO GAMBERALE E CLAUDIO MARTELLI
D: Va bene, tanto io lo devo sentire Grasso e lo sento domani. Va bene? D'Ambrosio confida a Mancino che Napolitano gli suggerisce di concordare una versione di comodo (dunque falsa: la verità non si concorda) con Martelli per appianare le divergenze. D: Qui il problema che si pone è il contrasto di posizione oggi ribadito pure da Martelli... e non so se mi sono spiegato (...) la posizione di Martelli... tant'è che il Presidente ha detto: "Ma lei ha parlato con Martelli?"... eh... indipendentemente dal processo diciamo così.
M: Ma io non è che posso parlare io con Martelli... che fa?

D: No no... dico no... io ho detto: "Guardi non credo, signor Presidente, comunque non lo so. A me aveva detto che aveva parlato con Amato giusto... e anche con Scalfaro...".

Aprile 2012. Il giorno 3 Mancino scrive una lettera al Quirinale. D'Ambrosio: "Stiamo ragionando, ma il Presidente è orientato a fare qualcosa (...) ma per ora non le posso dire nulla (...). Sto elaborando un pochino le cose... però la decisione l'abbiamo già presa... Adesso il Presidente è in Giordania, quando torna si decide insieme... faccio la mia proposta e vediamo un attimino". Poi anticipa a Mancino che il Quirinale girerà la lettera a Esposito con una richiesta precisa: "Il coordinamento consiste anche nell'utilizzare una strategia comune, nel compiere atti insieme (...) Tutto questo non sta accadendo".


PIERO GRASSO

ANTONIO INGROIA
Il 4 il segretario generale del Quirinale, Donato Marra, trasmette la lettera a Esposito accompagnata da una nota con i desiderata di Napolitano, cioè di Mancino: "Illustre Presidente, per incarico del Presidente della Repubblica trasmetto la lettera con la quale il Senatore Nicola Mancino (che non è più senatore dal 2006, ndr) si duole del fatto che non siano state fin qui adottate forme di coordinamento delle attività svolte da più uffici giudiziari sulla cd. ‘trattativa' che si assume intervenuta fra soggetti istituzionali ed esponenti della criminalità organizzata a ridosso delle stragi del 1992-‘93. (...)

Il Capo dello Stato auspica possano essere prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure ai sensi degli strumenti che il nostro ordinamento prevede (...); e ciò specie al fine di dissipare le perplessità che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate, i cui esiti possono anche incidere sulla coerenza dei successivi percorsi processuali. Il Presidente Napolitano le sarà grato di ogni consentita notizia".

L'indomani, giorno 5, nessuno sa (né saprebbe mai, se a metà giugno non venissero pubblicate le intercettazioni) della lettera del Colle al Pg. Nessuno tranne Mancino, subito informato da D'Ambrosio, che gliela legge e gli confida che l'ha voluta Napolitano in persona, concordandola preventivamente col nuovo Pg Gianfranco Ciani e col sostituto Pasquale Ciccolo.

D: Ho parlato pure, abbiamo parlato pure con Ciani. (...). Ho parlato sia con Ciccola che con Ciani: han voluto la lettera così fatta per sentirsi più forti (...) C'era una situazione che il Presidente aveva già detto all'Adunanza (del Csm, ndr), ha rilevato e percepisce questa mancanza di coordinamento e ti dice: esercita questi tuoi poteri anche nei confronti di Grasso. Qui il problema vero... Grasso si copre, questa è la verità, con la storia dell'avocazione, no? Perché è una gran cretinata l'avocazione, perché lui la cosa a cui deve pensare è il coordinamento (...).


EMANUELE MACALUSO FOTO AGF REPUBBLICA JPEG
M: Esatto, esatto.
D: Perché il minimo del coordinamento è questo, adesso vediamo come lo risolverà Ciani (...) noi non abbiamo mandato lei allo sbaraglio (...) Adesso lei lo sa, quando uscirà quello che il Presidente auspica, tra l'altro il Presidente l'ha letta prima di mandarla, eh non è una cosa solo di Marra. Lei può dire che ha saputo della lettera che le è stata mandata, è stato informato che la lettera è stata mandata al Pg. Poi ha saputo che era ai fini di un coordinamento investigativo, lei lo può dire parlando informalmente con il Presidente, perché no? (...). Lui sa tutto. E che, non lo sa? L'ha detto lui: "Io voglio che la lettera venga inviata, ma anche con la mia condivisione".


VIGNETTA BENNI ANTONINO INGROIA
Ciani, "più forte" grazie alla lettera del Colle, convoca segretamente il Pna Grasso il 19 aprile per parlare sia di avocare l'inchiesta di Palermo, sia di "coordinarla" con Caltanissetta e Firenze. Grasso respinge entrambe le proposte indecenti e se le fa mettere per iscritto. Recita il verbale della riunione: "Il Pna precisa di non avere registrato violazioni del protocollo del 28 aprile 2011 tali da poter fondare un intervento di avocazione. Il Pna rimetterà al Pg un'informativa scritta".

Cioè ogni mossa del Quirinale pro Mancino è destituita di ogni fondamento: Grasso non ha né i poteri né i presupposti per fare ciò che gli viene chiesto: le indagini di Palermo sono regolarmente "coordinate" con quelle delle altre Procure da un anno. Resta da capire in base a quali norme o poteri o prerogative il Quirinale abbia tentato per mesi di condizionare, intralciare, deviare un'indagine in corso su richiesta di un potente ma privato cittadino, coinvolto in veste di testimone e prossimo indagato per falsa testimonianza. E in base a quali norme Napolitano pretenda ora che le sue telefonate vengano subito distrutte, trascinando alla Consulta i pm che obbediscono alla legge anziché a lui. Un abuso di potere per coprirne un altro.

3 - DI PIETRO REPLICA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
"Esprimiamo cordoglio e rispetto per la morte improvvisa del dottor Loris D'Ambrosio ma respingiamo con fermezza al mittente ogni strumentalizzazione che ne viene fatta, quasi a voler far credere che la colpa sia di chi ha criticato il suo operato e non di chi ha tentato di sfruttare il suo ruolo". Lo afferma in una nota il Presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro.
camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

Quirinale, morto D’Ambrosio. Napolitano: “Campagna violenta e irresponsabile”
Il consigliere giuridico del capo dello Stato colpito da infarto. Aveva 65 anni. L'ex presidente del Senato Nicola Mancino, indagato nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, lo aveva ripetutamente chiamato per lamentarsi dell'indagine della Procura di Palermo. Il presidente: "E' stato esposto a insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 26 luglio 2012
Commenti (212)


E’ morto per infarto il consigliere giuridico del presidente della Repubblica Loris D’Ambrosio. Il magistrato, al centro delle polemiche per le telefonate di Nicola Mancino che si lamentava dell’indagine della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, soffriva da tempo di problemi cardiaci. Napolitano però punta il dito contro quanti hanno sollevato in queste settimane dubbi sul ruolo di D’Ambrosio in questa vicenda. Critiche sono arrivate da partiti politici e dai media, con inchieste come quelle condotte anche dal Fatto Quotidiano. Ecco le parole del Capo dello Stato, che annuncia “con animo sconvolto e con profondo dolore la repentina scomparsa del dott. Loris D’Ambrosio, prezioso collaboratore mio come già del mio predecessore e infaticabile e lealissimo servitore dello Stato”. Poi l’affondo con l’espressione di “rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose”.
D’Ambrosio, 65 anni, “ha per lunghi anni – continua Napolitano – prestato alla Presidenza della Repubblica l’apporto impareggiabile della sua alta cultura giuridica, delle sue molteplici esperienze e competenze di magistrato giunto ai livelli più alti della carriera. Egli è stato infaticabile e lealissimo servitore dello Stato democratico, impegnato in prima linea anche al fianco diGiovanni Falcone nel costruire più solide basi di dottrina e normative per la lotta contro la mafia, così come è stato coraggioso combattente della causa della legalità repubblicana contro il terrorismo. In tutte le collaborazioni che da magistrato ha esplicato al servizio delle istituzioni di governo e infine presso la più alta magistratura dello Stato, ha guadagnato generali riconoscimenti e attestati di stima non solo professionale ma innanzitutto morale”.
Il comunicato del presidente della Repubblica alterna il ricordo del percorso professionale e umano di D’Ambrosio agli attacchi rivolti a chi ha recentemente gettato ombre: “Atroce è il rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all’amministrazione della giustizia del nostro Paese. Mi stringo con infinita pena e grandissimo affetto – conclude Napolitano – alla consorte, ai figli, a tutti i famigliari e al mondo della magistratura e del diritto”. D’Ambrosio, secondo alcuni parlamentari, soffriva da tempo di problemi cardiaci. E le reazioni politiche non si sono fatte attendere, daAntonio Di Pietro che esprime cordoglio ma chiede di evitare strumentalizzazioni, a Maurizio Gasparri che parla di “una scomparsa condizionata da eventi recenti”, fino a Fabrizio Cicchittoche usa le stesse parole del Capo dello Stato facendo riferimento a “un’indegna campagna”.
LE TELEFONATE SULL’INCHIESTA DI PALERMO – D’Ambrosio, magistrato e consigliere giuridico del presidente, era stato più volte contattato dall’ex presidente del Senato Nicola Mancinoche si lamentava del trattamento ricevuto da parte della Procura di Palermo. In un colloquio con il Fatto il magistrato aveva spiegato di aver ricevuto molte telefonate e lettere da Mancino e di averlo ascoltato perché l’ex ministro dell’Interno era stato tra l’altro presidente del Senato. In quelle conversazioni Mancino si definiva “un uomo solo” Il presidente della Repubblica ha poi sollevato un conflitto di attribuzione con la Corte Costituzionale per la presenza negli atti dell’inchiesta di intercettazioni che lo riguardano. Prive di interesse e di rilevanza penale per la Procura di Palermo che ha più volte spiegato che il capo dello Stato è stato intercettato indirettamente perché al telefono conversava con un indagato ovvero Mancino. Il 22 giugno scorso il Fatto aveva pubblicato l’intercettazione tra D’Ambrosio e Mancino, in cui l’ex ministro dell’Interno fa un riferimento al capo dello Stato parlando di Claudio Martelli che ai magistrati di Palermo ha dato una versione diversa di alcuni eventi rispetto alle stragi del ’92-’93 e le loro conseguenze, rivolgendo otto domande a Napolitano.
Per cercare di mettere in collegamento le ricostruzioni dei vari esponenti politici dell’epoca, gli inquirenti palermitani avevano chiesto nei mesi scorsi un confronto tra l’ex ministro della Giustizia Martelli e lo stesso Mancino. Colloquio che l’ex vicepresidente del Csm ha cercato in tutti i modi di evitare appellandosi segretamente ad un intervento diretto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alla fine però il confronto si è fatto ed è emersa un’insanabile discrepanza tra i racconti di Martelli e quelli di Mancino. Il nodo è rappresentato da un incontro tra i due ministri(Mancino era responsabile del ministero dell’Interno, ndr) ai primi di luglio del 1992. L’ex numero due di Bettino Craxi ha raccontato che in quell’incontro si sarebbe lamentato per le attività non autorizzate del Ros. Secondo la procura palermitana, proprio in quei giorni il generale Mario Mori e il suo braccio destro Giuseppe De Donno incontravano in segreto don Vito Ciancimino. Mancino però ha negato che quei colloqui tra il Ros e Ciancimino siano stati oggetti di discussione con Martelli o almeno di non ricordarsi: “Abbiamo parlato di altro e in particolare dell’opportunità di lavorare in sintonia”. I magistrati però non gli hanno creduto iscrivendolo nel registro degli indagati per falsa testimonianza. E non hanno creduto neanche al suo collega Giovanni Conso, iscritto nei giorni scorsi nel registro degli indagati per false informazioni al pm, lo stesso reato contestato ad altri elementi di spicco delle istituzioni. Mancino ha anche affermato di non ricordarsi anche del contenuto delle conversazioni al telefono con il capo dello Stato.



I commenti de Il Fatto

Goccia Oggi 06:18 PM

e allora, per dimostrare che si trattava di :
"insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilita’"
sig. Presidente fughi ogni dubbio e permetta l'ascolto di quelle telefonate.
Se prima era opportuno per l'argomento trattato, adesso è diventato assolutamente necessario.

Inoltre poiché siamo in ambito di indagini sulla mafia non può essere evitata in nessun caso l'autopsia.
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feneon Oggi 06:32 PM in risposta a Goccia

Brava Goccia. Mi hai evitato la fatica di scrivere un commento che non sarebbe stato incisivo e sintetico come il tuo. Sia per quanto riguarda il fugare il dubbio e anche (e forse soprattutto) l'autopsia, nobilitando anche il concetto di "insinuazione". Operazione delicatissima....



Ospite 57 minuto fa in risposta a feneon

Io non mi fiderei neanche ora di qualcuno che "alza i pugni al cielo", come il nostro reverendissimo Pr(rrrr)esidente, quando gli muore un collega ... alzata di mani ovviamente in pacata e patriottica.


Marcella De+Giacometti Oggi 05:48 PM
E' no ! Caro Napolitano, no no,siamo un NULLA come ha ben visto e non le è permesso ora di attribuire la morte del suo collaboratore ai magistrati di Palermo e ai giornalisti che hanno denunciato i fatti.Troppo facile, lui se ne è andato e se crede in Dio, renderà conto del bene e del male che ha fatto, se invece è un laico-ateo, dovrà arrangiarsi da solo e confrontarsi con la sua coscienza come d'altronde capiterà a tutti noi Delegare a Dio il giudizio per i credenti, confrontarsi senza alibi,per i non credenti,con la nostra coscienza.... La terra sia lieve al signor D'Ambrosio e buona meditazione a Lei presidente.



never8 Oggi 07:05 PM in risposta a Marcella De+Giacometti

Piuttosto squallido riattizzare le polemiche e dare la colpa per un infarto a giudici e giornalisti che raccontano solo fatti. Quale campagna di stampa del resto, c'è solo il FQ e poco altro a far sentire la propria voce. Piuttosto la campagna di stampa è al contrario verso chi osa chiedere conto.
Di sicuro Chinnici, Borsellino, Falcone, Morvillo, Schifani, Dicillo, Montinaro e tanti altri non ci sono dubbi. Sono morti per causa della criminalità mafiosa e delle connivenze politiche e di pezzi dello Stato che questa gente ha avuto e ha ancora. Riina o Provenzano non potevano permettersi una latitanza di quel genere senza coperture di alto livello,
Le istituzioni sono talmente contro questa gente che se uno si permette di accennare a queste connivenze viene messo sotto inchiesta come accaduto recentemente, e non c'è stata voce che si è levata in difesa di un uomo che ha detto semplicemente la verità. Perchè lo sappiamo tutti che non pochi nelle istituzioni sono stati e sono conniventi.
Il cinismo di questa gente si spinge fino al punto di accusare indirettamente in fondo di omicidio gente che fa solo il suo lavoro e nel rispetto delle leggi, parole così dure nei confronti di criminali conclamati inceve è difficile rinvenirle e per quelli dubbi sempre prudenza.
Ah Caponnetto che diceva "e' finita, e' finita" 20 anni fa e purtroppo aveva ragione. Non sapeva nemmeno lui quanto.



carlozen Oggi 06:53 PM in risposta a Marcella De+Giacometti

lei presume in buona fede che tutte le persone abbiano una coscienza, io invece credo che certi individui per vivere una squallida esistenza personale abbiano prima dovuto uccidere la propria coscienza



Marcella De+Giacometti Oggi 07:49 PM in risposta a carlozen

Si, credo proprio che lei abbia ragione, ma, la buona fede, mi ha convinta che, coloro che hanno cercato di uccidere la propria coscienza ,vivano con "il mal di vivere"..... due volte squallida. Da atea, le posso dire che trovandosi difronte alla propria coscienza...e rimanere soli con la stessa, è meno semplice che delegarla ad qualche dio però rimane la gratificazione della "tranquillità" e non le sto parlando del perfetto, lungi da me, solo della possibilità che ha l'essere umano di parlare e soprattutto di non mentire a se stesso. marcella de giacometti



7giacche Oggi 07:28 PM in risposta a Marcella De+Giacometti

io se permettete esprimo innanzitutto un sentimento di cordoglio per una persona scomparsa.
poi passo al signor napoletano,anche stavolta lei sbaglia strada e discorso.
io spero che un giorno nel nostro paese vengano introdotti elementi di democrazia diretta tipo un referendum per revocare le cariche istituzionali compresa la presidenza della repubblica,pensi se oggi in italia venisse indetto un referendum per mandarla a casa.
CONTINUEREBBE AD ESSERE ARROGANTE COME HA FATTO FINO AD ADESSO?
E QUALE SAREBBE IL RISULTATO?
PENSO CHE DOMANI SAREBBE UN PRIVATO CITTADINO



Marco Cinetto Oggi 07:12 PM in risposta a Marcella De+Giacometti

Napolitano pensa che si muoia perchè ci sono dei giudici che ti inquisiscono, mentre semplicemente si muore perchè si è vecchi e arrivati alla fine della vita.



travgabr Oggi 06:50 PM

NApolitano , i giornali SERI riportano notizie vere . C'e' stato l'intervento di Mancino per mettere in guardia la procura di Palermo ?? SI O NO ?? E' da incoscienti dare la colpa a chi riporta notizie .Per fortuna che c'e' ancora qualche giornale serio in Italia .



ziganda Oggi 05:47 PM in risposta a emilio

E' necessario soprattutto dopo l'elezione. Dico questo perchè gli eletti si sentono "unti" o "celesti" e quindi intoccabili dopo essere diventati funzionari pubblici.



carlozen Oggi 05:58 PM in risposta a ziganda

è vero.
aggiungo che, stoltamente, si sentono anche immortali



emilio Oggi 05:56 PM in risposta a ziganda

e difatti, a qualsiasi richiesta di chiarimenti si stracciano le vesti e cominciano a dare in isterismi.
Vergogna!



Maschiosanobiancoetero Oggi 06:44 PM in risposta a carlozen

E' vero, ho avuto modo di conoscere di persona e sul piano extrapolitico alcuni di questi pubblici parassiti. La vergogna non sanno cos'è.



stella Oggi 06:33 PM

Il solito monito... ormai ci siamo abituati. Ma è mai possibile che un Presidente della Repubblica appioppi la responsabilità di una morte per infarto a dei giornalisti? Vergogna!



norton Oggi 07:08 PM in risposta a stella

...Invece i poveri cristi che la fanno finita o schiattano di crepacuore perchè senza lavoro e senza speranze,non fanno pena a questi ipocriti dei nostri governanti?



Serafina Ignoto Oggi 06:32 PM

posso essere sospettosa?



Rosanna Oggi 07:08 PM in risposta a Serafina Ignoto

Puoi.



Gianluca Maestri Oggi 07:44 PM

Il Capo dello Stato tuona: "Pubblicamente esposto a insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose". Sarebbe di gran lunga preferibile che il Capo dello Stato smettesse di tuonare, e rendesse invece pubbliche le sue telefonate con Mancino.



carlozen Oggi 07:14 PM

Non reggo più il PdR, non lo sopporto, il solo vederlo in fotografia m' indigna, oltre a suscitarmi ogni volta un sentimento di ripugnanza.
Qualcuno mi sa dire se, sentendo in tal modo, commetto il reato di vilipendio?



Bigman Oggi 07:15 PM

Siamo certi che lei, presidente Napolitano, potrà fugare ogni più piccolo dubbio sul suo collaboratore permettendo la massima trasparenza nella pubblicazione delle intercettazioni e rimuovendo ogni sospetto sulla tempistica di questo inopportuno decesso promuovendone l'autopsia.
Sa, per noi comuni cittadini, inesperti ed ingenui sulle trame di potere, vedere che questo triste fatto avviene proprio quando il CSM mette in discussione R. Scarpinato per la splendida lettera aperta a P. Borsellino e nel contempo assistiamo agli attacchi a Ingroia, indotto ad assumere un incarico fuori dalla nostra Italia, sa, qualche cattivo pensiero arriva...Ma sicuramente sono solo coincidenze!Cordoglio comunque ai familiari della vittima



G.Digi Oggi 06:28 PM

Deceduto Dott. Ambrosio? Pace all'anima sua.
Però il PdR, non dovrebbe insinuare che la morte del Dott. Ambrosio sia stata perchè la "stampa" abbia fatto delle domande(forse anche scomode)ed abbia fatto una campagna contro di lui.
Non Si può morire(avendo la pace interna) per una o più interviste di questo tipo...
http://paoloaquino.wordpress.c...
Sig. presidente della repubblica, perchè non è intervenuto a difesa del Dott. Scarpinato?


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camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

25LUG2012
Scarpinato, libertà in bilico

Avevo letto, e ho riletto, l’intervento del procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato alla commemorazione di Paolo Borsellino. Rilanciato nelle mailing list delle toghe, con ovvie notazioni di plauso, ero stata tentata anche di pubblicarlo su questo blog, come ho già fatto per testi che ho ritenuto importanti. Mi aveva fermato solo il fatto di aver già scritto un post per Ingroia.

Ma poi sono rimasta davvero sorpresa quando ho appreso che al Csm la lettera aperta di Scarpinato a Borsellino era diventata oggetto di una rampogna. Di più, della richiesta, del consigliere laico in quota Pdl Nicolò Zanon, di un possibile trasferimento d’ufficio. Se ne occupa il comitato di presidenza, composto dal vice presidente Vietti, dal primo presidente della Cassazione Lupo, dal procuratore generale Ciani, e decide di inoltrare la pratica alla prima commissione, quella che trasferisce i magistrati che sbagliano, e pure allo stesso pg della Suprema corte, titolare dell’azione disciplinare. Non basta: Zanon chiede pure che si riapra la rosa del concorrenti al posto di procuratore generale di Palermo, che vede in lizza proprio Scarpinato e il capo della procura di Palermo Francesco Messineo. In commissione la gara è finita tre a due, per Messineo Unicost, Mi e un altro consigliere Pdl, per Scarpinato la sinistra di Area, il cartello tra Md e Movimento giustizia. Astenuto il Pd. E’ evidente che l’apertura della pratica su Scarpinato, su cui la prima commissione si pronuncerà a settembre, potrebbe influire sulla nomina al vertice degli uffici giudiziari di Palermo, dando una chance in più a Messineo. Allo stesso modo è evidente che la destra e le correnti moderate della magistratura sono proprio per Messineo, mentre quelle di sinistra per Scarpinato.

Già sotto questo profilo il passo di Zanon può essere giudicato discutibile. Ma qui siamo nel campo delle opportunità. Cui certo non dovrebbe essere indifferente un costituzionalista del rango di Zanon. Ma è un’altra la questione che inquieta, che fa da termometro al cambio di clima nei confronti dei magistrati. Cosa c’è che non va nell’intervento di Scarpinato? Di certo non si può dire di lui, come s’è detto di Ingroia, che ha parlato in una sede impropria. Quella del Pdci, si è rimproverato al procuratore aggiunto di Palermo. O quella di Campo dei fiori. No, Scarpinato ha parlato in una sede assolutamente congrua, davanti ai suoi colleghi, in una cerimonia pubblica per un suo collega ucciso dalla mafia. Con l’enfasi che è nota. Tutti sanno chi è Scarpinato, conoscono il suo pensiero, lo hanno sentito parlare non una, ma cento volte, in questi anni. Ha scritto libri, di certo non ha nascosto le sue opinioni. E ha parlato sempre nello stesso modo.

E dunque. Perché, proprio adesso, ci si scatena contro Scarpinato? Poteva egli dire, o doveva non dire, che nelle cerimonie ci sono presenze di persone limitrofe alla criminalità, gente che vive nell’ampio limbo che esiste tra legalità e illegalità? A mio avviso non solo poteva, ma aveva il dovere di dirlo. Quindi un caso Scarpinato non esiste. Se esiste, o se si dubita che possa esistere, vuol dire che si vogliono magistrati muti.

Per questo, per offrire a tutti un documento integrale, allego tutto il testo dell’intervento di Roberto Scarpinato. Valutino i lettori se questa toga è meritevole di una reprimenda oppure di un elogio.

Caro Paolo,
oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà. E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi. Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti. Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”. E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxi-processo che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso. Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore. Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”. Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire. Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.
Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità. E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie. Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa. Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire. Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri. Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti. Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità. E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti. Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito. Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta dei loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.

http://milella.blogautore.repubblica.it ... ref=HRBP-4
mariok

Re: Cittadino Presidente

Messaggio da mariok »

E' un po' lungo ma conviene ascoltarlo.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=bnqmr4usdr0[/youtube]
erding
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da erding »

mariok ha scritto:E' un po' lungo ma conviene ascoltarlo.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=bnqmr4usdr0[/youtube]

Straordinario!

Grazie mariok!
camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

Erding, ieri ha scritto che il documento di mario relativo all’intervento di Marco Travaglio in commemorazione di Borsellino è splendido.

Non c’è dubbio che la fattura è eccezionalmente splendida con un apporto di dati, difficilmente contestabili, secondo lo stile Travaglio.

Ma a me ha generato un ulteriore conferma.

E’ finita.

La storia della Repubblica democratica italiana iniziata dopo l’8 settembre 1943 e transitata attraverso il 25 aprile 1945, è terminata ieri, 28 luglio 2012.

Ieri, si sono celebrati due funerali, il primo del consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio, e il secondo quello della Repubblica italiana.

I partiti democratici sorti dopo il 25 aprile non esistono più, e al loro posto dopo una lunga agonia durata 40 anni, al loro posto ha preso piede una guerra per bande per la supremazia del potere.

La sinistra non esiste più da tanto tempo.

La cara salma sta tentando in tutti i modi di ritornare al primato, facendo finta di non sapere che darà il colpo finale se questo avvenisse.

Se al Quirinale ci fosse una persona responsabile, garante come recita la Costituzione, della vita degli italiani, chiamerebbe da parte la cara salma e gli imporrebbe di mettersi da parte.

Ma sembra che ci sia qualcosa che non glielo consenta, al di là del dettato costituzionale.

Qui si tratta di scegliere, o il solito noto che ha fatto affondare la nave 8 mesi fa, o gli italiani.

Ma i coraggio di scegliere gli italiani Napolitano non ce l’ha.

Lascio quindi alla vostra immaginazione quale sarà il futuro prossimo di questo Paese.
erding
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da erding »

Il racconto che fa Travaglio verrà liquidato come un teorema ed in fondo forse lo è.
Ma... seppure in assenza di schiaccianti prove, questo "teorema" ha un suo inconfutabile valore perché supportato dalla descrizione puntuale e minuziosa di fatti e circostanze, e quando tutto è cosi credibile e verosimile, non può essere lontano dal vero e comunque non si può assolutamente liquidare senza approfondimenti seri.
Non possono esserci ragioni di stato che tengano.
La ragione di stato è sempre ingiusta, può avere un remoto senso, semmai, solo se c'è lo stato.
Se i depistaggi, gli insabbiamenti, i ricatti hanno prodotto, al punto in cui siamo, la morte del diritto e la conseguente morte dello stato, la ragione di stato non può essere invocata.
camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

Mossa molto intelligente di Ingroia, che schiacciato nell'angolo dal mondo della politica, dalle istituzioni ai più alti livelli, dai media amici, rigetta la palla in campo avversario costringendo tutti i chiacchieroni a metterci la faccia.

Ragion di Stato
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La ragion di Stato (detta anche interesse nazionale) è l'insieme degli obiettivi e delle ambizioni di un paese in campo economico, militare o culturale. Si tratta di un'importante nozione di relazioni internazionali, in cui il perseguimento dell'interesse nazionale è alla base della scuola realista. L'interesse nazionale di uno Stato presenta molteplici sfaccettature. Di primaria importanza è la sopravvivenza e la sicurezza dello stato; altresì importante è la ricerca del benessere, della crescita economica e del potere. Molti stati, soprattutto in quest'epoca, ritengono essenziale la tutela della cultura nazionale.

La ragion di Stato viene invocata per giustificare un atto dello stato o dei suoi rappresentanti, che si decide debba restare segreto, per evitare una guerra, una rivoluzione, una pandemia, delle dimissioni, o qualsiasi altro avvenimento possa minare la sopravvivenza dello Stato.

La ragion di Stato si concretizza nella maggior parte dei casi nel segreto di stato. Si tratta di realizzare un'azione contraria a certi interessi o ideali dello Stato, dei suoi alleati e/o dei cittadini per evitare conseguenze peggiori a questi ultimi.

L'atto che è necessario secretare è in alcuni casi violento, spesso si tratta di un sacrificio per evitarne uno peggiore. Della ragione di stato si abusa poiché viene invocata anche quando non si dovrebbe, alcune volte per capriccio, per evitare un semplice inconveniente.

***
In questo caso cosa bisogna nascondere ancora ai sudditi italiani, che pensando di essersi liberati dal giogo del fascismo e della monarchia, si sono ritrovati sotto il dominio della mafia e di partiti che alla fine sono solo dei comitati d'affari?

***

L'INTERVISTA
Ingroia: "Siamo pronti a fermare l’inchiesta
se sulla trattativa c’è la ragion di Stato"

Il pm: "Al nostro posto il consigliere si sarebbe comportato allo stesso modo"
di SALVO PALAZZOLO


PALERMO - Il magistrato Antonio Ingroia ha un dubbio: "Sulla vicenda della trattativa c'è una ragione di Stato che impedisce l'accertamento della verità sulla base delle ragioni del diritto penale? Se è così, dalla politica devono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica".

E se emergesse davvero una ragione di Stato dietro al dialogo segreto con la mafia, cosa farebbe?
"Di fronte a una legge, o a una commissione d'inchiesta politica, che ribadisse la ragione di Stato dietro alla trattativa, la magistratura non potrebbe che fare un passo indietro. In caso contrario, la legge ci impone di andare avanti per l'accertamento della verità".

C'è stata o no una ragione di Stato nella trattativa?
"È quello che vorrei sapere. Credo che sia necessario uscire dall'equivoco, alimentato dalle parole dette e non dette di autorevoli commentatori, a proposito di una presunta ragion di Stato che dovrebbe fermare l'azione della magistratura".

Alcuni commentatori mettono in dubbio l'esistenza della trattativa.
"Sentenze definitive stabiliscono che ci fu: da lì siamo partiti. E oggi il paese ha un'occasione unica: non vorrei che andasse perduta".

Non c'è il rischio di enfatizzare il processo sulla trattativa, che dovrebbe avere innanzitutto il compito di accertare responsabilità individuali prima di proporre ricostruzioni storiche?
"Lo ripeto da mesi. Il processo che inizierà è un'occasione, che non esaurisce lo sforzo di accertamento della verità. Occorrono altri momenti, e soprattutto la coesione istituzionale auspicata dal presidente della Repubblica. Non una chiusura corporativa di alcuni poteri dello Stato. E tanto meno una sorta di complicità istituzionale. Dovrebbe essere una coesione verso traguardi più alti: la verità sulla stagione 92-94, che pesa come un macigno sulla nostra democrazia".

Il confronto fra politica e magistratura resta critico, forse anche per la sua inchiesta?
"La coesione istituzionale dovrebbe esplicarsi in fatti concreti. Innanzitutto, il dovuto rispetto nei confronti della magistratura. E invece in questi giorni siamo stati insultati, sui giornali abbiamo letto cose infami. Ma noi abbiamo la coscienza a posto, abbiamo sempre rispettato le regole. Ci siamo comportati come Loris D'Ambrosio avrebbe fatto al nostro posto. E lo dico per la conoscenza e la stima dell'uomo delle istituzioni D'Ambrosio. Anche lui avrebbe fatto ogni sforzo per la verità".

Maggiore rispetto per i pm, dice lei, e toni pacati: bastano per un dialogo più costruttivo fra politica e giustizia?
"La politica dovrebbe essere soprattutto meno impegnata a cacciare indietro l'azione della magistratura. Ad esempio, sottraendole strumenti fondamentali, come le intercettazioni".

Però, anche il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale sembra essere un atto d'accusa verso i pm di Palermo, per non aver creato un clima di dialogo sulle intercettazioni del capo dello Stato.
"La Procura di Palermo non ha fatto altro che cercare il clima meno conflittuale possibile, senza violare le leggi vigenti, né le prerogative del presidente. Se si ritiene che si debba modificare la legge, lo si faccia, come l'ex ministro Flick chiedeva. Oppure, sarà la Consulta a risolvere il problema".

Gianluigi Pellegino ha proposto su "Repubblica" l'applicazione dell'articolo 271 per arrivare alla distruzione d'ufficio delle intercettazioni inutilizzabili.
"Noi non possiamo fare giurisprudenza creativa. Quell'articolo è applicabile solo a casi tassativi. Dunque, o interviene la Corte Costituzionale, o una legge apposita per la distruzione delle intercettazioni riguardanti il presidente della Repubblica, attraverso una procedura straordinaria".

Ha ormai deciso di andare in Guatemala?
"Dispiace sempre lasciare. Ma se non cambiano le condizioni, passi avanti non se ne possono fare. Il magistrato si è ritrovato in una stanza buia, devono essere gli altri attori politico-istituzionali ad accendere la luce. Se dovesse accadere, potrei anche restare".

Medita di passare dalla parte della politica, per accendere lei quella luce?
"Sono e resto un magistrato. Forse, adesso, un po' deluso. Ma non smetterò di cercare la verità, anche dall'altra parte del mondo".

(29 luglio 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: Cittadino Presidente

Messaggio da camillobenso »

Infarto di Stato
di Marco Travaglio | 28 luglio 2012
Commenti (534)

Mentre stormi di avvoltoi e branchi di sciacalli si aggirano famelici attorno alla salma di Loris D’Ambrosio, additando improbabili colpevoli del suo infarto e scambiando per “assassinio” il dovere di cronaca e il diritto di critica, è il caso di rinfrescare la memoria agli smemorati di Libero, Giornale, Foglio, Corriere, Stampa e Repubblica, ieri macabramente uniti nel mettere alla gogna Il Fatto Quotidiano nel tentativo (vano) di spegnere ogni residua voce di dissenso.

Un’operazione tanto più indecente e ricattatoria in quanto, di fronte alla morte, tutti ammutoliscono nel doveroso cordoglio e non è molto popolare azzardarsi a criticare i morti per quel che han fatto da vivi.

Ma a chi non rinuncia al dovere di informare non rimane che lasciare in pace i morti e occuparsi dei vivi, mettendo ancora una volta in fila i fatti. Se il dottor D’Ambrosio è finito sui giornali, è a causa di intercettazioni legittimamente disposte da un giudice sul telefono di Mancino e legittimamente pubblicate dalla stampa, una volta depositate alle parti e dunque non più coperte da segreto.


E, se il dottor D’Ambrosio è stato indirettamente intercettato, è colpa di Mancino che ha deciso di coinvolgere il Quirinale in una sua grana privata, ma anche del Quirinale che ha deciso di dargli retta e di prodigarsi per favorirlo, mettendo a repentaglio l’imparzialità della Presidenza della Repubblica.
(Non presente ieri ai funerali - ndt)


Decisione, quest’ultima, che è rimasta finora senz’alcuna spiegazione (il Quirinale “deve” qualcosa a Mancino e, se sì, perché?).


Ma che D’Ambrosio attribuiva non a una sua iniziativa personale, bensì a una precisa e perentoria scelta del “Presidente”, che “ha preso a cuore la questione” e si è “orientato a fare qualcosa”: “Il Presidente parlerà con Grasso nuovamente”, “mi ha detto di parlare con Grasso”, “parlava di vedere un secondo con Esposito”, suggeriva a Mancino di “parlare con Martelli” per concordare una versione comune, scriveva al Pg della Cassazione per “non mandare lei (Mancino, ndr) allo sbaraglio” e perché il Pg “eserciti i suoi poteri nei confronti di Grasso… Tu, Grasso, fai il lavoro tuo”, insomma “si decide insieme” e il Presidente “sa tutto, e che non lo sa?”. Sono tutte parole di D’Ambrosio, non invenzioni dei suoi assassini a mezzo stampa.

Se quelle segretissime manovre per depotenziare o addirittura scippare ai titolari l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia sono note, non è grazie alla trasparenza del Colle, ma all’inchiesta di Palermo.


E, se sono finite nel nulla, non è perché il Quirinale non ci abbia provato. Ma perché Grasso le ha respinte, ricordando che l’invocato “coordinamento” delle indagini era stato assicurato un anno prima da una delibera del Csm presieduto dallo smemorato Napolitano.

Checché ne dicano il Presidente e gli sciacalli, D’Ambrosio non ha subìto (almeno sul Fatto) alcuna “campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose”.



Se illazioni ci sono state, hanno inevitabilmente riguardato le conversazioni rimaste segrete fra Mancino e Napolitano, a causa della decisione del Quirinale di non renderle pubbliche, anzi di pretenderne la distruzione, a costo di trascinare la Procura di Palermo davanti alla Consulta con un conflitto che Franco Cordero (sul Corriere, sul Fatto e infine su Repubblica) ha dimostrato infondato.



Su D’Ambrosio non c’era da insinuare o escogitare nulla: abbiamo semplicemente pubblicato e commentato criticamente, come altri giornali, le sue testuali parole intercettate. E, unico giornale in Italia, abbiamo subito intervistato D’Ambrosio per dargli la possibilità di spiegarle. Lui l’ha fatto, ma ci ha pure esternato il suo disagio per ciò che non poteva dire, essendo vincolato dal “segreto” su parole e azioni del Presidente che – ricordava ossessivamente nell’intervista – “sono coperte da immunità”.


Gli abbiamo chiesto di farsi sciogliere dal vincolo, ma dopo qualche ora ci ha fatto rispondere dal portavoce del Quirinale che il Presidente non l’aveva sciolto. Lo stesso vincolo che ha esposto lui, magistrato, a due imbarazzanti figuracce dinanzi ai suoi colleghi di Palermo, che lo sentivano come teste su ciò che aveva confidato a Mancino di sapere sulla trattativa: lui sulle prime negò tutto, ma poi, messo di fronte alle sue parole intercettate, dovette ammettere parecchie cose fra mille contraddizioni, e sfiorò l’incriminazione per reticenza. Non conoscendo personalmente D’Ambrosio, noi possiamo soltanto immaginare con quale stato d’animo un uomo tanto riservato abbia vissuto questi 40 giorni di esposizione mediatica e il drammatico ribaltamento della sua immagine: da collaboratore di Falcone nella stesura del decreto sul 41-bis a difensore d’ufficio di chi aveva revocato il 41-bis a centinaia di mafiosi, o almeno non l’aveva impedito.


Insomma, da servitore dello Stato a servitore di Mancino.



Ma, se Napolitano avesse ragione a collegare la sua morte a quanto è stato scritto di lui, dovrebbe anche domandarsi chi ha esposto D’Ambrosio a quelle critiche, a quelle figuracce e a quel ribaltamento d’immagine: non certo chi ha riferito doverosamente le cose che aveva detto e fatto, semmai chi gli aveva chiesto di dire e di fare quelle cose.


Il Fatto Quotidiano, 28 Luglio 2012
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07 ... to/309055/
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