Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?

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camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

Nel post precedente iospero ha esposto:

Una poli­tica dei diritti e del lavoro che parta da una coalizione sociale è tutta da costruire


Più che vero.!!!!!

Proprio per questo motivo occorre andare oltre il solito modo di agire.

Per un progetto di questo genere, di grande respiro occorre il concorso di molti, di tutti.

E per questo che insisto, più testardo di un mulo, che sul forum devono approdare anche i Landini, i don Ciotti, gli Stefano Rodotà, i Gino Strada, gli Zagrebelsky, le Sandre Bonsanti, le Amalie Signorelli, i Marco Revelli, le Carlassare, ed anche per il contributo successivo, Nadia Urbinati.

E' proprio il suo lavoro che sottopongo alla vostra attenzione, perché l'impresa che si sta delineando non può non trascurare la realtà internazionale, e chi la governa, perché si opporrà con tutte le sue forze affinché in Italia possa consolidarsi una coalizione sociale del genere sopra proposto, perché manda a carte quarantotto il lungo lavorio degli ultimi 20 anni per distruggere la rappresentanza della sinistra.

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La marcia trionfale dei ricchi globali
Analisi.
Una società divisa tra subalterni dentro lo Stato e plutocrati nei confini del loro potere globale

Nadia Urbinati, il manifesto •
27 feb 15 •



Per i classici, la tirannia era il solo vero rischio anti-democratico, nella forma individuale o di piccoli gruppi (di oligarchi).

La licenza e l’ingordigia per il potere erano le passioni a rischio di sovvertire l’ordine, spesso con il sostegno del più poveri, mesmerizzati dai demagoghi.

Lo scenario che ci possiamo attendere oggi è diverso: non masse anarchiche e in ebollizione, non guerrieri e oligarchi di ceto; ma masse di individui isolati negli stati-nazione e oli-garchi della finanza nei villaggi globali.

Una società divisa tra subalterni dentro i confini statali e plutocrati dentro i confini del loro potere globale.

Alla base, una convergenza di tutti i poteri che originariamente operavano separatamente, secondo il modello liberale classico: il potere economico, quello religioso e quello politico.

Sheldon Wolin ha chiamato questa nuova società un «totalitarismo invertito», nel quale pubblico e privato diventano simbiotici e perdono la loro specifica distintività.

«Invertito» non significa che una sfera prende il posto dell’altra (come col patrimonialismo).

Significa che l’una e l’altra sono in un rapporto di integra-zione totale (come la scuola statale e quella privata parificata che sono dette appartenere a un sistema pubblico integrato).

Convergono e danno luogo a qualche cosa di nuovo, una incorporazione di forme che erano separate.

E que¬sto spiega il lamento per il declino dei corpi intermedi: una società totalizzante.

Mentre alle origini della modernità, l’economia di mercato aveva promosso decentralizzazione e frantumato i monopoli (Adam Smith) stimolando la libertà economica e indirettamente l’espansione dei diritti, civili e politici, nella nostra società assistiamo a un processo molto diverso.

Qui, imprenditori e capitalisti finanziari alimentano il loro potere nella misura in cui cancellano la decentralizzazione e creano una società organica e incorporata, sia a livello nazionale che internazionale.

Si tratta di un ritorno al monopolio, non più nella forma di un bisogno tirannico di accumulo, come nel passato, ma nella forma organizzata da norme e abiti comportamentali che generano una classe di ricchi globali; una società a sé stante di persone che stilano tra loro contratti matrimoniali, che non hanno nazione e vivono nelle stesse città e negli stessi grattacieli.

Che si monitorano a vicenda, cercando di captare i mutamenti di fortuna. E creano istituzioni internazionali loro proprie con le quali determinare la vita degli stati, ovvero della classe dei senza-potere, che vivono dentro gli stati e se varcano i confini lo fanno per emigrare andando a rioccupare la stessa classe nel nuovo paese; una classe di milioni di disaggregati, illusi di essere liberi perché parte di social network.

Questa lettura mostra la traiettoria della modernità dall’individualismo all’olismo, da una società che riposava sul conflitto tra eroi individuali o di casato, e poi tra le classi organizzate in partiti, a una società che è un vero corpo omogeneo e unitario, sia negli strati bassi che in quelli alti.

E se e quando i conflitti esplodono, si tratta di eventi periferici (alcune fasce di precariato, questa o quella regione contro il centro, ecc.) che non cambiano il carattere dell’ordine globale e non ne incrinano l’organicità.

A provarlo basta pensare a questo: molte delle strategie sviluppate nella società moderna per rendere possibile la resistenza individuale a questa logica olistica stanno producendo l’effetto opposto.

Per esempio, i partiti di sinistra del ventesimo secolo avevano lo scopo di rivendicare i diritti dei molti contro l’abuso del potere dei pochi potenti; e usavano la sola arma che i deboli hanno da sempre: l’alleanza, l’unione, l’integrazione delle forze sparse. In questo modo riuscivano a resistere all’oligarchia industriale.

Ma il risultato, che sta sotto i nostri occhi, è molto diverso dalle aspettative o dalle intenzioni originarie: i partiti che si nominano di sinistra operano contro i diritti sociali e la dignità politica delle moltitudini mentre svolgono il ruolo di convincere i senza-potere che quel che occorre fare è assecondare la logica del sistema, quindi lavorare nel rischio e senza diritti e procurarsi una formazione funzionale alla loro oggettiva precarietà. La favola del merito è il nucleo di questa ideologia della subalternità.
La convergenza delle forze nel campo sociale e in quello economico ha vinto sulle resistenze e come esito abbiamo una massa di senza-potere senza organizzazioni di resistenza.

A questo punto resta ai deboli il populismo, che ripropone il vecchio mito collettivo del vox populi vox dei, salvo usarlo, come facevano gli antichi demagoghi, per attuare un cambio di leadership che non cambia la condizione dei molti. È ipocrita gridare allo scandalo contro il populismo, che non è il fenomeno scatenante ma il sintomo, retto sull’illusione data ai senza-potere di mutare la loro sorte.
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

Ripropongo un tema già affrontato in passato, ma sempre attualissimo

Eliminare il denaro contante: la strada ineluttabile per una società più giusta e più sicura
La bravissima giornalista Milena Gabanelli, nei giorni scorsi, ha lanciato l'idea di tassare il denaro contante per incentivare i pagamenti elettronici. La proposta è stata ripresa da diversi media ed anche alcune trasmissioni televisive (ieri sera, per citare l'ultima, da “L'Infedele” di Gad Lerner su La7). Lo scalpore che proposte come questa generano (a Settembre proponemmo qualcosa di simile, solo più articolato: “Una riforma radicale del fisco”) derivano in larga parte dalla scarsa conoscenza della materia che talvolta affligge gli stessi sostenitori.
I benefici che deriverebbero dalla totale eliminazione del denaro contante sono talmente enormi che sembra superfluo soffermarcisi troppo. Il denaro contante è la linfa nella quale prospera ogni forma di criminalità e di illegalità: dalle mafie alla criminalità comune, dalla corruzione all'evasione fiscale.
Le obiezioni che solitamente si muovono all'eliminazione del denaro contante riguardano la sfera della libertà individuale e quella della privacy. Entrambe sono totalmente prive di fondamento a patto che i sistemi di pagamento elettronico vengano accuratamente progettati sfruttando le tecnologie moderne.
In primo luogo è necessario ricordare che la maggioranza del denaro esistete nel mondo è già elettronico. Il denaro fisico (monete e banconote) rappresenta meno del 5% della massa monetaria in circolazione che è composta, per la gran parte, da “bit” residenti nei computer delle banche. Il denaro fisico circola molto più velocemente del denaro elettronico e questo è causato essenzialmente dalla tecnologia che solo fino a pochi anni fa non era in grado di produrre un portafoglio elettronico affidabile che potesse sostituire quello fisico. Oggi non è più così.
Oggi la tecnologia consente di produrre dei portafogli elettronici che consentono di scambiarsi moneta elettronica nella massima sicurezza e nel rispetto della privacy. Portafogli che dovrebbero essere “caricati” dal proprio conto corrente (idealmente anche attraverso i “Bancomat”) e che potrebbero trasferire sul portafoglio elettronico ricevente null'altro che l'importo, esattamente come accade per la moneta fisica. Successivamente i portafogli elettronici dovrebbero trasferire la moneta elettronica sul proprio conto corrente. La tecnologia lo consente, si tratta solo di volerlo realizzare.
Ovviamente questi portafogli elettronici sono adatti per i micropagamenti (il ristorante, il bar, il venditore ambulante, ecc.) mentre per i grandi pagamenti si dovrebbero continuare ad utilizzare i sistemi di trasferimento del denaro elettronico già oggi utilizzati e che prevedono la tracciabilità.
Naturalmente i limiti relativi agli importi trasferibili dovrebbero essere configurabili dagli utenti (il portafoglio per il giovane adolescente è diverso da quello del negoziante) seguendo dei regolamenti imposti dallo stato (così come oggi lo stato regolamenta molti dettagli sui trasferimenti elettronici).
Eliminare il contante per i micro-pagamenti è il prerequisito per l'eliminazione totale del denaro contante e quindi dell'impiego del contante per la criminalità e l'illegalità di ogni sorta.
Eliminare il contante è possibile, manca la volontà politica, e si comprende il perché.
La ragione, però, non risiede solo nei fortissimi interessi che questa riforma va a ledere.
Manca anche la presa di coscienza da parte di quella maggioranza della popolazione che ricaverebbe un vantaggio superiore rispetto a qualsiasi altra riforma economica immaginabile.
Ancora non c'è una maggioranza favorevole all'abolizione del denaro contante perché non c'è ancora sufficiente conoscenza della materia. Si dovrebbe necessariamente procedere per gradi, favorendo in tutti i modi la produzione diffusione dei portafogli elettronici.
Solo dopo una capillare diffusione dei portafogli elettronici (a carico delle banche centrali, al pari del denaro contante) si potrebbe procedere con la tassazione dello stesso denaro contante.
Le due cose combinate porterebbero finalmente all'eliminazione del denaro contante in maniera quasi automatica e con essi sparirebbe la maggior parte della criminalità e dell'illegalità.
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

Eliminato il contante resterebbe da fare


Una riforma radicale del fisco
di Alessandro Pedone

Paul Watzlawick ci ha insegnato che quando un problema è incancrenito, tentare di risolverlo con “soluzioni” che appartengono alla stessa “dimensione” del problema che si cerca di risolvere non fa altro che aggravarlo. Se un determinato problema non ha trovato una soluzione dopo molti tentativi, l'unico modo per risolverlo è un cambio di paradigma. Bisogna “uscire” dalla logica di fondo che ha dominato sia il “problema” che i “tentativi di soluzione” ed agire su una diversa dimensione.
Il fisco, o meglio l'evasione fiscale, è senza alcun dubbio un esempio tipico di problema incancrenito. In Italia il problema è di dimensioni colossali, ma –con diverse proporzioni– l'evasione fiscale è una piaga che colpisce un po' tutte le nazioni.
Quasi a nessuno piace pagare le tasse. Per cercare di stanare gli evasori si spendono –giustamente– moltissimi soldi e si creano una serie infinita di regole che costano moltissimo, in termini di tempo e non solo, e che gravano principalmente su coloro che le tasse le pagano.
Il risultato è che ogni nazione ha una quota di sommerso più o meno grande, ma sempre molto significativa. Casi come l'Italia e la Grecia sono clamorosi, ma anche nelle nazioni più “virtuose” l'evasione rappresenta comunque quote significative del PIL e le risorse impiegate per gestire i prelievi fiscali sono molto ingenti.
Un po' in tutte le nazioni economicamente sviluppate, le entrate fiscali sono costituite principalmente dalla tassazione sul reddito prodotto e dalla così detta “imposta sul valore aggiunto”, ovvero l'IVA.
In Italia, dei circa 410 miliardi di euro di entrate tributarie, circa 180 sono imposte sui redditi delle persone fisiche. Circa 40 miliardi sono imposte sui redditi delle imprese. Circa 100 miliardi vengono dell'IVA, il resto da tasse varie (accise, gioco d'azzardo, imposte di registro, bolli, successioni, ecc.).
Le stime relative all'economia sommersa variano da un circa 15% del PIL fino ad arrivare al 35-40%. Qualunque sia la stima corretta, vi sono spazi enormi di abbassamento delle aliquote se tutti pagassero le tasse, ma ridurre pressoché a zero l'evasione fiscale, in questo conteso, è del tutto utopistico.
Chi paga le tasse è soggetto ad un carico fiscale enorme (in rapporto ai propri redditi) e chi non le paga, si giustifica, moralmente, sostenendo che la percentuale di tassazione è impossibile da sostenere. Sarebbe necessario fare un salto logico, cambiare le regole del gioco.

Tassare i redditi: ingiusto e inefficace
Tradizionalmente si è sempre ritenuto che ciascuno contribuente dovesse pagare le tasse sulla base del reddito che produce. Questo è l'errore di fondo del sistema fiscale (non solo italiano).
La produzione di reddito ed il valore aggiunto dei beni e servizi scambiati non devono essere tassati. Produrre reddito e valore aggiunto dovrebbe essere incentivato, non tassato.
Il possesso di beni, al contrario, è una base imponibile (se l'aliquota è ovviamente molto contenuta e perfettamente sostenibile) più rispondente al concetto di “parità dei punti di partenza, non dei punti di arrivo”.
E' un principio comune a molte democrazie, comprese la nostra, che i cittadini debbano contribuire alle spese dello Stato “in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53 della Costituzione italiana). Per capacità contributiva si è quasi esclusivamente fatto sempre riferimento ai redditi, ma ciò è ingiusto.
Se una persona, oltre al reddito di 50.000 euro lordi possiede tre appartamenti e un milione di euro in banca, si può dire che abbia la stessa capacità contributiva di una persona che ha lo stesso reddito, una casa con un mutuo e 10.000 euro in banca?
La capacità contributiva dovrebbe essere valutata principalmente per ciò che un cittadino possiede, non per il reddito che produce. Il reddito si tradurrà in patrimonio ed in quel momento deve essere tassato. Se si tassa maggiormente chi produce e non chi possiede, si ottiene il risultato di premiare il possesso improduttivo e penalizzare la capacità di produzione.
C'è un secondo fattore da considerare. Le funzioni principali dello Stato sono quelle di garantire alcuni servizi essenziali come sicurezza, giustizia (nel senso di soluzione delle controversie), infrastrutture, salute ed istruzione. Togliendo le ultime due, si può affermare che coloro che possiedono di più usufruiscono maggiormente –direttamente o indirettamente– delle funzioni essenziali dello Stato. Chi possiede molti immobili, ad esempio, ha più interesse a veder tutelato il proprio patrimonio sia in termini di sicurezza, infrastrutture, tutela giuridica, ecc. E' giusto che chi possiede di più, partecipi allo spese dello stato in proporzione maggiore anche perché ne usufruisce di più.
Se si può discutere circa l'equità della tassazione sui redditi, è indiscutibile che questa forma di imposizione fiscale presti il fianco ad una serie infinita di comportamenti elusivi ed evasivi. Giusta o non giusta che sia, la tassazione sui redditi semplicemente non funziona!

I grandi numeri di una rivoluzione radicale del fisco
Una rivoluzione radicale del fisco dovrebbe partire quindi dall'eliminazione dell'IRE (ex IRPEF) e dell'IVA.
Nessuna dichiarazione dei redditi per le persone fisiche! Questo può apparire utopistico, ma non è così.
I numeri dimostrano che sarebbe possibile sostituire il gettito di queste imposte con due tipologie di tasse: 1) l'imposta sul possesso di beni immobili e finanziari e 2) imposta sulle transazioni monetarie. Vediamo un po' di numeri.
Gli italiani possiedono circa 6.300 miliardi di euro di immobili residenziali.
Questa è una stima effettuata dall'Agenzia del Territorio, incrociando i dati catastali e quelli dalle dichiarazione dei redditi.
Non esistono dati altrettanto ufficiali sul valore degli immobili non residenziali. Secondo i dati di uffici studi specializzati e affidabili (come Nomisma e Scenari Immobiliari) il valore del settore non residenziale è circa un quarto del residenziale. Il valore complessivo del patrimonio immobiliare, residenziale e non residenziale italiano, in mano ai privati, si aggira quindi sui 7.800 miliardi di euro.
Il patrimonio finanziario delle famiglie italiane, secondo la Banca d'Italia, si aggira intorno a 3.500 miliardi di euro. Non esistono dati simili relativi al complesso delle imprese (i bilanci non sono sufficienti perché la maggior parte delle imprese non sono di capitali).
Il complesso delle transazioni bancarie (in prevalenza bonifici) che vengono effettuate ogni anno, -sempre secondo la Banca d'Italia- si aggira intorno ai 10.000 miliardi di euro, escludendo le carte di credito che sono poca cosa. I pagamenti effettuati in moneta sono stimati in circa 4.500 miliardi.
Da questi numeri si evince che un'aliquota media relativamente contenuta, nell'ordine dell' 1,6-2%, sul patrimonio e dello 0,75-1% sulle transazioni monetarie (sia per chi riceve che per chi trasferisce) consentirebbero di avere un gettito fiscale complessivo identico a quello attuale, cioè intorno ai 410 miliardi di euro. Applicando queste due imposte si potrebbero eliminare tutte le altre tasse. Niente più complicazioni fiscali, con tutti i costi -diretti e indiretti– che essa implica, nessuna possibilità di evadere, ma sopratutto un vantaggio enorme in termini di libertà economica ed una spinta all'economia potentissima.
Proviamo ad immaginare gli effetti della contemporanea eliminazione dell'IVA e della tassazione sui redditi. L'impulso che ciò provocherebbe alla capacità di spesa sarebbe potentissimo.
Chi paga tutte queste tasse evitate? Per una buona parte tutti coloro che precedentemente non pagavano tasse (l'economia sommersa che riemergerebbe immediatamente sotto la forma di transazione monetaria e possesso di beni) e che in questo sistema si troverebbero a pagare una percentuale di tasse assolutamente accettabile. Per il resto, si attuerebbe una significativa traslazione del carico fiscale verso i cittadini che hanno un patrimonio elevato rispetto ai cittadini senza patrimonio.

]Imposta sul possesso
Anche uno schema tributario estremamente semplice, basato su due sole imposte, richiede ovviamente un'ampia diversificazione delle aliquote per tenere nella giusta considerazione una serie di casistiche. Sarebbe abbastanza ingiusto, ad esempio, tassare molto di più il proprietario di un bilocale a Milano rispetto al possessore di una villetta in un paesino montano a causa del fatto che il valore del bilocale in centro a Milano è superiore.
L'aliquota sul possesso non potrebbe essere unica. Dovrebbe essere diversificata sia in base al bene (la prima casa, ad esempio, non può essere equiparata alle case successive, né una casa in affitto dovrebbe avere la stessa aliquota di una casa di villeggiatura) ed il valore dell'immobile dovrebbe essere in parte legato al valore di mercato ed in parte legato alla consistenza, alle caratteristiche ed alla destinazione. Dovrebbero essere affrontati e regolamentati i casi di coloro che perdono momentaneamente le fonti di reddito.
Mediamente comunque, l'aliquota sul possesso può oscillare tra l'1% ed il 2% annuo.
Nel rispetto del principio costituzionale di progressività, inoltre, si dovrebbero prevedere delle aliquote progressivamente superiori all'aumentare del patrimonio complessivo del contribuente.
Si potrebbe pensare che la tassazione sul possesso di beni finanziari ponga delle problematiche legate alla fuga di capitali all'estero. A ben vedere, però, una tassazione contenuta, nell'ordine dell'1-2% massimo del patrimonio finanziario, in congiunzione con un'appropriata politica fiscale sui trasferimenti monetari (si veda il paragrafo successivo) non dovrebbe implicare movimenti significativi di capitali all'estero, potrebbero esservi anche casi di convenienza al rientro dei capitali.
C'è da considerare che la tassazione sul possesso dei beni finanziari elimina la tassazione sulle rendite finanziarie che attualmente è pari al 20% (dal 2012). Ciò significa che, ipotizzando un rendimento del 5%, il patrimonio subirebbe comunque, anche nel contesto attuale, una tassazione dell'1%.
Il gettito derivante dalla tassazione delle patrimonio finanziario, comunque, è pari solo al 15% del gettito complessivo. Si potrebbe quindi procedere con gradualità monitorando gli effetti.

Imposta sulle transazioni
Ipotizzando un'aliquota media per i trasferimenti monetari dello 0,75%, circa il 50% del gettito fiscale complessivo ipotizzato dovrebbe arrivare dall'imposta sulle transazioni monetarie. Il grosso delle transazioni monetarie ufficiali avviene per bonifici bancari od altre forme di transazioni bancarie e postali (assegni, vaglia, carte di credito, ecc). Le transazioni in contanti, per ovvie ragioni, possono essere solo stimate e secondo le indagini della Banca d'Italia sono nell'ordine del 45% delle transazioni bancarie.
E' ovvio che le transazioni in contanti dovrebbero essere fortemente scoraggiate.
La progressiva eliminazione del denaro contante avrebbe effetti estremamente positivi anche sul piano della lotta alla criminalità ed alla corruzione.
E' possibile ridurre drasticamente l'uso del denaro contante applicando un'imposta molto elevata, nell'ordine del 5%, ai versamenti ed ai prelievi in contanti superiori ad una certa soglia, diciamo – a titolo d'esempio - 500 euro giornalieri o 2.500 euro mensili. Agli esercizi commerciali si potrebbe consentire di praticare un sovrapprezzo per i pagamenti in contati pari alla differenza fra l'imposta sui versamenti in contanti ed l'imposta sulla transazioni bancarie.
In un contesto del genere l'uso del denaro liquido verrebbe drasticamente ridimensionato.
Progressivamente, anche per gli acquisti minuti come il giornale ed il caffè l'uso del denaro elettronico potrebbe diventare prassi.

Radicale, ma graduale
E' evidente che, a regime, un sistema tributario basato su due sole imposte, quella sul possesso e quella sulle transazioni monetarie, sarebbe radicalmente diverso dal sistema attuale. E' possibile, però, ipotizzare un sistema nel quale conviva l'attuale con un embrione di nuovo sistema tributario che nasca da una sorta di patto fiscale con i cittadini. I passi potrebbero essere i seguenti.
1) La prima fase è necessariamente di tipo culturale. E' indispensabile un dibattito di molti mesi su un progetto del genere con il contributo del maggior numero di voci possibili. Alla fine di questa fase si dovrebbe giungere all'obiettivo condiviso di eliminazione totale di tutte le imposte attuali e l'introduzione delle due nuove imposte (sul patrimonio e sulle transazioni monetarie) nell'arco di alcuni anni.
2) Nella prima fase, della durata di 3 anni, si introducono queste due imposte, con un'aliquota minimale valida per tutti pari allo 0,1%. Questa fase dovrebbe servire a rodare il nuovo sistema sulla base dei numeri effettivi. L'aliquota dello 0,1% dovrebbe produrrebbe un gettito intorno a 20 miliardi all'anno che sarebbero integralmente destinati a ridurre il debito pubblico.
3) Superata la prima fase di tre anni, si ridurrebbe, IRE (ex IRPEF) e l'IVA del 30% e si eliminerebbero completamente tutte le altre tasse minori (come le accise sulla benzina, ticket sulla sanità, ecc) che non hanno una funzione regolatrice dell'accesso ai servizi pubblici. Si aumenterebbero le aliquote delle nuove imposte iniziando a modularle sulla base delle informazioni acquisite nei tre anni precedenti e sugli obiettivi di equità fiscale che si desidera raggiungere. In questa fase si dovrebbe introdurre anche l'imposta sul versamento ed i prelievi di contanti nella misura almeno del 1% per monitorare l'impatto che questa misura ha sull'uso del contante. Questa fase avrebbe una durata di 2 anni.
4) La penultima fase vedrebbe l'abbattimento dell'IVA ed una riduzione significativa e dell'IRE (ex IRPEF) con conseguente aumento delle aliquote delle due nuove imposte nonché un aumento consistente, intorno al 3% per l'imposta sui versamenti e prelievi di contanti. Questa fase dovrebbe durare alcuni anni (dai 3 ai 5) in modo da monitorare l'impatto di questa nuova fiscalità al variare del ciclo economico. Uno degli aspetti da considerare, infatti, è l'eventuale volatilità del gettito. In presenza di fenomeni di volatilità significativa, andrebbero apportati correttivi al bilancio pubblico al fine creare aggiustamenti contabili per il ciclo economico.
5) L'ultima fase, come è ovvio, vedrebbe l'eliminazione completa delle imposte sui redditi ed il conseguente innalzamento delle aliquote dell'imposta sui trasferimenti e di quella sul possesso al livello che dovrebbe essere definitivo. Nel caso in cui il fenomeno dell'uso massiccio del contante non fosse ancora debellato, si dovrebbe innalzare la tassazione sui versamenti e prelievi a livelli molto scoraggianti nell'ordine del 5%.

La soluzione del problema del debito pubblico
Al termine di questo processo graduale, il risultato dovrebbe essere un significativo aumento del gettito fiscale ed al contempo un aumento significativo del PIL, non solo per lo stimolo all'attività economica che deriverebbe dall'aumento del potere di acquisto della maggior parte della popolazione, ma anche per l'emersione di una fetta importante di economia sommersa che esiste ma non fa PIL perché non è rilevata dalle statistiche (il PIL include una parte di sommerso, ma le stime dell'ISTAT sono decisamente troppo “conservative” secondo molti altri studiosi della materia).
Come è noto, le tre leve sulle quali è necessario agire per riportare il rapporto Debito/Pil a livelli accettabili (inferiore al 60%) sono:
- ridurre l'enorme costo della macchina pubblica (è intollerabile che lo stato assorba circa la metà del PIL!)
- aumentare il gettito fiscale
- aumentare il PIL
La radicale riforma fiscale proposta agirebbe su due delle tre leve con buone speranze di riportarlo a livelli accettabili nell'arco di un decennio circa (a patto che si riesca – quantomeno – a contenere l'intollerabile ingordigia dell'apparato statale, ovviamente).

Conclusioni
Ho studiato a lungo i dettagli di questa possibile riforma radicale del fisco. E' evidente che questo meccanismo non è esente da difetti, come nessun sistema fiscale è esente da difetti. I vantaggi di un sistema del genere, però, a mio avviso sarebbero enormi rispetto ai problemi e soprattutto rispetto agli enormi svantaggi del sistema attuale. Tecnicamente i numeri ci dicono che sarebbe sufficiente applicare un'aliquota più che accettabile, mediamente inferiore al 2% all'anno sul patrimonio e inferiore all'1% sui trasferimenti monetari per arrivare al gettito fiscale attuale, eliminando completamente l'imposta sui redditi delle persone fisiche e l'imposta sul valore aggiunto (IVA). Mi sembra un dato di conoscenza molto significativo.
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

Fatte le due riforme sopra esposte, cioè l'annullamento del denaro contante e una riforma radicale del Fisco, non essendoci più il segreto bancario, diventerebbe tutto più facile per armonizzare la vita dei cittadini.

Per tornare a
Una poli­tica dei diritti e del lavoro che parta da una coalizione sociale è tutta da costruire


io credo sia POSSIBILE solo quando tutti i lavoratori sarebbero nudi di fonte allo Stato, il quale in questo caso potrebbe finalmente intervenire in modo equo nel confronto di tutti.
Certo fare queste riforme sarebbe possibile e credo anche accettabili da parte della maggioranza se sufficientemente spiegate, ma a tanti conviene l'attuale confusione !!!
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

IL “FRONTE POP” PROPOSTA INCLUSIVA PER 5 OBIETTIVI
di Gallegati, Pianta, Notarianni, Stramaccioni, 26 febbraio 2015

L’articolo di Gior­gio Airaudo e Giu­lio Mar­con “Un Fronte Pop” (mar­tedì su mani­fe­sto e sbi​lan​cia​moci​.info) si pone le domande giu­ste: come pos­siamo costruire in Ita­lia una forza poli­tica ana­loga a Syriza e Podemos?

Come può nascere una forza che riu­ni­fi­chi pro­te­sta sociale e azione poli­tica con un’agenda di cam­bia­mento? Sono domande non nuove, i ten­ta­tivi di rispo­sta in que­sti anni sono stati diversi e mai riso­lu­tivi – l’ultimo è stata la Lista “Un’altra Europa con Tsi­pras” alle ele­zioni euro­pee, che ha avuto il merito di allar­gare l’orizzonte all’alternativa rap­pre­sen­tata da Syriza.

L’urgenza di una rispo­sta riso­lu­tiva è accen­tuata oggi da tre novità.

La prima è la con­ti­nua acce­le­ra­zione del “ren­zi­smo”. In pochi giorni, ha intro­dotto nuovi decreti del Jobs Act che sono par­ti­co­lar­mente puni­tivi per i lavo­ra­tori (e ha attac­cato per­so­nal­mente Mau­ri­zio Lan­dini e la Fiom). Ha col­pito i magi­strati in un modo pesante. Ha affron­tato la que­stione delle tele­vi­sioni non per affron­tare il con­flitto d’interessi di Ber­lu­sconi, ma per raf­for­zare il potere di Media­set con la ces­sione di Rai­ways. E sta per inva­dere la scuola con un nuovo decreto.

La seconda novità è nella rea­zione sociale che ini­zia a mostrarsi – dopo lo scio­pero gene­rale di Cgil e Uil – con il sin­da­cato di Susanna Camusso che si pre­para allo scon­tro fron­tale sul Jobs Act e la Fiom di Mau­ri­zio Lan­dini che apre oggi l’assemblea dei dele­gati a Cer­via con un’agenda di mobi­li­ta­zioni sociali.

La terza novità è la tenuta del governo di Ale­xis Tsi­pras nel suo scon­tro con i poteri euro­pei. Pur con un nego­ziato dif­fi­ci­lis­simo, con molte con­ces­sioni e desti­nato a durare a lungo, la Gre­cia di Syriza ha messo all’ordine del giorno il supe­ra­mento dell’austerità in Europa. Ha aperto uno spa­zio poli­tico anche per noi: la Com­mis­sione euro­pea non a caso ha dato il via libera l’altroieri ai conti di Ita­lia, Fran­cia e altri paesi senza inter­fe­rire ulte­rior­mente. Ma que­sto spa­zio ha biso­gno di svi­luppi poli­tici che cam­bino i rap­porti di forza in tutti i paesi: con le pros­sime ele­zioni in Gran Bre­ta­gna, Irlanda, Spa­gna e con un allon­ta­na­mento dei governi di Parigi e Roma dalle posi­zioni di Ber­lino: senza di que­sto, la stessa Gre­cia non potrà farcela.

Airaudo e Mar­con scri­vono che ci sono «segni di risve­glio sociale, che tut­ta­via sono ancora fram­men­tati, senza una cor­nice che tra­sformi le mobi­li­ta­zioni in rispo­sta poli­tica». Anche noi pen­siamo che la costru­zione di una cor­nice poli­tica e sociale forte, di una con­ver­genza orga­niz­za­tiva, sia oggi essen­ziale. Le dispo­ni­bi­lità e le ini­zia­tive di tanti, espresse in que­ste set­ti­mane, sono pezzi impor­tanti, ma nes­suno è riso­lu­tivo. Siamo chia­mati a un “salto di scala”, a un nuovo modo di pen­sare l’azione col­let­tiva, fuori dai peri­me­tri che sono fin qui costruiti, nei par­titi, nei sin­da­cati e nei movimenti.

Il “Fronte Pop” pro­po­sto da Airaudo e Mar­con è la pro­po­sta più inclu­siva che sia emersa finora. Chiede a tutti un passo indie­tro e offre un balzo in avanti. Potrebbe far ces­sare l’entropia di ini­zia­tive che vanno in dire­zioni diverse, stru­men­ta­liz­zate dai gior­nali. Il nome non pia­cerà a chi ricorda la scon­fitta del Fronte demo­cra­tico popo­lare di socia­li­sti e comu­ni­sti nel 1948. Ma è un nome che defi­ni­sce una con­ver­genza tra sog­getti diversi – un Fronte, non un par­tito – e che ci richiama alle radici popo­lari che il nostro lavoro deve avere: mobi­li­ta­zioni dal basso, auto-organizzazione sociale, difesa dei più deboli, dei pre­cari, dei gio­vani, delle vit­time della crisi. E’ solo così che potremo sot­trarre con­senso ai popu­li­smi con­trap­po­sti di Beppe Grillo e Mat­teo Sal­vini. Sono le cose che hanno fatto Syriza e Podemos.

I nomi pos­sono cam­biare, ma que­sta ci sem­bra la strada giu­sta. E le cin­que cam­pa­gne indi­cate da Airaudo e Mar­con sono quelle essen­ziali: l’Europa da cam­biare, il lavoro da difen­dere, l’ambiente da sal­vare, i diritti civili e il wel­fare da affer­mare, la pace da costruire. Con in più l’affermazione della lega­lità: un con­tra­sto vero a mafie e cor­ru­zione. Le mille ini­zia­tive che già esi­stono su que­sti temi hanno biso­gno di una cor­nice più forte, di “sfon­dare” nella poli­tica, di cam­biare le deci­sioni di Palazzo Chigi e di Bruxelles.

L’assemblea Fiom di que­sti giorni è un pas­sag­gio impor­tante, a cui far seguire una fase costi­tuente che defi­ni­sca come rea­liz­zare que­sta con­ver­genza poli­tica e sociale. Il dif­fi­cile, lo sap­piamo già, è nei modi che ten­gano insieme tutti: la pra­tica di una nuova poli­tica insieme alle mobi­li­ta­zioni sociali e sin­da­cali; le forme di orga­niz­za­zione col­let­tiva con le moti­va­zioni e l’impegno delle per­sone che vogliono, final­mente, contare.

Pro­via­moci.

da il manifesto 27 febbraio 2015
camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

Airaudo e Marcon – Il Fronte Pop - 1

I 5 punti:

1) L’Europa da cambiare
2) Il Lavoro da difendere
3) L’ambiente da salvare
4) I diritti civili e il welfare da affermare
5) La pace da costruire


Di questi 5 punti occorre fare l’analisi di fattibilità e stabilire le priorità. Non che non debbano non essere prese in considerazione in contemporanea, ma qualche punto deve avere la priorità assoluta.

1) Il Lavoro da difendere
2) I diritti civili e il welfare da affermare
3) La pace da costruire
4) L’ambiente da salvare
5) L’Europa da cambiare


1) Il lavoro da difendere

Questo punto ha la priorità assoluta, perché si tratta della vita di milioni di italiani.

2) I diritti civili e il welfare da affermare

Gustavo Zagrebelsky, classe 1943, giurista ed ex presidente della Corte Costituzionale, è l’uomo che più si è battuto negli ultimi tre anni nella difesa della Costituzione e dell’ordine repubblicano.
I casi sono due. O lo si ritiene un emerito cretino quando afferma che siamo prossimi allo zero della democrazia in questo stramaledetto Paese, oppure no.
Inoltre, Zagrebelsky con l’intervento dell’estate scorsa sul Fatto Quotidiano, e Nadia Urbinati l’altro ieri sul Manifesto, delineano un quadro preciso di come funziona il potere a livello internazionale, e di conseguenza a livello nazionale.

Nell’articolo si accenna all’accelerazione del renzismo. Ma in pratica si rifiutano di vedere che si tratta di un nuovo fascismo. Se si pensa a cosa è stato il ventennio e si pensa che debbano riproporsi gli scenari di allora, si sbaglia di grosso. Tutto è adattato agli scenari dell’inizio del XXI secolo. E’ per questo che Renzi va stoppato subito se non si vuol vivere un’esperienza di questo genere.

3) La pace da costruire
Questo tema va attenzionato ma non è di certo a questi livello che si stabilisce : Guerra o Pace.

4) Certamente che anche l’ambiente non è un tema da trascurare, ma prima vengono i punti precedenti

5) L’Europa da cambiare

Certo che l’Europa è da cambiare, ma se fino ad adesso ha vinto il mondo della finanza e degli affari, significa che si tratta di una guerra lunga e dispendiosa. Non si risolve così sui due piedi.
cielo 70
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da cielo 70 »

Sull'uso del contante gli altri stati hanno delle soglie più alte e poi l'uso della moneta elettronica comporta un radicale cambiamento del modo di vivere. Sulla tassazione dei patrimoni quello immobiliare è tassatissimo e il capitale è bloccato quindi è capace che chi lo possiede di liquido, finché l'ha venduto (diventando più povero), non abbia nulla. Restano gli altri modi di utilizzo del patrimonio e non so come fare per impedire che vengano occultati; si deve domandare una collaborazione a Merkel, visto che vuole prima che può il parametro del 60% e una manovra di cinquanta miliardi all'anno. Una volta c'era l'Invim e ritengo che si potrebbe reintrodurre, può essere che qualche cosa faccia.
Ultima modifica di cielo 70 il 01/03/2015, 11:35, modificato 1 volta in totale.
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

Mi sono chestto chi è Alessandro Pedone
Alessandro Pedone Dopo una breve esperienza come promotore finanziario ha fondato, nel 2002, la Tekta Consulting Srl (www.tekta.it), societa' che si avvale di diverse figure professionali (dottori commercialisti, pianificatori finanziari e avvocati) per svolgere consulenze sia in materia aziendale che di gestione dei patrimoni privati.
Svolge attivita' di formazione per professionisti nel settore della finanza e collabora con riviste del settore (Investire e Investimenti Finanziari).
cielo 70
l'uso della moneta elettronica comporta un radicale cambiamento del modo di vivere
certamente, ma se lo Stato interviene in modo tale che il costo delle carte di credito sia a costo zero e obbligatorio renderebbe la vita più semplice per tutti
iospero
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Iscritto il: 24/02/2012, 18:16

Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

Nel post precedente iospero ha esposto:

Una poli­tica dei diritti e del lavoro che parta da una coalizione sociale è tutta da costruire
camillobenso
Più che vero.!!!!!

Proprio per questo motivo occorre andare oltre il solito modo di agire.

Per un progetto di questo genere, di grande respiro occorre il concorso di molti, di tutti.

E per questo che insisto, più testardo di un mulo, che sul forum devono approdare anche i Landini, i don Ciotti, gli Stefano Rodotà, i Gino Strada, gli Zagrebelsky, le Sandre Bonsanti, le Amalie Signorelli, i Marco Revelli, le Carlassare, ed anche per il contributo successivo, Nadia Urbinati.

E' proprio il suo lavoro che sottopongo alla vostra attenzione, perché l'impresa che si sta delineando non può non trascurare la realtà internazionale, e chi la governa, perché si opporrà con tutte le sue forze affinché in Italia possa consolidarsi una coalizione sociale del genere sopra proposto, perché manda a carte quarantotto il lungo lavorio degli ultimi 20 anni per distruggere la rappresentanza della sinistra.
Purtroppo una coesione sociale del mondo del lavoro è molto difficile fin tanto che da UN LATO HAI I LAVORATORI DIPENDENTI , dei quali il Fisco sa tutto, DALL'ALTRO HAI I LAVORATORI AUTONOMI,
DEI QUALI ben poco si può sapere e nel complesso è un mondo complesso con tante variabili.
Solo dopo una serie di riforme come quelle sopra citate (azzeramento del contante, riforma radicale del fisco, niente segreto bancario) sarebbe possibile una coesione sociale di tutto il mondo del lavoro.
Credo che un approfondimento sul tema sia necessario
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

da " L'Altra Europa..

LA FABBRICA DEL CAMBIAMENTO: INSIEME PER UN NUOVO INIZIO
di Marco Revelli, 28 febbraio 2015

Lunedì a Torino, nella grande sala della “Fab­brica delle E” del gruppo Abele, si svol­gerà l’assemblea Atene – Torino. La sini­stra riparte dalle lotte sociali. La con­vo­ca­zione arriva da per­sone delle varie­gate realtà, sociali e poli­ti­che, che con­di­vi­dono l’esigenza di una rispo­sta ade­guata alle sfide di que­sto deli­ca­tis­simo, dram­ma­tico ma anche entu­sia­smante, momento. Un incon­tro con lavo­ra­tori delle fab­bri­che in crisi, gio­vani pre­cari, mili­tanti della Fiom e della Cgil, de L’Altra Europa e delle forze poli­ti­che che la sosten­nero euro­pee, del Movi­mento No TaV e del volon­ta­riato con­tro le povertà.


Sarà una prima occa­sione, pub­blica e di massa, per veri­fi­care la pos­si­bi­lità che abbia ini­zio una vera fase costi­tuente di quello che Airaudo e Mar­con, sul mani­fe­sto di mar­tedì scorso, hanno defi­nito come «un nuovo modello di aggre­ga­zione poli­tica e sociale». E che noi dell’Altra Europa con Tsi­pras abbiamo chia­mato la «casa comune della sini­stra e dei demo­cra­tici». Insomma, di quella «forza che uni­fi­chi pro­te­sta sociale e azione poli­tica con un’agenda di cam­bia­mento» richia­mata ieri, su que­sto gior­nale, da Gal­le­gati, Pianta, Nota­rianni e Stramaccioni.

Quanto quell’esigenza – potremmo anche dire quella pos­si­bi­lità – sia sen­tita, e quanto sia cre­sciuta negli ultimi mesi e nelle ultime set­ti­mane, è dimo­strato dal grado di affol­la­mento del dibat­tito pub­blico, da parte di voci spesso diverse (appa­ren­te­mente anche molto diverse) e tut­ta­via con­ver­genti su quel pro­blema: sull’insufficienza di ciò che è. Sulla neces­sità di ciò che deve venire. E sulla comune cer­tezza che que­sto dovrà essere grande, tanto grande da appa­rire cre­di­bile nel reg­gere la por­tata della sfida. E “ine­dito”: tanto inno­va­tivo nel lin­guag­gio, nelle pra­ti­che, nelle moda­lità orga­niz­za­tive, nelle stesse per­sone che ne inter­pre­tano il mes­sag­gio, da vin­cere la con­so­li­data dif­fi­denza e la disil­lu­sione di una parte sem­pre più ampia di società e di elettorato.

Penso alle recenti prese di posi­zione di Mau­ri­zio Lan­dini, di Ste­fano Rodotà, dello stesso Ser­gio Cof­fe­rati. Penso al dibat­tito, anche aspro, dell’assemblea bolo­gnese de L’Altra Europa o al mes­sag­gio uscito dalla tre giorni di Human Fac­tor. Un calei­do­sco­pio di posi­zioni che pos­sono appa­rire ete­ro­ge­nee, ma che in realtà dimo­strano l’alto grado di urgenza e di matu­rità della que­stione, lungo vet­tori diversi: la coscienza da parte del mondo del lavoro della caduta “sto­rica” di quello che era stato, per un lun­ghis­simo ciclo, il suo rife­ri­mento politico.

La veri­fica, da parte della parte più con­sa­pe­vole e sen­si­bile dell’ “intel­let­tua­lità” demo­cra­tica, del livello di degrado delle nostre isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive, fino a con­fi­gu­rare, sotto la spinta dell’accelerazione auto­ri­ta­ria ren­ziana, un’emergenza demo­cra­tica tanto pro­fonda da veder com­pro­messa la stessa forma par­tito, tra­di­zio­nale stru­mento di partecipazione.

L’autocoscienza, da parte di ciò che resta della estrema sini­stra poli­tica, della pro­pria insuf­fi­cienza, e della neces­sità di un “nuovo inizio”.

In que­sto qua­dro sarebbe tra­gico se ci si divi­desse sull’antitesi (fit­ti­zia) tra coa­li­zione sociale e coa­li­zione poli­tica. O, peg­gio, tra costru­zione dall’alto e costru­zione dal basso, senza riflet­tere sull’esperienza del pas­sato che dimo­stra, con un’evidenza luci­fe­rina, come ogni ten­ta­tivo di ren­dere auto­nomi i due aspetti si sia rive­lato disa­stroso, con i “movi­menti” inchio­dati a terra dalla pro­pria man­canza di sponda nelle sedi deci­sio­nali, e le orga­niz­za­zioni poli­ti­che troppo spesso iste­ri­lite in pra­ti­che buro­cra­ti­che e dram­ma­ti­ca­mente mino­ri­ta­rie. O comun­que espo­ste all’assimilazione popu­li­sta con tutto ciò che sta in alto e che sa di estra­neità e privilegio.

Per con­tra­sto, le vicende che stanno “ria­prendo il tempo” in Gre­cia come in Spa­gna — Syriza e Pode­mos pur nelle loro dif­fe­renze -, dimo­strano come la chiave del suc­cesso sia, oggi, la capa­cità di inne­stare, sull’orizzontalità del con­flitto sociale, l’asse ver­ti­cale della rap­pre­sen­tanza, met­tendo in con­nes­sione basso e alto. Tra­sfe­rendo anche den­tro il cuore delle sedi deci­sio­nali – quelle vere, quelle che ope­rano nello spa­zio poli­tico con­tem­po­ra­neo, la “fortezza-Europa” — la forza dirom­pente della rivolta e della resi­stenza sociale.

Quelle stesse vicende, d’altra parte, ten­dono a favo­rire – per chi ne vuole capire il mes­sag­gio — i pro­cessi di pos­si­bile ricom­po­si­zione poli­tica, affer­mando, con la peren­to­rietà dei fatti sto­rici, che il tempo è ora. E mostrando come il supe­ra­mento della fram­men­ta­zione e delle frat­ture è la pre­con­di­zione di un pro­cesso costi­tuente cre­di­bile e vin­cente, non il suo esito finale.

Per que­sto un pro­cesso che lavori “per cam­pa­gne”, come sug­ge­rito negli inter­venti pre­ce­denti, e non per nego­zia­zioni o pro­clami, e che sulla capa­cità di ripresa di parola da parte dei sog­getti reali fondi la riat­ti­va­zione dell’iniziativa poli­tica su scala ampia, trans-nazionale, per­ché trans­na­zio­nale è il comando, può per­met­terci di uscire dalla gab­bia inca­pa­ci­tante della comu­ni­ca­zione virtuale.

E di ten­tare la grande scom­messa di ridare rap­pre­sen­tanza e visi­bi­lità all’area scon­fi­nata che le oli­gar­chie del potere lasciano sotto le loro rovine.

Di que­sto si par­lerà a Torino. Con l’obiettivo di non fare solo un bell’evento, ma di dare ori­gine a una serie di inter­venti sul ter­ri­to­rio, radi­cati nelle pie­ghe sell’emergenza sociale, impe­gna­tivi per tutti.
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